Il caffè l'offre la casa
di
Chicken1973
genere
voyeur
La cameriera era stata inaspettatamente gentile.
Weekend di ponte lungo, la richiesta di un semplice caffè in mezzo al caos di turisti domenicali, in un qualsiasi ristorante della città, sarebbe stata accolta con un acido disprezzo.
Il suo sorriso, incastonato nella sobria richiesta di pazientare qualche secondo, mi colse di sorpresa, quindi, alla stessa maniera dell’inaspettato caldo sole estivo in quella giornata di novembre.
Inaspettato era anche il luogo: un rifugio di montagna nel sud del Lazio, addossato alle brulle rocce da una parte, affacciato su un luminoso golfo di mare puntellato di isole dall’altra: alle spalle, aridi fianchi scoscesi esposti al sole; davanti, una scintillante distesa d’acqua.
“Non si preoccupi, capisco la situazione, ne approfitto per usare la toilette.”
“Faccia pure, sono da lei in un minuto con il suo caffè” scivolando nella sala accanto, le mani e le braccia occupate da piatti con carni e verdure.
L’unico bagno disponibile era incredibilmente libero, così come incredibile era trovarlo in condizioni più che decenti visto il numero di avventori e l’aria selvaggia del rifugio di montagna, mattonelle bianche e azzurre e rubinetteria moderna, solamente l’inconveniente di non poter bloccare la porta, vista la mancanza di chiavi o chiavistelli.
Feci i miei bisogni più velocemente possibile, per evitare di essere colto nell’imbarazzo da altri clienti, per accostarmi poi al lavandino per lavarmi le mani.
E proprio in quel momento, entrò la cameriera, con il suo sorriso, i capelli raccolti in una coda abbandonata sulla sua schiena, una tazzina in mano.
“Il suo caffè.”
Il mio sguardo sconcertato non sembrò turbarla, ma si affrettò ad aggiungere: “con una giornata così, non sono riuscita ancora ad andare al bagno: lei può rimanere, ci metterò un secondo.”
Con il tallone sposta un cuneo di legno sul pavimento, invisibile fino ad un attimo prima, che va a bloccare la porta.
Mi porge la tazzina.
Muto l’accetto, insieme ad una bustina di zucchero.
La cameriera mi supera per raggiungere il water.
Si slaccia i jeans sotto la maglietta bianca, li porta alle caviglie, abbassa le mutandine azzurre alle ginocchia , rimanendo con il pube peloso all’aria.
“beva che si raffredda!” mi incoraggia con uno sguardo obliquo.
Ubbidisco, porto la tazzina alla bocca, senza neanche versare lo zucchero, lo sguardo fisso su di lei, che si china.
Il caffè raggiunge la mia lingua, buono, non bruciato né acido come spesso è quello dei bar; il rumore della sua pipì viene a carezzare il mio udito, assieme ad un suo sospiro soddisfatto, occhi chiusi, un mugolio incontrollato.
Attimi infiniti, il gusto sulla mia lingua, il suo corpo alla mia vista, la sua pisciata che risuona come un concerto di arpa e violini, rimbalzando sulle pareti riflettenti delle mattonelle.
Riapre gli occhi e mi guarda con un sorriso.
“la ringrazio della pazienza non ce la facevo più!”
Si pulisce in mezzo alle cosce con la carta, tira lo sciacquone, si rimette in ordine mutandine e pantaloni, con un leggero colpo del fianco sul mio ventre si fa spazio davanti al lavandino e si lava le mani.
“Il caffè l’offre la casa.”
Una carezza sulla mia guancia con la mano con cui si era appena carezzata le intimità, mi stampa un bacio sulle labbra, con la lingua ne assaggia il sapore sulla mia lingua.
Poi con la punta del piede dà un calcetto al cuneo di legno e sblocca la porta, aprendola ed affrettandosi fuori.
“lasci la tazzina sul bancone, per favore. E torni presto!”
La vedo sparire dalla cornice della porta, un buon sapore di caffè e labbra di donna sulla mia bocca, il suono della sua pipì ancora nelle mie orecchie.
