Al villan non far sapere
di
Yuko
genere
etero
Quanto è buono...
Sono in cucina a preparare la cena quando il mio fidanzato, Jos, irrompe trafelato con la borsa della esselunga.
“Hai corso? Non c'era tutta questa fretta. Hai fatto la spesa che ti ho detto?”
“Yuko, ho avuto un'idea geniale!”
Resto inebetita di fronte a tanto ardore, a questa inaspettata rivelazione. Molte idee che hanno rivoluzionato la storia dell'umanità sono nate in contesti atipici e ora ho l'onore di assistere in diretta a uno di questi rari momenti, che ha coinvolto addirittura il mio ragazzo.
Rimango in attesa con uno sguardo incoraggiante, le mani paralizzate nel grembiule, cristallizzate nell'atto precedente la 'Grande Illuminazione'. Tra poco, forse, sarò trasfigurata e in ascesi.
“Presto, spogliati!” il tono del mio olandese è perentorio, non ammette replica, ma non riesco ad afferrare bene il filo logico.
“Su, veloce, spogliati!”
La mia espressione di velata incredulità non ottiene alcun risultato di fronte al suo sguardo spiritato. Mi slaccio il grembiule, un po' incerta, e lo appoggio sulla sedia.
Una grande idea sta evolvendo nella mente eccelsa dell'uomo e non vorrei scalfire il delicato equilibrio di fortuite circostanze.
Staziono in attesa.
“Dai, su!” Mi sollecita. “Continua!”
Mi slaccio la camicetta, sotto i suoi occhi che esondano entusiasmo.
Con le mani cerca di accelerare il mio domestico spogliarello in cucina.
Allargo la camicetta e sono a seno nudo.
“Dai, toglila!” Prosegue lui, senza aiutarmi a capire il ragionamento sottostante. “Sposta le cose dal tavolo!”
“Sarebbe questa l'idea geniale?” Il mio tono è volutamente dubbioso, corroborato dall'espressione poco convinta del mio volto. “Una scopata sul tavolo della cucina?”
“No, no!” E continua a farmi gesti per proseguire la svestizione.
Tolgo la camicetta rimanendo a petto nudo. Mi accingo a slacciare i calzoni rassegnata a rimandare la mia creazione culinaria, ma lui mi ferma con un gesto perentorio.
“No, i calzoni no!”
“Jos, giuro che faccio fatica a seguirti.”
Lui freme e ride come un bambino che sta tramando una marachella e, trionfante, estrae una confezione di philadelphia, il noto formaggio spalmabile. Alle erbe aromatiche, per la precisione.
La mia espressione incuriosita non scalfisce il suo entusiasmo, mentre lo vedo estrarre da un cassetto un coltello a lama arrotondata.
Lo osservo, come rincretinita, le tette al vento, la cena cucinata a metà; e questo fenomeno tira fuori una roba che non gli ho chiesto di comprarmi e si fa l'aperitivo? Col philadelphia? Alle erbe alpine?
“Jos?”
“Sì?” risponde lui, intento a svolgere la carta argentata di un parallelepipedo di crema picchiettata di verde erba; con circospezione vi affonda il coltello.
“Posso rivestirmi ora? Così vado avanti a fare la cena. Io non...”
“No, aspetta!” E mi si avvicina brandendo la lama su cui staziona il protagonista del suo delirio.
Ma invece di sgozzarmi, cosa del tutto plausibile visto il contesto di irrazionalità, con attenzione mi appoggia la lama sullo sterno lasciando una sgommata bianca di caseina.
“Jos, mi avevi detto che avresti smesso!”
“Di fare cosa?” Risponde lui, senza capire l'allusione, intento, come un pittore con la spatola, a disegnarmi addosso cerchi di stracciatella bianca e verde.
Mi tiene ferma con una mano sulla schiena e inizia a spalmarmi le tette con la crema.
Non so più cosa fare. Giuro che mi sento completamente disarmata, priva di ogni iniziativa, della benchè minima capacità di reazione.
“Ma hai preso le gocce?” Provo ancora a riportare la situazione sui binari di una normalità che sento sfuggirmi tra le dita come sabbia fine e impalpabile.
“Che gocce?” Risponde lui, tutto assorto nella pervicace attuazione del suo oscuro proposito.
