Sottomesso del capo e del vice. (Cap.3) La fine del viceve il.mio rapimento.

di
genere
dominazione

Sono in ufficio, come sempre da solo e come sempre il solito orario presto. Sono state due settimane pesanti sia lavorativamente che fisicamente. Il capo questa mattina torna dopo le sue due settimane di vacanze in Sardegna e spero vivamente, con lui, le chiavi della mia gabbia. Nei giorni della sua assenza l’ho sentito con difficoltà al telefono per via della moglie che, chiaramente, è con lui in ferie, ma le poche volte in cui ci siamo parlati sono riuscito a cogliere dalle sua parole il disappunto di avermi lasciato per quelle settimane in mano del responsabile produzione. I suoi resoconti e i miei hanno dato al capo, motivo di irritazione in quanto il suo vice si è allargato troppo sul mio sfruttamento. Dopo la partitella di calcetto extra e l’uso negli spogliatoi, il responsabile produzione ha abusato di me anche tutto il resto della settimana con il socio irruento che era stato ripreso perché mi aveva toppato il naso.
Mi ha rassicurato, quando mi ha mandato il messaggio con scritto domani torno, dicendomi che ci sarebbero stati dei grossi cambiamenti e mi chiede di fissare una riunione al solito orario, nel suo ufficio, per quella mattina, soliti tre partecipanti obbligatori e come titolo “chiusura definitiva commessa 101 condivisa.”
La prima cosa che ho fatto è stata fissare la riunione e appena inviata , teams ha iniziato a squillare. Era il responsabile produzione. Non ne posso più di questo tipo che era passato dall’essere un bel maschio terone e mediterraneo ad essere, ai miei occhi, un viscido appiccicoso e “malato”.
7.20, entro nell’ufficio del capo con due caffè in mano. Per lui il suo adorato macchiato nella sua tazza preferita e una bustina di zucchero a fianco, per il vice un semplice espresso corretto sputo. Ha perso ogni interesse e si, ho prelevato la sua tazza e ci ho sputato dentro. Mentre aspetto finalmente l’arrivo del capo, spero che si sia ricordato di portare le chiavi della gabbia che ormai da quindici giorni o più mi tiene imprigionato. Vero che probabilmente mi avrebbe liberato per mezz’ora e non di più e sarebbero poi partite le chiavi per la Puglia con il viscido vice però almeno quella mezz’ora ero libero un paio di erezioni senza dolore me le sarei fatte volentieri. Poi un pensiero, e se tra le novità e i cambiamenti non partono più le chiavi in Puglia? Magari ha deciso di non condividermi più. Ma chi lo sa. Quindici giorni di gabbia al pisello, il primo periodo lungo senza mai toglierla e senza avere le chiavi in mano. E’ stato difficile ma a lungo andare mi ero dimenticato…..di averla addosso. Ma ora ho bisogni di fargli prendere aria al mio povero cazzo.
Alle 7.25 in punto sento la voce del capo che è già sul pezzo e si sta lamentando di cosa non va e non è andato durante la sua assenza. Mi sposto velocemente davanti alla scrivania in posa da schiavo con le braccia dietro la schiena. L’altra voce era del vice che tentava di dare spiegazioni. Entrato dalla porta resto sorpreso della faccia del capo che mi guarda, fa un grosso sorriso e mi dice: “Ciao frocetto, finalmente ti rivedo e mi riprendo il tuo possesso!” e mentre lo dice allunga la mano con il dorso verso l’alto nella mia direzione. D’istinto involontario faccio una genuflessione come le vecchiette quando entrano in chiesa e gli bacio la mano senza che nessuno mi spiega cosa fare. “Sorprendente come sai già cosa fare senza che ti spieghi o ti dica io come agire. Pare che qui qualcuno è una mezza sega su come farsi capire e rispettare senza dire nulla. Che dici vice?” D’improvviso la faccia del capo diventa del suo solito scuro. Il capo è di origine Sarda, ecco perché era li in ferie, e a discapito di quello che si dice dei sardi non era un “nano” anzi tutt’altro, il nano vicino a lui sono io. Alto un metro e novantotto senza barba, occhi e capelli neri corvino e dopo quelle due settimane un abbronzatura da urlo che risaltava ancora di più avendo addosso una t-shirt bianca che fascia e lascia intravedere pettorali e addominali degni di un dio greco.
