Sottomesso del capo (Cap. 5) Il contratto. Seconda parte.
di
Sebaservizio
genere
dominazione
La giornata scorre lenta e ad ogni squillo del telefono o messaggio sul pc salto sulla sedia e sbianco sperando non sia il capo, che inaspettatamente mi lascia in balia della paura per tutto il giorno. Non lo sento e non lo vedo. Sa come tenermi in ansia.
Qualche minuto prima di chiudere la giornata, l’ultima di questa settimana, prendo coraggio e chiamo il capo: “ Pronto capo, sto quasi per uscire, posso passare un attimo in ufficio da te?” – “ Vieni.”
Entro tremante e con un nodo in gola, mi vede: “ che c’è? Dimmi! Hai trenta secondi e poi fuori di qui.”
Avevo una serie di cose da dire ma le uniche che mi escono sono inutili e non servivano a nulla: “ Nioente capo, volevo salutarti visto che nei prossimi giorni non sarò in ufficio e tu poi vai in vacanza. Tutto qui. Grazie e buone vacanze. Ci vediamo al rientro.”
Il capo mi guarda, sorride e sotto voce: “Frocetto lo sento da qui, tu stai morendo dalla paura e questo ti fa solo bene. Prova tutta la paura che puoi in questi prossimi giorni e ricordatela perché non sarà nemmeno un quarto di quella che proverai se e quando sarai mio! Ora fuori di qui. A dopo a casa.”
Sperando di poter risolvere la tensione della giornata accumulata dal capo già di prima mattina, preparo un bagno caldo con degli oli presi apposta e delle candele profumate. Quando lo sento arrivare con la macchina accendo la musica di sottofondo e scendo di corsa ad accoglierlo. Il capo entra, io sono in ginocchio poco dietro la porta e gli levo le scarpe come ogni sera, poi i calzini e gli infilo le ciabatte. “Padrone ti ho preparato un bagno rilassante perché te lo meriti tutto. Lascia che ti accompagni e se lo desideri che ti spogli e ti prepari per usufruirne.” – “Frocetto sei un paraculo. Apprezzo il gesto e quindi hai il permesso di eseguire tutto quello che hai pensato per il mio relax.” Precedo il padrone che mi segue immerso nel cellulare. Arrivati in stanza, senza arroganza, faccio segno di consegnarmi il cellulare che blocco e appoggio sul comò. Mi avvicino e chiedo il permesso di spogliarlo, ovviamente permesso accordato. Comincio a sbottonare la camicia bianca sciancrata che gli fascia il busto e quando glie la sfilo vedo il suo petto fasciato da una canotta liscia anch’essa bianca che fa risaltare l’abbronzatura naturale del signore. Mi inginocchio e slaccio i pantaloni che accompagno fino a terra e sfilo prima da un piede e poi dall’altro. Quando mi raddrizzo il capo ha già levato in autonomia la canotta e lo vedo in tutto il suo splendore con solo lo slip bianco della mattina. “Questi li ho tenuti addosso da ieri sera per far si che prendessero il mio odore. Ora me li levi e te li tieni per i prossimi quattro giorni e per il periodo che sarò via cosi ti ricordi bene di me e puoi riflettere meglio.” Non me lo faccio ripetere due volte e in un attimo sono già in mano mia e il suo cazzo che penzola davanti ai miei occhi. Anche rilassato ha veramente un cazzo enorme, da invidia. Alla vista di questo insieme di perfezione il mio cazzo mi ricorda con uno strappo secco che devo stare calmo perché lui è in gabbia e non può alzarsi e indurirsi più di tanto, ma non riesco e quindi dolore sia. “Ora vai e fai le tue cose.
Qualche minuto prima di chiudere la giornata, l’ultima di questa settimana, prendo coraggio e chiamo il capo: “ Pronto capo, sto quasi per uscire, posso passare un attimo in ufficio da te?” – “ Vieni.”
Entro tremante e con un nodo in gola, mi vede: “ che c’è? Dimmi! Hai trenta secondi e poi fuori di qui.”
Avevo una serie di cose da dire ma le uniche che mi escono sono inutili e non servivano a nulla: “ Nioente capo, volevo salutarti visto che nei prossimi giorni non sarò in ufficio e tu poi vai in vacanza. Tutto qui. Grazie e buone vacanze. Ci vediamo al rientro.”
Il capo mi guarda, sorride e sotto voce: “Frocetto lo sento da qui, tu stai morendo dalla paura e questo ti fa solo bene. Prova tutta la paura che puoi in questi prossimi giorni e ricordatela perché non sarà nemmeno un quarto di quella che proverai se e quando sarai mio! Ora fuori di qui. A dopo a casa.”
Sperando di poter risolvere la tensione della giornata accumulata dal capo già di prima mattina, preparo un bagno caldo con degli oli presi apposta e delle candele profumate. Quando lo sento arrivare con la macchina accendo la musica di sottofondo e scendo di corsa ad accoglierlo. Il capo entra, io sono in ginocchio poco dietro la porta e gli levo le scarpe come ogni sera, poi i calzini e gli infilo le ciabatte. “Padrone ti ho preparato un bagno rilassante perché te lo meriti tutto. Lascia che ti accompagni e se lo desideri che ti spogli e ti prepari per usufruirne.” – “Frocetto sei un paraculo. Apprezzo il gesto e quindi hai il permesso di eseguire tutto quello che hai pensato per il mio relax.” Precedo il padrone che mi segue immerso nel cellulare. Arrivati in stanza, senza arroganza, faccio segno di consegnarmi il cellulare che blocco e appoggio sul comò. Mi avvicino e chiedo il permesso di spogliarlo, ovviamente permesso accordato. Comincio a sbottonare la camicia bianca sciancrata che gli fascia il busto e quando glie la sfilo vedo il suo petto fasciato da una canotta liscia anch’essa bianca che fa risaltare l’abbronzatura naturale del signore. Mi inginocchio e slaccio i pantaloni che accompagno fino a terra e sfilo prima da un piede e poi dall’altro. Quando mi raddrizzo il capo ha già levato in autonomia la canotta e lo vedo in tutto il suo splendore con solo lo slip bianco della mattina. “Questi li ho tenuti addosso da ieri sera per far si che prendessero il mio odore. Ora me li levi e te li tieni per i prossimi quattro giorni e per il periodo che sarò via cosi ti ricordi bene di me e puoi riflettere meglio.” Non me lo faccio ripetere due volte e in un attimo sono già in mano mia e il suo cazzo che penzola davanti ai miei occhi. Anche rilassato ha veramente un cazzo enorme, da invidia. Alla vista di questo insieme di perfezione il mio cazzo mi ricorda con uno strappo secco che devo stare calmo perché lui è in gabbia e non può alzarsi e indurirsi più di tanto, ma non riesco e quindi dolore sia. “Ora vai e fai le tue cose.
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