Er bujo
di
Omeros
genere
etero
Poco si vedeva in discoteca, perciò Domenico doveva necessariamente aguzzare occhio e ingegno solo per capire se una ragazza fosse abbordabile o meno, tra quelle che si agitavano sulla pista. Si mise perciò con le spalle al bar per guardare il centro della sala. Le luci che stavano dietro al bancone aiutavano a distinguere meglio le fattezze delle ragazze e lui, trovato l’angolo più esposto alla luce, si appostò come un falco per scrutare tutto ciò che passava da lì. Puntò una moretta con un vestito chiaro, che si muoveva bene e sembrava avere un corpo da urlo. Stette due minuti buoni a valutare e, una volta approvata la scelta, il falco partì in picchiata.
Vestito in tiro e impomatato, si diresse spavaldo sulla preda e cominciò a girarle intorno a tempo di musica. Lei lo adocchiò a sua volta e cominciarono a ballare insieme, anche piuttosto bene, sincronizzando mica male i loro movimenti. Nel momento che attaccarono con i lenti, Domenico già era abbracciato alla moretta: ne sentiva il profumo intenso, tastava i fianchi e sentiva il seno sodo e pieno di lei contro il suo diaframma.
Chinò il collo e cominciò a sondare la possibilità di un bacetto. La ragazza sembrò starci e dalla pista, a passo di danza -cosa che lo faceva sentire "fighissimo"- la portò verso le poltroncine, dove fecero una limonata strepitosa, con mani dovunque e lingua in bocca perenne.
Arrapato come un’animale, si guardò in giro e disse alla ragazza:
“Che mi puoi aspettà un attimo solo, vado a chiede una cosa a un amico mio…” Le disse tutto cerimonioso, cercando di parlare un italiano corretto.
“Vai, ma nun fare tardi, che non t’aspetto…” rispose lei, a tono.
Domenico prende e va verso il bancone del bar, prende per un braccio Nino e gli dice:
“A Nino, c’ho ‘na pischella caruccia un botto e me devo annà a’nfrattà, che me dai ‘e chiavi d’a machina?”
“A Dome’, pulisci bbene e ricordate de ‘sto favore!”
“Me ricordo de ‘sto cazzo, aaa Nino!” disse ridendo e con le chiavi ormai in mano.
Prende per mano la moretta e se la trascina dietro, esce dalla discoteca dalla porta di servizio e va per strada: buio pesto anche là, dato che tutti i lampioni intorno erano stati fatti saltare dal lancio dei sassi, che era lo sport preferito di coatti, loschi e spacciatori, tutta gente che ama il buio per farsi gli stramaledetti comodi loro.
La porta in macchina e ricominciano a pomiciare con intenso trasporto.
Poi lui si sbottona i pantaloni e tira fuori l’attrezzo bene in tiro, la moretta l’agguanta con una mano e comincia a smanettare, poi, presa dall’entusiasmo, si tuffa con la faccia sopra e comincia a spompinare. Un gran lavoro: su e giù con la testa piena di ricci, mugolii, risucchi, una virtuosa del pompino.
Domenico allunga il braccio e con la mano destra le abbassa la mutandina, ribalta la ragazza che ha mollato il lavoro con la bocca e la mette a pecora.
Ha il cazzo tutto insalivato e lo punta sulla vulva umida, spinge e anche lei cerca di dirigerselo meglio che può con la manina. Sul sedile posteriore della Lancia Thema si sta comodi da seduti, un po’ meno quando si scopa, e i due fanno qualche contorsione, anche se, alla fine, l’ingroppata prende ritmo e sostanza. Lui ansima e lei si scuote tutta e geme, come anche le sospensioni della macchina.
“Ahhh… ‘mazzate che nerchia che c’hai, me stai a spaccà… Ahhh!!!”
“Piegate de più, che me fai spigne mejo… Daje che te apro…”
Si divertono per una buona mezz’ora poi lei viene e lui, prima di esplodere, la rivolta e le viene in bocca. Lei ingoia mugolando soddisfatta.
“Bbrava, bbrava, ma ‘o sai che sotto ‘a luce da luna, t’ho visto che c’hai proprio un ber culo? Du’ chiappe tonde e sode!”
“Aho! Che porcone! Nun è che te piaciono ‘e zozzerie?”
“Te che dici?”
“Io te ‘o darebbi, ma leccame prima er bucietto per bene… c’ho paura che me fai male… Co’ tutta ‘sta nerchia che c’hai…”
“Nun te preoccupa’… Vie’ qua!”
La rigirò, la mise in ginocchioni, con le chiappe in alto e cominciò a leccare quel bendiddio: “sorca e bucietto…” La moretta gorgheggiava come un usignolo e lui usò le dita per preparare meglio la strada.
