Storia da spiaggia 4: l'insegnante

di
genere
etero

Accanto all’ombrellone dei suoi, ai bagni “Tritone”, dove Marcello stazionava nelle prime ore della mattina, due giorni prima, era arrivata una famiglia da una città del Nord Italia: un pallido signore con gli occhiali, magro, con un filo di pancia e un’aria perennemente annoiata, una bambina antipatica e lagnosa, e una signora, belloccia e bionda. Quest’ultima aveva un’aria senz’altro più simpatica agli occhi di Marcello, anche perché lui la trovò carina da subito e, ogni tanto, gli scappava di darle un’occhiata. Non avrebbe voluto, ma, più la osservava con discrezione e più la trovava belloccia, con quelle cosce sode, il petto pieno e quei fianchi che, dovevano essere una delizia, se non fossero stati imbustati in un castigato costume intero.
Marcello, la mattina molto presto, aveva l’abitudine di nuotare al largo e, questo, lo faceva tutti i santi giorni; nuotava anche quando tirava tardi la notte e, dopo il miglio in mare, per una mezzoretta si riposava, seduto sulla sdraio, a leggere. Dopo le dieci, arrivavano poi i suoi amici e, con loro, si spostava verso la spiaggia libera accanto, lasciando panni e libro sotto l’ombrellone.

Quella mattina, appena dopo aver nuotato, si mise a leggere un autore francese del tardo Ottocento, che ecco arrivare, da sola, la signora bionda. Lo salutò e si sedette sulla sdraio. Sbirciò curiosa la copertina del libro e gli disse:
“Ma che bello! Ti piace Zola?”
E così attaccarono bottone.
Il “tu” della signora era giustificato dal fatto che la signora era una professoressa di lettere in un liceo e i suoi studenti avevano pochi anni meno di lui. Marcello frequentava l’università -Storia Antica, tenne a specificare- ed era un appassionato lettore di ogni genere letterario. Così chiacchierarono e la signora si sciolse un po’, rise, dimostrandosi simpatica. Scherzò un po’ sulla scuola ed anche sulla letteratura francese, raccontando qualche aneddoto divertente sugli autori d’oltralpe. Marcello la scrutava per bene, ammirava le sue forme, la finezza di polsi e caviglie, e si fece un’idea che fosse più giovane, rispetto a come l’aveva immaginata all’inizio; ma, forse, a renderla più bella e più fresca, bastava che fosse sola, senza quel pallido omuncolo del marito accanto.
Fu una chiacchierata simpatica e lui la fece anche ridere, non sorridere, la divertì tanto da poter sentire la sua risata squillante, ancora da ragazza.
Gli amici passarono e lui, dopo averla salutata, sparì verso la spiaggia libera, dove c’erano un sacco di coetanee, alcune anche molto carine.

Seduto sulla sabbia, Marcello guardava le ragazze carine, ne salutò con la mano alcune, ma non riusciva a smettere di pensare alla signora. Si infastidì anche, per le idee strane che gli affollavano la testa, per colpa di una quarantenne o quasi; così, si alzò e si mise a camminare da solo per il litorale.
Passò sul bagnasciuga davanti ai bagni Tritone e vide la signora che faceva fare il bagno alla bambina, che doveva essere veramente antipatica e dispettosa. La figlioletta si impuntava ad andare al largo, senza salvagente, così si svincolò bruscamente dalla madre e finì per essere presa in pieno da un cavallone. La risacca la portò lontano dalla madre che lanciò un urlo.
Marcello si tuffò e con due bracciate prese la bambina, che per niente grata iniziò a insultarlo. Avrebbe voluto riportarla indietro, per lasciarla affogare in mare, invece, la consegnò alla madre, che gli sorrise in modo così zuccheroso, che si sentì come stesse per affondare nella melassa.

Si tuffò in mare, per fermare l’eccitazione, dell’animo e di ciò che si agitava nel suo costume.

Tornò verso mezzogiorno sul bagnasciuga, nel punto dove aveva tirato fuori dall’acqua la bambinetta e si mise ad andare avanti e indietro, con i piedi nell’acqua.
Il tempo stava peggiorando velocemente: era in arrivo uno di quei temporali che passano violenti in estate sui litorali, preannunciati da caldo e afa più pesanti del solito.
“Cosa fa signora? Non è prudente stare vicino all’acqua, quando sta per arrivare un temporale…”
“Guarda, lascia stare… Mio marito ha portato a casa la bambina, che piangeva a dirotto per aver perso il suo secchiello in acqua; sono rimasta io, per cercare di trovarlo, perché mio marito non sa nuotare e perché se non lo trovo… apriti cielo!”
“È andato giù qui?” domandò Marcello.
“Sì, proprio all’altezza della barca di salvataggio.”

