Un altro giro di giostra (special guest Thomas Andersen)
di
Shikari
genere
etero
"Sto venendo a prenderti"
Ho letto il tuo messaggio e non posso far a meno di trattenere il respiro, un secondo, due e poi, come riemergendo da un’apnea, riesco a riprender fiato, corro nella mia stanza, doccia veloce e preparativi alla velocità della luce: camicetta e gonna per una volta corta, sandalo dal tacco alto, filo di trucco che “ tanto fa caldo” e una goccia di quel profumo maschile che tanto mi piace.
La mia coscienza non registra quel diabolico impulso che mi spinge a stuzzicarti, quasi di sua iniziativa, la mano infila nella borsetta quel piccolo plug comprato online. Appena pronta, esco in strada e rispondo: "Riuscirai a catturarmi, Milord?" mi piace sfidarti, tenerti lì, sul filo di quel rasoio, dove tu, per primo, hai messo entrambi. All’ultimo secondo riesco a salire su quel trenino blu che ogni mezz’ora fa la spola lungo la riviera, pago il biglietto e mi porta fino a Rimini.
"Provi a fare la preziosa? Sappiamo entrambi che ormai non hai via di scampo."
Maliziosa la replica "Ma io Sono preziosa. Nulla ha valore se non è frutto di fatica e impegno. Potrai trovarmi dove, con un dito, puoi sfiorare il cielo, lento e infinito il suo moto circolare, con dolcezza ti eleva per poi riportarti con i piedi per terra."
Un indovinello per la tua mente acuta, immagino le tue sinapsi in fermento, mi eccita questo collegamento mentale tra noi, quasi i nostri neuroni comunicassero direttamente.
Ti attendo là, dove la terraferma invade il mare, nelle vicinanze di un lampioncino, per non esser investita dalla sua luce ma accarezzata dal suo alone.
Nell’attesa ho già preso accordi per farti una sorpresa. In un momento in cui non c'era coda al botteghino della ruota, mi sono avvicinata. "Salve, vorrei chiederle una cortesia" Non posso far a meno di arrossire, fortunatamente la luce poco invadente e l'abbronzatura ne nascondono l'intensità.
"Sarebbe possibile, quando chiude, fare un giro speciale? Avere un po' di tempo fermi lassù?" Per fortuna la signora capisce al volo, mi dà appuntamento a mezzanotte, orario dell'ultimo giro.
Dalla mia posizione ti osservo giungere con quel tuo passo sciolto e famelico al contempo, colgo il tuo intravedermi, avverto il tuo sguardo che mi sfiora, mi percorre da capo a piedi e inizia il lento processo di liquefazione della mia volontà.
Leggera la tua mano sulla vita, trionfante il bacio di saluto, "Visto che ti ho presa?" Dolcemente mi svincolo, "Ti ho decisamente aiutato troppo", ti afferro la mano e ti induco a seguirmi lungo il molo, a quell’ora deserto.
Le nostre mani si cercano, si inseguono, per poi serrarsi in una delicata ma ferrea presa, non ci pesa quel soave silenzio, accompagnato dallo sciabordio del mare contro gli scogli, la presenza dell’altro è sufficiente, quello sfiorarsi e toccarsi, il guardarsi negli occhi, fino a perder cognizione del dove e quando, per il momento, ci soddisfa.
Arriviamo in fondo alla passeggiata, oltre qualche scoglio, l'infinita distesa oscura del mare punteggiato dalle sporadiche lucine di qualche barca, attrae il mio sguardo. Mi lascio avvolgere dalle tue braccia, dal tuo calore, la tua bocca mi solletica il collo fino a convincermi a voltarmi, a concederti il dominio del mio respiro.
Te ne appropri con un bacio, lento, suadente, che ci smarrisce nella sua intensità, due respiri fusi in un unico soffio. Lentamente torniamo al presente, una leggera brezza si leva dal mare, ci accarezza, ci rinfresca.
Io sono quasi in fibrillazione, ogni tanto controllo l’ora sul telefono, abbiamo un appuntamento e non dobbiamo tardare.
Ti tengo nell’ignoto fino a che non ti riporto a quella grande ruota che lentamente gira, osserviamo gli ultimi turisti allontanarsi, un’ultima controllata all’orologio e mi avvicino alla pedana di salita, scambio un cenno con la signora che si trova nella guardiola e, mentre questa spegne le luci della ruota, ti trascino dentro una cabina.
