Celestino Cap .: II Cap.: XVI Sevizie
di
Andrea10F09
genere
bondage
Avendo modificato nickname per non riuscire a pubblicare, ora ripropongo i vecchi racconti corretti e completati con il nuovo nome.
Celestino
Cap II: Sorpresa
In viaggio, a causa dei ricordi, si era bagnato; lo si poteva costatare da una grande chiazza sui suoi calzoni. Si vergognava, poiché si sentiva anche impelagato e unto. Mancava la mamma a risolvere quel problema e la fuga in costume adamitico per un bagno alla sorgente. Voleva nascondersi.
Perché il babbo non lo voleva? Che cosa aveva commesso, che colpe aveva per non fargli vedere la sua casa e i suoi? Lo scrivere poco, … due … tre volte l’anno era motivo sufficiente? … poteva essere diventato un estraneo per la sua famiglia? Tutte domande cui non riusciva a dare risposta.
Perché … e cosa doveva fare? Che cosa significava essere docili, miti, condiscendenti e arrendevoli? Seduto, pensoso e assorto, con una fettina di dolce in mano in quella carrozza nera, scoperchiata, chiusa, con il padrone vestito di bianco e altri due giovani di fronte, che non aveva ancora osservato in viso, soffriva e si angosciava. Costoro erano coperti di sole braghexse, rattoppate e unte in vari punti, chiuse in vita da un laccio e con un’apertura anteriore non ben chiusa. Mangiava male con le lacrime agli occhi per non aver visto la mamma e il nonno. Aveva perso anni di affetti familiari e nel momento in cui si stava per riappropriarsi dei luoghi della sua infanzia, il destino lo allontanò negandogli sogni, ricordi e riflessioni.
“Seestin, … oh, … oh … Seestin svejia, … svejia …!”
Un’azione decisa, con presa su un braccio, riportò alla realtà il ragazzo facendogli alzare il volto verso l’uomo che lo strattonava e lo chiamava in gergo locale per nome.
“Ehhhh, … eh … Romeo! … ehh …”!
Girando lo sguardo vide l’altro, il cugino Roberto. Gli si aprì l’anima, … era con il fratello maggiore e il cugino con cui in una serata invernale nella stalla, durante un fiò, aveva lottato mettendolo sotto, tra lo strame delle bestie per imbrattarsi entrambi di escrementi. Si tranquillizzò un po’.
“Che fate qui …? … anche voi … lavorate da …” indicando con l’indice il conte. I due non risposero, poiché erano intenti a togliersi le braghe che collocarono dietro di loro. Il giovane si buttò tra le braccia dei germani, piangendo di gioia per aver trovato volti familiari.
“Ooh … ohoh … su … su … che ghemo da prepararte e farte conoscer. … Su ... sta ritto … in pie e … vardame … a dopo i basi! …” sollecitò Romeo
Il conte osservava. Uno dei cocchieri si era girato per esaminare, … ammirare la scena, mentre l’altro teneva le briglie. La carrozza, aperta per permettere a possibili viandanti di osservare e salutare i suoi passeggeri, andava sulla strada polverosa e per niente frequentata. Dei cani ogni tanto incalzavano i cavalli abbaiando al loro passaggio. Alcune sacche sul manto stradale facevano traballare saltuariamente il landò, provocando la perdita di equilibrio ai tre agganciati nei saluti e intenti a farsi conoscere tra l’ilarità nervosa e angosciata di Celestino. Finalmente rideva con lacrime agli occhi.
Romeo ottenne la sua attenzione con ordini secchi e indicativi, che non permettevano esitazioni o negazioni.
“Vardame! … ehiii, … stemo parlando co ti … anca ti come noialtri! … nudooo, … nudoooooo, … nudoooooooooooooo! … gheto capio?”
Romeo, da seduto, aveva portato una mano tra le sue gambe, stringendo forte la zona perineale dello studente, mentre con l’altra, abbracciatolo, lo attirava a sé schiacciandogli testicoli e asta. Sorpresa, dolore e piacere lo fece inclinare verso Roberto, intento costui a sciogliere i legacci della sua camiciola. Massaggiandolo tra le sue intimità riuscirono con movimenti sbrigativi a togliere con una certa facilità gli indumenti, dei quali due bagnati dei suoi umori versati poco prima.
Che facevano.