Appena si siede alla scrivania, da una rapida occhiata poi mi guarda e dice: “il caffè già pronto, deduco che sia una graditissima opera tua frocetto. Molto bene. Segnatelo nel tuo mansionario al primo punto. Questa cosa deve essere routine di ogni giorno se sono in ufficio. Chiudi la porta e seduti. Tutti e due.”
Mentre vado a chiudere la porta passo a fianco del vice e gli dico: “Qui c’è il tuo caffè.” Indicando la tazza sull’angolo della scrivania.
E mentre sono di spalle d’avanti la porta e chiudo sento la voce del capo che dice: “No! Seduto di la vicino al frocio!” E’ incazzato e dentro di me esultavo perché da quello che mi aveva detto al telefono stavo per sentire le buone notizie che avrebbero sistemato, o addirittura, cambiato le cose.
“Come dice l’oggetto di questa riunione e come ho detto, usciremo da qui con le cose messe bene in chiaro. In questo momento tu sei mio vice quindi raccolgo le tue eventuali note che metti sul tavolo di discussione ma le decisioni ultime spettano solo a me. Va da sé che tu frocetto non hai nessun diritto se non concesso da me! La situazione è grave. Te l’ho affidato e condiviso dal primo giorno perché pensavo di potermi fidare ma non è stato cosi. Se facevo un'altra settimana con la mia signora, tornavo che me lo avevi distrutto! Passi la partita di calcetto, ti avevo dato il permesso anche se siete andati giù pesanti. Ma i giorni successivi non mi sono piaciuti per niente. Non capiterà più che mentre lavoro o sono in ferie o stia facendo chissà che, mi debba preoccupare che una mia proprietà sta venendo usata male. Solo io posso permetterlo. Tutto Chiaro?” Questa volta il tutto chiaro urlato da cattivo non era rivolto a me ma al vice che aveva una faccia altrettanto incazzata e che prova a dire qualcosa: “ ma senti gli accordi erano chiari….” – “Taci! La mia domanda era retorica era un chiaro di circostanza! La risposta è solo una! Quindi ripeto per l’ultima volta: tutto chiaro?”. Con voce scocciata il vice risponde un grugnitissimo si da animale qual è.
Scopro in diretta che di li a una settimana il responsabile produzione se ne va: “Come ben sai lunedì prossimo inizi nell’altro sito, quindi va da se che riporterai comunque direttamente a me. Frocetto non fa più parte dei tuoi sottoposti ne lavorativamente parlando ne per gli extra. Se vuoi te ne trovi uno e te lo usi coma cazzo ti pare e spera che, appena ho tempo, gli do un esaminata e non lo trovo rovinato, perché se cosi fosse ne paghi le conseguenze tu! Stai molto attento a non farti scappare quello che è successo tra noi e del rapporto che c’è con frocetto, anche in questo caso lui si salverà e tu ne pagherai le conseguenze. Tutto chiaro fin qui?”.
La voce del vice pare essere rassegnata: “Si chiaro. Sei tu il capo! Tranquillo!”. E’ proprio fatto per essere capo. Due frasi dirette e precise e mette sotto anche chi fino al giorno prima faceva il gradasso.
“Bene! Allora chiudiamo qui la commessa 101 con te. Tanto non c’è nulla di scritto quindi mi riprendo l’uso esclusivo. Se non hai niente da dire, e sottolineo niente, puoi anche andare, per questa riunione non serve mai più la tua presenza, ci vediamo dopo per le altre cose”.
