La tana del drago
di
Omeros
genere
etero
A quel tempo, gli chef non erano ancora assurti al rango di maestri di pensiero, non occupavano, come oggi, le televisioni o i giornali e gli altri mezzi di comunicazione. Ma lo chef - che all’epoca si usava di più chiamare “capocuoco” - veniva comunque visto come un piccolo sovrano assoluto, padrone di un regno circoscritto quanto particolare: quello della cucina.
Il protagonista di questa storia, Luigi, era un giovane di talento che si stava facendo strada, proprio in virtù delle sue capacità, del suo sapere e dell’ascendente che dimostrava sul personale di sala e di cucina, oltre che per l’educazione e il garbo che lo contraddistingueva.
Luigi lavorava nel famoso ristorante “La tana del drago”, che, contrariamente al nome che lo associava ai locali cinesi che stavano cominciando a proliferare, in quel periodo, in città, era invece un ristorante classico e pretenzioso, che offriva una cucina molto apprezzata dall’alta borghesia milanese.
Il proprietario era “il signor Gianni”, detto così, con le due parole mai disgiunte, un signore di una sessantina d’anni che ebbe merito nello scoprire Luigi e soprattutto nel riporre nelle mani del giovanotto lo scettro di comando della propria cucina. Così, il signor Gianni, pur vestito dei panni candidi del cuoco, faceva la spola tra cucina e sala, controllava i camerieri e accoglieva cerimoniosamente i clienti, quindi, si occupava della gestione economica del ristorante. Si faceva vivo in cucina per curare l’ordine di un cliente di riguardo e per aiutare Luigi, durante le preparazioni, come fosse un aiuto cuoco; lasciava al giovane tutte le incombenze e le decisioni di ciò che aveva considerato, in precedenza, il suo regno esclusivo. Ma era contento e le cose andavano benissimo.
Un giorno si presentò una certa Laura, una brunetta di bell’aspetto e dal sorriso simpatico, che si proponeva come aiuto cuoca. La ragazza fu fortunata, perché era di appena qualche giorno prima la decisione di prendere una persona in più in cucina, e Laura venne chiamata appena dopo essere stata valutata da Luigi e dal signor Gianni. Era precisa, molto ordinata e veloce, aveva la voglia e l’umiltà di imparare e a Luigi stette da subito molto simpatica.
Luigi la guardava volentieri, le si metteva a fianco e, dicendole “permetti?”, le mostrava come si svolgeva una preparazione, un trito, un battuto, una salsa o un impasto. Prestava più attenzione a lei che agli altri di cucina e se qualcuno glielo faceva notare, ammiccando, ammiccava anche lui, con quella sua aria da sornione, che poco si prendeva sul serio, facendo così sgonfiare, tramite l’autoironia, ogni illazione.
A forza di stare accanto alla ragazza, Luigi si accorse che, nonostante il suo sforzo di concentrarsi unicamente sul lavoro, si ritrovava spesso a osservarla con interesse, ad aspirarne il profumo, a coglierne anche i pur minimi gesti.
Piccole cose, segnali che gli altri non avvertivano: cominciarono a sfiorarsi sul lavoro, tramite contatti leggerissimi che duravano meno di un attimo. Quando accadeva, lei sorrideva e lui pure, ma con un certo imbarazzo, avendo capito quanto cominciasse a piacergli.
“Permetti Laura?”
“Sì, certo!” rispondeva lei. E Luigi le mostrava come adagiare delicatamente l’arrosto sul soffritto, come chiudere la pentola, lasciando un piccolissimo spiraglio, come doveva essere effettuato il taglio dei peperoni, versato un vino rosso importante sopra un brasato...
“Permetti Laura?”
“Sì, certo!” e Luigi prendeva la mano di lei ed entrambi muovevano il coltello all’interno della faraona, la disossavano e, insieme, la stendevano sul tagliere, aperta e a cosce spalancate, per farcirla e riempirla di spezie…
Il naso di Luigi, talvolta, faceva la spola tra la pietanza sul fuoco, per controllare come procedeva la cottura, e il collo di Laura: il punto da dove meglio poteva aspirare la fragranza del profumo della ragazza. Quello era un profumo mielato che, pur in quantità minime, lo stordiva ed eccitava, anche nel mezzo di quel caotico insieme di odori e aromi rappresentato dalla cucina del “La tana del drago”.
Dopo neanche tre giorni, i loro contatti fisici erano diventati più frequenti e meno veloci. Luigi le toccava il fianco, premendo per metterla nella posizione più adatta alla lavorazione di una sfoglia, le prendeva con delicatezza l’avambraccio per accompagnare il suo movimento nell’uso del batticarne, durante la preparazione di una cotoletta: “Permetti Laura?” “Sì, certo!” Quei contatti minimi, mascherati da esigenze dovute alla formazione di una aiuto-cuoca promettente, stavano ottenebrando il controllo di Luigi e forse anche quello di Laura, che talvolta si ritrovava a restare con un mestolo o un coltello per aria, con aria rapita ed occhi sognanti.
