Storie da spiaggia 1: la magia
di
Omeros
genere
etero
Storie da spiaggia: una magia.
“Pasquale, per favore, vedi di fare uscire dall’acqua i bambini, che stanno spugnando come baccalà!”
“Vabbè’, Adeli’, mo’ vado…”
Pasquale, il tipo bruno, alto e massiccio, che rispondeva in modo quieto alla moglie, si alzò dalla sedia a sdraio, sotto la terza fila d’ombrelloni e scese con passi un po’ pesanti verso la riva del mare.
Era contento, Pasquale, perché finalmente in ferie, e non in un posto qualsiasi, ma nell’isola dove era nato e cresciuto; finalmente, perché di nuovo lì, dopo quattro anni d’assenza. La spiaggia era quella dove aveva imparato a nuotare, dove giocava a pallone in inverno con gli amici, da ragazzino, ed ora, che si presentava quasi da turista, la trovava enormemente cambiata.
Con le caviglie in acqua, chiamò in modo placido i due figli, un maschietto e una femminuccia di sette e otto anni, accompagnando le parole con un gesto della mano: “Su! mamma ha detto che è ora di uscire.”
Intanto si guardava intorno, sulla riva.
“Ma che costumini portano, ora, queste ragazze? Hann’ zizze ‘a fore, culo da fuori… E poi, le ragazze della mia generazione… nun erano accussì belle!” Pensava.
Alcune ragazze giocavano a palla a volo, nell’acqua bassa. Erano veramente belle, spigliate e atletiche. D’un tratto, gli sembrò che qualcosa non quadrasse nella scena, ma cos’era? Ma sì…
“I maschi! Ma dove cazzo sono i maschi. A quell’età noi stavamo come api attaccate al miele. Appena una ragazza, italiana, tedesca, inglese si presentava sulla spiaggia, c’era una lotta tra noi! Certe volte ferneva a mazzate e pure mazzate a’cecat’… e questi che fanno? Stanno col culo sulla spiaggia e col telefono in mano. Palestrati, oliati, ma per che cosa? A che ve serv' tutta sta ginnastica? Mannaggi’a mort’!”
Così pensava, esterrefatto.
“Buon giorno signor Pasquale!”
Chi è? Si domanda, col sole negli occhi. E fa subito schermo con la mano.
“Ah, buon giorno Sara, come stai? Hai visto che giornate che ci sono sulla “mia” isola?”
“Vero, qui il tempo è sempre una meraviglia. Bellissimo!”
Fece un saluto con la manina e andò verso il gruppetto di amiche che giocava nell’acqua.
“Maro’, che bambola!” fece Pasquale tra sé, “lei è proprio ‘nu zuccher’! Quanti anni può tenere? Venti, ventuno anni. Viene ancora qua con i suoi, come una guagliuncella… Addà esse’ ‘na brava figliola...”
Tornato con i figli sotto l’ombrellone, mentre Adelina asciuga i figli, lui osserva la moglie.
“Che c’è?” fa lei, con un’espressione tra l’indispettito e il divertito.
“No… Niente…” fa lui.
Pasquale resta silenzioso e pensa:
“Adelina tiene quarantatre anni; è ancora in forma, porta bene il due pezzi e, a letto e anche nella vita, mi dà soddisfazione. Certo, non come i primi tempi, quando si stava sempre a fare i salti mortali nel letto, ma, sentendo quello che dicono gli altri, nelle confidenze tra uomini, passati un sei sette anni di matrimonio, tutti cominciano a lamentarsi della noia, dell’assenza di stimoli. Noi… invece, quando mai? Certo però, quando uno vede una come Sara... Ma che cazz’ sto pensann’… Vabbuò, mo’ n’omm nun pot’ave’ unu penziero. Queste ragazze si fanno guardare… ma una guardata, in fondo, che cos’è? Non significa niente, niente…”
Si sedette sulla sdraio, lesse un po’ il Corriere, poi prese il giornale dell’Isola in mano e si mise a cercare di capire se ancora si ritrovava nei fatti del suo paese natio, in tutte quelle vicende così provinciali da sfiorare il pettegolezzo..
“Mamma mia! Che fresco in acqua! Meno male che fuori è così caldo, anche se sono i primi di settembre!” Disse Sara, che era tornata su dalla riva. Si asciugò e si mise seduta sulla sdraio a fianco di quella di Pasquale.