Poi la montò. Non fu facile entrare, nonostante tutta la preparazione, ma poi cominciarono a sincronizzare gemiti e movimenti. Più sincroni che nel ballo.
Domenico ci dava dentro, le aveva alzato il vestito e palpava il bel corpicino a piene mani, nel mentre spingeva come un ossesso. Anche lei cominciò a scatenarsi: mugolava, si scuoteva adattando il suo dimenarsi ai colpi di lui ed ebbe un orgasmo che impressionò Domenico che, molto esaltatosi per la risposta di lei, a sua volta, venne a dismisura e le allagò il culo.
“Oddio, me sa che mo’ sporcamo tutta ‘a machina…
“Apri er cassetto là, davanti ar cambio, svelta…” le dice Domenico.
“Tu accenni a luce, però, nun se vede ‘n cazzo…”
Domenico accende la luce a lato, per vedere se lei ha asciugato tutto, se non ha sporcato il sedile e spalanca gli occhi…
“Aho… ma che sei Sonia? Li morta’!!! Li mortacci tua!!!"
“Domenico???”
Silenzio di tomba per qualche attimo…
Sonia è la sorella di Licia, la moglie di Domenico, che pensa che lui, di notte, sia a lavorare come guardia giurata.
“Aho… ma come te sei vestita e truccata? Eppoi… tutti ‘sti ricci! Nun pari manco te, pari ‘na zoccoletta! Ma che nun mai visto ch’ero io?”
“Nun t’ho visto no, Dome’. Stavi tutto mpettito che me parevi più arto, ar bujo, er capello tutto liscio e tirato, 'a giacchetta lucida, parlavi che sembravi uno ‘struito…” Disse lei arrabbiata.
“Ma che parlavo… che m’hai ficcato subbito ‘na sola n’bocca! ‘Sta zoccola… ‘A sorella de mi moje…”
Silenzio di tomba, stavolta per un minuto buono…
“Aho… però, a Sonia! M’hai fatto fa a mejo scopata d’a vita mia… te ggiuro...”
“Pur’io, a Dome’… pur’io.” E sembrava che la ragazza si dovesse mettere a piangere da un momento all'altro.
“A Sonia, certo però, che…” E allungò la mano, le strinse una coscia, poi con l’altra la prese per un fianco, se l’avvicinò. La baciò e lei rispose con molto trasporto.
“A Sonia, ma chi lo va a di’ a tu sorella?”
“Certo che no, a Dome’ e chi lo va a di'? Io manco morta...” disse lei, nel mentre si toglieva di nuovo le mutandine.
Vestito in tiro e impomatato, si diresse spavaldo sulla preda e cominciò a girarle intorno a tempo di musica. Lei lo adocchiò a sua volta e cominciarono a ballare insieme, anche piuttosto bene, sincronizzando mica male i loro movimenti. Nel momento che attaccarono con i lenti, Domenico già era abbracciato alla moretta: ne sentiva il profumo intenso, tastava i fianchi e sentiva il seno sodo e pieno di lei contro il suo diaframma.
Chinò il collo e cominciò a sondare la possibilità di un bacetto. La ragazza sembrò starci e dalla pista, a passo di danza -cosa che lo faceva sentire "fighissimo"- la portò verso le poltroncine, dove fecero una limonata strepitosa, con mani dovunque e lingua in bocca perenne.
Arrapato come un’animale, si guardò in giro e disse alla ragazza:
“Che mi puoi aspettà un attimo solo, vado a chiede una cosa a un amico mio…” Le disse tutto cerimonioso, cercando di parlare un italiano corretto.
“Vai, ma nun fare tardi, che non t’aspetto…” rispose lei, a tono.
Domenico prende e va verso il bancone del bar, prende per un braccio Nino e gli dice:
“A Nino, c’ho ‘na pischella caruccia un botto e me devo annà a’nfrattà, che me dai ‘e chiavi d’a machina?”
“A Dome’, pulisci bbene e ricordate de ‘sto favore!”
“Me ricordo de ‘sto cazzo, aaa Nino!” disse ridendo e con le chiavi ormai in mano.
Prende per mano la moretta e se la trascina dietro, esce dalla discoteca dalla porta di servizio e va per strada: buio pesto anche là, dato che tutti i lampioni intorno erano stati fatti saltare dal lancio dei sassi, che era lo sport preferito di coatti, loschi e spacciatori, tutta gente che ama il buio per farsi gli stramaledetti comodi loro.
La porta in macchina e ricominciano a pomiciare con intenso trasporto.
