Piaceri diversi
di
Judicael Ouango
genere
etero
Ero scettico. A dal suo sguardo, sembrava anche lei. La suite in cui stavamo dava sul mediterraneo. Dall'enorme living room dov'eravamo, si vedevano le onde di un mare agitato quanto le nostre sensazioni. Ero scettico perché sorpreso. Ed era passata molta acqua sotto i ponti dall'ultima volta che mi capitò. Agata raddrizzò la testa e mi guardò. Abbozzò un sorriso mentre si portava la mano al labbro per aspirare da una lunga sigaretta bianca. Due luci soffuse e la luce che arrivava dal fuori erano sufficienti a notare ogni dettaglio del suo corpo. Indossava un guanto nero che non ricopriva le dita. Di dentella o roba del genere. Era sensuale. Sensuale non é bella. È di più. La bellezza é pacata. La sensualità no. Essa parla, in modo impudente. Si immischia nell'aria, contagia i pensieri, riscalda il sangue, accelera il cuore. Guarda all'orologio sul muro e mi resi conto che il tempo era volato. Avrei dovuto fare una telefonata. Forse la mia espressione cambiò ma ad un punto sentii "Che c'é?".
Solitamente, le domande mi innervosiscono. Ma in quel frangente mi parve normale. Una normalità da cui scappavo da un bel pò...
"Niente, un amica che avrei dovuto chiamare". Lei prese un altra boccata della sua sigarette e disse: "dobbiamo andare?". "No" risposi. Mi alzai e mi misi affianco a lei non senza aver dapprima riempito i nostri calici di un eccellente vino da lei portato. Eravamo alla seconda bottiglia. Presi i miei pantaloni che erano a terra e ne estrassi il mio pacco di tabacco. Bevvi un sorso mentre Agata elegantemente alzò le due gambe incrociate e me le appoggiò sulle cosce. Questa era un altra cosa che mi innervosiva. L'invasione del mio spazio, l'obbligo fisico, la costanza del tocco. Restai indifferente e misi fuori il necessario per farmi una canna che accesi dopo un minuto. L'odore della marijuana riempi la stanza e tirai un sospiro di contentezza dopo il primo tiro appoggiandomi sullo schienale del divano e lasciando le mie mani correre sulle cosce di Agata. "Dall'odore direi che é buona" disse lei. "Vuoi un tiro?" Le chiesi. Rispose di no e bevve un altro sorso di vino. Beveva piuttosto tanto. Ma non perdeva il controllo. La mia mano sinistra giocava con tutta la parte inferiore del suo corpo. Le calze erano finissime, di un colore che emulava il color carne. Quasi non si distinguevano dalle sue gambe. Particolare perché inusuale. Le donne amano i contrasti. Scossi la testa dandomi del cretino per quella globale e banale definizione. Le donne sono diverse, tanto diverse, e posso senza dubbio affermarlo. La mia mano trovò il suo monte di venere e delicatamente cominciai a massaggiarla tutt'attorno. Mi guardava fisso. Il suo trucco non era minimamente colato e sembrava fresca come una rosa. Eppure era dalla viglia che eravamo chiusi. Chiusi ma liberi di dare sfogo a noi stessi. Agata amava la trasgressione come me. Era evidente in ogni aspetto di lei. Quando ci guardammo durante la mostra in cui ci incontrammo, lei con gli occhi me lo disse, e io con gli occhi le rispose. Eppure, sarei dovuto tornare a Roma la sera stessa. C'era già chi mi aspettava nel letto...