“Qui l’estate dura fino a novembre, certi anni. Anzi, le giornate sono ancora più belle che durante l’estate piena, veramente…”
Stettero a chiacchierare per un po’, fino a che Sara si alzò per chinarsi e prendere un suo sandalino finito dietro un’altra sdraio, esponendo il suo stupendo fondo schiena. Tondo, alto, tornito…
A Pasquale, gli si dovette aprire la bocca per l’ammirazione e la cosa fu notata da Adelina, che, appena la ragazza ebbe lasciato la spiaggia, si rivolse al marito:
“Pasquale, statti attento... che la ragazza tiene diciannove anni e potresti essergli padre… E statti accorto, perché ho visto che la uagliuncella te fitteja, ti fa le guardate dolci e tu mi sembri sensibile…” gli sussurrò Adelina con un sorrisetto ironico e un po’ velenoso…
“Fernescela! ma che stai ricenn’, nun pazziamm’ proprio!” esclamò lui a voce alta.
“Ué” rispose Adelina, “non alzare la voce e non parlare in dialetto davanti ai bambini, che questi imparano… e quando tornano a Bergamo, a scuola, li prendono pure in giro se gli resta attaccato l’accento… Io non lo so… hai fatto le superiori, ma certe volte parli come un manovale di una "frauca" di queste parti.”
“Cert' vvote, si paranoica, Adelina. E per quanto riguarda il linguaggio, Adeli’, i’ so’ nat’ cca!”
“Pure io sono nata qua… ricordatelo, Pasca’!” Chiuse il discorso Adelina, un po’ acida.
Pasquale, per suo conto, se ne stette imbronciato sulla sdraio per tutto il resto della mattinata.
La sera, tranquillizzatasi Adelina, si erano fatti un giro nel corso, avevano preso un gelato ai bambini e poi erano ritornati in albergo. Pasquale aveva ancora casa dei suoi sull’isola, ma i suoi genitori erano anziani e non voleva dare loro fastidio, con i bambini. A Bergamo, la sua impresa edile andava bene e ormai aveva una certa disponibilità economica, perciò si era preso una camera in un albergo di proprietà di un amico d’infanzia, non lontano da casa.
Uscì un attimo per conto suo, voleva incontrare un altro dei suoi tanti amici d’infanzia ad un bar, e Adelina non volle venire, perché si sentiva stanca e i bambini pure. Al bar, l’amico non si fece vedere. Lo chiamò al telefono, dicendo che aveva avuto un contrattempo di lavoro. Sul finire di stagione capitava.
Così, Pasquale andò a comprarsi un pacchetto di sigarette e si incamminò verso il lungomare: non c’era miglior posto al mondo dove fumarsi una sigaretta.
Si mise giù a guardare la spiaggia, la “sua” spiaggia, e gli vennero in mente tutti gli episodi che aveva vissuto nella sua gioventù, su quel lembo di sabbia. Gli amici, le compagnie, i giochi, gli scherzi e soprattutto… le ragazze. Gli venne malinconia.
“Buona sera, signor Pasquale.”
“Oh, ciao Sara. Che ci fai qui?”
“Mi piace questo posto… e poi sono venuta a dare un saluto alla spiaggia; da qui si vede così bene... Sa, domani torno a Varese.”
“Non lo sapevo, mi spiace… mi piaceva chiacchierare con te…” fece lui con una faccia triste, anche esageratamente triste, per la reale scarsa conoscenza e confidenza che avevano.
“Già” fece lei abbassando lo sguardo verso terra, addirittura più triste di lui. “Mi sarebbe piaciuto molto conoscerla meglio…” e gli mise una mano sull’avambraccio.
A Pasquale, per l'emozione di quel contatto, gli andò il fumo della sigaretta di traverso e iniziò a tossire. Lei, per far calmare la tosse, cominciò a battere con la sua manina, fresca e leggera, sul dorso da orco dell’uomo.