Il ragazzo cercava di fermare quelle mani, ma le sensazioni di benessere, di piacere glielo impedivano, anzi … Finalmente sfilate le scarpe con i calzini e levata la camicia, egli fu fatto girare verso il conte perché lo esaminasse e lo contemplasse per gustarlo con gli occhi e con l’olfatto. Ora era a disagio provocato da quello sguardo che lo spogliava e lo analizzava accuratamente dalla testa ai piedi in silenzio e da quelle mani che scivolavano o insistevano per conoscerlo nelle sue aree intime molto erogene, mai viste, dal primo giorno del collegio da alcuno.
Romeo, presolo, fattolo sollevare e abbracciatolo, gli inserì la sua lingua in bocca per un bacio incestuoso, voluttuoso … carnale, mentre Roberto gli lacerava le brache e la canotta, facendoli cadere ai suoi piedi. Un corpo glabro, armonioso, flessibile e agile, lattescente per non aver preso mai il sole, in ritardo puberale, senza peli, senza macchie e striature, tonico, con glutei tondi, morbidi, sodi e bianco- rosato apparve agli indagatori e agli spettatori. I fratelli avevano fatto notare, ridendo, il membro teso in posizione verticale, il versamento e le continue polluzioni che ora il piccolo aveva e che si fermavano sulle mutandine lacerate rimastegli ancora allacciate.
“Bon sangue no conta busie, … sior conte! El varde qua, … el continua ancora, … el me piase anca a mi … e meo baso, sior, … el ga da imparar! …”
Un salto della carrozza fece perdere l’equilibrio al ragazzo che capitombolò con Romeo a fianco del suo datore di lavoro, mentre Roberto gli massaggiava assiduamente il busto, le natiche sino allo sfintere anale e … attraverso la zona perineale al pene usando anche la lingua, con le mani che gli allargavano i glutei. Il ragazzo sospirava e chiedeva di essere lasciato stare. Si vergognava, non sapeva niente di ciò che subiva, ma era molto piacevole e avvincente ciò che gli facevano, appagante di un bisogno che non aveva percepito sino allora. Erano quasi arrivati alla fattoria, che Celestino irrigidendosi, affossandosi e sussultando, con il viso schiacciato sul pube di Romeo, versò nelle mani di Roberto i suoi liquidi seminali, mentre il fratello maggiore veniva sul suo viso versandogliene anche in bocca. Il cugino, dopo avergli sparso lo sperma che teneva nelle mani sul torace e sull’addome, versò il suo nettare, spalmandolo, sui glutei e sul solco perineale del liceale, con fisico da preadolescente, sotto gli sguardi del conte e di un conducente.
La sua biancheria fu consegnata e ceduta al cocchiere che guardava bramoso, eccitato e turbato. Celestino, in piedi, sostenuto dai parenti, si copriva i genitali imbrattati di liquidi seminali; guardandoli si accorse che erano ignudi e che dal loro fallo eccitato uscivano filamenti lattiginosi. Le sue mani furono accompagnate sulle aste dei familiari per prendere confidenza con lo strumento che avrebbe dovuto in seguito conoscere, amare e venerare, mentre una mano di entrambi tastava lascivamente in modo depravato e osceno la sua apertura posteriore eccitandolo nuovamente in modo di fargli allargare le gambe per permettere un più facile passaggio alle loro dita invadenti e curiose. Si appoggiava alle spalle dei due per non cadere.
Ascoltava quello che doveva fare e svolgere in quella fattoria; quali erano i suoi compiti e per quale motivo era stato assunto; che, facilmente, non sarebbe più tornato in collegio. Doveva dare piacere a tutti quelli che lo richiedevano e per dar godimento doveva imparare a servirsi e saper utilizzare il proprio fisico. Docile, mite, accondiscendente, disponibile, sereno erano aggettivi detti dal padre e che ora gli ripetevano costantemente. Mai doveva dare risposte negative, pena il subire delle punizioni in pubblico. Non doveva fare differenze tra un essere e un altro, poiché sempre era donare ed elargire piacere e amore. Tutto il suo fisico doveva essere a disposizione di chi lo desiderava, niente escluso.
La carrozza si arrestò in una grande aia. Il conte si trattenne con il fattore per la consegna delle disposizioni per il nuovo arrivato. Gli aiutanti di quell’ampia fattoria presenti al suo arrivo scrutavano minuziosamente quel giovane delicato e imberbe, sognando e sponsorizzando la loro partecipazione alla sua iniziazione e di averlo in un prossimo futuro come loro compagno di divertimento. Gli aurighi, esaltati ed eccitati dalle scene precedenti, chiesero di irrorare il nostro del loro copioso godimento.