Glielo dissi quando ci fu il rinfresco ed ebbi l'opportunità e la chance di trovare vicino a lei in un momento in cui era sola. Lei dopo quel sguardo non mi diede più retta. Era accompagnata da un uomo prestante. Alto quasi quanto me, le spalle possenti, una sicurezza in se che dimostrava una buona posizione economica, bianco. Ed era anche conosciuto in quanto si fermava a parlare ed a scherzare con molti con una faccia di circostanza riconoscibile a migliaia di distanza. E lei accanto, benché convolva, non lo era. Io lo sapevo. Ero stato accanto a donne di potere. Non é evidente, ti tolgono il giusto valore. Quando non attente, diventi un accessorio al loro fianco. Ma lei aveva comunque una personalità che la portava a farsi tuttavia notare. Come dissi dall'inizio, non ha quella bellezza classica vista in Tv. La sensualità era la sua arma. E lo sapeva. Il suo vestito era lungo ed attillato. Nero. Scarpe con i tacchi nere con una fantasia rossa. Al collo aveva una collana di perle bianche con un pendente ed una grossa pietra rossa. Ed i suoi pendenti erano fatte della stessa pietra. Aveva un bracciale finissimo, quasi invisibile all'occhio. Ma quando muoveva la sua mano, mandava bagliori che era impossibile ignorare.
Comunque, mi ci trovai vicino durante il rinfresco. "Ciao, sono James, piacere". Lei mi guardò. La sua bocca era rossa punto il diadema. "Non perdiamo tempo James. Ci vediamo all'hotel Astor per le 9.30. Davanti alla hall". Poi si girò a cercare con gli occhi il suo compagno...
Successe alle 18.30. Non ero particolarmente eccitato. Già prima di partire la mattina ero stato con una donna dalle mille risorse nascoste. Anna... Un amante incredibile che avevo incontrato pochi anni prima. Era sposata ed aveva figli. Il che per me era perfetto. Ci vedevamo di rado, a volte, a distanza di mesi. Erano incontri che lasciavano il segno... Io ed Anna ne parlammo una volta. Il sesso é arte. Lei come me ne era convinta profondamente. Dalle geometrie alle sensazioni, é un disegno che prende vita. Il sesso é dimostrazione indubbia di capacità di felicità dell'essere umano. Lo si dovrebbe insegnare a scuola. Come toccare. Come baciare. Come leccare. Come succhiare. Come darlo. Come prenderlo. Quando rallentare. Accelerare. Spingere, o rimanere nel mezzo, all'inizio. Sentire il corpo altrui che gode di noi, goderne nello stesso momento, riuscire a percepire il battito di un cuore che non é nostro, godere di piaceri altrui.
Mi scossi dai miei pensieri e decisi di restare. Anche se questa sera avrei dovuto vedere Monica... Pensai a mandarle un messaggio ma mi dimenticai. Poco dopo me ne andai dalla mostra e feci un giro nella Bari antica. Presi un piatto di cozze, la specialità della zona, e chiesi all'oste se potesse indicarmi un albergo decente in zona. Mi spiegò che in zona e vista la stagione sarebbero tutti pieni ma potevo allontanarmi di poco e trovare buone offerte. Si propose di telefonare a suo cugino che aveva un "bellissimo" albergo a Polignano a mare, distante poco da Bari. Gli chiesi il nome e diedi una veloce occhiata su internet. A dir poco era stupefacente. Il proprietario del ristorante che continuava a parlare mentre guardavo le foto mi disse di non preoccuparmi per i costi, che sarebbe stato un affare. Prevenuto gli chiesi "Quanto vuol dire un affare?". "Ma che ne so... rispose. Sui 100 euro va bene?". Acconsentii subito. Come dicevo, il sesso é un arte, e la location non é indifferente. È il quadro della tela.
9:15. Ero parcheggiato davanti all'hotel Astor di Bari.
9:45. Ero ancora li.
9:55. Stavo per far partire la macchina quando si fermò davanti alla hall una range rover edizione speciale. Ne scese lei. Rimasi con le dita fisse sulle chiavi nell'atto di accendere la macchina. La verità é che non ero nemmeno tentato di far partire la macchina. Lasciarla li, sgommare, ed andarmene indignato. Non mi sono mai sentito una persona da far aspettare. Nell'ordine naturale delle cose, c'é chi lo fa, e chi no. Non é solo un fatto di possibilità, ma anche di indole, di carattere, di coscienza di se, forse anche di presunzione, ma é cosi. La vita mi ha donato un bel corpo, un bel viso, ed una mente in grado di destreggiarsi egregiamente in questo mondo. Non é poco. Anzi, per parecchi, é tanto. Cosi tanto da issarti in alto senza il tuo volere. Avevo la fortuna di poter scegliere chi scoparmi. Ed é una fortuna immensa.