Nella testa di Pasquale gli si agitava un tornado: “ma che cazzo mi sta prendendo… tengo quarantasei anni fatti… i’ voglio bbene a’Adelina… ma che me sta venenn’… potrebbe essere mia figlia, lo so… però sta uagliona è proprio bbella, veramente bbella… 'na die'e femmena... chesta me f’ascì pazz’… Maronna mi’… Maro’…”
Per il lungomare, in quel momento, non stava passando nessuno, il sole calava velocemente dietro la collina del faro e anche la manina di Sara calava: dalle spalle ai fianchi di lui. Pasquale -che con quel nuovo contatto si sentì preso come da una scossa elettrica- la prese per i fianchi e se l’accostò; voleva vedere come avrebbe risposto lei.
***
Lei alza il viso verso il suo e gli offre le labbra rosa.
Si baciano, piano, e poi sempre più intensamente.
Pasquale ha un brivido, la prende per mano e la porta verso lo stabilimento balneare, dove per una decina di giorni sono stati vicini d’ombrellone. Quasi corrono, tenendosi per mano. Ne' l'uno né l'altra hanno idea di quello che stanno facendo.
Pasquale ha come un guizzo e le dice, una volta arrivati sulla spiaggia:
“Stai qui un attimo, ti prego, vengo subito…”
Pasquale trova, al bar dello stabilimento, il padre del bagnino. Il vecchio lo conosce da quando lui era bambino.
“Zi’ Vicie’ aggio canisciut’ na signora tedesca e aggia ave’ ‘nu posto addo sta…”
Zio Vincenzo non fa una piega, si gira, prende delle chiavi e gliele tira. “L’ammore è l’ammore” gli dice teatralmente il vecchio, con l’aria di saperla lunga.
Pasquale guarda il numero del portachiavi e va verso la ragazza, che l'aveva aspettato appoggiata con la schiena alle cabine e le fa segno. Entrano e lei, senza aspettare un attimo, si spoglia.
Pasquale si toglie tutto pure lui. La prende, la bacia, la tocca. Assapora la pelle giovane e tesa, quel corpo sodo e slanciato.
Lei mette un telone trovato riposto dentro la cabina, lo stende sulle assi del pavimento in legno, si sdraia e apre lentamente le cosce, lunghe, tornite, belle da morire. Lui la lecca. La sua è un’albicocca liscia, odorosa, fantastica. Una volta bagnata a dovere, la penetra, andandole sopra, scopandola con colpi sempre più forti, tappandole la bocca con la sua per non farla gemere troppo. Vengono due volte di seguito, lui ancora con il membro piantato dentro di lei. Come se il suo cazzo non avesse voluto uscire: è restato lì, rigido, teso e ha ripreso, quasi da solo, a muoversi, a comandare i fianchi e la schiena per un altro amplesso, ancora più veemente del primo.
Non sono stanchi, ma lei si mette sulle ginocchia, vuole succhiarglielo. Non parla, mugola e lo tocca. Lui è in piedi, a gambe ben piantate e larghe, mentre lei lo spompina. È una cosa dolce, bellissima e intensa.
Dall’alto la guarda inginocchiata: i lunghi capelli castani, il corpo sinuoso e snello. Crede di avere una sirena ai suoi piedi. Lei lo lecca e lo succhia, gli accarezza le cosce con le sue mani delicate. La dolcezza della figura della ragazza sopravanza la carica erotica della scena.
Pasquale esplode: nella testa è come se gli fosse scoppiato un sole. Si riprende e pensa che una esperienza del genere non l'aveva mai vissuta, né con Adelina ai tempi, né con altre.
Sono accovacciati sul pavimento, lei è rannicchiata tra le sue braccia e lui crede che pianga.
“Forse questo è solo sesso, oppure, sai, è l’amore di una vita. Intenso, vero, bellissimo, che non invecchierà mai e che ti accompagnerà. Io non lo scorderò e tu non lo scorderai, mai…” dice lei. Il riflesso della luna, che passa da sopra la porta, le illumina il volto.
“Vero. Credevo fosse solo la voglia pazza della tua bellezza, della tua gioventù, e invece sono preso dal languore e dalla malinconia. Ho già il rimpianto di te.”
Ripresero a fare l’amore in modo dolce ed estenuante.
Rimasero abbracciati fino al mattino, si rivestirono e si salutarono.
Tornando in albergo, Pasquale non pensava alle scuse da inventare ad Adelina, ma a quello che aveva vissuto. Completamente preso da un languore infinito, pensava alla notte appena trascorsa: non aveva avuto un flirt, una brevissima relazione extraconiugale, una storia di sesso, ma era stata una magia che capita, se capita, una sola volta nella vita di un uomo. Lui era stato tra quei fortunati.