Celestino, non più eccitato, presa coscienza di trovarsi scalzo e rivestito unicamente con lo straccio lacerato davanti a persone sconosciute, che lo scrutavano e lo contemplavano, vergognandosi, cercava di nascondere i genitali permeati di sperma suo e di altri. Spinto dal fattore e obbligato a tenere le braccia lungo il corpo, fece il giro dell’aia per essere mirato ed esaminato apertamente e morbosamente da tutti.
Sapeva, dalle istruzioni ricevute durante il percorso in carrozza, che doveva entrare nella stalla e che questa per un po’ di tempo sarebbe stata la sua camera da letto e il suo luogo di apprendimento per il lavoro, cui era stato destinato e chiamato. La sua iniziazione era già stata avviata, da quando lo issarono e lo misero in quel calesse scoperchiato, dai due suoi parenti che, colà, lavoravano come stallieri e forse …
Remissivo, docile ma scosso e turbato, osservò con lacrime agli occhi il luogo destinatogli per il suo dormire tra le mucche. Il fattore gli diede anche una coperta, utilizzata per i parti, affinché quella sua pelle liscia e rosata non fosse deturpata da pagliuzze o da scaglie di fieno. Gli portarono una frugale cena con del latte appena munto assieme a delle pillole. Attesero che terminasse, per chiamarlo ad assistere e partecipare a uno spettacolo tra suo cugino e un maturo robusto colono.
Roberto teneva stretto a sé per i glutei l’adulto. Eccitato, impugnava languidamente un fallo abnorme, spuntante dalle braghe, per portarselo voglioso alle labbra, per suggerne la cappella e fargli uscire dal meato delle grosse stille di liquido trasparente e filante. Aspirava quel grosso fungo con continue note di risucchio, se lo sfilava per riprenderlo con soddisfazione. Celestino fu spinto e accostato ai due. Suo cugino lasciò una natica per portare una sua mano sotto lo scroto del giovinetto. Attiratoselo, ne annusava e baciava il pube, ancora unto dagli umori provocati dalle perlustrazioni e dai giochi subiti prima; mentre il responsabile della stalla gli intimava di lasciarsi lambire, prendere, abbracciare e pomiciare.
Il collega e partner del cugino con il pollice destro gli aprì le labbra muovendo lentamente e delicatamente l’indice lungo le arcate dentarie; poi, dopo avergli ricordato che era là per imparare e impratichirsi, gli introdusse la lingua all’interno della bocca per limarlo, mentre una sua mano gli cercava l’erezione. Il ragazzo impastato, palpeggiato, sotto lo stimolo dell’eccitazione, rispondeva impacciato, come la sua libido gli suggeriva. La scena attizzava gli astanti, alcuni dei quali aiutarono il compagno a denudarsi, snodando i legacci degli indumenti, per facilitarli il lavoro con quel puro e tenero ragazzino.
“Va zò e ciapa l’usel in ta boca”.
Il bovaro, con l’aiuto di Roberto e dei presenti, desiderosi di vedere la prima fellatio del giovane, fattolo inginocchiare, gli diede “el me suciot” da baciare, pomiciare, succhiare, annusare. Roberto lo seguiva nell’insegnamento spronandolo e dandogli istruzioni a provare e procurare piacere con bocca, viso e mani. Il ragazzo in trance, costretto, presa quella carne calda e dura la umettava con la lingua e baciava inserendosela dentro, ma non riusciva a prenderla tutta, per cui con forza gli fu introdotta sino in fondo alla gola da un presente provocandogli conati e lacrime. La espulse subito tossendo. Gliela reintrodussero. Il cugino, inginocchiato a fianco, lo palpeggiava sino allo sfintere portandolo rapidamente all’estasi dei sensi mentre l’uomo, presagli la testa con una mano, dettava il ritmo della sollecitazione orale.