Il vice si alza e mentre finisce la tazza di caffè andando verso la porta lo sento chiedere delle finte scuse: “No, non ho un cazzo da dire riguardo sto frocio. Tienitelo tanto io mi ero già stufato di sto coso. Comunque scusa se lo troverai magari rotto o usurato. Non era mia intenzione rovinartelo. E’ colpa del frocetto comunque. E’ troia lui, io che colpa vuoi che abbia, si è lasciato fare! Cazzi tuoi che me lo hai lasciato!” ed esce ridendo seguito da una scatoletta di cartone lanciata dal capo e un: “fuori di qui, coglione!”
La porta non era ancora chiusa del tutto e io ero già in piedi nella mia posizione da servo con le braccia dietro la schiena. Il capo che si era alzato per lanciare meglio la scatoletta di cartone al vice si era spostato un po' verso di lui e sono uscito dal suo campo visivo. Ritornato alla scrivania apprendo che è piacevolmente sorpreso dalla mia spontanea e ovvia iniziativa: “Frocetto sono stupefatto dalla tua normale obbedienza verso di me! Senza che ti dica nulla di più fai già tutto quello che voglio! Il caffè, ti fai trovare prima che arrivi in ufficio per le tue direttive, ti metti al tuo posto senza che te lo dica io. Molto bene! Vediamo finalmente anche come te la cavi in altre situazioni. Voglio che utilizzi la tua pausa pranzo per farmi una relazione scritta e quanto più dettagliato di quello che il responsabile produzione ti ha fatto e ti ha fatto subire in mia assenza. Non può cavarsela cosi. La commessa per lui è chiusa e quindi ora faccio i conti. Entro le quattordici voglio il resoconto scritto sulla mia scrivania, per ora è tutto!”. Mentre dico un Grazie Signore riprende con un ordine: “Anzi un ultima cosa, prima di uscire mettiti giù sotto la scrivania e succhiami il cazzo mentre leggo qualche mail cosi non aumento la sicura incazzatura.”. Non me lo faccio ripetere due volte e in realtà non ha ancora finito la frase che sono già sotto la scrivania al “mettiti giù”. Un altro dei miei tanti sogni era in fase di realizzazione. Quante volte avrei voluto e ho sognato di mettermi sotto la scrivania e finalmente lo stavo facendo. Le gambe erano aperte e avvolte in quei pantaloni classici cargo che portava alla perfezione. In un attimo la cerniera e il bottone erano aperti e dalla fessura dei boxer, quelli molli di cotone, era li in attesa il suo bel cazzo. Finalmente erano tornati, il capo e il suo pisello di ventitré centimetri. E’ chiaro che è contento di vedermi anche quel bel pezzo di carne, in due secondi è già bello duro e ha raggiunto almeno i trenta, se non trentadue centimetri. Sta quasi per esplodere e io sono felice che manca poco per ricevere e sentire il suo sapore ma qualcosa sopra la scrivania non va come deve: “Ma porca puttana lo sapevo! Frocetto sistema tutto e vieni fuori da li sotto! Lasciami solo, fuori dai coglioni! Possibile che qui ci siano cosi tanti incapaci che non mi posso allontanare nemmeno per le ferie? Dai vai a lavorare, qui finirai dopo se ne ho voglia e se ci sarà tempo!”
Sistemo al meglio il suo pacco e me ne esco: “grazie, se hai bisogno chiamami pure.”, e prima di chiudere la porta mi giro, lo guardo, gli sorrido e : “Ben tornato, mio Padrone!”. Il capo alza la faccia, mi guarda, sorride e mi fa cenno di andarmene.
La mattina, anche se deluso per non aver ricevuto il sapore del capo, è passata proficua e velocemente. Probabilmente dovuto al fatto che non vedevo l’ora di perdere la mia pausa pranzo per mettere giù la lista delle angherie subite dal responsabile produzione. L’idea che mi sono fatto quando mi è stato chiesto di sedermi e sentendo il capo che riprendeva il vice è quella che probabilmente “un'altra commessa 101, o meglio lo schiavo dell’altra commessa 101 era proprio il vice e per qualche clausola loro aveva chiesto di poter diventare padrone se ci fosse stato un nuovo schiavo. Tutti pensieri miei ma avevano un certo senso se li pensavo rispetto alla cattiveria con cui mi aveva trattato nelle settimane dell’assenza del capo.
