Moglie ceduta - roulette russa (parte 10)

di
genere
sadomaso

Qualche mese dopo i Padroni decisero di dare una festa nella loro villa e, così, mostrare gli ultimi acquisti.
Gli schiavi stavano perdendo molto del loro smalto iniziale. Quando erano stati comprati, seppur non più giovanissimi, avevano ancora dalla loro la bellezza, quella matura, quella che è oltre la pelle freschissima ma molto prima di quella cadente, quando la persona trasmette maturità in un corpo ancora giovane e piacente, del quale è possibile apprezzare i segnali che il carattere della persona trasmette con i propri vestiti, i movimenti resi sicuri da una posizione agiata o da un cervello in grado di funzionare bene.
Al momento dell’acquisto possedevano tutto ciò ed erano stati pagati tanto o, almeno, il prezzo che valevano.
I Padroni erano stati contattati dai venditori poco dopo che questi avevano agganciato le nuove prede, avendo intuito il loro potenziale valore sul mercato degli schiavi d’occidente.
Li avevano seguiti e filmati per far poi vedere ai potenziali acquirenti che tipo di persone erano, la vita alla quale erano abituati e il loro modo di porsi.
C’erano altri 4 Padroni interessati a quella coppia.
Nel mondo dei Padroni era considerata cosa di classe avere schiavi che erano appartenuti alla borghesia.
Il problema degli attuali Padroni era che pretendevano troppo dagli schiavi che, una volta acquistati, venivano degradati a bestie, animali da lavoro e da piacere.
Le due cose, però, difficilmente possono coincidere per lungo tempo in quanto il duro ed estenuante lavoro inevitabilmente va ad incidere su freschezza e bellezza.
Gli schiavi, quando venivano presi, erano nel pieno della loro forma fisica, anche grazie ai trattamenti ed allo sport, oltre che ad una alimentazione sana.
A loro piaceva, invece, portare gli schiavi borghesi al livello più basso. Godevano nel vederli sfiancati dal lavoro dopo una vita abituata al personale di servizio. Si eccitavano nel vederli faticare fino a chiamarli e farsi raggiungere strisciando.
Ogni volta si ripromettevano di essere più tranquilli ma, una volta in possesso di un nuovo giocattolino, non sapevano resistere a ciò che li eccitava.
Il lavoro li aveva tenuti lontani dalla mondanità per lungo tempo. Era difficile coniugare i loro impegni con quelli del ristretto gruppo di Padroni che, in varie parti del mondo, usavano la loro ricchezza per possedere schiavi veri.
Fortunatamente la sera dell’evento il tempo era bello. Aveva piovuto nei due giorni precedenti ma poi era volto al meglio.
Avevano preparato nell’ampio giardino al quale era possibile accedere dopo essere entrati in casa.
L’ultima volta che avevano dato una festa era avvenuto qualche anno addietro o, meglio, due schiave prime.
Quella precedente era durata troppo poco.
Nel frattempo avevano ristrutturato gli interni e volevano che gli ospiti potessero apprezzare i nuovi arredi ed arazzi.
I due schiavi erano stati incatenati in centro alla sala.
Era stata valutata l’idea di metterli, sempre incatenati, alla parete tra i due nuovi arazzi. Alla Padrona piaceva l’idea di avere arazzi di tessuto ed arazzi umani.
Tuttavia era prevalsa l’opinione del Padrone, il quale le aveva fatto notare che la posizione al centro della sala avrebbe consentito agli ospiti di apprezzare (e di divertirsi) con entrambi i lati delle bestie.
Nessuno di quel ristretto giro di persone riusciva a considerare gli schiavi quali persone. Nel momento in cui procedevano al loro acquisto, per loro erano oggetti delle cui esigenze non importava più.
Era stata invece vincente l’idea della Padrona che aveva vestito la schiava con un abito leggero e sexy in modo da evidenziare le belle forme del suo corpo. Monica venne incatenata alle caviglie con anelli al pavimento il cui acciaio lucido creava un bel contrasto con le autoreggenti e scarpe decolleté tacco 14 nere. Le braccia, protese verso l’altro, erano a loro volte appese a catene che scendevano dal soffitto. Nel complesso la bestia aveva la posizione di una “X”. Indosso aveva un elegante e leggero abito da sera nero, scollato davanti e dietro.
Lo schiavo, invece, era stato posizionato a 90 gradi in una gogna che racchiudeva il collo ed i polsi. Lui, a differenza della moglie, era già nudo.
La sua schiena fungeva da tavolino sulla quale erano state posate una frusta lunga, uno scudiscio ed un frustino. Tre lunghezze per soddisfare le varie esigenze degli ospiti che avrebbero potuto scegliere l’attrezzo che più preferivano.
Vi erano anche un plug anale di notevoli dimensioni oltre a pinzette, candele (già accese), ball gag e altri attrezzi utili al divertimento.
Il gioco sarebbe consistito nello spogliare la schiava con le frustate e, una volta nuda, divertirsi con gli strumenti messi a disposizione.