Il piccolo, mentre s’irrigidiva per l’eiaculazione imminente, sentiva pulsare sempre di più quel fallo, lo sentiva indurirsi e poi … il caldo dello sperma in gola. Celestino, obbligato e impedito deglutì quasi tutto, il resto gli fu raccolto e dato in bocca dalle mani sudice e turpi degli astanti. L’uomo, chinatosi e presolo di forza per i capelli, lo baciò versandogli bave nella cavità orale. Di brutto da una situazione di innocenza e acerbità era stato catapultato senza freni e pudori in una oscena e spinta gang bang, in cui i presenti gli irrorarono il volto e il busto con le loro emissioni.
“Bevi, … bevi … manda xsò, … che sxè bon!” Era bloccato per i capelli e offerto ai doni degli astanti.
Uno dei presenti con una cappella grossa e violacea ammantò il volto dell’iniziando di bianca crema, chiedendogli dopo di pulirgliela; mentre alcuni copiarono il fatto, versando i loro liquidi su tutto quel corpo, altri gliela indirizzarono fra le labbra. Tra un ingoio e un massaggio lascivo con quella panna poté osservare che certuni mettevano la loro mazza nello sfintere del vicino con estrema facilità e da come percepiva e udiva, dando e ricevendo sommo piacere.
Era stanco, ma prima di lasciarlo andare a riposare, lo punirono obbligandolo ad usare la coperta per ripararsi dall’aria e non dallo strame. La paglia gli consigliarono di coprirla con le “boasse” fresche delle mucche, raccolte da lui stesso, sul modo che usava da bambino. Roberto lo aiutò con una carriola, mentre lui le raccattava dalla paglia. Con lo sperma che si rattrappiva sul corpo, puzzolente, con zona perineale e sfinterica irritata da palpeggiamenti e impastamenti avuti, il ragazzo si preparò la lettiera su cui furono sistemate le feci bovine raccolte.
Da disposizioni gli fu tolto lo straccio e messa una gorgiera allacciata a una piccola catena fissata a pavimento, in modo da essere costretto a stare disteso o carponi con le natiche più elevate della testa. Lo stalliere invitandolo a sdraiarsi e coricarsi spontaneamente in quel letto, ridendo, gli diceva che poteva fare i suoi bisogni imitando gli animali. Dopo averlo sollecitato a stendersi in quella melma, sia Roberto che il bifolco responsabile gli urinarono addosso cercandone lo sfintere anale, come fanno di solito i bambini con le mucche quando la fanno nelle serate a “fiò”. Se ne andarono tutti salutandolo con “se vedemo doman, Seestin” e chiusero le porte.
Di mattino era al collegio, alla sera nelle deiezioni di quell’ambiente, riparato dalle mucche da stanghe, ma a loro caldo contatto. Dalla tranquilla oasi senza affetto, dalle lenzuola di iuta a quell’azienda agricola, come oggetto di consumo per tutti quelli che potevano e lo desideravano. Doveva, per aiutare la sua famiglia di provenienza, saper dare tutto quello che uno voleva con il suo corpo … e gli sarebbe piaciuto tantissimo. Da quando fu issato sulla carrozza, per essere portato colà, era sempre stato preso dal piacere e varie volte godette d’intense eiaculazioni. Gli umori che gli erano stati dati e spruzzati in bocca erano caldi e dolci; unico fastidio quel pene spinto troppo in gola, doveva imparare ad aspirarlo tutto sino in fondo senza avere conati. Gli erano piaciute assai le mani perlustranti il suo corpo; anche i baci e quella lingua che grufolava, rovistava e razzolava la sua cavità orale rendendolo remissivo e disponibile a tutto e lo sperma dei testi che colava pigramente sul corpo, che mani leste e spicce utilizzarono come unguento per dei massaggi lascivi.
Per la prima volta tutto quello che aveva subito, lo aveva deliziato, anche la lettiera, perché gli aveva ricordato il suo ruzzolare e immergersi nel fango della “ortassa”, i maiali che là si rotolavano, traendone godimento. Stanco e spossato con il corpo tra gli escrementi e le esalazioni dei bovini, in mezzo alle mucche, si addormentò sul fianco tenendo una mano sulle umide calde narici della vacca vicina.
Sognava di essere coccolato, accarezzato e baciato ovunque dalla sua cara mamma, ma era la lingua della sua amica che gli puliva il viso. Ringraziò sorridendo. Si sentiva umido, sporco e bagnato. Erano le sue feci espulse spontaneamente e la sua piscia che scendeva lentamente verso il curiòl. Il curiòl è il canalino nelle vecchie stalle in cui fluiscono le urine delle bestie e spesso è invaso anche dalle loro deiezioni). (Viene pulito alla sera e al mattino con il riordino dell’ambiente.) Si riassopì.