La lista era fatta in dieci minuti. Due facciate di un foglio. Non avevo tralasciato nulla. Volevo che pagasse tutto, o speravo che gli facesse in qualche modo pagare quello che mi aveva fatto. Prima dello scadere della pausa pranzo mando un messaggio sul cellulare del capo: “Io ho già pronta la lista che mi hai chiesto di farti. Come mi hai chiesto la lascio sulla tua scrivania.” Le spunte sono diventate subito blu e la risposta immediata: “Vieni in ufficio, porta la lista e mentre finisci il lavoro che hai lasciato a metà prima gli do un occhiata. Muoviti!”
I dieci metri che separano i due uffici non credo di averli mai fatti così velocemente. Nel tragitto ho incrociato e snobbato il responsabile produzione che avrebbe voluto fermarmi e dire qualcosa ma ha capito al volo che sono in direzione capo e per lui non c’è più nulla da fare. Entro, attacco il cartello non disturbare fuori dalla porta e chiudo, consegno il foglio e in un micro secondo sono sotto la scrivania e riapro quello scrigno agognato. Riprendo da dove ero rimasto. Do un bacio alla cappella che già pulsa e scendo con la lingua su tutta l’asta. E’ come aver schiacciato il tasto play e aver fatto ripartire da dove ero rimasto. In un attimo quei trentadue centimetri erano di nuovo tutti nella mia bocca e scendevano senza nessun ostacolo fino in fondo. Il mio naso arriva finalmente all’attaccature del pene. Con una mano massaggio le due grosse palle che riesco a far fuoriuscire dalla fessura dei boxer e sento da sopra il piano della scrivania che il lavoro che ho ripreso è gradito: “ Bravo Frocetto! Ad averlo saputo prima che eri a disposizione, sai quanto stress mi evitavo!”. Con il suo cazzo che riempie bocca e gola riesco ad esclamare: “Mi dispiace non avertelo detto prima e ad essermi proposto senza che tu lo scoprissi.” La risposta del capo è stata ovviamente perentoria: “taci e finisci il lavoro! Maleducato non si parla con la bocca piena! Per questo verrai punito sappilo! Quando finisci il tuo lavoro parlerò con te! “ Riprendo la concentrazione e mi metto ancora più di impegno per quel pompino. Dopo una ventina di minuti sento che è tornato il momento di esplodere e questa volta spero che non ci siano intoppi. Provo ad aumentare gradualmente la velocità del mio su e giù con la bocca e capisco subito che è al limite e sta per sborrare perché le sue mani finiscono sulla mia testa e comincia a spingere per darmi un aiuto a non perdere colpi e ritmo e infatti sento una schizzata calda e dolciastra che mi riempie la bocca! Quel cazzone enorme e quelle palle sparano e producono una quantità dolcissimo di sperma esagerato. Mi ci vuole un bel po' per inghiottire tutto. Pulisco per bene il capo, sistemo di nuovo il pacco ormai rilassato ma comunque enorme e riemergo da sotto la scrivania. Mi alzo e mi metto in piedi nella mia posizione.
