L’s story. Capitolo 1/C (esame superato!)

di
genere
dominazione

Sono seria. Mi sto davvero applicando a pensare quello che dice, non sorrido più. Penso a ogni parola e, inspiegabilmente, mi bagno.
A. “Sembri di natura davvero docile. Cosa hai provato?”
Silenzio. Ero ancora una volta rossissima.
A. “Ho capito cosa hai provato. E credo che l’abbia capito anche tu”.

Abbasso lo sguardo di nuovo: ha capito e io provo tanta vergogna per le reazioni del mio corpo. Tento di lottare contro me stessa. Non voglio accettare quello che sto intuendo. Non voglio accettarmi.
A. “Comincio a pensare che Luigi abbia saputo capire più cose di te che tutti quelli a cui sei stata fidanzata in questi anni, anzi... di tutti quelli che ti hanno usata e scopata”.
È stato volgare per mettermi alla prova, ne sono sicura. Rimango zitta, chino il capo e mi accorgo che i capezzoli mi sono diventati durissimi e sporgono osceni.

A. “Lo capisci adesso perché ti ha chiesto di venire da me?”.
Silenzio ancora. Apprezzo ancora la sua delicatezza: non vuole infierire, ci va piano con me, valuta ogni mia reazione. Ora mi tratta come un fiore raro e delicatissimo: capisce che bastava niente a spaventarmi o sciuparmi.
A. “Sii sincera adesso: ti sei mai sentita inferiore?”.
Silenzio.

A. “Adesso basta – alza forse volutamente la voce – rispondi!”
L. “Sì”.
A. “Sì cosa?”
L. “Sì, ho sempre avuto soggezione degli uomini, mi sono sempre sentita inferiore, signore”.
A. “Perché?”
L. “Non lo so… Penso di non essere intelligente, di non essere abbastanza carina, di non essere mai all’altezza di nulla… io… sono tanto insicura”.
A. “Lo sai cosa mi sembri? Te lo devo dire, altrimenti non ci capiremo. Forse sei una schiava nata: devi tentare di accettarlo razionalmente. Sei sensibilissima, e sarebbe sbagliato forzarti. Devi capirlo da sola. E poi accettarti come sei. È per questo che non ti ho ancora penetrata. E oggi non ti farò mia. Non fino a quando non ti accetterai per quella che sei. Resta giù, lecca il tappeto: chi ti ha detto di muoverti?”.

Ci va pianissimo con me: io lo capisco e lo guardo con meno paura, quasi con riconoscenza. Mi sono sfuggiti due o tre gemiti di piacere mentre lo ascoltavo. Mi viene naturale sorridergli, con tenerezza, con affetto. Ma subito torno col viso a terra, a leccare il tappeto.
A. “Sei stanca?”
L. “Sono piuttosto sconvolta, signore”.
A. “Lo vedo. Ma devo dirti che sei stata proprio brava. Sei una discreta aspirante schiava e perciò ti meriti una carezza, vieni”.

Mi accarezza la testa e i lunghissimi capelli castano chiari. Gli sorrido dolcissima. Lui ricambia.
A. “Mi hai fatto sudare… ma lo ripeto: sei davvero desiderabile, ma non faremo niente di sessuale che tu non voglia, almeno non oggi. Intanto che mi faccio una doccia vai nella camera degli ospiti a riposare una mezz’oretta. Spegnerai la luce e riposerai in ginocchio per terra, sul tappetino scendiletto. Al buio, per tutto il tempo, devi ripensare a quello che hai fatto fino ad ora e alle sensazioni che hai provato”.
L. “Ho capito, signore”
A. “E hai capito lo scopo di questo nuovo esercizio?”
L. “Non lo capisco, signore”.
A. “Ok, ti spiego meglio, ochetta che non sei altro. – Un nuovo sorriso suo - Lo scopo è di farti accettare razionalmente le cose che hai scoperto di te stessa, oggi. Non devi avere vergogna di esserti eccitata a servirmi in ginocchio, né di aver provato piacere a fare da poggiapiedi. Lo so che non è facile ma devi sforzarti di accettare razionalmente che sei nata per fare queste cose e non provare imbarazzo”.
L. “Ci proverò, signore”.
A. “Brava. E quando vedi che non ce la fai ad accettarle, ricomincia a pensare daccapo a tutto quello che hai provato e hai sentito, senza demoralizzarti. Vedrai che ce la farai, ne sono sicuro. Vai adesso”.

Serena, mi alzo e vado a fare come mi ha insegnato. Mi accorgo di sculettare di nuovo, smetto immediatamente! Ma cosa mi sta succedendo? Non è da brava ragazza sculettare.
Sento schiudere la porta dopo un quarto d’ora. È buio e tutto in silenzio. Lui la richiude.

Alla mezz’ora mi chiama dal bagno, dopo poco sono da lui, che sta nudo forse apposta, nel box doccia, tutto bagnato.
Mi inginocchio spontaneamente. Imparo troppo in fretta? Come mai mi viene così spontaneo e naturale?
A. “Come è andata? Sei riuscita?”
Silenzio.
A. “Dai, coraggio, sii sincera, o ti punirò”. Non avevo la minima idea di cosa comporti quel “ti punirò”. Mi faccio forza:

L. “Non credo che sia andata tanto bene, signore”.
A. “Perché?”
L. “Non ce la faccio ad accettare che… insomma… che sono nata così. Ho fatto come ha detto, ho ricominciato tante volte, ma non ce la faccio a pensare che è come ha detto lei”.
A. “Sei stata sincera. Brava. Non sono arrabbiato perché è normale ed è giusto che tu non sia riuscita. Non si perdono anni di educazione in un pomeriggio”.