Poi lui si sbottona i pantaloni e tira fuori l’attrezzo bene in tiro, la moretta l’agguanta con una mano e comincia a smanettare, poi, presa dall’entusiasmo, si tuffa con la faccia sopra e comincia a spompinare. Un gran lavoro: su e giù con la testa piena di ricci, mugolii, risucchi, una virtuosa del pompino.
Domenico allunga il braccio e con la mano destra le abbassa la mutandina, ribalta la ragazza che ha mollato il lavoro con la bocca e la mette a pecora.
Ha il cazzo tutto insalivato e lo punta sulla vulva umida, spinge e anche lei cerca di dirigerselo meglio che può con la manina. Sul sedile posteriore della Lancia Thema si sta comodi da seduti, un po’ meno quando si scopa, e i due fanno qualche contorsione, anche se, alla fine, l’ingroppata prende ritmo e sostanza. Lui ansima e lei si scuote tutta e geme, come anche le sospensioni della macchina.
“Ahhh… ‘mazzate che nerchia che c’hai, me stai a spaccà… Ahhh!!!”
“Piegate de più, che me fai spigne mejo… Daje che te apro…”
Si divertono per una buona mezz’ora poi lei viene e lui, prima di esplodere, la rivolta e le viene in bocca. Lei ingoia mugolando soddisfatta.
“Bbrava, bbrava, ma ‘o sai che sotto ‘a luce da luna, t’ho visto che c’hai proprio un ber culo? Du’ chiappe tonde e sode!”
“Aho! Che porcone! Nun è che te piaciono ‘e zozzerie?”
“Te che dici?”
“Io te ‘o darebbi, ma leccame prima er bucietto per bene… c’ho paura che me fai male… Co’ tutta ‘sta nerchia che c’hai…”
“Nun te preoccupa’… Vie’ qua!”
La rigirò, la mise in ginocchioni, con le chiappe in alto e cominciò a leccare quel bendiddio: “sorca e bucietto…” La moretta gorgheggiava come un usignolo e lui usò le dita per preparare meglio la strada.
Poi la montò. Non fu facile entrare, nonostante tutta la preparazione, ma poi cominciarono a sincronizzare gemiti e movimenti. Più sincroni che nel ballo.
Domenico ci dava dentro, le aveva alzato il vestito e palpava il bel corpicino a piene mani, nel mentre spingeva come un ossesso. Anche lei cominciò a scatenarsi: mugolava, si scuoteva adattando il suo dimenarsi ai colpi di lui ed ebbe un orgasmo che impressionò Domenico che, molto esaltatosi per la risposta di lei, a sua volta, venne a dismisura e le allagò il culo.
“Oddio, me sa che mo’ sporcamo tutta ‘a machina…
“Apri er cassetto là, davanti ar cambio, svelta…” le dice Domenico.
“Tu accenni a luce, però, nun se vede ‘n cazzo…”
Domenico accende la luce a lato, per vedere se lei ha asciugato tutto, se non ha sporcato il sedile e spalanca gli occhi…
“Aho… ma che sei Sonia? Li morta’!!! Li mortacci tua!!!"
“Domenico???”
Silenzio di tomba per qualche attimo…
Sonia è la sorella di Licia, la moglie di Domenico, che pensa che lui, di notte, sia a lavorare come guardia giurata.
“Aho… ma come te sei vestita e truccata? Eppoi… tutti ‘sti ricci! Nun pari manco te, pari ‘na zoccoletta! Ma che nun mai visto ch’ero io?”
“Nun t’ho visto no, Dome’. Stavi tutto mpettito che me parevi più arto, ar bujo, er capello tutto liscio e tirato, 'a giacchetta lucida, parlavi che sembravi uno ‘struito…” Disse lei arrabbiata.
“Ma che parlavo… che m’hai ficcato subbito ‘na sola n’bocca! ‘Sta zoccola… ‘A sorella de mi moje…”
Silenzio di tomba, stavolta per un minuto buono…
“Aho… però, a Sonia! M’hai fatto fa a mejo scopata d’a vita mia… te ggiuro...”
“Pur’io, a Dome’… pur’io.” E sembrava che la ragazza si dovesse mettere a piangere da un momento all'altro.
“A Sonia, certo però, che…” E allungò la mano, le strinse una coscia, poi con l’altra la prese per un fianco, se l’avvicinò. La baciò e lei rispose con molto trasporto.
“A Sonia, ma chi lo va a di’ a tu sorella?”
“Certo che no, a Dome’ e chi lo va a di'? Io manco morta...” disse lei, nel mentre si toglieva di nuovo le mutandine.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La motivazioneracconto sucessivo
La strategia azzardata
Commenti dei lettori al racconto erotico