Rimasi dunque seduto al volante. Lei non fece nemmeno finta di entrare in albergo come mi sarei aspettato. Aveva cambiato il vestito e la borsa. Piuttosto grande la borsa. Fece dalla macchina e cominciò a guardarsi attorno. Mi vide e si diresse verso di me a passi rapidi. Non feci nemmeno in tempo a scendere ed a aprirle lo sportello che già era seduta nell'abitacolo. Rinchiuse e mi guardò con un sorriso. "Scusa il ritardo".
"Avrai modo di farti perdonare" dissi con un tono scherzoso. Da un istante all'altro, ero passato dalla frustrazione ad un incredibile eccitazione. Ed entusiasmo. "Vuoi bere qualcosa?" Le chiesi. "Hai preso una stanza?" Mi rispose. "Si certo" dissi. Mi divertiva la sua replica. Un pò ci assomigliavamo. Agata era abituata a comandare. Ed a ottenere ciò che vuole.
"Dove andiamo?" Mi chiese quando cominciammo a lasciare la città. "Polignano a mare" dissi. "Ah". Fu tutto quello che disse. Poi prese il cellulare e durante tutto il tragitto non ci rivolgemmo la parola.
Entrati in stanza, diventò la donna che avevo intravisto incrociando il suo sguardo durante il vernissage. Non ci toccammo ne ci provocammo al di fuori della stanza. Chiusa la porta, mi venne vicino, alzò la testa verso il mio collo, inspirò profondamente, e poi con le labbra, mi diede un bacio leggerissimo. Le sue mani, o meglio, le sue dita, correvano piano sulla mia schiena. La lasciai fare per un minuto mentre a mia volta sentivo il suo odore. Per me era essenziale, cosi come per lei. Le nostre bocche non si cercarono subito. Disegnavamo con le labbra sulla pelle a vicenda dei desideri di lussuria. Le mie mani cercavano sul suo corpo i brividi. Andavano e venivano laddove lei trasaliva e mi mordicchiava leggermente. Non potevo vederla negli occhi perché eravamo al buio. Bisogna introdurre la scheda per accendere il tutto. La presi da sotto le braccia, la alzai un poco al mio livello, e le diedi un piccolo bacio in bocca. Al di ché la lasciai a terra e mi girai a mettere la chiave.
Se non dissi "waouh", fu perché non volevo fare una piccola figura davanti a lei. Non sono ignaro alla ricchezza, ne ai posti di lusso, ma quella suite era a dir poco splendida. Come poggiata su una roccia in mezzo al mare. La moquette era cosi alta da attutire ogni rumore dei passi ed il sapiente disegno tra l'antico ed il moderno davano un fasto inaspettato. Lei non rimase colpita per niente. Si diresse verso il centro della stanza e mentre camminava tirò giù la zip laterale del vestito che indossava che le scivolò mentre continuava a camminare. Sui tacchi, perizoma nero di pizzo, reggiseno della stessa linea, mostrò quanto fosse sensuale. Era voluttuosa. Leggermente abbondante, ma non abbastanza. La sensualità delle donne si accresce con un pò di carne. Tranne per quelle che del peso fanno un problema. Agata non ne aveva di problemi. Non sapevo allora che cosi si chiamava. Pur se non sono facilmente impressionabile, quella volta, dovetti deglutire. Era bello provare l'emozione di un incontro. Cominciai a sbottonarmi la camicia mentre trafficava con Alexa. Dopo poco, delle sonorità moderne del blues e del jazz riempirono la stanza. Agata si sedette sul divano di pelle bianca e tirò a se il piccolo tavolo dove poggiò le gambe incrociandole. In mano, teneva il telecomando di un televisore che scopri essere sia sul soffitto che su un intera parete e mise un film o qualcosa. La osservavo divertito. A condurre il gioco, di solito, sono io. Ad essere indifferente, di solito, sono io. A far aspettare, di solito, sono io. Ma ho la presunzione di sapere del sesso ciò che molti ignorano: la sua bellezza. E vivendola in modo intenso, ho alzato sempre l'asticella. È come una droga. Da una, passai a due, tre, persino con quattro donne assieme sono stato. Bypassiamo poi le feste ed i festini. Tutta acqua passata, utile a crescere ma sopratutto a capire che il sesso é cosi complesso da non essere compreso da tutti. E da li, ti nasce un atteggiamento distaccato, che spesso può essere scambiato come presunzione, o arroganza.
