Nel buio della notte
di
Omeros
genere
etero
Il bar era uno dei pochi posti aperti fino a tardi, in quel quartiere periferico, posto ai margini più estremi della città.
Dentro le due salette, si sentiva il vociare, le risate, le bestemmie dei giocatori a cui le carte non andavano a genio. Il fumo riempiva il locale, assieme all’odore del vino, della birra e dei punch caldi.
A un tavolo c’erano due ragazzi sulla ventina, con giubbotti di cuoio e facce non proprio da angioletti e un tipo tutto nervi sui trent’anni dall’aria vissuta. I due più giovani mostravano un atteggiamento rispettoso nei confronti di quest’ultimo, anche se in certi momenti sembravano esagerare un po’, tanto da far sospettare -a chi mai avesse avuto voglia di osservarli- di una presa in giro nascosta sotto tutto quel sussiego.
Il trentenne era Berto, detto, chissà perché nel quartiere, “il Costola”. Era un ladro ben conosciuto dai Carabinieri di zona e allora era uscito di prigione da pochi giorni, dopo aver scontato una condanna per un furto andato non male, ma malissimo.
I due giovani facevano ammirare al Costola le grosse tette dell’Annina, la barista, e Costola la guardava ingrifato e torvo, per via dell’anno e mezzo di astinenza forzata dovuta al lungo soggiorno in gattabuia. Berto beveva e guardava la generosa scollatura della ragazza, una bella morettona, vestita con un abitino rosso aderente che ne esaltava le forme.
“Guarda, Costola, guarda che tette ha l’Annina! Son sicuro che al fresco non arrivavi nemmeno a sognartele così tonde e belle,” gli faceva uno dei due ragazzi, quello più grosso.
“Da quello che ne sappiamo noi, con un cinquantamila lire, lei ti fa un trattamento completo, che ti mette in pari con tutto il periodo che hai passato al gabbio, a farti le seghe,” gli diceva l’altro, uno alto e smilzo, sghignazzando e tirando su con il naso.
“Ma, dai! Davvero la dà così? Una così bella fica con un cinquantone ti fa di tutto?” Domanda il Costola, con gli occhi sgranati e annebbiati dai punch.
“Sì, ci puoi contare. Possiamo metterci una buona parola noi; lo sai, ti puoi fidare. Però… cazzo! Fatti vedere bene, dall’Annina. Aggiustati la camicia e raddrizza la schiena e il bavero di questo cazzo di giubbotto. Fatti vedere che non sei un rottame, ma un bell’uomo, su!” Lo smilzo gli parlava serio, ma stentava a trattenere le risa.
Dopo un po’, il ragazzo si alzò e fece la scena di andare dietro al bancone, vicino all’Annina, e sussurrò qualcosa all’orecchio della ragazza, indicando il Costola. La ragazza annuì e lui, finita la scena, ritornò al tavolo.
I due giovani gli fecero bere altri due punch belli caldi e zuccherati e poi, verso l’una di notte, vicini alla chiusura del locale, fecero notare al Costola che l’Annina era andata.
“Costola, stanotte è la tua notte e ti fai una scopata che te la ricorderai per tutta la vita… Seguici, che c’è un posto, al giardinetto dietro al bar, dove potrai star tranquillo con la tua bella! Mi raccomando, ricorda bene: acqua in bocca, ché la ragazza è fidanzata e non vuole che si sappia in giro. Gli sei piaciuto a prima vista, caro il mio fortunello!” gli dice lo smilzo dandogli una pacca sulla spalla.
“Cazzo, cazzo, cazzo! Stanotte si scopa! Grazie ragazzi!” fa entusiasta Costola.
Quello grosso, intanto, gli scuce il bigliettone da cinquantamila e i due lo accompagnano fuori.
Il giardinetto dietro il bar è una specie di aiuola brulla, con due siepi spelacchiate e due alberelli rachitici attorcigliati l’uno all’altro. Dietro gli alberelli c’è un cartone e sopra una coperta scozzese. Un giaciglio alla buona, in verità poco nascosto dalla vista della strada, che comunque è, fortunatamente per la tranquillità del Costola, decisamente deserta.