Siamo solo noi, nel vuoto, in una piccola scatolina di vetro buia che ci eleva, lentamente mi avvicino, salgo sul tuo grembo posizionando le ginocchia ai tuoi lati, la bocca che partendo da un leggero bacio arriva all’orecchio “Sai, Thomas ho dimenticato di indossare qualcosa stasera…” un sussurro e mentre le labbra giocano tra loro, una tua mano, dal mio fianco, ti scivola sotto la gonna a cercar quell’umido pertugio.
Un ansimo sfugge, al raggiungimento dell’obiettivo, lo sorbisci e te ne appropri, le mie mani, danzando, cercano di slacciare le tue costrizioni, una piccola lotta giocosa per il predominio del territorio e inizia una dolce cavalcata, non ci accorgiamo nemmeno che la ruota si sta avvicinando al punto più alto, per concederci la vista delle luci della città pur mantenendoci nel buio di questa intima prigione.
...
Restando seduto, spingo il bacino in avanti inclinando l’inguine, così che tu possa strofinare il mio pube mentre ondeggi. La mia mano raggiunge la tua borsetta, so che hai acquistato un piccolo plug, l’hai comprato per poterti allenare per me, per sperimentare e non farti trovare totalmente impreparata quando mi prenderò il tuo culo vergine.
Quel che ancora non sai è che non ti resta molto tempo per abituarlo all’idea. Mentre continui, impalata, a muoverti, lo trovo. È di piccole dimensioni, di minaccioso ha solo il colore nero. Lo interpongo tra le nostre lingue, entrambi lasciamo colare su esso la crema densa che circola nel nostro bacio.
Strappo la tua camicetta per liberarti i seni, ne saggio la consistenza, ne venero l'apice, strappandoti un miagolio, prendo una tua mano e la porto al mio scroto, voglio che tu senta quanto lo stai inzuppando di umori e quanto necessito di esploderti dentro.
Poi appoggio quell’ogiva nera proprio in mezzo al tuo fondoschiena, e, utilizzando la frenata meccanica della ruota che inchioda per fermarsi al vertice del mezzo giro, te lo spingo nel culo. Mi muovo al tuo ritmo, invece di tapparti la bocca, affondo i denti tra la tua spalla e il collo; il finestrino è aperto, la signora nel gabbiotto, abituata alle grida di euforia dei bambini, comprende che lo strepito di stasera è quello di una femmina ingorda.
La tua clitoride gonfia ti condanna all’orgasmo.
Mentre la tua lussuria si propaga sulle onde, sulle case, ti vedo nel riflesso del vetro, contorcerti sulla mia erezione, con quel tappo ben piantato nell’ano e, senza che mi serva spingere, ti esplodo dentro, spacciato, incurante, rantolante.
Non posso frenare nemmeno una di queste calde ondate che, oltre alla donna più in quota della città, ti stanno rendendo quella più riempita.
La ruota riparte per la discesa, ti sollevo e ti stendo in obliquo lungo il sedile in pelle a tre posti, già sporco di noi. Prendo il tuo viso, senza staccarci, ci baciamo teneramente, non vorrei mai più sfilarmi da te, dal nostro caldo lago di passione.
Una signora di Rimini sta provando a dormire disturbata dal russare del marito, domani mattina dovrà pulire le cabine della ruota panoramica, è il suo lavoro, ignora la quantità di liquidi che sta gocciolando sul sedile della cabina 13, mentre, con delicatezza, ti sfilo il cazzo e il plug.
Osservo i tuoi due crateri, la loro lorda immagine prolunga la mia erezione, abbiamo ancora mezzo giro, ci guardiamo, sai quanto ti voglio, i tuoi occhi, assieme ad un piccolo cenno del capo, mi danno il consenso, mi manca il respiro, hai deciso che accada, qui, ora.
Un gelataio che lavora sul lungomare di Rimini guarda l’orologio e si chiede come mai la panoramica stia ancora girando undici minuti dopo la mezzanotte ignaro che nella cabina 13 di quella giostra qualcuno stia dolcemente baciando la sua donna e allo stesso tempo lubrificandosi il sesso per sverginarle il culo.