“ Bene frocetto. Sono molto soddisfatto di quello che hai fatto la sotto. Mi ricordavo bene del tuo lavoro preciso di bocca. Ora, vedo che sei molto diligente e preciso nella tua condizione di servo, per questo ti sto per fare delle domande precise a cui voglio che rispondi sinceramente e senza troppo pensarci. Per cominciare voglio che ti procuri un quadernino rosso possibilmente formato A5 ti servirà per annotare le cose che dovrai man mano sistemare che secondo me non vanno bene e almeno le hai sempre sott’occhio e non te le dimentichi, quindi quello che diremo fin da orai le inserirai poi. Ma veniamo a cose più serie. Questa lista spero tu l’abbia stesa con cognizione di causa perché io la prendo per vera, la leggerò con il mio vice e lui darà conto e pagherà almeno per quasi la totalità di queste cose. Non ti è dato sapere su quali e come pagherà. Dimmi solo se è verità!”. In un attimo il mil pensiero è stato rapido, la risposta deve esaltarlo come sto facendo fin qui: “Si è tutta verità. Non posso e non mi permetterò mai di dirti qualcosa che non sia verità o che nasconda qualcosa a te. Tu hai in mano la mia libertà quindi non posso più decidere e fare altro.” – “Bene! Allora ascoltami attentamente, in queste prossime settimane sarò solo a casa, la mia Signora è rimasta in Sardegna e fino a settembre non rientrerà, la raggiungerò io più avanti. Oggi, appena finisci il lavoro, te ne vai a casa, prepari i cambi che ti servono per venire a lavorare per le prossime tre settimane e per le diciannove ti voglio a casa mia. Ti trasferisci da me. La mattina verrai a lavorare e quando esci troni a casa mia e tieni pulito in attesa del mio rientro e starai a servizio così come la tua natura ti impone. Così posso valutarti bene e decidere se continuare con te questa cosa e vedere come renderla ufficiale. Accetti?”.
Esitazione zero! La mia risposta con un grosso sorriso stampato in faccia e quasi urlato con tutta l’eccitazione possibile è chiaramente un: “Si!”.
“Bene. Ora ti chiedo di uscire, cercare il mio vice e mandarmelo qui in ufficio. E’ giunta l’ora per lui di pagare il conto. Spero tu sia riconoscente di questa cosa perché potrebbe essere che ci sia uno scontro con lui e sono disposto, per te che non sei ancora formalmente mia proprietà, a litigare con un coglione e perdere anche la sua amicizia che è anche in dubbio visto quello che ha fatto!”.
Con uno strano nodo alla gola che non so se è emozione per quello che sta succedendo o se per un inconscia paura la mia risposta non si è fatta attendere: “Grazie Signore. Sono onorato e mi sento in difetto per questa tua disponibilità e questa cura che presti nei miei confronti. Mi dispiace che ti ho arrecato problemi con il tuo vice e ti prego di tenere presente la possibilità di punirmi severamente se la tua amicizia con lui finisce o muta in negativo. Per quanto riguarda le disposizione delle prossime settimane ribadisco che sono a tua totale disposizione e questa sera sono da te alle diciannove.”
Con un “non piangere, puoi andare, ci sentiamo più tardi, buon lavoro.” Esco dalla stanza e senza troppi sforzi trovo subito il responsabile produzione:” Ciao! Il capo ti vuole immediatamente da lui in ufficio!” – “Frocetto, immediatamente a me non lo dici! Io faccio quello che voglio e quando voglio!” – “ Non ne sarei cosi sicuro! Mi sembrava parecchio incazzato il capo! Con te per altro!”
Appena finito di dire così lo vedo cambiare espressione che diventa preoccupata e si affretta verso la porta dell’ufficio.
Torno alla mia scrivania, cerco di concentrarmi, ma di tanto in tanto il pensiero di trasferirmi a casa del capo mi assale. Non vedo l’ora. Il pomeriggio passa veloce. Cerco di portare avanti il più possibile le mie pratiche. Sistemo la scrivania come sempre prima di uscire e mi incammino verso il timbratore. Nel corridoio incrocio il responsabile produzione che mi guarda, allunga la mano verso di me e inaspettatamente mi dice: “E’ stato un piacere lavorare qui con te e non solo lavorare! Il capo mi ha chiesto di anticipare già a domani l’inizio nell’altro sito, quindi, ti saluto e non escludo che ci si vede di la qualche volta. Sono riuscito ad ottenere un “vedremo”
Se nel caso ho bisogno di supporto. Comunque frocetto grazie alla tua vigliaccata di quella fottuta lista non potrò sedermi comodamente per qualche giorno. Spero ti faccia più male di quanto ne ha fatto a me prima o poi. Sei fortunato che sono leale al capo e non ti posso fare nulla! Buona schiavitù frocetto!”. Gli stringo la mano, ringrazio e me lo lascio alle spalle felice che abbia pagato il suo conto al capo.