“Pasquale, per favore, vedi di fare uscire dall’acqua i bambini, che stanno spugnando come baccalà!”
“Vabbè’, Adeli’, mo’ vado…”
Pasquale, il tipo bruno, alto e massiccio, che rispondeva in modo quieto alla moglie, si alzò dalla sedia a sdraio, sotto la terza fila d’ombrelloni e scese con passi un po’ pesanti verso la riva del mare.
Era contento, Pasquale, perché finalmente in ferie, e non in un posto qualsiasi, ma nell’isola dove era nato e cresciuto; finalmente, perché di nuovo lì, dopo quattro anni d’assenza. La spiaggia era quella dove aveva imparato a nuotare, dove giocava a pallone in inverno con gli amici, da ragazzino, ed ora, che si presentava quasi da turista, la trovava enormemente cambiata.
Con le caviglie in acqua, chiamò in modo placido i due figli, un maschietto e una femminuccia di sette e otto anni, accompagnando le parole con un gesto della mano: “Su! mamma ha detto che è ora di uscire.”
Intanto si guardava intorno, sulla riva.
“Ma che costumini portano, ora, queste ragazze? Hann’ zizze ‘a fore, culo da fuori… E poi, le ragazze della mia generazione… nun erano accussì belle!” Pensava.
Alcune ragazze giocavano a palla a volo, nell’acqua bassa. Erano veramente belle, spigliate e atletiche. D’un tratto, gli sembrò che qualcosa non quadrasse nella scena, ma cos’era? Ma sì…
“I maschi! Ma dove cazzo sono i maschi. A quell’età noi stavamo come api attaccate al miele. Appena una ragazza, italiana, tedesca, inglese si presentava sulla spiaggia, c’era una lotta tra noi! Certe volte ferneva a mazzate e pure mazzate a’cecat’… e questi che fanno? Stanno col culo sulla spiaggia e col telefono in mano. Palestrati, oliati, ma per che cosa? A che ve serv' tutta sta ginnastica? Mannaggi’a mort’!”
Così pensava, esterrefatto.
“Buon giorno signor Pasquale!”
Chi è? Si domanda, col sole negli occhi. E fa subito schermo con la mano.
“Ah, buon giorno Sara, come stai? Hai visto che giornate che ci sono sulla “mia” isola?”
“Vero, qui il tempo è sempre una meraviglia. Bellissimo!”
Fece un saluto con la manina e andò verso il gruppetto di amiche che giocava nell’acqua.
“Maro’, che bambola!” fece Pasquale tra sé, “lei è proprio ‘nu zuccher’! Quanti anni può tenere? Venti, ventuno anni. Viene ancora qua con i suoi, come una guagliuncella… Addà esse’ ‘na brava figliola...”
Tornato con i figli sotto l’ombrellone, mentre Adelina asciuga i figli, lui osserva la moglie.
“Che c’è?” fa lei, con un’espressione tra l’indispettito e il divertito.
“No… Niente…” fa lui.
Pasquale resta silenzioso e pensa:
“Adelina tiene quarantatre anni; è ancora in forma, porta bene il due pezzi e, a letto e anche nella vita, mi dà soddisfazione. Certo, non come i primi tempi, quando si stava sempre a fare i salti mortali nel letto, ma, sentendo quello che dicono gli altri, nelle confidenze tra uomini, passati un sei sette anni di matrimonio, tutti cominciano a lamentarsi della noia, dell’assenza di stimoli. Noi… invece, quando mai? Certo però, quando uno vede una come Sara... Ma che cazz’ sto pensann’… Vabbuò, mo’ n’omm nun pot’ave’ unu penziero. Queste ragazze si fanno guardare… ma una guardata, in fondo, che cos’è? Non significa niente, niente…”
Si sedette sulla sdraio, lesse un po’ il Corriere, poi prese il giornale dell’Isola in mano e si mise a cercare di capire se ancora si ritrovava nei fatti del suo paese natio, in tutte quelle vicende così provinciali da sfiorare il pettegolezzo..
“Mamma mia! Che fresco in acqua! Meno male che fuori è così caldo, anche se sono i primi di settembre!” Disse Sara, che era tornata su dalla riva. Si asciugò e si mise seduta sulla sdraio a fianco di quella di Pasquale.
