Sottomesso del capo (Cap. 5) Il contratto. Quatra parte.
di
Sebaservizio
genere
dominazione
Dormo diretto fino al doppio bip del lucchetto che con il suo click si apre e mi sveglia. Sono le undici e mezza di domenica mattina. La porta si apre e il capo è li in piedi.
“Buongiorno frocetto. Spero tu ti sia angosciato abbastanza e che questo ti abbia fatto fare un buon lavoro. Ora hai il tempo per prepararti per il nostro pranzo. Alle dodici e venti fatti trovare sulla mia macchina, guido io visto che sei a digiuno non vorrei fare incidente. A dopo.” E sparisce dietro la porta.
Mi alzo, preparo i Jeans e la camicia bianca, vado in doccia e uso tutto il tempo necessario per prepararmi. Barba, pulizia approfondita della gabbia con lo spazzolino da denti che uso anche per quello. Mentre sono sotto la doccia stacco il soffione e mi faccio anche un bel lavaggio al culo, metti caso che per festeggiare mi vuole sodomizzare, meglio essere pronti. Esco e mi vesto, scarpe e alle dodici e diciotto chiudo la portiera della macchina. Come chiudo vedo il capo che esce dalla porta di casa, chiude a chiave e alle dodici e venti è seduto alla guida. Adoro la sua precisione al secondo sulla puntualità e sugli orari. Chissà cosa accadrebbe se sbagliassi qualche volta. Proverò!
Mette in moto e una volta uscito dal cancello iniziamo a conversare del piu e del meno come se fino a quel momento non ci fossero state le tre settimane prima di schiavitù in casa sua. Prima di arrivare il capo “rientra” nel suo ruolo, lo capisco perché inizia la frase con quello che ormai, per lui, è diventato il mio nome: “Frocetto, spero tu abbia portato tutto ciò che serve. Ora pranzeremo e nell’attesa tra il secondo e il dolce sai già cosa fare e cosa mettere sul tavolo. Tutto chiaro?” – “ Si signore!”
E’ chiaro si. Tra il secondo e il dolce vuole vedere e firmare il contratto. Con me ho una ventiquattrore che ho preparato con cura. All’interno in una cartelletta di velluto rossa c’è il foglio con le poche righe del contratto. Una penna stilografica presa apposta per l’occasione in legno lavorato con la sua custodia coordinata anch’essa in legno. Insomma tutto pronto per perdere la mia libertà.
Il ristorante è un posto molto elegante e scopro che è il preferito del capo. Il pranzo procede come la conversazione in macchina, si parla del più e del meno, ogni tanto di qualche questione di lavoro, di qualche collega di cui mi chiede come lo vedo e se secondo me potrebbe gli nasconde qualcosa, insomma una conversazione normale, tra persone normali e per il momento ancora entrambe libere.
Quando metto in bocca la prima forchettata del secondo mi sale un po' di ansia. Tra poco ci siamo. Come succede in questi casi in un attimo i piatti si svuotano subito e il secondo è finito. Il capo beve il dito di rosso rimasto nel bicchiere, mi guarda: “Vado al bagno, frocetto. Torno subito.”
“Buongiorno frocetto. Spero tu ti sia angosciato abbastanza e che questo ti abbia fatto fare un buon lavoro. Ora hai il tempo per prepararti per il nostro pranzo. Alle dodici e venti fatti trovare sulla mia macchina, guido io visto che sei a digiuno non vorrei fare incidente. A dopo.” E sparisce dietro la porta.
Mi alzo, preparo i Jeans e la camicia bianca, vado in doccia e uso tutto il tempo necessario per prepararmi. Barba, pulizia approfondita della gabbia con lo spazzolino da denti che uso anche per quello. Mentre sono sotto la doccia stacco il soffione e mi faccio anche un bel lavaggio al culo, metti caso che per festeggiare mi vuole sodomizzare, meglio essere pronti. Esco e mi vesto, scarpe e alle dodici e diciotto chiudo la portiera della macchina. Come chiudo vedo il capo che esce dalla porta di casa, chiude a chiave e alle dodici e venti è seduto alla guida. Adoro la sua precisione al secondo sulla puntualità e sugli orari. Chissà cosa accadrebbe se sbagliassi qualche volta. Proverò!
Mette in moto e una volta uscito dal cancello iniziamo a conversare del piu e del meno come se fino a quel momento non ci fossero state le tre settimane prima di schiavitù in casa sua. Prima di arrivare il capo “rientra” nel suo ruolo, lo capisco perché inizia la frase con quello che ormai, per lui, è diventato il mio nome: “Frocetto, spero tu abbia portato tutto ciò che serve. Ora pranzeremo e nell’attesa tra il secondo e il dolce sai già cosa fare e cosa mettere sul tavolo. Tutto chiaro?” – “ Si signore!”
E’ chiaro si. Tra il secondo e il dolce vuole vedere e firmare il contratto. Con me ho una ventiquattrore che ho preparato con cura. All’interno in una cartelletta di velluto rossa c’è il foglio con le poche righe del contratto. Una penna stilografica presa apposta per l’occasione in legno lavorato con la sua custodia coordinata anch’essa in legno. Insomma tutto pronto per perdere la mia libertà.
Il ristorante è un posto molto elegante e scopro che è il preferito del capo. Il pranzo procede come la conversazione in macchina, si parla del più e del meno, ogni tanto di qualche questione di lavoro, di qualche collega di cui mi chiede come lo vedo e se secondo me potrebbe gli nasconde qualcosa, insomma una conversazione normale, tra persone normali e per il momento ancora entrambe libere.
Quando metto in bocca la prima forchettata del secondo mi sale un po' di ansia. Tra poco ci siamo. Come succede in questi casi in un attimo i piatti si svuotano subito e il secondo è finito. Il capo beve il dito di rosso rimasto nel bicchiere, mi guarda: “Vado al bagno, frocetto. Torno subito.”
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