Weekend di ponte lungo, la richiesta di un semplice caffè in mezzo al caos di turisti domenicali, in un qualsiasi ristorante della città, sarebbe stata accolta con un acido disprezzo.
Il suo sorriso, incastonato nella sobria richiesta di pazientare qualche secondo, mi colse di sorpresa, quindi, alla stessa maniera dell’inaspettato caldo sole estivo in quella giornata di novembre.
Inaspettato era anche il luogo: un rifugio di montagna nel sud del Lazio, addossato alle brulle rocce da una parte, affacciato su un luminoso golfo di mare puntellato di isole dall’altra: alle spalle, aridi fianchi scoscesi esposti al sole; davanti, una scintillante distesa d’acqua.
“Non si preoccupi, capisco la situazione, ne approfitto per usare la toilette.”
“Faccia pure, sono da lei in un minuto con il suo caffè” scivolando nella sala accanto, le mani e le braccia occupate da piatti con carni e verdure.
L’unico bagno disponibile era incredibilmente libero, così come incredibile era trovarlo in condizioni più che decenti visto il numero di avventori e l’aria selvaggia del rifugio di montagna, mattonelle bianche e azzurre e rubinetteria moderna, solamente l’inconveniente di non poter bloccare la porta, vista la mancanza di chiavi o chiavistelli.
Feci i miei bisogni più velocemente possibile, per evitare di essere colto nell’imbarazzo da altri clienti, per accostarmi poi al lavandino per lavarmi le mani.
E proprio in quel momento, entrò la cameriera, con il suo sorriso, i capelli raccolti in una coda abbandonata sulla sua schiena, una tazzina in mano.
“Il suo caffè.”
Il mio sguardo sconcertato non sembrò turbarla, ma si affrettò ad aggiungere: “con una giornata così, non sono riuscita ancora ad andare al bagno: lei può rimanere, ci metterò un secondo.”
Con il tallone sposta un cuneo di legno sul pavimento, invisibile fino ad un attimo prima, che va a bloccare la porta.
Mi porge la tazzina.
Muto l’accetto, insieme ad una bustina di zucchero.
La cameriera mi supera per raggiungere il water.
Si slaccia i jeans sotto la maglietta bianca, li porta alle caviglie, abbassa le mutandine azzurre alle ginocchia , rimanendo con il pube peloso all’aria.
“beva che si raffredda!” mi incoraggia con uno sguardo obliquo.
Ubbidisco, porto la tazzina alla bocca, senza neanche versare lo zucchero, lo sguardo fisso su di lei, che si china.
Il caffè raggiunge la mia lingua, buono, non bruciato né acido come spesso è quello dei bar; il rumore della sua pipì viene a carezzare il mio udito, assieme ad un suo sospiro soddisfatto, occhi chiusi, un mugolio incontrollato.
Attimi infiniti, il gusto sulla mia lingua, il suo corpo alla mia vista, la sua pisciata che risuona come un concerto di arpa e violini, rimbalzando sulle pareti riflettenti delle mattonelle.
Riapre gli occhi e mi guarda con un sorriso.
“la ringrazio della pazienza non ce la facevo più!”
Si pulisce in mezzo alle cosce con la carta, tira lo sciacquone, si rimette in ordine mutandine e pantaloni, con un leggero colpo del fianco sul mio ventre si fa spazio davanti al lavandino e si lava le mani.
“Il caffè l’offre la casa.”
Una carezza sulla mia guancia con la mano con cui si era appena carezzata le intimità, mi stampa un bacio sulle labbra, con la lingua ne assaggia il sapore sulla mia lingua.
Poi con la punta del piede dà un calcetto al cuneo di legno e sblocca la porta, aprendola ed affrettandosi fuori.
“lasci la tazzina sul bancone, per favore. E torni presto!”
La vedo sparire dalla cornice della porta, un buon sapore di caffè e labbra di donna sulla mia bocca, il suono della sua pipì ancora nelle mie orecchie.
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