Marcello si buttò in acqua, nuotando piano, con il favore dell’onda. Si immerse e tornò su con il secchiello.

“Eccolo! La corrente l’ha portato un po’ più in là. Poi si è riempito di sabbia e si è fermato, per fortuna…”
“Bravo! È la seconda volta questa mattina che mi salvi la vita!” disse ridendo.

In quel momento cominciò a tuonare. Le nubi nere erano quasi sulle loro teste e Marcello uscì dall’acqua di corsa, facendo segno alla signora di seguirlo alla svelta.
Lei lo seguì corricchiando, mentre cominciò a scendere una pioggia sempre più intensa.
“Scappiamo!” Urlò Marcello, ancora abbastanza divertito dalla situazione. Lei scivolò sulla passerella in legno e lui la prese al volo. Le diede la mano, portandola verso le cabine, al coperto.
“Grazie, mio salvatore! Ma fatti asciugare, che questa pioggia è gelida! Incredibile! Era una giornata così calda!”
Prese un asciugamano dentro la sua cabina e cominciò ad asciugare lui, prima che lei stessa, nonostante fosse bagnata e tremante come un pulcino.
Lei era quasi addosso a lui, si asciugarono e risero, fino a che un tuono vicinissimo e improvviso li fece balzare entrambi all’indietro.
Finirono a terra, dentro la cabina e lei, per la paura, lo abbracciò.
Al tocco di lei, lui rispose cingendo le braccia attorno ai suoi fianchi.


Si guardano negli occhi per qualche secondo, con il rumoroso sottofondo della pioggia sul tetto.
Marcello vede il suo viso contro il suo, sente il tepore del suo alito e il suo profumo. La bacia e lei resta con la bocca semiaperta, gli occhi increduli. Marcello la bacia ancora e lei risponde: un bacio lungo, appassionato, meravigliato, come se fosse stato tenuto in serbo da tanto tempo.
La bacia, la tocca, e lei geme, o almeno crede di sentire i suoi gemiti, nel mezzo del baccano infernale della pioggia battente sulla cabina. La fa alzare in piedi e le sfila il costume, restando a bocca aperta davanti allo spettacolo che gli appare. Ha una nudità abbagliante: pelle candida e liscia, belle spalle, splendido seno, pieno e sodo, natiche tonde e cosce tornite: uno spettacolo. Marcello la guarda a bocca aperta. Poi prende a baciarla ovunque e la tocca tutta, mugolando: “bella, bella!”
“Ma che dici, ho visto tutte quelle belle ragazze sulla spiaggia libera…”
“Credimi, sei bellissima… Non avrei mai… immaginato… che… un brutto costume… potesse nascondere tanta… tanta bellezza.” Snocciolava parole smozzicate, mentre la baciava e la palpava dovunque, stordito dal suo profumo.
La fece sdraiare a terra, sull’asciugamano umido e le aprì le cosce per penetrarla. Lei ebbe un sussulto, ma l’accolse, eccitata e già bagnata.
Marcello la possedette forte, non si trattenne e venne dentro, ma continuò ancora, senza fermarsi.
“Dio, come fai?” fece lei mugolando.
“Merito tuo; te l’ho detto… sei bellissima…”


Lei si lasciò andare e venne, con un orgasmo lungo e intenso, poi venne di nuovo lui, ancora dentro di lei.

“Oddio, non ho pensato a niente. Ti sono venuto dentro…”
“Non temere, uso la pillola. Più per ottimismo che per necessità di farlo… mio marito non mi tocca molto, sai? Non lo faccio che di rado… e… dio! Non è mai stata una cosa del genere… Non ho mai goduto così tanto!”
“Antipatico e pazzo, quell’uomo; e pure brutto! Uno sgorbio vicino a te… che sei splendida…”

Lei lo bacia con trasporto, poi ha un guizzo, guarda l’orologio e dice:
“Dio mio, devo andare o quello chiama i Carabinieri!”
“Ma dove vai? Ha ripreso a piovere forte, non senti? Dirai che ti sei dovuta riparare in un portone. Non mi sembra una cosa strana e poi… hai il secchiello…”
Lei rise: “Già, ho trovato il tesoro! Dovrebbero darmi un premio, in famiglia…”