Sono a casa e la prima cosa che faccio è prendere il borsone e mettere dentro i vestiti che serviranno per le prossime settimane per andare a lavorare, calze, mutande, canotte e la “borsa lavoro” è pronta. Mi infilo in doccia, mi do una passata alla barba cosi resto pulito in viso, una depilata attorno alla gabbia, esco mi asciugo e metto jeans e maglietta, scarpe e sono pronto. Sto quasi per uscire e arriva un messaggio, è il capo: “Frocetto sei ancora a casa o sei già partito? Chiamami!” – “Pronto capo! Dimmi tutto!” – “Frocetto poco prima di casa mia c’è un centro commerciale, parcheggia in strada e poi prendi le tue cose e scendi nel parcheggio coperto a meno tre, tanto se hai un borsone sembrerà che stai andando o uscendo dalla palestra. Una volta sceso al piano, uscendo dalla porta tieni la destra e percorri tutto il tunnel fino in fondo. Tranquillo che non ci sono telecamere e non c’è mai nessuno a quel piano e a quest’ora. Ti fermi in fondo tutto a sinistra nell’ultimo parcheggio e quando sei li mi mandi un messaggio. Io arrivo con il fiorino nostro aziendale per tua informazione. Tutto chiaro?” – “assolutamente si, Signore. A tra poco.”
Eseguo le direttive con lo stato di ansia a livello altissimo ma con anche un eccitazione che mi da dolore al pisello che mi va in tiro fin dove possibile nella gabbia che mi ricorda essere sul cazzo da ormai che sta li da ben venticinque giorni e non da quindici. Arrivo nel punto stabilito e invio il messaggio “ciao. Sono in postazione!” – “Frocetto mettiti dietro il muro di cartongesso che vedi, sto arrivando!”. Conosce bene il posto, infatti c’è una parete di cartongesso che copre un deposito dei bidoni vuoti della spazzatura. Mi sale la paura non sapendo cosa ha intenzione di fare ma mi auto tranquillizzo che è il capo, non mi farà del male intenzionalmente. Dopo qualche secondo dallo “sto arrivando” vedo l’inconfondibile fiorino in lontananza, si avvicina, fa manovra e si piazza in retro di fronte a me. Il capo scende dalla macchina e dopo un secco ciao mi fa segno di passargli il mio borsone che mette in cabina del fiorino e mi consegna un sacchetto di plastica della spesa vuoto: “Spogliati e metti tutti i tuoi vestiti li dentro e ridammela!” La paura aumenta così come l’eccitazione. Fatico a spogliarmi tanto è la tremarella che mi assale. Sta succedendo, sto per essere il suo schiavo, probabilmente, definitivamente. Via le scarpe, via i jeans, via la maglietta, le calze resto in mutande e porgo il sacchetto al capo. “Ho detto tutti i vestiti nel sacchetto! Le mutande fanno parte dei vestiti frocio!” e mi da uno schiaffo. Mi butta il sacchetto e con le lacrime agli occhi mi tolgo gli slip e li metto con gli altri vestiti. Sono di nuovo solo con addosso la gabbia al pisello, nudo e piango dalla paura e dalla vergogna. Consegno il sacchetto che il capo scaraventa in macchina, poi torna verso di me, apre la porta scorrevole laterale del fiorino e mi fa segno di avvicinarmi. Nel cassone del baule ha messo una gabbia per trasporto cani di grossa taglia: “Entra frocetto!” ancora con le lacrime agli occhi entro nella gabbia che il capo chiude con un grosso lucchetto, sbatte la porta scorrevole e lo sento salire al posto di guida. Il fiorino si muove e io inizio a piangere più forte e cerco di versare più lacrime possibili sperando di allentare la tensione. Per divertirsi un po' fa un giro che non riesco a riconoscere perché la casa del capo non dista molto dal centro commerciale e le varie curve sono troppe perché si stia dirigendo verso casa. Il fiorino si ferma e il capo dallo sportellino che divide il cassone dalla cabina di guida mi avverte: “Frocetto ti lascio parcheggiato un attimo che devo recuperare delle cose. Non ci metto molto. Mentre sono via fai il bravo e pensa a tutti gli errori che hai da farti perdonare!”. Chiude lo sportello e sento le serrature centralizzate che bloccano le portiere. Il capo è di parola e dopo non più di dieci minuti sento le serrature aprirsi e il fiorino accendersi e ripartire. Sento che siamo in discesa, ci fermiamo, un portone di un garage si apre. Siamo arrivati. Lo sportello laterale si apre, il capo in piedi nell’ombra di una luce piccolissima armeggia con il lucchetto della gabbia: “Frocetto conta fino a cento e poi scendi, chiudi il fiorino e entra in casa!”.