Un fotografo romagnolo scatta una foto per una rivista, inquadra la famosa attrazione; forse, un domani, un attento lettore noterà, osservando con cura, nella penombra di una cabina, la tua gamba con un bellissimo sandalo, svettante verso il cielo, poggiata alla mia spalla.
Nella musica della riviera, un ristoratore conta i soldi, scorrendoli col pollice. Le coincidenze: a cento metri, eseguo lo stesso movimento del dito sul tuo punto debole mentre, lentamente, sporco dei nostri viscidi fluidi, mi prendo ciò che hai sempre conservato intatto per me: ti inculo.
…
Sento che la ruota sta per arrivare al suolo eppure non riesco a rinunciare a questo vortice di dolore e appagamento, questo sentirmi conquistata come non mai. In questa scatoletta nel cielo mi offro per sempre e godo, vengo ancora, e lo faccio in un modo nuovo.
Mi hai catturata, fatta tua, portata alle stelle, cristallizzata e frammentata in mille pezzi. Poi mi hai ricomposta, ricreata, come un prezioso kintsugi.
È sottile il piacere di non sentirmi più mia, ma tua, mi fai godere come ci riesce solo chi perde ogni pudore.
…
Sei così stretta gitana, ed io così incurante di come le mie profonde spinte ti ridurranno, che vengo ancora, profanando la tua cripta appena inaugurata, lacerata dalla mia amorevole e spietata veemenza. Ci baciamo prima di raggiungere il terreno, non posso aspettare oltre, devo sfilarmi ora, ti farà un po’ male.
...
La cabina si apre, l'uomo, tentando di restare composto nonostante un lieve fiatone, avvicinandosi alla biglietteria mi porge una generosa mancia, specificando che metà spetta alla signora delle pulizie. Li osservo allontanarsi, la donna strettamente avvinghiata a lui, lo strano ondeggiare sui tacchi. So che è la stessa persona che è salita ma so anche che non sarà più la stessa.
I due si dileguano nella notte.
Dai loro sorrisi è evidente che non mancherà tanto al prossimo giro di giostra.
PS: Il divario stilistico è voluto.
Ho letto il tuo messaggio e non posso far a meno di trattenere il respiro, un secondo, due e poi, come riemergendo da un’apnea, riesco a riprender fiato, corro nella mia stanza, doccia veloce e preparativi alla velocità della luce: camicetta e gonna per una volta corta, sandalo dal tacco alto, filo di trucco che “ tanto fa caldo” e una goccia di quel profumo maschile che tanto mi piace.
La mia coscienza non registra quel diabolico impulso che mi spinge a stuzzicarti, quasi di sua iniziativa, la mano infila nella borsetta quel piccolo plug comprato online. Appena pronta, esco in strada e rispondo: "Riuscirai a catturarmi, Milord?" mi piace sfidarti, tenerti lì, sul filo di quel rasoio, dove tu, per primo, hai messo entrambi. All’ultimo secondo riesco a salire su quel trenino blu che ogni mezz’ora fa la spola lungo la riviera, pago il biglietto e mi porta fino a Rimini.
"Provi a fare la preziosa? Sappiamo entrambi che ormai non hai via di scampo."
Maliziosa la replica "Ma io Sono preziosa. Nulla ha valore se non è frutto di fatica e impegno. Potrai trovarmi dove, con un dito, puoi sfiorare il cielo, lento e infinito il suo moto circolare, con dolcezza ti eleva per poi riportarti con i piedi per terra."
Un indovinello per la tua mente acuta, immagino le tue sinapsi in fermento, mi eccita questo collegamento mentale tra noi, quasi i nostri neuroni comunicassero direttamente.
Ti attendo là, dove la terraferma invade il mare, nelle vicinanze di un lampioncino, per non esser investita dalla sua luce ma accarezzata dal suo alone.
Nell’attesa ho già preso accordi per farti una sorpresa. In un momento in cui non c'era coda al botteghino della ruota, mi sono avvicinata. "Salve, vorrei chiederle una cortesia" Non posso far a meno di arrossire, fortunatamente la luce poco invadente e l'abbronzatura ne nascondono l'intensità.