Si sentì un tuono fortissimo e la pioggia aumentò d’intensità.
Lei si rifugiò di nuovo tra le braccia di Marcello:
“Questo è Zeus adunatore di nubi, dio della folgore, che ci dà una mano…” le disse.
Sentirono anche un’onda infrangersi sulla riva.
“Anche il mare si sta alzando. Se non ci porta via, direi che anche Poseidone sovrano, il dio dalle chiome azzurre, ci è benigno.”
Lei rise: “bravo, che racconti cose che piacciono a me. E non sai quanto mi faccia piacere essere tra le tue braccia, abituata a stare con un commercialista zuccone come mio marito… e, non sei solo di buone letture, ma sei bello, forte, giovane… così forte!”

Marcello la prese e ricominciò a baciarla e lei si lasciò di nuovo andare, si fece mettere in ginocchio e poi a pecorina. Lui la baciava, sulla fica e sul forellino.
“Dio mio, ma che fai?”
“Vedrai, lasciami fare. Con questa pioggia, gli dèi ci impongono di non lasciare questo posto e di continuare a fare all’amore, e tu… lasciati guidare… Afrodite lo vuole.”
“Lasciarmi guidare… Ma, sei poco più di un ragazzo…”
“Tu mi vedi così, ma non lo sono più… da qualche anno.” Rise.
Le leccò il forellino, glielo allargò con le dita e con la lingua. Sentiva lei fremere e poggiò la cappella sul buchetto. La poggiò soltanto, mentre con le dita della mano destra le toccava il clitoride. Con la sinistra, invece, bagnava di saliva la cappella, in continuazione. Lei godeva e si muoveva, facendo penetrare e colare di più il liquido verso il punto dove lei e lui si toccavano. Eccitata da più parti, si allargò, permettendo a lui di entrare dietro, piano, pianissimo.
Marcello prese a muoversi un po’, su e giù, mentre lei accompagnava il movimento, fino a quando smise e si lasciò penetrare.
Emise un urlo e si morse le labbra. La cappella era entrata e il ragazzo, solo allora, cominciò a spingere piano, per poi fermarsi e ricominciare più volte. Bagnava l’asta in continuazione, fino a che lei, finalmente, cedette e lui poté entrare per una buona metà. Cominciò a montarla, tenendola per il seno e la sentiva vibrare e godere. “Dio… che verga… che verga!” Diceva, tra lamenti e gemiti.
Le afferrò poi i fianchi, abbagliato dal candore della sua pelle, dal suo corpo sinuoso. Le mordicchiava e le leccava le spalle e respirava il suo odore. Cominciò a montarla forte, fermandosi solo un attimo, per farla stendere per terra, a pancia sotto, e continuò a incularla a ritmo sempre più forsennato. Lei inarcò la schiena e cercò la bocca di lui. Vennero quasi insieme, con lui che la riempì e lei che gemeva e ansimava.
Si baciavano e si accarezzavano furiosamente.
“Non sono ancora sazio di te…”
“Neanche io… e, se penso che oggi mi hai insegnato cose che nemmeno avrei immaginato…”
“Quali cose?”
“Poter godere così tanto… e anche di poter godere… anche dietro, ecco… mi hai fatto conoscere l’amore dolce, fisico, forte e anche brutale… il lasciarsi andare tra le tue braccia.”
“Una bella come te dovrebbe sempre essere amata. Tuo marito, con quel suo fisico… come può amarti come meriti?”

Si rialzarono. La pioggia stava per smettere e lei si ricompose, si asciugò le parti intime che colavano e poi si vestì. Si baciarono ancora, appassionatamente.
“Ho ancora venti giorni, da passare qui. Se restiamo accorti, possiamo trovare il modo di amarci tutti i giorni. Vero?”
“Certo. “Vivamus mea Lesbia atque amemus”. E mi darai mille baci, ti amerò in mille modi, adorerò il tuo corpo, rendendo onore alla tua bellezza… Ti insegnerò, veramente, mille modi di amare.”
“Davvero lo farai?” fece lei con un sorriso.
“Ti insegnerò. Ma dovrai chiamarmi “professore”. Ok?
di
scritto il
2022-10-25
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