Sottomesso del capo (Cap. 5) Il contratto. Prima parte.

di
genere
dominazione

Quel mercoledì mattina il lucchetto temporizzato mi sveglia ormai come succede per la terza settimana. Ancora quattro giorni e il capo raggiunge la signora in Sardegna e io per qualche tempo vengo abbandonato dal padrone.

Esco e mi dirigo in bagno dopo aver sistemato catena e cuscino. Mi faccio una doccia. I segni sulla schiena e sul culo avuti per la condanna del processo del week end precedente sono in via di guarigione. Qualche livido qua e la giallognolo che ricorda cosa ho subito.

Sono pronto e salgo a svegliare il mio signore. Entro come sempre senza fare rumore, mi avvicino e dico la solita frase del buongiorno per svegliarlo. La notte per il capo non è stata buona perché appena apre gli occhi mi tira un ceffone fortissimo che mi butta a terra. Si alza di scatto dal letto e mi da un calcio fortissimo, si toglie i boxer e mentre va in bagno mi grida: “frocetto sparisci e non farti vedere fino a quando non ti chiamo io. Non voglio altre rotture di cazzo oggi. Sono già nervoso e meglio per te che mi stai alla larga e che io sia occupato perché potresti finire male. Ora fuori dal cazzo. Avvisami quando stai per uscire per l’ufficio.”

Con le lacrime agli occhi per il dolore del ceffone e del calcio, e anche per il modo con cui mi ha trattato per la prima volta cosi crudele, accenno un debole si padrone e esco. Mentre preparo per la colazione mi chiedo cosa sia successo nella notte per essere cosi arrabbiato, ma non mi è dato saperlo a meno che non me lo dice lui direttamente.

Sono pronto per uscire e andare in ufficio, mi affaccio in cucina e il capo è seduto sullo sgabello davanti alla penisola con uno slip bianco a torso nudo in tutto il suo splendore. Abbronzato con lo slip bianco è la mia morte cerebrale. Infatti il cazzo mi da fastidio perché accenna, fin dove può, un erezione ma si schiaccia in punta sul metallo della gabbia e mi provoca dolore. “padrone io sono pronto per uscire. La attendo in ufficio più tardi. Mi dispiace che sia iniziata già male la giornata. Sono a sua disposizione per qualsiasi cosa.” – “Ti ho già avvertito prima. Prega che mi passi o per te è la fine. Sette e venti in ufficio e aspettami li. Non c’è altro. Vattene.”

All’ora detta dal capo sono pronto con il suo caffè sulla scrivania e in piedi in posizione. Lo sento arrivare, entra sbatte la porta dietro le spalle, mi passa accanto, posa la sua ventiquattrore, torna verso di me e mi molla un secondo ceffone più forte di quello di prima a casa. Mi permetto di prendermi la liberta di piangere a dirotto non riuscendo a trattenermi e mentre mi rialzo chiedo: “Signore so di meritarmi questo ma non trovo tra le cose che ho fatto la ragione del perché sono punito.” Nel frattempo il capo si è seduto alla scrivania: “Non hai fatto nessun errore, frocetto. Ti sei inquadrato subito nel tuo essere schiavo. E’ proprio questo che mi fa imbestialire. Se non posso picchiarti e punirti perché non commetti nessun errore non ne vale la pena. Sei un bravo schiavo, quindi, ho deciso che quando questa cosa che non si creano pretesti per punirti o picchiarti mi da noia, la faccio diventare essa stessa un pretesto. Quindi stamattina e poco fa le hai prese perché sei troppo bravo. Qualcosa in contrario?” – “No, Signore. Mi dispiace che ti innervosisco.”

Il capo mi fa cenno di avvicinarmi e di mettermi in ginocchio: “Come sai lunedì mattina alle sette ho il volo per la Sardegna. Mi porterai tu in aeroporto e poi verrai a lavoro. Sei libero per due settimane, quindi ti lascio le chiavi di casa e finito il lavoro lunedì vai, prendi le tue cose e puoi tornartene a casa tua. Quando ritorno verrai a riprendermi in aeroporto e mi restituisci le chiavi. Tutto chiaro fin qui?” – “Si, Signore” – “Bene! Ora ascoltami attentamente. Ho riflettuto a lungo e sono giunto alla conclusione, dopo queste settimane che hai fatto servizio da me, che non voglio solo le chiavi del tuo cazzo e della tua cage. Io da te voglio molto di più. Io da te voglio tutto! Corpo, essere, anima, cazzo, culo, la tua libertà. Insomma TUTTO! Tu devi essere una cosa mia e non decidere più un cazzo per te. Per questo voglio che tu stenda un contratto che firmeremo entrambi e da quel momento tutto ciò che hai visto e fatto fino ad ora, sarà stata solo una passeggiata e un ricordo, l’ultimo, da persona libera. Per fare questo ti do del tempo. Da domani tu in ufficio non ci vieni. Questa sera, dopo che avrai finito le faccende, vengo a chiuderti il lucchetto che ho già programmato e una volta chiuso lo resterà fino a domenica alle undici e trenta. Hai quattro giorni di tempo per stendere il tuo contratto di annullamento e lo scriverai a penna. Ti ho già preparato il necessario per farlo nella tua postazione. Sono buono quindi ti ho allungato un po' la catena che ti tiene imprigionato cosi potrai tenere il secchio dove piscerai un po' più distante e potrai fare qualche passo per sgranchirti un pò. Per mangiare ti porterò io qualcosa prima di uscire la mattina e sarà la sola volta che mi vedrai e che io vedrò te in questi quattro giorni. Avvisa i tuoi che questa domenica non potrai andare da loro e che sei via per lavoro. Quando il lucchetto si aprirà hai un ora di tempo per farti la doccia, vestirti decentemente e presentarti in casa a me. Andremo a pranzo fuori, al ristorante, così se accetterai questa cosa farai l’ultimo pranzo da persona libera con me. Ora voglio sapere subito se sei d’accordo con questa cosa. Se si bene se è un no bisognerà che trovi un modo per rimediare e pagare quello che hai provato fino a qui e tornare libero. Ti do il tempo di una mia telefonata per pensarci.”

Il capo prende il telefono, compone il numero e inizia la sua conversazione. Non sento nulla di quello che dice perché la mia mente sta friggendo per la proposta appena ricevuta. I pensieri vanno veloci. L’ansia pure. Contratto, scritto a penna, annullamento, tutto…… - “Frocetto la tua risposta affermativa? Qual è?” Sento il capo che chiede qualcosa e allunga la mano verso di me come a offrirmi una stretta per accordo, ma dalla frase sento e capsico solo frocetto: “Si padrone, tutto quello che vuoi.” E gli stringo la mano. “ Benissimo frocetto sapevo che non mi avresti deluso. Ottimo, sono proprio contento.” – “Scusa capo, ma cosa ho fatto?” – “ Ahahahahaha dimmi che hai dato una risposta affermativa e nella confusione dei pensieri non ti sei accorto che hai accettato quanto ti ho detto riguardo il contratto! Allora questo è ancora meglio. Ormai hai stretto la mano e non puoi tornare indietro! Sei un fesso! ahahahahaha”. E si ho fatto esattamente cosi. Ho accettato questa ennesima prova che però ho già in parte sigillato con la stretta di mano. Mi sale una paura folle e questa volta resta per tutto il giorno solo pura e semplice paura.
scritto il
2023-08-03
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