La ragazza dalla pelle di seta e gli occhi roventi - I parte
di
IlCavaliereOscuro
genere
etero
Le cose succedono per caso e la maggior parte delle volte nelle quali accadono così ti entrano dentro per poi trascinarti via. Questa è una di quelle volte, dove sì, mi è entrata dentro e mi ha trascinato via, anche se non sono ancora riuscito ad ammetterlo, nemmeno a me stesso.
E' iniziato con un gioco di sguardi, i suoi, pieni di giovinezza, passione e desideri inespressi e i miei, un po' più adulti, alle volte provati ma ancora curiosi. Il tempo passato insieme ci ha portato a condividere gioie e dolori del momento, facendoci forza, confidandoci ma mai andando oltre quel sottile ed invisibile confine che divide le persone, fino a quando quel tempo da dedicare ad un progetto è terminato.
Gli sguardi sono iniziati lì, ne sono consapevole ora e quegli istanti mi si sono scolpiti nella mente come uno scalpello che scolpisce la pietra. Le battute che ci facevamo ci portavano a guardarci, a stare in silenzio per un attimo scrutando l'uno negli occhi dell'altra quello che vi si agitava dietro, i pensieri più reconditi che si celavano nelle nostre menti annebbiate dalla stanchezza.
La guardavo e lei mi guardava, giovane ragazza dalla pelle di seta. Il suo sopracciglio alzato mi procurava dei fremiti, dei pensieri che non riuscivo a capire, il suo corpo nascosto da un lungo vestito mi dava l'idea di forme che non potevo vedere e che non avrei potuto ammirare. Le sue frecciatine ci misero poco a fare breccia nella corazza che negli anni ho costruito intorno a me per evitare situazioni ambigue, spinose, scomode, dovuta al fatto di essere già impegnato come d'altronde lo era lei. E con l'andare del tempo ho perso l'abitudine al gioco, al corteggiamento ricevuto, tanto da non voler cogliere quei segnali inequivocabili di interesse da parte di un'altra persona.
Ma nel momento in cui la sua mano si era posata sulla mia gamba i dubbi venivano dissipati e spazzati via in un attimo di consapevolezza. La sentivo, bruciante attraverso la stoffa dei jeans, e anche quando la tolse continuavo a sentire il calore che emanava. Bastò quella, bastò una mano sulla gamba, per farmi capire realmente quello che fino ad allora era rimasto celato in mezzo agli sguardi e ai silenzi.
Le frecciatine diventarono colpi di cannone contro le mura della mia resistenza. I suoi sguardi si facevano sempre più languidi, carichi di desiderio, e così i miei. La guardavo, la scrutavo, osservavo i suoi movimenti ed immaginavo quel corpo morbido, la pelle sotto le mie carezze, sotto le mie mani e cariche di desiderio di toccare l'infinito e riempire i miei occhi di quella vista che mi era preclusa.
Le occasioni nelle quali rimanevamo soli aumentavano. Le facevamo aumentare, le organizzavamo meticolosamente nei ritagli di tempo di entrambi. Sapevamo che era pericoloso ma la cosa non ci importava ma anzi ci piaceva, ci eccitava. Eravamo entrambi due mine pronte ad esplodere in una situazione rovente. Parlavamo, ci guardavamo. Dentro di me urlava la frustrazione di non poter lanciarmi addosso a lei, come desideravo e sapevo che desiderava, mi tenevo a freno faticosamente e lei faceva altrettanto, anche se si vestiva in modo provocante per mettere in risalto il suo seno generoso che mi avrebbe fatto impazzire. Guardavo le sue mani e le immaginavo su di me, intorno a me, ovunque. Nella mia mente vedevo la sua espressione estatica, preda del piacere che avrei potuto darle con le mie mani e la mia bocca. Vedevo le sue gambe avvinghiate a me, le sue mani che graffiavano la mia pelle, la mia bocca piena del suo seno mentre la mia lingua la esplorava e giocava con i suoi capezzoli turgidi, la sua voce ansimante ed il suo respiro affannato. La fantasia correva più veloce della realtà, creando immagini nella mente che mi portavano all'estremo. E lei lo sapeva.