Un giorno, poi, Luigi l’aveva colta svestita o quasi, dalla porta semiaperta dello spogliatoio del personale femminile. Non avrebbe voluto, ma la vide, con una canottierina nera e aderente dalle spalline sottili, che le faceva risaltare la vita stretta, le curve dei fianchi, il seno pieno e la carnagione chiara. Quella visione lo scosse molto e dovette appoggiarsi ad un muro del corridoio per riprendersi.
Quando erano vicini, Luigi avvertiva ormai una certa tensione, come di un campo elettrico, tra lui e la ragazza. Non si sarebbe per nulla meravigliato se le loro tenute da cuoco si fossero calamitate, o che avessero emesso scintille, nelle sempre più frequenti occasioni in cui loro si sfioravano, durante il lavoro in cucina. E gli occhi: anche gli occhi di lei sembravano, ora più di prima, colmi di una qualche elettricità, anche nel brillare del nero luminoso delle sue pupille, altro elemento di forte attrazione per lui.
Così un mattino, quando il ristorante era stato appena aperto ed era ancora semi deserto, Luigi e Laura si trovarono soli, intenti a scegliere le verdure nella cella frigorifera. Si muovevano entrambi impacciati e rigidi, come se avessero difficoltà a spostarsi in uno spazio che non era poi così angusto per due sole persone. Si guardarono negli occhi, videro entrambi delle scintille e se ne stettero fermi, al freddo, uno di fronte all’altra, percependo una tensione altissima. Si guardarono più intensamente ancora negli occhi, si avvicinarono e… si baciarono. Prima un bacio leggero, poi altri sempre più appassionati, con le mani di entrambi che frugavano l’austera tenuta da cuoco dell’altro.
Luigi aveva calato lentamente i pantaloni di Laura e alzato la casacca di lei, aveva rivolto con dolcezza la ragazza col viso verso la parete e piegata leggermente in avanti. Lei si fece abbassare le minuscole mutandine, inarcò la schiena offrendosi e aspettò docile, respirando veloce, con un’espressione di rapimento sul volto, come se gustasse quell’alta tensione, quell’attesa breve prima della tempesta.
Luigi poggiò il glande sulla fessura liscia e bagnata. Nonostante all’interno della cella, frutta e verdura emanassero odori intensi, lui percepì nettamente il profumo del corpo di lei e inspirò con voluttà. Serrò forte le sue mani sui fianchi della ragazza, che emise un sospiro profondo.
“Permetti Laura?”
“Sì, certo… ti permetto tutto, tutto!”
E finalmente entrò.
Il protagonista di questa storia, Luigi, era un giovane di talento che si stava facendo strada, proprio in virtù delle sue capacità, del suo sapere e dell’ascendente che dimostrava sul personale di sala e di cucina, oltre che per l’educazione e il garbo che lo contraddistingueva.
Luigi lavorava nel famoso ristorante “La tana del drago”, che, contrariamente al nome che lo associava ai locali cinesi che stavano cominciando a proliferare, in quel periodo, in città, era invece un ristorante classico e pretenzioso, che offriva una cucina molto apprezzata dall’alta borghesia milanese.
Il proprietario era “il signor Gianni”, detto così, con le due parole mai disgiunte, un signore di una sessantina d’anni che ebbe merito nello scoprire Luigi e soprattutto nel riporre nelle mani del giovanotto lo scettro di comando della propria cucina. Così, il signor Gianni, pur vestito dei panni candidi del cuoco, faceva la spola tra cucina e sala, controllava i camerieri e accoglieva cerimoniosamente i clienti, quindi, si occupava della gestione economica del ristorante. Si faceva vivo in cucina per curare l’ordine di un cliente di riguardo e per aiutare Luigi, durante le preparazioni, come fosse un aiuto cuoco; lasciava al giovane tutte le incombenze e le decisioni di ciò che aveva considerato, in precedenza, il suo regno esclusivo. Ma era contento e le cose andavano benissimo.
Un giorno si presentò una certa Laura, una brunetta di bell’aspetto e dal sorriso simpatico, che si proponeva come aiuto cuoca. La ragazza fu fortunata, perché era di appena qualche giorno prima la decisione di prendere una persona in più in cucina, e Laura venne chiamata appena dopo essere stata valutata da Luigi e dal signor Gianni. Era precisa, molto ordinata e veloce, aveva la voglia e l’umiltà di imparare e a Luigi stette da subito molto simpatica.
Luigi la guardava volentieri, le si metteva a fianco e, dicendole “permetti?”, le mostrava come si svolgeva una preparazione, un trito, un battuto, una salsa o un impasto. Prestava più attenzione a lei che agli altri di cucina e se qualcuno glielo faceva notare, ammiccando, ammiccava anche lui, con quella sua aria da sornione, che poco si prendeva sul serio, facendo così sgonfiare, tramite l’autoironia, ogni illazione.