“Ecco, ora arriva la tua bonazza… Falla tua, Costola!” “Vai Berto, vai alla grande!” gli dicono a mezza voce i due. I due sparirono nella nebbiolina e, se il Costola fosse stato meno ottenebrato dall’alcol, li avrebbe sentiti ridacchiare cattivi, tra loro.
Berto va verso gli alberelli, un po’ malfermo sulle gambe. I lampioni attorno non funzionano e il buio è fitto, ma sente l’odore e il profumo della donna.
Si sente afferrare e poi una mano delicata gli apre la patta dei pantaloni. La ragazza è in ginocchio e gli sta già succhiando l’uccello. Berto, Berto! Tra il freddo della nottata e i punch al mandarino, l’uccello fa un po’ fatica a drizzarsi; con quel torpore in testa, poi! Quanti cazzo ne avrà bevuti?
Però, lei ci sa fare con la bocca e l’affare gli si alza. Il Costola se lo sente finalmente teso e voglioso e avverte di nuovo il peso della lunga astinenza obbligata.
“Brava Annina, brava!” fa lui tenendola per la chioma.
Vorrebbe sbirciare dall’alto la scollatura del vestito rosso, ma vede poco o niente. La ragazza ha un grosso giaccone sopra e il buio pesto di quel posto non aiuta. Scorge solo il bordo rosso della veste e basta questo a rinfrescargli la memoria visiva, del corpo fasciato stretto e delle tette semi scoperte che aveva visto dietro al bancone del bar.
Qualche minuto di lavoro ben fatto e il Costola viene, quasi ululando dal piacere.
“Stai zitto che magari passa qualcuno…” dice sottovoce la ragazza, come un sibilo dolce.
“Ok, va bene, starò muto, come un pesce…” fa lui.
Ora la ragazza si stende sul cartone, lentamente, e allarga le cosce. Il buio è fitto, ma lui tocca sotto il vestito e sente che lei non porta le mutandine. La cosa lo eccita e lo rende pronto in un attimo.
Va sopra di lei e comincia a montarla, con una voglia disperata, con lei che mugola e sospira, cosa che a lui piace molto.
Ci mette una ventina di minuti, stavolta, ma non sente l’umido, il freddo e anche l’alcol sembra che stia lasciando la sua testa annebbiata. La ragazza si vede che ha esperienza, perché al momento giusto, anzi, con eccezionale tempismo, lo allontana, gli agguanta l’uccello, finendo l’operazione con la mano. Ed anche qui il Costola sembra l’idrante dei pompieri.
Ringalluzzito, vorrebbe farsene una terza, ma ha un ritorno di nausea e mal di stomaco, per via di tutto il punch che gli galleggia in pancia, e pensa che forse non sarebbe sbagliato andare verso un cespuglio per vomitare.
Si alza, con le gambe un po’ tremolanti e si libera insozzando il già lurido “parchetto”.
Quando ha finito, la ragazza non c’è più, andata via forse incazzata per la fine col vomito della serata. Mogio e un po’ barcollante, il Costola si decide ad andare verso casa, senza capire se sentirsi soddisfatto o depresso dalla sua prestazione.
Venti minuti dopo, i due ventenni che erano con Berto al bar, parlano sottovoce con la Gina, storica prostituta del quartiere.
“Pensa te! il Berto! Lo conosco da quando era ragazzo, “il Costola”, da quando voi somari eravate alle elementari, se mai ci siete stati.... Quando ero giovane e bella, poco rovinata dalla “vita”, lui era un ragazzotto sveglio, e mi lanciava delle occhiate! Che credete? Che non sia vero? Andate al diavolo e datemi le trentamila! Mi bastano, ma solo perché sono sentimentale.