"Sarebbe possibile, quando chiude, fare un giro speciale? Avere un po' di tempo fermi lassù?" Per fortuna la signora capisce al volo, mi dà appuntamento a mezzanotte, orario dell'ultimo giro.
Dalla mia posizione ti osservo giungere con quel tuo passo sciolto e famelico al contempo, colgo il tuo intravedermi, avverto il tuo sguardo che mi sfiora, mi percorre da capo a piedi e inizia il lento processo di liquefazione della mia volontà.
Leggera la tua mano sulla vita, trionfante il bacio di saluto, "Visto che ti ho presa?" Dolcemente mi svincolo, "Ti ho decisamente aiutato troppo", ti afferro la mano e ti induco a seguirmi lungo il molo, a quell’ora deserto.
Le nostre mani si cercano, si inseguono, per poi serrarsi in una delicata ma ferrea presa, non ci pesa quel soave silenzio, accompagnato dallo sciabordio del mare contro gli scogli, la presenza dell’altro è sufficiente, quello sfiorarsi e toccarsi, il guardarsi negli occhi, fino a perder cognizione del dove e quando, per il momento, ci soddisfa.
Arriviamo in fondo alla passeggiata, oltre qualche scoglio, l'infinita distesa oscura del mare punteggiato dalle sporadiche lucine di qualche barca, attrae il mio sguardo. Mi lascio avvolgere dalle tue braccia, dal tuo calore, la tua bocca mi solletica il collo fino a convincermi a voltarmi, a concederti il dominio del mio respiro.
Te ne appropri con un bacio, lento, suadente, che ci smarrisce nella sua intensità, due respiri fusi in un unico soffio. Lentamente torniamo al presente, una leggera brezza si leva dal mare, ci accarezza, ci rinfresca.
Io sono quasi in fibrillazione, ogni tanto controllo l’ora sul telefono, abbiamo un appuntamento e non dobbiamo tardare.
Ti tengo nell’ignoto fino a che non ti riporto a quella grande ruota che lentamente gira, osserviamo gli ultimi turisti allontanarsi, un’ultima controllata all’orologio e mi avvicino alla pedana di salita, scambio un cenno con la signora che si trova nella guardiola e, mentre questa spegne le luci della ruota, ti trascino dentro una cabina.
Siamo solo noi, nel vuoto, in una piccola scatolina di vetro buia che ci eleva, lentamente mi avvicino, salgo sul tuo grembo posizionando le ginocchia ai tuoi lati, la bocca che partendo da un leggero bacio arriva all’orecchio “Sai, Thomas ho dimenticato di indossare qualcosa stasera…” un sussurro e mentre le labbra giocano tra loro, una tua mano, dal mio fianco, ti scivola sotto la gonna a cercar quell’umido pertugio.
Un ansimo sfugge, al raggiungimento dell’obiettivo, lo sorbisci e te ne appropri, le mie mani, danzando, cercano di slacciare le tue costrizioni, una piccola lotta giocosa per il predominio del territorio e inizia una dolce cavalcata, non ci accorgiamo nemmeno che la ruota si sta avvicinando al punto più alto, per concederci la vista delle luci della città pur mantenendoci nel buio di questa intima prigione.
...
Restando seduto, spingo il bacino in avanti inclinando l’inguine, così che tu possa strofinare il mio pube mentre ondeggi. La mia mano raggiunge la tua borsetta, so che hai acquistato un piccolo plug, l’hai comprato per poterti allenare per me, per sperimentare e non farti trovare totalmente impreparata quando mi prenderò il tuo culo vergine.
Quel che ancora non sai è che non ti resta molto tempo per abituarlo all’idea. Mentre continui, impalata, a muoverti, lo trovo. È di piccole dimensioni, di minaccioso ha solo il colore nero. Lo interpongo tra le nostre lingue, entrambi lasciamo colare su esso la crema densa che circola nel nostro bacio.
Strappo la tua camicetta per liberarti i seni, ne saggio la consistenza, ne venero l'apice, strappandoti un miagolio, prendo una tua mano e la porto al mio scroto, voglio che tu senta quanto lo stai inzuppando di umori e quanto necessito di esploderti dentro.