Obbedisco e al cento apro il cancelletto della gabbia, scendo, chiudo il fiorino. Mi sistemo la gabbia al pisello sperando di levarla anche solo qualche secondo per una toccata veloce. Mi avvio verso la porta. Il pavimento è freddo nonostante sia estate, spingo la porta ed entro in casa.
Il capo è seduto sulla poltrona del salotto e si è acceso una sigaretta. Da dietro il fumo mi da il benvenuto: “Ciao frocetto, ben venuto al tuo campo d’addestramento e prova. Da oggi il locale da dove sei entrato sarà la tua stanza almeno sai già dove devi stare. Troverai un secchio per pisciare e per fare altro che potrai svuotare nel bagno di servizio che trovi la in fondo e che userai solo per farti la doccia anche se ci sono tutti gli altri servizi. Di la troverai anche un armadio dove sistemi i tuoi vestiti che userai per andare a lavoro, quando rientri stai nudo sempre. Tutto chiaro?” – “Si, Signore!”. – “Ora sistema le tue cose. Per oggi mi faccio una pizza ma da domani la cena la prepari e me la servi tu. Quando rientri domani avrai modo di esplorare la casa in autonomia e capire dove stanno le cose. Hai un ora di tempo per sistemarti le tue cose e quando hai finito mi chiami. Ora sparisci!”. Torno in garage, mi viene da piangere e ho una paura folle. Sistemo tutto come detto dal capo in meno di trenta minuti, mi affaccio in casa e dico che ho già finito.
"Si, arrivo, così mettiamo in chiaro alcune cose che non voglio ripetere.". Richiudo la porta e aspetto. Il garage ha le luci, le vedo sul soffitto, ma non volevo frugare in giro sui muri per cercare interruttori, non mi è stato detto di farlo e l'unica luce che si accende giusto per mostrare il passaggio va bene. Passa qualche minuto e si apre la porta, il capo in penombra è tremendamente sexy ed eccitante. Ha in mano una borsa o un sacchetto. Allunga la mano verso sinistra e accende le luci. Ora lo vedo in faccia. Non lo guardavo dalla mattina e ora è lì davanti a me, bello sul gradino della scaletta con la canottiera bianca che gli fascia i pettorali e i boxer DG che mettono in mostra quel mega pacco che catalizza la mia attenzione e mi ipnotizzato. "Frocetto la pianti di guardarmi sempre il cazzo? Se vai avanti così me lo consumi solo guardandolo e rischi che non te lo faccio succhiare per un po’ se lo desideri ogni volta che mi vedi." Chiedo scusa con lo sguardo che è finito in basso a terra e mi accorgo che sono in ginocchio senza sapere di esserci finito. Il capo si avvicina prende il mento con la mano libera, mi alza la faccia e mi fulmina con gli occhi. Mi sciolgo in un pianto silenzioso. "Bravo frocio se ti viene da piangere fallo senza nasconderti a me, ma fallo in silenzio. Non amo sentire singhiozzare. Adesso in piedi, prendi quel cavalletto, aprilo, piegati sopra e metti in mostra bene il culo e le gambe bene aperte." Eseguo e mentre sono lì con le chiappe all'aria temo già di sapere cosa succederà e infatti mi sbagliavo. Credevo di sentire quell’enorme stecca che sta tra le gambe del capo arrivare su dritto nello stomaco. "Ora ti prendi la prima punizione per quello che ti sei lasciato fare dal vice, dal suo amico e per non avermi raccontato precisamente che cosa hanno fatto. Per questo ti do cinquanta cingiate. Conta!" Non faccio in tempo a realizzare e sento il fischio della cintura che è comparsa dal nulla e il dolore secco, come uno strappo, della prima cinghiata sul culo. "Aaaaaah