A forza di stare accanto alla ragazza, Luigi si accorse che, nonostante il suo sforzo di concentrarsi unicamente sul lavoro, si ritrovava spesso a osservarla con interesse, ad aspirarne il profumo, a coglierne anche i pur minimi gesti.
Piccole cose, segnali che gli altri non avvertivano: cominciarono a sfiorarsi sul lavoro, tramite contatti leggerissimi che duravano meno di un attimo. Quando accadeva, lei sorrideva e lui pure, ma con un certo imbarazzo, avendo capito quanto cominciasse a piacergli.
“Permetti Laura?”
“Sì, certo!” rispondeva lei. E Luigi le mostrava come adagiare delicatamente l’arrosto sul soffritto, come chiudere la pentola, lasciando un piccolissimo spiraglio, come doveva essere effettuato il taglio dei peperoni, versato un vino rosso importante sopra un brasato...
“Permetti Laura?”
“Sì, certo!” e Luigi prendeva la mano di lei ed entrambi muovevano il coltello all’interno della faraona, la disossavano e, insieme, la stendevano sul tagliere, aperta e a cosce spalancate, per farcirla e riempirla di spezie…
Il naso di Luigi, talvolta, faceva la spola tra la pietanza sul fuoco, per controllare come procedeva la cottura, e il collo di Laura: il punto da dove meglio poteva aspirare la fragranza del profumo della ragazza. Quello era un profumo mielato che, pur in quantità minime, lo stordiva ed eccitava, anche nel mezzo di quel caotico insieme di odori e aromi rappresentato dalla cucina del “La tana del drago”.
Dopo neanche tre giorni, i loro contatti fisici erano diventati più frequenti e meno veloci. Luigi le toccava il fianco, premendo per metterla nella posizione più adatta alla lavorazione di una sfoglia, le prendeva con delicatezza l’avambraccio per accompagnare il suo movimento nell’uso del batticarne, durante la preparazione di una cotoletta: “Permetti Laura?” “Sì, certo!” Quei contatti minimi, mascherati da esigenze dovute alla formazione di una aiuto-cuoca promettente, stavano ottenebrando il controllo di Luigi e forse anche quello di Laura, che talvolta si ritrovava a restare con un mestolo o un coltello per aria, con aria rapita ed occhi sognanti.
Un giorno, poi, Luigi l’aveva colta svestita o quasi, dalla porta semiaperta dello spogliatoio del personale femminile. Non avrebbe voluto, ma la vide, con una canottierina nera e aderente dalle spalline sottili, che le faceva risaltare la vita stretta, le curve dei fianchi, il seno pieno e la carnagione chiara. Quella visione lo scosse molto e dovette appoggiarsi ad un muro del corridoio per riprendersi.
Quando erano vicini, Luigi avvertiva ormai una certa tensione, come di un campo elettrico, tra lui e la ragazza. Non si sarebbe per nulla meravigliato se le loro tenute da cuoco si fossero calamitate, o che avessero emesso scintille, nelle sempre più frequenti occasioni in cui loro si sfioravano, durante il lavoro in cucina. E gli occhi: anche gli occhi di lei sembravano, ora più di prima, colmi di una qualche elettricità, anche nel brillare del nero luminoso delle sue pupille, altro elemento di forte attrazione per lui.
Così un mattino, quando il ristorante era stato appena aperto ed era ancora semi deserto, Luigi e Laura si trovarono soli, intenti a scegliere le verdure nella cella frigorifera. Si muovevano entrambi impacciati e rigidi, come se avessero difficoltà a spostarsi in uno spazio che non era poi così angusto per due sole persone. Si guardarono negli occhi, videro entrambi delle scintille e se ne stettero fermi, al freddo, uno di fronte all’altra, percependo una tensione altissima. Si guardarono più intensamente ancora negli occhi, si avvicinarono e… si baciarono. Prima un bacio leggero, poi altri sempre più appassionati, con le mani di entrambi che frugavano l’austera tenuta da cuoco dell’altro.
Luigi aveva calato lentamente i pantaloni di Laura e alzato la casacca di lei, aveva rivolto con dolcezza la ragazza col viso verso la parete e piegata leggermente in avanti. Lei si fece abbassare le minuscole mutandine, inarcò la schiena offrendosi e aspettò docile, respirando veloce, con un’espressione di rapimento sul volto, come se gustasse quell’alta tensione, quell’attesa breve prima della tempesta.
Luigi poggiò il glande sulla fessura liscia e bagnata. Nonostante all’interno della cella, frutta e verdura emanassero odori intensi, lui percepì nettamente il profumo del corpo di lei e inspirò con voluttà. Serrò forte le sue mani sui fianchi della ragazza, che emise un sospiro profondo.
“Permetti Laura?”
“Sì, certo… ti permetto tutto, tutto!”
E finalmente entrò.
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