Andai in bagno a farmi una doccia e tornai con l'accappatoio in stanza. Da li, usci sull'enorme balcone fumando una sigaretta ed assaporando l'aria fresca della sera. Lei venne vicino a me com'era vestita e si accese una sigaretta. Fumammo in silenzio. Non avevamo niente da dirci con le parole.
Tolsi l'accappatoio entrando e quasi ci scontrammo all'uscio. Sorrise, lei mi guardò sorpresa. Le presi la mano, e la portai sulla destra della stanza dove non c'era altro che un quadro in mezzo al muro. Le feci appoggiare le braccia sul muro. E poi con un dito, un solo dito, cominciai a toccarla. Lungo la schiena, le cosce, tra le gambe, sotto i seni, i capezzoli. Raccoglievo informazioni di goduria, guardavo il suo corpo che si tendeva e si arcuava. Decisi di masturbarla mentre la accarezzavo nello stesso modo e toccai delicatamente il suo clitoride. Senza fretta. Era molto bagnata, e presi un po di umori dalla sua vagina per far scivolare meglio il dito sul clitoride che si era gonfiato. Alzò la testa all'indietro e reprimo un grido. Allora le misi la bocca nell'incavo della schiena, e delicatamente, mentre la masturbavo, andavo su e giu con la lingua.
Si girò di colpo e mi guardò. Non era venuta. Non voleva venire in questo modo. Fu lei questa volta a prendermi la mano ed a condurmi sul divano. Si sedette, tirò fuori dalla sua borsa tre bottiglie di vino, apri un piccolo mobile affianco con dei calici e ne prese due insieme al cavatappi. Mi aspettavo che mi chiedesse di aprire ma non lo fece. Non mi proposi. Non era necessario. Versò due calici dopo aver annusato ad approvato il vino. Mi guardò negli occhi ed alzò la coppa. Non brindammo a niente. Non ci conoscevamo, non c'era nulla a cui brindare per allora. Poi, si accese un altra sigaretta, e con nonchalance, presi il mio membro tra le dita. "Cazzo" disse. Finita la sigaretta, semplicemente si alzò, scostò la mutande, e si infilò sopra di me.