La rassegnazione aveva trovato posto nelle anime dei due schiavi dopo qualche settimana di schiavitù, nelle quali erano stati privati di dignità e degradati in ogni cosa, con turni di lavoro estenuanti e servigi ai Padroni sempre più umilianti.
La paura ed il terrore iniziali aveva lasciato posto alla rassegnazione con la quale eseguivano i lavori con una costante forte dose di tensione.
I Padroni avevano insegnato loro come volevano essere serviti e, alla fine, avevano imparato a muoversi e ad evitare inutili punizioni.
Erano perennemente stanchi e pesava la solitudine.
Dormivano separati in celle diverse e difficilmente durante la giornata entravano in contatto. Colloqui coi Padroni erano cosa impossibile e, così, ciascuno dei due trascorreva il tempo a lavorare senza più alcun confronto, che è quello che tiene vivi e stimola l’intelletto.
Avevano iniziato a spegnersi sempre più e questo atteggiamento aveva inciso sulla lucentezza complessiva che caratterizza ciascuna persona.
Quella sera, però, avevano una fortissima dose di paura. Da giorni, da quando cioè erano iniziati i preparativi, erano pervasi da una costante tensione. Avevano intuito, dai discorsi percepiti, che sarebbe stato un evento durissimo, durante il quale sarebbero stati sottoposti a torture varie per il solo piacere degli ospiti.
La solitudine e l’impossibilità del conforto (più che del confronto, in questo caso) reciproco, aveva ulteriormente alimentato il terrore.
Sapevano che i Padroni stavano perdendo interesse in loro e, non conoscendo gli usi di quel ristrettissimo giro di persone, temevano di essere venduti.
A volte, invece, nella propria solitudine e durante il turbinio dei pensieri nelle ore dedicate al meccanico lavoro di pulizia, quasi Monica era arrivata a sperare di essere venduta. Almeno avrebbe avuto una possibilità di essere trattata meglio.
Vero che avrebbe potuto andare peggio. Ormai non si stupiva più della crudeltà umana. In ogni caso aveva capito che il decadimento era troppo veloce e che non sarebbe stata tenuta ancora per molto. Inoltre, più passava il tempo, meno sarebbe stata interessante per nuovi eventuali Padroni.
Amaro era il sorriso nel pensare che, ormai, altra possibilità non aveva se non quella della schiavitù.
L’unica speranza era una schiavitù migliore.
Non ricordava nemmeno più il momento in cui la speranza di riacquistare la libertà l’aveva abbandonata. Era meglio così, senza avere illusioni in quanto queste la facevano vivere peggio perché tutte le mattine si svegliava con un pezzettino in meno di ottimismo.
A volte, poi, accadevano episodi che, in un secondo solo, le strappavano dolorosamente pezzi interi di speranza.
Quella sera non sapeva cosa pensare, se temere il dolore o se, invece, tutto fosse fatto per una vendita lucrosa.
Non sapeva nemmeno più da quanto tempo era stata incatenata al soffitto col peso del corpo sulle punte dei piedi perché, secondo i Padroni, la ridotta superficie di appoggio consentiva contorcimenti più divertenti ai colpi di frusta.
Viveva una continua alternanza di sensazioni. Si era anche imposta di cercare di essere sexy durante i divertimenti degli ospiti nella speranza che qualcuno avesse voluto comperarla e liberarla da quel tipo di schiavitù preferendo l’ignoto di altra schiavitù.
L’eccitazione verso l’ignoto era ciò che l’aveva condotta in quella situazione. In quel momento l’ignoto rappresentava una speranza.
Guardava il marito accanto a lei, in quella posa che riusciva a trovare ridicola, nel suo uso quale tavolino che reggeva gli strumenti per la sua tortura. Non pensava nemmeno più alla tortura cui avrebbe potuto essere sottoposto Franco.
Da tempo si era accorta di non provare più nulla per lui. Le si era spento tutto e, dagli occhi del marito nei pochi casi in cui lo incontrava, aveva letto la stessa cosa.
Quella sera, dopo tanto tempo, avrebbe avuto altri contatti con persone, seppure nel suo ruolo di schiava.
Non sapeva più cosa pensare, cosa sperare, se pensare e se sperare, anche se si chiese in cosa avrebbe potuto sperare. Tuttavia l’istinto di sopravvivenza prevale in ogni animale. Sorrise al pensiero di essersi essa stessa paragonata ad un animale.
L’ignoto, che l’aveva scaraventata in quella situazione, ora le generava paura ma, nel suo profondo, la fiammella si era appena appena accesa anche se la considerava come la speranza che potrebbe avere una persona sull’orlo del fallimento di trovare un portafogli pieno di soldi.
La festa stava per iniziare.
Smise di pensare, preda di terrore per una situazione che, anni addietro, l'avrebbe eccitata quando era lei a cedersi all’ignoto per gioco.
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scritto il
2023-08-01
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