Celestino
Cap II: Sorpresa
In viaggio, a causa dei ricordi, si era bagnato; lo si poteva costatare da una grande chiazza sui suoi calzoni. Si vergognava, poiché si sentiva anche impelagato e unto. Mancava la mamma a risolvere quel problema e la fuga in costume adamitico per un bagno alla sorgente. Voleva nascondersi.
Perché il babbo non lo voleva? Che cosa aveva commesso, che colpe aveva per non fargli vedere la sua casa e i suoi? Lo scrivere poco, … due … tre volte l’anno era motivo sufficiente? … poteva essere diventato un estraneo per la sua famiglia? Tutte domande cui non riusciva a dare risposta.
Perché … e cosa doveva fare? Che cosa significava essere docili, miti, condiscendenti e arrendevoli? Seduto, pensoso e assorto, con una fettina di dolce in mano in quella carrozza nera, scoperchiata, chiusa, con il padrone vestito di bianco e altri due giovani di fronte, che non aveva ancora osservato in viso, soffriva e si angosciava. Costoro erano coperti di sole braghexse, rattoppate e unte in vari punti, chiuse in vita da un laccio e con un’apertura anteriore non ben chiusa. Mangiava male con le lacrime agli occhi per non aver visto la mamma e il nonno. Aveva perso anni di affetti familiari e nel momento in cui si stava per riappropriarsi dei luoghi della sua infanzia, il destino lo allontanò negandogli sogni, ricordi e riflessioni.
“Seestin, … oh, … oh … Seestin svejia, … svejia …!”
Un’azione decisa, con presa su un braccio, riportò alla realtà il ragazzo facendogli alzare il volto verso l’uomo che lo strattonava e lo chiamava in gergo locale per nome.
“Ehhhh, … eh … Romeo! … ehh …”!
Girando lo sguardo vide l’altro, il cugino Roberto. Gli si aprì l’anima, … era con il fratello maggiore e il cugino con cui in una serata invernale nella stalla, durante un fiò, aveva lottato mettendolo sotto, tra lo strame delle bestie per imbrattarsi entrambi di escrementi. Si tranquillizzò un po’.
“Che fate qui …? … anche voi … lavorate da …” indicando con l’indice il conte. I due non risposero, poiché erano intenti a togliersi le braghe che collocarono dietro di loro. Il giovane si buttò tra le braccia dei germani, piangendo di gioia per aver trovato volti familiari.
“Ooh … ohoh … su … su … che ghemo da prepararte e farte conoscer. … Su ... sta ritto … in pie e … vardame … a dopo i basi! …” sollecitò Romeo
Il conte osservava. Uno dei cocchieri si era girato per esaminare, … ammirare la scena, mentre l’altro teneva le briglie. La carrozza, aperta per permettere a possibili viandanti di osservare e salutare i suoi passeggeri, andava sulla strada polverosa e per niente frequentata. Dei cani ogni tanto incalzavano i cavalli abbaiando al loro passaggio. Alcune sacche sul manto stradale facevano traballare saltuariamente il landò, provocando la perdita di equilibrio ai tre agganciati nei saluti e intenti a farsi conoscere tra l’ilarità nervosa e angosciata di Celestino. Finalmente rideva con lacrime agli occhi.
Romeo ottenne la sua attenzione con ordini secchi e indicativi, che non permettevano esitazioni o negazioni.
“Vardame! … ehiii, … stemo parlando co ti … anca ti come noialtri! … nudooo, … nudoooooo, … nudoooooooooooooo! … gheto capio?”
Romeo, da seduto, aveva portato una mano tra le sue gambe, stringendo forte la zona perineale dello studente, mentre con l’altra, abbracciatolo, lo attirava a sé schiacciandogli testicoli e asta. Sorpresa, dolore e piacere lo fece inclinare verso Roberto, intento costui a sciogliere i legacci della sua camiciola. Massaggiandolo tra le sue intimità riuscirono con movimenti sbrigativi a togliere con una certa facilità gli indumenti, dei quali due bagnati dei suoi umori versati poco prima.
Che facevano.