Gli faccio un bellissimo sorriso di gratitudine, ma ho di nuovo le puntine del seno gonfie, dritte, oscene:
L. “Grazie, signore”.
A. “Se vuoi puoi tornare a casa con tua mamma, ora. So che non sta bene e devi assisterla. E poi avrai i compiti da fare per lunedì, a scuola”.

Ci resto male, malissimo, temo lui lo abbia visto. Mi aspettavo che lui, cioè…
L. “Non… non devo… non vuole… non dobbiamo…?”
A. “Cosa dovremmo, cara schiavetta?”
Gli guardo il corpo nudo, distolgo gli occhi e poi, quando spero non se ne accorga, torno a guardargli il corpo. Ha ancora il sesso totalmente eretto, è molto più virile di Luigi e sicuramente è duro per colpa mia. Non capisco perché non…
L. “Ecco… io… cioè… siccome ha detto che le piacevo… insomma… credevo che…”
A. “Che avremmo fatto l’amore?”, la interruppi.
L. con un filo di voce: “Sì…”.
A. “Ti ho detto prima che come prima volta non avremmo fatto niente che tu non voglia. Puoi fidarti di me. Mantengo la parola”

Abbasso lo sguardo, ma solo aver dato una significativa guardata al suo pene: lo ha gonfio, arrogante, presuntuoso… ma proporzionato e armonioso.
L. “Luigi non mi sgriderà?”, chiedo.
A. “Luigi ti ha affidata a me, e io decido cosa è bene che tu impari e in quanto tempo. Però capisci da sola cosa mi ispiri, vero?”
Con il dito mi indica il suo uccello, per farmi vedere che ha una splendida erezione.
L. “Sì”.
A. “Anche se non lo ammetti sono convinto che oggi ti sia piaciuto tutto. Hai superato ogni attesa, ti ho promosso, potrai tornare sabato prossimo”.
L. “Ho capito”. Ma non avevo il coraggio di chiedere niente.

A. “Vieni qua”. Mi dà una carezza sulla testa e un bacio sulla fronte. “Facciamo così: io finisco di asciugarmi per qualche minuto. Hai il tempo di rivestirti e uscire. Se invece, resterai vestita così e ti troverò in sala, qualcosa faremo”.
Non riesco a controllarmi, sorrido di gioia, faccio di sì con la testa. È bastato un pomeriggio per diventare una svergognata? Ma che donnaccia sono?

Quando torna in salotto mi faccio trovare in ginocchio, eretta, il capo chinato.
Non dice niente, mi passa davanti e accarezza il mio viso… si porta dietro di me.
Delicatamente mi spinge la testa sul tappeto, mi ritrovo a 4 zampe, come una gattina in calore: mi viene spontaneo alzare i fianchi per offrirmi.
Mi palpa la vagina: non c’è bisogno di alcuna preparazione, sono ancora fradicia!

Mi accarezza le autoreggenti nere, mentre appoggia la puntona alla mia fessurina depilata.
Sospiro e gemo, sottovoce.
Spinge.
Quel cosone entra subito, come nell’olio.
Mugolo.
Comincia a muoversi dentro di me… Mette le mani sui miei fianchi, li accarezza gentilmente… ma per prendermeli in modo fermo dopo poco.
L. “Oh… ooohhh… siiiii!”.

Sono venuta. Di nuovo. Il mio corpicino scosso dai tremiti dell’orgasmone. Miagolo come una gattina bianca in calore.
Lui non capisce più niente. Inizia a sbattermi forte, cercando di spingere per farlo entrare tutto: capisco che me lo sono meritata.
A. “Brava… bravaaa… bravaaaaa!”

I colpi mi fanno sussultare. L’orgasmo continua. Mi tengo aggrappata al tappeto, mentre sento il suo respiro farsi sempre più affannoso.
E mugolo. Anzi, forse miagolo: piano, piano, quasi sottovoce, ma in continuazione, come un canto d’amore.
A. “Brava, non stai fingendo, sembri creata per questo.”
L. “Oh… ooohhh… siiiii!”.

Ho avuto un altro orgasmo, il terzo di quel pomeriggio.
Non capisce più niente: porta le mani a strizzarmi le tettine, mentre i colpi dietro diventano forti, quasi violenti.

Poi ad un tratto, mi sento prendere e voltare. Capisco subito cosa devo fare.
Svelta, mi inginocchio e apro la bocca, pronta ad accogliere il suo seme, il segno del gradimento del mio nuovo padrone.
Il getto caldo mi colpisce in pieno viso, e sento le grosse gocce appiccicaticce coprirmi le guance e gli occhi.
È venuto un mare.
A. “Come si dice?”, chiede sorridendomi.
L. “Grazie signore”, rispondo spontaneamente, tornando rossa in viso ma felice e sorridente.
A. “Brava, sei proprio una brava bambina”, e prende un fazzolettino perché mi pulisca.
Con la mano tento una prima pulitura, poi apro gli occhi e lo osservo: bello, alto, sicuro di sé… è crollato sul divano.

A. “Vai adesso, farai tardi. Dico tutto io a Luigi, Ci vediamo sabato alla stessa ora. Vieni vestita esattamente come oggi”.
Mi alzo traballando. Sono un po’ intontita, ma ormai sicura di una cosa: ce la metterò tutta per imparare.
Mi ricompongo… non mi accompagna alla porta.

Continua
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2022-12-12
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