Poi, quasi senza che ce ne rendessimo conto, quasi involontariamente o forse con la piena consapevolezza del desiderio e della passione, ci fu un abbraccio e poi le fantasie diventarono, in parte, realtà infuocata.
[Continua]
E' iniziato con un gioco di sguardi, i suoi, pieni di giovinezza, passione e desideri inespressi e i miei, un po' più adulti, alle volte provati ma ancora curiosi. Il tempo passato insieme ci ha portato a condividere gioie e dolori del momento, facendoci forza, confidandoci ma mai andando oltre quel sottile ed invisibile confine che divide le persone, fino a quando quel tempo da dedicare ad un progetto è terminato.
Gli sguardi sono iniziati lì, ne sono consapevole ora e quegli istanti mi si sono scolpiti nella mente come uno scalpello che scolpisce la pietra. Le battute che ci facevamo ci portavano a guardarci, a stare in silenzio per un attimo scrutando l'uno negli occhi dell'altra quello che vi si agitava dietro, i pensieri più reconditi che si celavano nelle nostre menti annebbiate dalla stanchezza.
La guardavo e lei mi guardava, giovane ragazza dalla pelle di seta. Il suo sopracciglio alzato mi procurava dei fremiti, dei pensieri che non riuscivo a capire, il suo corpo nascosto da un lungo vestito mi dava l'idea di forme che non potevo vedere e che non avrei potuto ammirare. Le sue frecciatine ci misero poco a fare breccia nella corazza che negli anni ho costruito intorno a me per evitare situazioni ambigue, spinose, scomode, dovuta al fatto di essere già impegnato come d'altronde lo era lei. E con l'andare del tempo ho perso l'abitudine al gioco, al corteggiamento ricevuto, tanto da non voler cogliere quei segnali inequivocabili di interesse da parte di un'altra persona.
Ma nel momento in cui la sua mano si era posata sulla mia gamba i dubbi venivano dissipati e spazzati via in un attimo di consapevolezza. La sentivo, bruciante attraverso la stoffa dei jeans, e anche quando la tolse continuavo a sentire il calore che emanava. Bastò quella, bastò una mano sulla gamba, per farmi capire realmente quello che fino ad allora era rimasto celato in mezzo agli sguardi e ai silenzi.
Le frecciatine diventarono colpi di cannone contro le mura della mia resistenza. I suoi sguardi si facevano sempre più languidi, carichi di desiderio, e così i miei. La guardavo, la scrutavo, osservavo i suoi movimenti ed immaginavo quel corpo morbido, la pelle sotto le mie carezze, sotto le mie mani e cariche di desiderio di toccare l'infinito e riempire i miei occhi di quella vista che mi era preclusa.
Le occasioni nelle quali rimanevamo soli aumentavano. Le facevamo aumentare, le organizzavamo meticolosamente nei ritagli di tempo di entrambi. Sapevamo che era pericoloso ma la cosa non ci importava ma anzi ci piaceva, ci eccitava. Eravamo entrambi due mine pronte ad esplodere in una situazione rovente. Parlavamo, ci guardavamo. Dentro di me urlava la frustrazione di non poter lanciarmi addosso a lei, come desideravo e sapevo che desiderava, mi tenevo a freno faticosamente e lei faceva altrettanto, anche se si vestiva in modo provocante per mettere in risalto il suo seno generoso che mi avrebbe fatto impazzire. Guardavo le sue mani e le immaginavo su di me, intorno a me, ovunque. Nella mia mente vedevo la sua espressione estatica, preda del piacere che avrei potuto darle con le mie mani e la mia bocca. Vedevo le sue gambe avvinghiate a me, le sue mani che graffiavano la mia pelle, la mia bocca piena del suo seno mentre la mia lingua la esplorava e giocava con i suoi capezzoli turgidi, la sua voce ansimante ed il suo respiro affannato. La fantasia correva più veloce della realtà, creando immagini nella mente che mi portavano all'estremo. E lei lo sapeva.
Poi, quasi senza che ce ne rendessimo conto, quasi involontariamente o forse con la piena consapevolezza del desiderio e della passione, ci fu un abbraccio e poi le fantasie diventarono, in parte, realtà infuocata.
[Continua]
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