“Qui l’estate dura fino a novembre, certi anni. Anzi, le giornate sono ancora più belle che durante l’estate piena, veramente…”
Stettero a chiacchierare per un po’, fino a che Sara si alzò per chinarsi e prendere un suo sandalino finito dietro un’altra sdraio, esponendo il suo stupendo fondo schiena. Tondo, alto, tornito…
A Pasquale, gli si dovette aprire la bocca per l’ammirazione e la cosa fu notata da Adelina, che, appena la ragazza ebbe lasciato la spiaggia, si rivolse al marito:
“Pasquale, statti attento... che la ragazza tiene diciannove anni e potresti essergli padre… E statti accorto, perché ho visto che la uagliuncella te fitteja, ti fa le guardate dolci e tu mi sembri sensibile…” gli sussurrò Adelina con un sorrisetto ironico e un po’ velenoso…
“Fernescela! ma che stai ricenn’, nun pazziamm’ proprio!” esclamò lui a voce alta.
“Ué” rispose Adelina, “non alzare la voce e non parlare in dialetto davanti ai bambini, che questi imparano… e quando tornano a Bergamo, a scuola, li prendono pure in giro se gli resta attaccato l’accento… Io non lo so… hai fatto le superiori, ma certe volte parli come un manovale di una "frauca" di queste parti.”
“Cert' vvote, si paranoica, Adelina. E per quanto riguarda il linguaggio, Adeli’, i’ so’ nat’ cca!”
“Pure io sono nata qua… ricordatelo, Pasca’!” Chiuse il discorso Adelina, un po’ acida.
Pasquale, per suo conto, se ne stette imbronciato sulla sdraio per tutto il resto della mattinata.
La sera, tranquillizzatasi Adelina, si erano fatti un giro nel corso, avevano preso un gelato ai bambini e poi erano ritornati in albergo. Pasquale aveva ancora casa dei suoi sull’isola, ma i suoi genitori erano anziani e non voleva dare loro fastidio, con i bambini. A Bergamo, la sua impresa edile andava bene e ormai aveva una certa disponibilità economica, perciò si era preso una camera in un albergo di proprietà di un amico d’infanzia, non lontano da casa.
Uscì un attimo per conto suo, voleva incontrare un altro dei suoi tanti amici d’infanzia ad un bar, e Adelina non volle venire, perché si sentiva stanca e i bambini pure. Al bar, l’amico non si fece vedere. Lo chiamò al telefono, dicendo che aveva avuto un contrattempo di lavoro. Sul finire di stagione capitava.
Così, Pasquale andò a comprarsi un pacchetto di sigarette e si incamminò verso il lungomare: non c’era miglior posto al mondo dove fumarsi una sigaretta.
Si mise giù a guardare la spiaggia, la “sua” spiaggia, e gli vennero in mente tutti gli episodi che aveva vissuto nella sua gioventù, su quel lembo di sabbia. Gli amici, le compagnie, i giochi, gli scherzi e soprattutto… le ragazze. Gli venne malinconia.
“Buona sera, signor Pasquale.”
“Oh, ciao Sara. Che ci fai qui?”
“Mi piace questo posto… e poi sono venuta a dare un saluto alla spiaggia; da qui si vede così bene... Sa, domani torno a Varese.”
“Non lo sapevo, mi spiace… mi piaceva chiacchierare con te…” fece lui con una faccia triste, anche esageratamente triste, per la reale scarsa conoscenza e confidenza che avevano.
“Già” fece lei abbassando lo sguardo verso terra, addirittura più triste di lui. “Mi sarebbe piaciuto molto conoscerla meglio…” e gli mise una mano sull’avambraccio.
A Pasquale, per l'emozione di quel contatto, gli andò il fumo della sigaretta di traverso e iniziò a tossire. Lei, per far calmare la tosse, cominciò a battere con la sua manina, fresca e leggera, sul dorso da orco dell’uomo.
Nella testa di Pasquale gli si agitava un tornado: “ma che cazzo mi sta prendendo… tengo quarantasei anni fatti… i’ voglio bbene a’Adelina… ma che me sta venenn’… potrebbe essere mia figlia, lo so… però sta uagliona è proprio bbella, veramente bbella… 'na die'e femmena... chesta me f’ascì pazz’… Maronna mi’… Maro’…”
Per il lungomare, in quel momento, non stava passando nessuno, il sole calava velocemente dietro la collina del faro e anche la manina di Sara calava: dalle spalle ai fianchi di lui. Pasquale -che con quel nuovo contatto si sentì preso come da una scossa elettrica- la prese per i fianchi e se l’accostò; voleva vedere come avrebbe risposto lei.