“Ecco! Il dottore si è tanto raccomandato!”
Ma niente, non c'è verso e, a questo punto, ho anche un po' di timore di contraddirlo.
Nel frattempo mi sento trasformata nella Venere di Milo, versione 'con braccia'.
Il petto tutto bianco marmo, con quella graziosa punteggiatura verde che sprigiona aromi alpini, mi sento come Heidi nell'alpeggio austriaco del nonno.
Sono completamente ammutolita quando lui, da vero artista, si allontana un poco e contempla la sua creazione. Spatola e tavolozza nelle due mani.
“Tutto bene, Jos? Vuoi che ne parliamo?” La butto lì. In questi casi occorre mantenere la calma, evitare escandescenze dagli effetti imprevedibili sui delicati equilibri di una psiche instabile.
Lui appoggia sul lavandino la stagnola avanzata e il coltello. Mi sorride, orgoglioso, del tutto incurante della mia espressione di seria preoccupazione; mi si avvicina, mi cince la schiena e comincia a leccarmi le tette.
So di ripetermi e so di rischiare, ma: “Scusa, caro, ma cosa ci trovi di geniale?” Provo a ricostruire un percorso euclideo.
Lui mi lecca le tette, si allunga ai capezzoli, che degusta con un fare da amatore, apprezza gli aromi e, in effetti, comincia a eccitarmi.
“Ma come, non capisci?”
Forse una speranza c'è.
“Capisco che cosa?” Cerco di aggrapparmi a una scintilla di razionalità, emersa dalle tenebre del cosmo intergalattico.
“Nella nostra conturbante relazione mi hai già spalmata di nutella, crema pasticciera, panna montata, tiramisù, perfino gelato alla vaniglia, dall'inguine fino alle ascelle, e, a onor del vero, devo dire che, quando mi hai ripulita a botte di lingua, sono sempre rimasta soddisfatta.”
Lui intanto continua a leccarmi le tette, strappandomi sospiri di apprezzamento e gratitudine.
“Ora mi spieghi la tua idea geniale, così poi vado avanti a cucinare? Oppure proseguiamo con una bella scopata, a seconda.”
“Al villan non far sapere...”
Mi fermo e lo guardo di traverso, senza capire.
“L'ho sentito oggi questo proverbio. Lo conoscevo già, ma non ci avevo mai fatto troppo caso.” Prosegue lui, e riprende a leccarmi. “Devo dire che è estremamente vero. Vedi, la saggezza popolare?”
Di fronte al mio sconcertato silenzio che denota senso di rinuncia, sconfitta, totale disfatta, lui riprende a parlare.
“Al villan non far sapere... quanto è buono...”
Ora comincia a ridere e non riesce a finire la frase.
Sono seriamente preoccupata. Il suo nuovo lavoro deve essere veramente alienante.
Lui ride e non si ferma.
“Quant'è buono il formaggio con le... il formaggio con le...”
“Ma cazzo, Jos!”
Rinunciando a ogni razionalità ho provato a seguirlo nel lisergico giardino di perdizione e chimica delle vie della cannabis olandese, uscendone sgomenta e devastata.
Lui scoppia a ridere, come un bambino. Ma che dico, come un cretino totale. Gli lacrimano anche gli occhi e mi si stringe addosso, io, ancora nuda e piena di saliva e philadelphia che ormai comincia a staccarsi dal petto, la cena a metà, coinvolta in questo delirio di adolescente demenzialità.
Mi cinge la schiena e affonda la faccia tra i miei seni, e ride, ride, e non sembra più voler smettere.
Mi guarda negli occhi, ignorando la mia espressione di severo rimprovero, cerca di balbettare qualche scusa, poi mi vede lì, bianca di formaggio spalmabile, lucida del suo liquido ghiandolare.
“Sei un demente, Jos, un demente.” Concludo io svuotata da ogni speranza.
Con le dita cerco di togliermi un po di crema dalle tette, ma qui ci vuole una doccia. E questo idiota mi sta ancora appiccicato, ride, lecca, bacia e non riesce a spiaccicare più una parola.
“Dai deficiente”, cerco di allentare io la tensione, con un accenno di sorriso di tollerante accondiscendenza, prima di conclusioni irreversibili, “spogliami del tutto e scopami, qui, sul tavolo, prima che ti faccia rinchiudere di nuovo nel reparto di neurodeliri!”