Prima di togliervi di mezzo, toglietemi prima una curiosità, voi due bambocci: ma perché mi avete telefonato per dirmi di mettere un vestito rosso?”
Dentro le due salette, si sentiva il vociare, le risate, le bestemmie dei giocatori a cui le carte non andavano a genio. Il fumo riempiva il locale, assieme all’odore del vino, della birra e dei punch caldi.
A un tavolo c’erano due ragazzi sulla ventina, con giubbotti di cuoio e facce non proprio da angioletti e un tipo tutto nervi sui trent’anni dall’aria vissuta. I due più giovani mostravano un atteggiamento rispettoso nei confronti di quest’ultimo, anche se in certi momenti sembravano esagerare un po’, tanto da far sospettare -a chi mai avesse avuto voglia di osservarli- di una presa in giro nascosta sotto tutto quel sussiego.
Il trentenne era Berto, detto, chissà perché nel quartiere, “il Costola”. Era un ladro ben conosciuto dai Carabinieri di zona e allora era uscito di prigione da pochi giorni, dopo aver scontato una condanna per un furto andato non male, ma malissimo.
I due giovani facevano ammirare al Costola le grosse tette dell’Annina, la barista, e Costola la guardava ingrifato e torvo, per via dell’anno e mezzo di astinenza forzata dovuta al lungo soggiorno in gattabuia. Berto beveva e guardava la generosa scollatura della ragazza, una bella morettona, vestita con un abitino rosso aderente che ne esaltava le forme.
“Guarda, Costola, guarda che tette ha l’Annina! Son sicuro che al fresco non arrivavi nemmeno a sognartele così tonde e belle,” gli faceva uno dei due ragazzi, quello più grosso.
“Da quello che ne sappiamo noi, con un cinquantamila lire, lei ti fa un trattamento completo, che ti mette in pari con tutto il periodo che hai passato al gabbio, a farti le seghe,” gli diceva l’altro, uno alto e smilzo, sghignazzando e tirando su con il naso.
“Ma, dai! Davvero la dà così? Una così bella fica con un cinquantone ti fa di tutto?” Domanda il Costola, con gli occhi sgranati e annebbiati dai punch.
“Sì, ci puoi contare. Possiamo metterci una buona parola noi; lo sai, ti puoi fidare. Però… cazzo! Fatti vedere bene, dall’Annina. Aggiustati la camicia e raddrizza la schiena e il bavero di questo cazzo di giubbotto. Fatti vedere che non sei un rottame, ma un bell’uomo, su!” Lo smilzo gli parlava serio, ma stentava a trattenere le risa.
Dopo un po’, il ragazzo si alzò e fece la scena di andare dietro al bancone, vicino all’Annina, e sussurrò qualcosa all’orecchio della ragazza, indicando il Costola. La ragazza annuì e lui, finita la scena, ritornò al tavolo.
I due giovani gli fecero bere altri due punch belli caldi e zuccherati e poi, verso l’una di notte, vicini alla chiusura del locale, fecero notare al Costola che l’Annina era andata.
“Costola, stanotte è la tua notte e ti fai una scopata che te la ricorderai per tutta la vita… Seguici, che c’è un posto, al giardinetto dietro al bar, dove potrai star tranquillo con la tua bella! Mi raccomando, ricorda bene: acqua in bocca, ché la ragazza è fidanzata e non vuole che si sappia in giro. Gli sei piaciuto a prima vista, caro il mio fortunello!” gli dice lo smilzo dandogli una pacca sulla spalla.
“Cazzo, cazzo, cazzo! Stanotte si scopa! Grazie ragazzi!” fa entusiasta Costola.
Quello grosso, intanto, gli scuce il bigliettone da cinquantamila e i due lo accompagnano fuori.
Il giardinetto dietro il bar è una specie di aiuola brulla, con due siepi spelacchiate e due alberelli rachitici attorcigliati l’uno all’altro. Dietro gli alberelli c’è un cartone e sopra una coperta scozzese. Un giaciglio alla buona, in verità poco nascosto dalla vista della strada, che comunque è, fortunatamente per la tranquillità del Costola, decisamente deserta.