Poi appoggio quell’ogiva nera proprio in mezzo al tuo fondoschiena, e, utilizzando la frenata meccanica della ruota che inchioda per fermarsi al vertice del mezzo giro, te lo spingo nel culo. Mi muovo al tuo ritmo, invece di tapparti la bocca, affondo i denti tra la tua spalla e il collo; il finestrino è aperto, la signora nel gabbiotto, abituata alle grida di euforia dei bambini, comprende che lo strepito di stasera è quello di una femmina ingorda.
La tua clitoride gonfia ti condanna all’orgasmo.
Mentre la tua lussuria si propaga sulle onde, sulle case, ti vedo nel riflesso del vetro, contorcerti sulla mia erezione, con quel tappo ben piantato nell’ano e, senza che mi serva spingere, ti esplodo dentro, spacciato, incurante, rantolante.
Non posso frenare nemmeno una di queste calde ondate che, oltre alla donna più in quota della città, ti stanno rendendo quella più riempita.
La ruota riparte per la discesa, ti sollevo e ti stendo in obliquo lungo il sedile in pelle a tre posti, già sporco di noi. Prendo il tuo viso, senza staccarci, ci baciamo teneramente, non vorrei mai più sfilarmi da te, dal nostro caldo lago di passione.
Una signora di Rimini sta provando a dormire disturbata dal russare del marito, domani mattina dovrà pulire le cabine della ruota panoramica, è il suo lavoro, ignora la quantità di liquidi che sta gocciolando sul sedile della cabina 13, mentre, con delicatezza, ti sfilo il cazzo e il plug.
Osservo i tuoi due crateri, la loro lorda immagine prolunga la mia erezione, abbiamo ancora mezzo giro, ci guardiamo, sai quanto ti voglio, i tuoi occhi, assieme ad un piccolo cenno del capo, mi danno il consenso, mi manca il respiro, hai deciso che accada, qui, ora.
Un gelataio che lavora sul lungomare di Rimini guarda l’orologio e si chiede come mai la panoramica stia ancora girando undici minuti dopo la mezzanotte ignaro che nella cabina 13 di quella giostra qualcuno stia dolcemente baciando la sua donna e allo stesso tempo lubrificandosi il sesso per sverginarle il culo.
Un fotografo romagnolo scatta una foto per una rivista, inquadra la famosa attrazione; forse, un domani, un attento lettore noterà, osservando con cura, nella penombra di una cabina, la tua gamba con un bellissimo sandalo, svettante verso il cielo, poggiata alla mia spalla.
Nella musica della riviera, un ristoratore conta i soldi, scorrendoli col pollice. Le coincidenze: a cento metri, eseguo lo stesso movimento del dito sul tuo punto debole mentre, lentamente, sporco dei nostri viscidi fluidi, mi prendo ciò che hai sempre conservato intatto per me: ti inculo.
…
Sento che la ruota sta per arrivare al suolo eppure non riesco a rinunciare a questo vortice di dolore e appagamento, questo sentirmi conquistata come non mai. In questa scatoletta nel cielo mi offro per sempre e godo, vengo ancora, e lo faccio in un modo nuovo.
Mi hai catturata, fatta tua, portata alle stelle, cristallizzata e frammentata in mille pezzi. Poi mi hai ricomposta, ricreata, come un prezioso kintsugi.
È sottile il piacere di non sentirmi più mia, ma tua, mi fai godere come ci riesce solo chi perde ogni pudore.
…
Sei così stretta gitana, ed io così incurante di come le mie profonde spinte ti ridurranno, che vengo ancora, profanando la tua cripta appena inaugurata, lacerata dalla mia amorevole e spietata veemenza. Ci baciamo prima di raggiungere il terreno, non posso aspettare oltre, devo sfilarmi ora, ti farà un po’ male.
...
La cabina si apre, l'uomo, tentando di restare composto nonostante un lieve fiatone, avvicinandosi alla biglietteria mi porge una generosa mancia, specificando che metà spetta alla signora delle pulizie. Li osservo allontanarsi, la donna strettamente avvinghiata a lui, lo strano ondeggiare sui tacchi. So che è la stessa persona che è salita ma so anche che non sarà più la stessa.
I due si dileguano nella notte.
Dai loro sorrisi è evidente che non mancherà tanto al prossimo giro di giostra.
PS: Il divario stilistico è voluto.
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