Il ragazzo cercava di fermare quelle mani, ma le sensazioni di benessere, di piacere glielo impedivano, anzi … Finalmente sfilate le scarpe con i calzini e levata la camicia, egli fu fatto girare verso il conte perché lo esaminasse e lo contemplasse per gustarlo con gli occhi e con l’olfatto. Ora era a disagio provocato da quello sguardo che lo spogliava e lo analizzava accuratamente dalla testa ai piedi in silenzio e da quelle mani che scivolavano o insistevano per conoscerlo nelle sue aree intime molto erogene, mai viste, dal primo giorno del collegio da alcuno.
Romeo, presolo, fattolo sollevare e abbracciatolo, gli inserì la sua lingua in bocca per un bacio incestuoso, voluttuoso … carnale, mentre Roberto gli lacerava le brache e la canotta, facendoli cadere ai suoi piedi. Un corpo glabro, armonioso, flessibile e agile, lattescente per non aver preso mai il sole, in ritardo puberale, senza peli, senza macchie e striature, tonico, con glutei tondi, morbidi, sodi e bianco- rosato apparve agli indagatori e agli spettatori. I fratelli avevano fatto notare, ridendo, il membro teso in posizione verticale, il versamento e le continue polluzioni che ora il piccolo aveva e che si fermavano sulle mutandine lacerate rimastegli ancora allacciate.
“Bon sangue no conta busie, … sior conte! El varde qua, … el continua ancora, … el me piase anca a mi … e meo baso, sior, … el ga da imparar! …”
Un salto della carrozza fece perdere l’equilibrio al ragazzo che capitombolò con Romeo a fianco del suo datore di lavoro, mentre Roberto gli massaggiava assiduamente il busto, le natiche sino allo sfintere anale e … attraverso la zona perineale al pene usando anche la lingua, con le mani che gli allargavano i glutei. Il ragazzo sospirava e chiedeva di essere lasciato stare. Si vergognava, non sapeva niente di ciò che subiva, ma era molto piacevole e avvincente ciò che gli facevano, appagante di un bisogno che non aveva percepito sino allora. Erano quasi arrivati alla fattoria, che Celestino irrigidendosi, affossandosi e sussultando, con il viso schiacciato sul pube di Romeo, versò nelle mani di Roberto i suoi liquidi seminali, mentre il fratello maggiore veniva sul suo viso versandogliene anche in bocca. Il cugino, dopo avergli sparso lo sperma che teneva nelle mani sul torace e sull’addome, versò il suo nettare, spalmandolo, sui glutei e sul solco perineale del liceale, con fisico da preadolescente, sotto gli sguardi del conte e di un conducente.
La sua biancheria fu consegnata e ceduta al cocchiere che guardava bramoso, eccitato e turbato. Celestino, in piedi, sostenuto dai parenti, si copriva i genitali imbrattati di liquidi seminali; guardandoli si accorse che erano ignudi e che dal loro fallo eccitato uscivano filamenti lattiginosi. Le sue mani furono accompagnate sulle aste dei familiari per prendere confidenza con lo strumento che avrebbe dovuto in seguito conoscere, amare e venerare, mentre una mano di entrambi tastava lascivamente in modo depravato e osceno la sua apertura posteriore eccitandolo nuovamente in modo di fargli allargare le gambe per permettere un più facile passaggio alle loro dita invadenti e curiose. Si appoggiava alle spalle dei due per non cadere.
Ascoltava quello che doveva fare e svolgere in quella fattoria; quali erano i suoi compiti e per quale motivo era stato assunto; che, facilmente, non sarebbe più tornato in collegio. Doveva dare piacere a tutti quelli che lo richiedevano e per dar godimento doveva imparare a servirsi e saper utilizzare il proprio fisico. Docile, mite, accondiscendente, disponibile, sereno erano aggettivi detti dal padre e che ora gli ripetevano costantemente. Mai doveva dare risposte negative, pena il subire delle punizioni in pubblico. Non doveva fare differenze tra un essere e un altro, poiché sempre era donare ed elargire piacere e amore. Tutto il suo fisico doveva essere a disposizione di chi lo desiderava, niente escluso.
La carrozza si arrestò in una grande aia. Il conte si trattenne con il fattore per la consegna delle disposizioni per il nuovo arrivato. Gli aiutanti di quell’ampia fattoria presenti al suo arrivo scrutavano minuziosamente quel giovane delicato e imberbe, sognando e sponsorizzando la loro partecipazione alla sua iniziazione e di averlo in un prossimo futuro come loro compagno di divertimento. Gli aurighi, esaltati ed eccitati dalle scene precedenti, chiesero di irrorare il nostro del loro copioso godimento.