La figa é sempre diversa l'un dall'altra. Chi é più profonda, chi bagna di più, chi contrae di più quando gode, chi si apre di più, chi può prendere il cazzo per ore, chi no. Ed é uguale per il cazzo. La figa di Agata era morbida, vellutata, dolce, avvolgente. Si lasciò cadere sul mio cazzo e fece una smorfia di dolore. Che avesse delle dimensioni esagerate lo sapevo. Lei però non si alzò. Rimase cosi, con me conficcato in lei, per almeno un minuto. Sentivo il battito del suo cuore sul mio cazzo, le sue contrazioni che a loro volte mi mi provocavano brividi anche sul cazzo. Il che a sua volta le procurava lo stesso. Brividi che rincorrono brividi. Aveva le mani sul mio petto, io le avevo sul suo bacino. Era surreale come situazione. I nostri corpi avevano tre giunzioni. Lei cominciò a muoversi mentre da uno specchio agganciato in modo sapiente per non occupare lo spazio riuscito a vedere i nostri corpi sul divano bianco. Il mio corpo nero si ritagliava perfettamente contro lo sfondo bianco del divano mentre Agata sembrava il contrasto del contrasto. Sospirai. E guardai il mio cazzo che al ritmo di una canzone blues spariva nella sua figa per tornare sempre più lucente di piaceri intimi. Le passai una mano sotto il collo e con l'altra le presi il seno destro. Era tondo, bello pieno, morbido, allettante... Avvicinai la bocca e le presi il capezzolo in bocca. Lentamente. Come si fa con le caramelle gommose. Quasi timoroso di staccarlo. Lo avvolsi con la lingua, e cominciai a succhiare come fanno i neonati ma con molta meno foga. Sembrò apprezzare. Si rizzò ancor di più. Credo il mio cazzo fece lo stesso in lei. Mi sorprese che non avesse fretta. Perlopiù, le donne hanno fretta di godere. Per la poca fiducia nei tempi dei loro Partners, per la poco percezione che i loro partner danno ai loro corpi. Solitamente, si sbrigano a godere. Lei no. La sentii godere per le contrazioni della sua vagina. Era come un parto... Le contrazioni erano sempre più vicine per poi diventare uniche. La figa di una donna che gode é come il paradiso. Se é vero quel che dicono del paradiso. In quel momento, non si tratta più di sola fisicità, o mentali piaceri. È un tutto che travolge a partire dei sensi per arrivare all'irrazionale logica di questo cazzo di mondo. Stavo in lei che mi stringeva e sentivo un immenso piacere prendere posto in ogni fibra del mio corpo. Agata non cambiò ritmo mentre continuò a godere per lunghissimi minuti.
Poi, si fermò esausta. Ma non si staccò. Rimase e quindi potetti godermi le ultime contrazioni della sua figa che colava copiosamente bagnandomi completamente le gambe. Piano, la scostai. Si alzò in piedi ed ebbe un momento di debolezze sulle gambe. Prontamente la abbracciai e la feci sedere. Non era mia intenzione farmi fare un pompino. Ma avevamo la stessa razza di desiderio, gli stessi vasto confini del piacere. La sua bocca rossa avvolse il mio pene risucchiandolo lentamente. Il piacere non ha fretta. Lei lo sapeva, io lo sapevo. Col mio pene in bocca, mi dimostrò la sua maestria nell'arte del sesso. Premeva con la lingua sul mio glande, sfiorava con la punta della lingua la base del mio cazzo al mio limite delle palle. Si fermava, lo teneva in mano, ci soffiava sopra. Lo baciava. Lei osservava ogni sussulto del mio cazzo, lo accompagnava, lo rispettava, lo allevava, lo allietava. La scostai da me e ci alzammo. Ci dirigemmo verso il balcone. Le altre suite della nostra erano confinanti ma separati da una lastra di vetro che faceva passare la luce ma impediva di distinguere dall'altra parte. Lei andò diritto alla ringhiera ed appoggiò le mani offrendomi il sedere. La presi per i fianchi e presi dolcemente possesso di lei. O lei di me. Di nuovo mi sentii avvolgere dalla sua intimità. Scivolavo in lei con naturalezza, convinto, deliziato. I miei occhi godevano quanto il mio corpo. Agata guardava il mare in lontananza. Ci muovevamo al ritmo delle onde. Si sentiva la musica ancora ma era dominata dal fracasso della marea che andava e veniva. Sul mio cazzo nero, apparve una densa crema bianca. Più andavo e venivo in lei, da lei, più aumentava. E sentivo il piacere di nuovo, assillante, perpetuo, costante, stupendo. Godevo con gli occhi la meraviglia del piacere. Le misi una mano sul clitoride, e mi spinsi in avanti rimanendo poi immobile tranne che col dito. Mugugnava lei, mugugnavo io. Venne un altra volta per un tempo indefinibile. Le contrazioni non erano solo sue. Erano nostre. Per chi non lo sa, anche gli uomini godono in più modi. Eiaculare é un altra cosa. La goduria non é solo mentale. È metafisica. Il corpo non si raddoppia, anzi, si divide. Lascia la parte che ha il controllo della realtà fuori da noi. E rimane solo quella senza limiti. Quella artistica che sa riconoscere il bello, quella mentale che sa rendere reale ogni fantasia, persino quella umana che ti convince che non siamo soli.