“Ecco, ora arriva la tua bonazza… Falla tua, Costola!” “Vai Berto, vai alla grande!” gli dicono a mezza voce i due. I due sparirono nella nebbiolina e, se il Costola fosse stato meno ottenebrato dall’alcol, li avrebbe sentiti ridacchiare cattivi, tra loro.
Berto va verso gli alberelli, un po’ malfermo sulle gambe. I lampioni attorno non funzionano e il buio è fitto, ma sente l’odore e il profumo della donna.
Si sente afferrare e poi una mano delicata gli apre la patta dei pantaloni. La ragazza è in ginocchio e gli sta già succhiando l’uccello. Berto, Berto! Tra il freddo della nottata e i punch al mandarino, l’uccello fa un po’ fatica a drizzarsi; con quel torpore in testa, poi! Quanti cazzo ne avrà bevuti?
Però, lei ci sa fare con la bocca e l’affare gli si alza. Il Costola se lo sente finalmente teso e voglioso e avverte di nuovo il peso della lunga astinenza obbligata.
“Brava Annina, brava!” fa lui tenendola per la chioma.
Vorrebbe sbirciare dall’alto la scollatura del vestito rosso, ma vede poco o niente. La ragazza ha un grosso giaccone sopra e il buio pesto di quel posto non aiuta. Scorge solo il bordo rosso della veste e basta questo a rinfrescargli la memoria visiva, del corpo fasciato stretto e delle tette semi scoperte che aveva visto dietro al bancone del bar.
Qualche minuto di lavoro ben fatto e il Costola viene, quasi ululando dal piacere.
“Stai zitto che magari passa qualcuno…” dice sottovoce la ragazza, come un sibilo dolce.
“Ok, va bene, starò muto, come un pesce…” fa lui.
Ora la ragazza si stende sul cartone, lentamente, e allarga le cosce. Il buio è fitto, ma lui tocca sotto il vestito e sente che lei non porta le mutandine. La cosa lo eccita e lo rende pronto in un attimo.
Va sopra di lei e comincia a montarla, con una voglia disperata, con lei che mugola e sospira, cosa che a lui piace molto.
Ci mette una ventina di minuti, stavolta, ma non sente l’umido, il freddo e anche l’alcol sembra che stia lasciando la sua testa annebbiata. La ragazza si vede che ha esperienza, perché al momento giusto, anzi, con eccezionale tempismo, lo allontana, gli agguanta l’uccello, finendo l’operazione con la mano. Ed anche qui il Costola sembra l’idrante dei pompieri.
Ringalluzzito, vorrebbe farsene una terza, ma ha un ritorno di nausea e mal di stomaco, per via di tutto il punch che gli galleggia in pancia, e pensa che forse non sarebbe sbagliato andare verso un cespuglio per vomitare.
Si alza, con le gambe un po’ tremolanti e si libera insozzando il già lurido “parchetto”.
Quando ha finito, la ragazza non c’è più, andata via forse incazzata per la fine col vomito della serata. Mogio e un po’ barcollante, il Costola si decide ad andare verso casa, senza capire se sentirsi soddisfatto o depresso dalla sua prestazione.
Venti minuti dopo, i due ventenni che erano con Berto al bar, parlano sottovoce con la Gina, storica prostituta del quartiere.
“Pensa te! il Berto! Lo conosco da quando era ragazzo, “il Costola”, da quando voi somari eravate alle elementari, se mai ci siete stati.... Quando ero giovane e bella, poco rovinata dalla “vita”, lui era un ragazzotto sveglio, e mi lanciava delle occhiate! Che credete? Che non sia vero? Andate al diavolo e datemi le trentamila! Mi bastano, ma solo perché sono sentimentale.
Prima di togliervi di mezzo, toglietemi prima una curiosità, voi due bambocci: ma perché mi avete telefonato per dirmi di mettere un vestito rosso?”
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