Celestino, non più eccitato, presa coscienza di trovarsi scalzo e rivestito unicamente con lo straccio lacerato davanti a persone sconosciute, che lo scrutavano e lo contemplavano, vergognandosi, cercava di nascondere i genitali permeati di sperma suo e di altri. Spinto dal fattore e obbligato a tenere le braccia lungo il corpo, fece il giro dell’aia per essere mirato ed esaminato apertamente e morbosamente da tutti.
Sapeva, dalle istruzioni ricevute durante il percorso in carrozza, che doveva entrare nella stalla e che questa per un po’ di tempo sarebbe stata la sua camera da letto e il suo luogo di apprendimento per il lavoro, cui era stato destinato e chiamato. La sua iniziazione era già stata avviata, da quando lo issarono e lo misero in quel calesse scoperchiato, dai due suoi parenti che, colà, lavoravano come stallieri e forse …
Remissivo, docile ma scosso e turbato, osservò con lacrime agli occhi il luogo destinatogli per il suo dormire tra le mucche. Il fattore gli diede anche una coperta, utilizzata per i parti, affinché quella sua pelle liscia e rosata non fosse deturpata da pagliuzze o da scaglie di fieno. Gli portarono una frugale cena con del latte appena munto assieme a delle pillole. Attesero che terminasse, per chiamarlo ad assistere e partecipare a uno spettacolo tra suo cugino e un maturo robusto colono.
Roberto teneva stretto a sé per i glutei l’adulto. Eccitato, impugnava languidamente un fallo abnorme, spuntante dalle braghe, per portarselo voglioso alle labbra, per suggerne la cappella e fargli uscire dal meato delle grosse stille di liquido trasparente e filante. Aspirava quel grosso fungo con continue note di risucchio, se lo sfilava per riprenderlo con soddisfazione. Celestino fu spinto e accostato ai due. Suo cugino lasciò una natica per portare una sua mano sotto lo scroto del giovinetto. Attiratoselo, ne annusava e baciava il pube, ancora unto dagli umori provocati dalle perlustrazioni e dai giochi subiti prima; mentre il responsabile della stalla gli intimava di lasciarsi lambire, prendere, abbracciare e pomiciare.
Il collega e partner del cugino con il pollice destro gli aprì le labbra muovendo lentamente e delicatamente l’indice lungo le arcate dentarie; poi, dopo avergli ricordato che era là per imparare e impratichirsi, gli introdusse la lingua all’interno della bocca per limarlo, mentre una sua mano gli cercava l’erezione. Il ragazzo impastato, palpeggiato, sotto lo stimolo dell’eccitazione, rispondeva impacciato, come la sua libido gli suggeriva. La scena attizzava gli astanti, alcuni dei quali aiutarono il compagno a denudarsi, snodando i legacci degli indumenti, per facilitarli il lavoro con quel puro e tenero ragazzino.
“Va zò e ciapa l’usel in ta boca”.
Il bovaro, con l’aiuto di Roberto e dei presenti, desiderosi di vedere la prima fellatio del giovane, fattolo inginocchiare, gli diede “el me suciot” da baciare, pomiciare, succhiare, annusare. Roberto lo seguiva nell’insegnamento spronandolo e dandogli istruzioni a provare e procurare piacere con bocca, viso e mani. Il ragazzo in trance, costretto, presa quella carne calda e dura la umettava con la lingua e baciava inserendosela dentro, ma non riusciva a prenderla tutta, per cui con forza gli fu introdotta sino in fondo alla gola da un presente provocandogli conati e lacrime. La espulse subito tossendo. Gliela reintrodussero. Il cugino, inginocchiato a fianco, lo palpeggiava sino allo sfintere portandolo rapidamente all’estasi dei sensi mentre l’uomo, presagli la testa con una mano, dettava il ritmo della sollecitazione orale.
Il piccolo, mentre s’irrigidiva per l’eiaculazione imminente, sentiva pulsare sempre di più quel fallo, lo sentiva indurirsi e poi … il caldo dello sperma in gola. Celestino, obbligato e impedito deglutì quasi tutto, il resto gli fu raccolto e dato in bocca dalle mani sudice e turpi degli astanti. L’uomo, chinatosi e presolo di forza per i capelli, lo baciò versandogli bave nella cavità orale. Di brutto da una situazione di innocenza e acerbità era stato catapultato senza freni e pudori in una oscena e spinta gang bang, in cui i presenti gli irrorarono il volto e il busto con le loro emissioni.