Tornammo in soggiorno e Agata fece una riflessione sul fatto che non avessimo nemmeno visto come fosse fatta la stanza. Risi e risposi che c'era tempo. "Sicuramente" disse lei ed andò in bagno. Tornò senza reggiseno e senza mutande. Lo dico ancora una volta. Non era la bellezza classica. Non era la donna delle pubblicità. Tantomeno quella che vediamo tutti in fantasia. Per tutti intendo noi maschi. L'eleganza, la sensualità, e l'intelligenza messi insieme hanno un potere travolgente. Lei lo aveva. Si sedette accanto a me, incrociò le gambe, si versò un pò di vino, ed accese la sigaretta lunga. Ne approfittai per andare in bagno. Le cozze si facevano sentire... Mi portai una canna che avevo preparato nel pomeriggio e me la accesi sul cesso. Ero sorridente. Non felice, non ancora appagato, ma soddisfatto oltre il limite. Scopare mi annoiava. Godere no. Speravo che ci fosse ancora tempo...
Mi buttai in doccia dopo aver fatto i miei bisogni e girai la manopola calda quasi sul bollente. Mi stavo quasi scottando quando senti una presenza dietro di me. Aprii gli occhi che tenevo chiusi per via della schiuma e vidi Agata che entrava nella vasca. Era anche una vasca di idromassaggio che aveva lo sportello che si apriva e chiudeva. E lei lo chiuse. Capii subito ciò che desiderava. Lo desideravo anch'io. La mia voglia di acqua bollente sul corpo era condivisa. I piaceri fanno bollori che portano ad eruzioni. Violenti fuori uscite di sensazioni speciali. "Cazzo" disse lei sentendo quanto fosse calda l'acqua. Poi, chiuse la doccia ed accese il rubinetto per riempire la vasca. Ci sedemmo e ci guardammo. "Aspetta" disse lei tutto ad un tratto ed usci dalla vasca. Torbo con i nostri calici e le sue sigarette. Gliene chiesi una e fumammo mentre la vasca si riempiva di acqua bollente. Lei era seduta di fronte a me. Con la punta del piede, giocava distrattamente col mio cazzo. Ed io col mignolo, le massaggiavo delicatamente il clitoride. L'estasi era totale. Poi accesi l'idromassaggio e le bolle cominciarono ad invadere la vasca mentre potenti getti ci colpivano da tutte le parti. Lei si alzò, mi guardò negli occhi, poggiò il suo bicchiere e la sigaretta in bilico sulla vasca, e si sedette su di me...
Poi passammo nella camera da letto. C'erano specchi ovunque. Ci guardammo, e ci sorridemmo a vicenda. "Mi chiamo Agata". Sorrisi. "Stai tranquilla, non ti chiamerò per il nome. Almeno per il momento" le disse. Girò velocemente la testa e mi guardò sorpreso. Aggiunsi che non l'avrei annoiata mai. Stesi sul letto a parlare, si girò verso di me, e mi diede un bacio. La girai, sali sopra di lei, ed entrai in lei. Ci muovemmo ancora ed ancora per ore fino che i raggi del sole ci ricordarono che era giorno. "Posso rimanere?" Mi chiese lei. Come risposta chiamai alla reception e chiesi se c'era la possibilità di prolungare il soggiorno nella stessa stanza per un giorno. Mi fu detto di si. "Solo un giorno?" Disse lei guardandomi con malizia. Le risposi con una pernacchia e ci addormentammo.