Sono in cucina a preparare la cena quando il mio fidanzato, Jos, irrompe trafelato con la borsa della esselunga.
“Hai corso? Non c'era tutta questa fretta. Hai fatto la spesa che ti ho detto?”
“Yuko, ho avuto un'idea geniale!”
Resto inebetita di fronte a tanto ardore, a questa inaspettata rivelazione. Molte idee che hanno rivoluzionato la storia dell'umanità sono nate in contesti atipici e ora ho l'onore di assistere in diretta a uno di questi rari momenti, che ha coinvolto addirittura il mio ragazzo.
Rimango in attesa con uno sguardo incoraggiante, le mani paralizzate nel grembiule, cristallizzate nell'atto precedente la 'Grande Illuminazione'. Tra poco, forse, sarò trasfigurata e in ascesi.
“Presto, spogliati!” il tono del mio olandese è perentorio, non ammette replica, ma non riesco ad afferrare bene il filo logico.
“Su, veloce, spogliati!”
La mia espressione di velata incredulità non ottiene alcun risultato di fronte al suo sguardo spiritato. Mi slaccio il grembiule, un po' incerta, e lo appoggio sulla sedia.
Una grande idea sta evolvendo nella mente eccelsa dell'uomo e non vorrei scalfire il delicato equilibrio di fortuite circostanze.
Staziono in attesa.
“Dai, su!” Mi sollecita. “Continua!”
Mi slaccio la camicetta, sotto i suoi occhi che esondano entusiasmo.
Con le mani cerca di accelerare il mio domestico spogliarello in cucina.
Allargo la camicetta e sono a seno nudo.
“Dai, toglila!” Prosegue lui, senza aiutarmi a capire il ragionamento sottostante. “Sposta le cose dal tavolo!”
“Sarebbe questa l'idea geniale?” Il mio tono è volutamente dubbioso, corroborato dall'espressione poco convinta del mio volto. “Una scopata sul tavolo della cucina?”
“No, no!” E continua a farmi gesti per proseguire la svestizione.
Tolgo la camicetta rimanendo a petto nudo. Mi accingo a slacciare i calzoni rassegnata a rimandare la mia creazione culinaria, ma lui mi ferma con un gesto perentorio.
“No, i calzoni no!”
“Jos, giuro che faccio fatica a seguirti.”
Lui freme e ride come un bambino che sta tramando una marachella e, trionfante, estrae una confezione di philadelphia, il noto formaggio spalmabile. Alle erbe aromatiche, per la precisione.
La mia espressione incuriosita non scalfisce il suo entusiasmo, mentre lo vedo estrarre da un cassetto un coltello a lama arrotondata.
Lo osservo, come rincretinita, le tette al vento, la cena cucinata a metà; e questo fenomeno tira fuori una roba che non gli ho chiesto di comprarmi e si fa l'aperitivo? Col philadelphia? Alle erbe alpine?
“Jos?”
“Sì?” risponde lui, intento a svolgere la carta argentata di un parallelepipedo di crema picchiettata di verde erba; con circospezione vi affonda il coltello.
“Posso rivestirmi ora? Così vado avanti a fare la cena. Io non...”
“No, aspetta!” E mi si avvicina brandendo la lama su cui staziona il protagonista del suo delirio.
Ma invece di sgozzarmi, cosa del tutto plausibile visto il contesto di irrazionalità, con attenzione mi appoggia la lama sullo sterno lasciando una sgommata bianca di caseina.
“Jos, mi avevi detto che avresti smesso!”
“Di fare cosa?” Risponde lui, senza capire l'allusione, intento, come un pittore con la spatola, a disegnarmi addosso cerchi di stracciatella bianca e verde.
Mi tiene ferma con una mano sulla schiena e inizia a spalmarmi le tette con la crema.
Non so più cosa fare. Giuro che mi sento completamente disarmata, priva di ogni iniziativa, della benchè minima capacità di reazione.
“Ma hai preso le gocce?” Provo ancora a riportare la situazione sui binari di una normalità che sento sfuggirmi tra le dita come sabbia fine e impalpabile.
“Che gocce?” Risponde lui, tutto assorto nella pervicace attuazione del suo oscuro proposito.
“Ecco! Il dottore si è tanto raccomandato!”