“Bevi, … bevi … manda xsò, … che sxè bon!” Era bloccato per i capelli e offerto ai doni degli astanti.
Uno dei presenti con una cappella grossa e violacea ammantò il volto dell’iniziando di bianca crema, chiedendogli dopo di pulirgliela; mentre alcuni copiarono il fatto, versando i loro liquidi su tutto quel corpo, altri gliela indirizzarono fra le labbra. Tra un ingoio e un massaggio lascivo con quella panna poté osservare che certuni mettevano la loro mazza nello sfintere del vicino con estrema facilità e da come percepiva e udiva, dando e ricevendo sommo piacere.
Era stanco, ma prima di lasciarlo andare a riposare, lo punirono obbligandolo ad usare la coperta per ripararsi dall’aria e non dallo strame. La paglia gli consigliarono di coprirla con le “boasse” fresche delle mucche, raccolte da lui stesso, sul modo che usava da bambino. Roberto lo aiutò con una carriola, mentre lui le raccattava dalla paglia. Con lo sperma che si rattrappiva sul corpo, puzzolente, con zona perineale e sfinterica irritata da palpeggiamenti e impastamenti avuti, il ragazzo si preparò la lettiera su cui furono sistemate le feci bovine raccolte.
Da disposizioni gli fu tolto lo straccio e messa una gorgiera allacciata a una piccola catena fissata a pavimento, in modo da essere costretto a stare disteso o carponi con le natiche più elevate della testa. Lo stalliere invitandolo a sdraiarsi e coricarsi spontaneamente in quel letto, ridendo, gli diceva che poteva fare i suoi bisogni imitando gli animali. Dopo averlo sollecitato a stendersi in quella melma, sia Roberto che il bifolco responsabile gli urinarono addosso cercandone lo sfintere anale, come fanno di solito i bambini con le mucche quando la fanno nelle serate a “fiò”. Se ne andarono tutti salutandolo con “se vedemo doman, Seestin” e chiusero le porte.
Di mattino era al collegio, alla sera nelle deiezioni di quell’ambiente, riparato dalle mucche da stanghe, ma a loro caldo contatto. Dalla tranquilla oasi senza affetto, dalle lenzuola di iuta a quell’azienda agricola, come oggetto di consumo per tutti quelli che potevano e lo desideravano. Doveva, per aiutare la sua famiglia di provenienza, saper dare tutto quello che uno voleva con il suo corpo … e gli sarebbe piaciuto tantissimo. Da quando fu issato sulla carrozza, per essere portato colà, era sempre stato preso dal piacere e varie volte godette d’intense eiaculazioni. Gli umori che gli erano stati dati e spruzzati in bocca erano caldi e dolci; unico fastidio quel pene spinto troppo in gola, doveva imparare ad aspirarlo tutto sino in fondo senza avere conati. Gli erano piaciute assai le mani perlustranti il suo corpo; anche i baci e quella lingua che grufolava, rovistava e razzolava la sua cavità orale rendendolo remissivo e disponibile a tutto e lo sperma dei testi che colava pigramente sul corpo, che mani leste e spicce utilizzarono come unguento per dei massaggi lascivi.
Per la prima volta tutto quello che aveva subito, lo aveva deliziato, anche la lettiera, perché gli aveva ricordato il suo ruzzolare e immergersi nel fango della “ortassa”, i maiali che là si rotolavano, traendone godimento. Stanco e spossato con il corpo tra gli escrementi e le esalazioni dei bovini, in mezzo alle mucche, si addormentò sul fianco tenendo una mano sulle umide calde narici della vacca vicina.
Sognava di essere coccolato, accarezzato e baciato ovunque dalla sua cara mamma, ma era la lingua della sua amica che gli puliva il viso. Ringraziò sorridendo. Si sentiva umido, sporco e bagnato. Erano le sue feci espulse spontaneamente e la sua piscia che scendeva lentamente verso il curiòl. Il curiòl è il canalino nelle vecchie stalle in cui fluiscono le urine delle bestie e spesso è invaso anche dalle loro deiezioni). (Viene pulito alla sera e al mattino con il riordino dell’ambiente.) Si riassopì.
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