***
Lei alza il viso verso il suo e gli offre le labbra rosa.
Si baciano, piano, e poi sempre più intensamente.
Pasquale ha un brivido, la prende per mano e la porta verso lo stabilimento balneare, dove per una decina di giorni sono stati vicini d’ombrellone. Quasi corrono, tenendosi per mano. Ne' l'uno né l'altra hanno idea di quello che stanno facendo.
Pasquale ha come un guizzo e le dice, una volta arrivati sulla spiaggia:
“Stai qui un attimo, ti prego, vengo subito…”
Pasquale trova, al bar dello stabilimento, il padre del bagnino. Il vecchio lo conosce da quando lui era bambino.
“Zi’ Vicie’ aggio canisciut’ na signora tedesca e aggia ave’ ‘nu posto addo sta…”
Zio Vincenzo non fa una piega, si gira, prende delle chiavi e gliele tira. “L’ammore è l’ammore” gli dice teatralmente il vecchio, con l’aria di saperla lunga.
Pasquale guarda il numero del portachiavi e va verso la ragazza, che l'aveva aspettato appoggiata con la schiena alle cabine e le fa segno. Entrano e lei, senza aspettare un attimo, si spoglia.
Pasquale si toglie tutto pure lui. La prende, la bacia, la tocca. Assapora la pelle giovane e tesa, quel corpo sodo e slanciato.
Lei mette un telone trovato riposto dentro la cabina, lo stende sulle assi del pavimento in legno, si sdraia e apre lentamente le cosce, lunghe, tornite, belle da morire. Lui la lecca. La sua è un’albicocca liscia, odorosa, fantastica. Una volta bagnata a dovere, la penetra, andandole sopra, scopandola con colpi sempre più forti, tappandole la bocca con la sua per non farla gemere troppo. Vengono due volte di seguito, lui ancora con il membro piantato dentro di lei. Come se il suo cazzo non avesse voluto uscire: è restato lì, rigido, teso e ha ripreso, quasi da solo, a muoversi, a comandare i fianchi e la schiena per un altro amplesso, ancora più veemente del primo.
Non sono stanchi, ma lei si mette sulle ginocchia, vuole succhiarglielo. Non parla, mugola e lo tocca. Lui è in piedi, a gambe ben piantate e larghe, mentre lei lo spompina. È una cosa dolce, bellissima e intensa.
Dall’alto la guarda inginocchiata: i lunghi capelli castani, il corpo sinuoso e snello. Crede di avere una sirena ai suoi piedi. Lei lo lecca e lo succhia, gli accarezza le cosce con le sue mani delicate. La dolcezza della figura della ragazza sopravanza la carica erotica della scena.
Pasquale esplode: nella testa è come se gli fosse scoppiato un sole. Si riprende e pensa che una esperienza del genere non l'aveva mai vissuta, né con Adelina ai tempi, né con altre.
Sono accovacciati sul pavimento, lei è rannicchiata tra le sue braccia e lui crede che pianga.
“Forse questo è solo sesso, oppure, sai, è l’amore di una vita. Intenso, vero, bellissimo, che non invecchierà mai e che ti accompagnerà. Io non lo scorderò e tu non lo scorderai, mai…” dice lei. Il riflesso della luna, che passa da sopra la porta, le illumina il volto.
“Vero. Credevo fosse solo la voglia pazza della tua bellezza, della tua gioventù, e invece sono preso dal languore e dalla malinconia. Ho già il rimpianto di te.”
Ripresero a fare l’amore in modo dolce ed estenuante.
Rimasero abbracciati fino al mattino, si rivestirono e si salutarono.
Tornando in albergo, Pasquale non pensava alle scuse da inventare ad Adelina, ma a quello che aveva vissuto. Completamente preso da un languore infinito, pensava alla notte appena trascorsa: non aveva avuto un flirt, una brevissima relazione extraconiugale, una storia di sesso, ma era stata una magia che capita, se capita, una sola volta nella vita di un uomo. Lui era stato tra quei fortunati.
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