Ma niente, non c'è verso e, a questo punto, ho anche un po' di timore di contraddirlo.
Nel frattempo mi sento trasformata nella Venere di Milo, versione 'con braccia'.
Il petto tutto bianco marmo, con quella graziosa punteggiatura verde che sprigiona aromi alpini, mi sento come Heidi nell'alpeggio austriaco del nonno.
Sono completamente ammutolita quando lui, da vero artista, si allontana un poco e contempla la sua creazione. Spatola e tavolozza nelle due mani.
“Tutto bene, Jos? Vuoi che ne parliamo?” La butto lì. In questi casi occorre mantenere la calma, evitare escandescenze dagli effetti imprevedibili sui delicati equilibri di una psiche instabile.
Lui appoggia sul lavandino la stagnola avanzata e il coltello. Mi sorride, orgoglioso, del tutto incurante della mia espressione di seria preoccupazione; mi si avvicina, mi cince la schiena e comincia a leccarmi le tette.
So di ripetermi e so di rischiare, ma: “Scusa, caro, ma cosa ci trovi di geniale?” Provo a ricostruire un percorso euclideo.
Lui mi lecca le tette, si allunga ai capezzoli, che degusta con un fare da amatore, apprezza gli aromi e, in effetti, comincia a eccitarmi.
“Ma come, non capisci?”
Forse una speranza c'è.
“Capisco che cosa?” Cerco di aggrapparmi a una scintilla di razionalità, emersa dalle tenebre del cosmo intergalattico.
“Nella nostra conturbante relazione mi hai già spalmata di nutella, crema pasticciera, panna montata, tiramisù, perfino gelato alla vaniglia, dall'inguine fino alle ascelle, e, a onor del vero, devo dire che, quando mi hai ripulita a botte di lingua, sono sempre rimasta soddisfatta.”
Lui intanto continua a leccarmi le tette, strappandomi sospiri di apprezzamento e gratitudine.
“Ora mi spieghi la tua idea geniale, così poi vado avanti a cucinare? Oppure proseguiamo con una bella scopata, a seconda.”
“Al villan non far sapere...”
Mi fermo e lo guardo di traverso, senza capire.
“L'ho sentito oggi questo proverbio. Lo conoscevo già, ma non ci avevo mai fatto troppo caso.” Prosegue lui, e riprende a leccarmi. “Devo dire che è estremamente vero. Vedi, la saggezza popolare?”
Di fronte al mio sconcertato silenzio che denota senso di rinuncia, sconfitta, totale disfatta, lui riprende a parlare.
“Al villan non far sapere... quanto è buono...”
Ora comincia a ridere e non riesce a finire la frase.
Sono seriamente preoccupata. Il suo nuovo lavoro deve essere veramente alienante.
Lui ride e non si ferma.
“Quant'è buono il formaggio con le... il formaggio con le...”
“Ma cazzo, Jos!”
Rinunciando a ogni razionalità ho provato a seguirlo nel lisergico giardino di perdizione e chimica delle vie della cannabis olandese, uscendone sgomenta e devastata.
Lui scoppia a ridere, come un bambino. Ma che dico, come un cretino totale. Gli lacrimano anche gli occhi e mi si stringe addosso, io, ancora nuda e piena di saliva e philadelphia che ormai comincia a staccarsi dal petto, la cena a metà, coinvolta in questo delirio di adolescente demenzialità.
Mi cinge la schiena e affonda la faccia tra i miei seni, e ride, ride, e non sembra più voler smettere.
Mi guarda negli occhi, ignorando la mia espressione di severo rimprovero, cerca di balbettare qualche scusa, poi mi vede lì, bianca di formaggio spalmabile, lucida del suo liquido ghiandolare.
“Sei un demente, Jos, un demente.” Concludo io svuotata da ogni speranza.
Con le dita cerco di togliermi un po di crema dalle tette, ma qui ci vuole una doccia. E questo idiota mi sta ancora appiccicato, ride, lecca, bacia e non riesce a spiaccicare più una parola.
“Dai deficiente”, cerco di allentare io la tensione, con un accenno di sorriso di tollerante accondiscendenza, prima di conclusioni irreversibili, “spogliami del tutto e scopami, qui, sul tavolo, prima che ti faccia rinchiudere di nuovo nel reparto di neurodeliri!”
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