uno, Aaaaaah due, Aaaaaah tre!" Dal quattro al cinquanta è una sofferenza piacevolmente indescrivibile in pianto. "Bravo frocio, le prossime cinque non contare, ma sappi che faranno malissimo! Ma non me ne frega un cazzo! Te le meriti tutte!" E come per l'inizio della punizione non faccio in tempo a realizzare che le sento tutte e cinque arrivare una dietro l'altra senza sosta!!! Un grido mostruoso mi esce: “AAAAAAAAAAH!!!!” Presa la quinta cinghiata mi butto per terra piangendo. Il capo si avvicina e mi prende per un braccio. Mi porta verso la parete in fondo a destra della porta che entra in casa. Tra le lacrime vedo un tappetino e un cuscino quadrato nell'angolo sotto un anello attaccato al muro, come quei bussa portoni di una volta, con una catena che penzola. "Ecco frocetto, questo è il tuo letto. Mettiti in ginocchio e ascoltami attentamente. Quando ti do un ordine con un tempo, anche se termini prima attendi l'orario stabilito. Al massimo sono io che decido che non mi frega un cazzo se non hai finito e quindi decido se le prendi perché sei stato lento nonostante il tempo. Quando avrai finito le tue faccende se non avrò più bisogno di te torni qui e quando decido che non mi servi più e quindi la giornata è finita ti incateno per la notte. Avrai un lucchetto con temporizzatore che sistemerò di volta in volta per far sì che alle quattro e mazza, cinque della mattina si apra e tu puoi preparare la mia colazione, svegliarmi e andare a lavoro e fare quello che c'è da fare lì. La sera dipende da come è andata la tua presenza e da come mi sento. A seconda di come va sarai punito o sarai graziato. Ora succhiami il cazzo e poi ti lego." Il capo si abbassa i boxer e mi scatta in faccia il suo enorme cazzo che è già dura e in tiro per l'eccitazione che ha provato probabilmente dalle cinquantacinque cinghiate. Fatico a fargli il secondo pompino della giornata. Mi fa male il culo che è in fiamme e il cazzo che è ancora chiuso nella gabbia e che inizia a darmi fastidio. In dieci minuti il capo mi riempie di nuovo la bocca della sua sborra. Per la seconda volta in un giorno ha sparato almeno un litro e mezzo di sperma che ora era nel mio stomaco. Pulisco bene quel cazzo perfetto scuro e dal sapore esaltante, risistemo i boxer al loro posto e mi preparo, con tanta paura per non essere mai stato in quella situazione, per essere incatenato e passare la notte. Inaspettatamente sento la voce del capo che mi parla dolcemente: "Frocetto come prima giornata sei stato bravo. Non saranno solo punizioni. Direi che dopo ventisei giorni ti sei meritato di essere liberato." Si abbassa e apre il lucchetto della gabbia e me la sfila. Poi prende l'anello dietro i testicoli e tira per liberarmi le palle. Sento un po' di male ma fingo di nulla. Il capo prende la catena, la passa intorno al collo e mette il lucchetto, pigia qualche tasto e dopo un suono il lucchetto si chiude. "Buona notte frocetto. A domani." Il capo si dirige verso la porta, si gira, mi guarda un'ultima volta, spegne la luce e sparisce dietro la porta. Mi lascio andare a un pianto liberatorio silenzioso, come mi è stato detto. È iniziato l'addestramento che forse mi porterà a perdere la mia libertà e essere un oggetto del mio capo che srà il mio Signore. Ma quello che succede dopo quella giornata è un altro capitolo di questa storia.
scritto il
2023-07-21
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