Ci svegliammo facendo sesso. Mangiammo facendo l'amore. Passano il pomeriggio l'un nell'altro. Ed ogni secondo fu prezioso. Perché godurioso.
Ecco perché la guardavo con scetticismo. Ero stato bene. Oltre quanto ero abituato. E pareva fosse cosi anche per lei. Ed ora ci guardavamo. Semplicemente.
Solitamente, le domande mi innervosiscono. Ma in quel frangente mi parve normale. Una normalità da cui scappavo da un bel pò...
"Niente, un amica che avrei dovuto chiamare". Lei prese un altra boccata della sua sigarette e disse: "dobbiamo andare?". "No" risposi. Mi alzai e mi misi affianco a lei non senza aver dapprima riempito i nostri calici di un eccellente vino da lei portato. Eravamo alla seconda bottiglia. Presi i miei pantaloni che erano a terra e ne estrassi il mio pacco di tabacco. Bevvi un sorso mentre Agata elegantemente alzò le due gambe incrociate e me le appoggiò sulle cosce. Questa era un altra cosa che mi innervosiva. L'invasione del mio spazio, l'obbligo fisico, la costanza del tocco. Restai indifferente e misi fuori il necessario per farmi una canna che accesi dopo un minuto. L'odore della marijuana riempi la stanza e tirai un sospiro di contentezza dopo il primo tiro appoggiandomi sullo schienale del divano e lasciando le mie mani correre sulle cosce di Agata. "Dall'odore direi che é buona" disse lei. "Vuoi un tiro?" Le chiesi. Rispose di no e bevve un altro sorso di vino. Beveva piuttosto tanto. Ma non perdeva il controllo. La mia mano sinistra giocava con tutta la parte inferiore del suo corpo. Le calze erano finissime, di un colore che emulava il color carne. Quasi non si distinguevano dalle sue gambe. Particolare perché inusuale. Le donne amano i contrasti. Scossi la testa dandomi del cretino per quella globale e banale definizione. Le donne sono diverse, tanto diverse, e posso senza dubbio affermarlo. La mia mano trovò il suo monte di venere e delicatamente cominciai a massaggiarla tutt'attorno. Mi guardava fisso. Il suo trucco non era minimamente colato e sembrava fresca come una rosa. Eppure era dalla viglia che eravamo chiusi. Chiusi ma liberi di dare sfogo a noi stessi. Agata amava la trasgressione come me. Era evidente in ogni aspetto di lei. Quando ci guardammo durante la mostra in cui ci incontrammo, lei con gli occhi me lo disse, e io con gli occhi le rispose. Eppure, sarei dovuto tornare a Roma la sera stessa. C'era già chi mi aspettava nel letto...
Glielo dissi quando ci fu il rinfresco ed ebbi l'opportunità e la chance di trovare vicino a lei in un momento in cui era sola. Lei dopo quel sguardo non mi diede più retta. Era accompagnata da un uomo prestante. Alto quasi quanto me, le spalle possenti, una sicurezza in se che dimostrava una buona posizione economica, bianco. Ed era anche conosciuto in quanto si fermava a parlare ed a scherzare con molti con una faccia di circostanza riconoscibile a migliaia di distanza. E lei accanto, benché convolva, non lo era. Io lo sapevo. Ero stato accanto a donne di potere. Non é evidente, ti tolgono il giusto valore. Quando non attente, diventi un accessorio al loro fianco. Ma lei aveva comunque una personalità che la portava a farsi tuttavia notare. Come dissi dall'inizio, non ha quella bellezza classica vista in Tv. La sensualità era la sua arma. E lo sapeva. Il suo vestito era lungo ed attillato. Nero. Scarpe con i tacchi nere con una fantasia rossa. Al collo aveva una collana di perle bianche con un pendente ed una grossa pietra rossa. Ed i suoi pendenti erano fatte della stessa pietra. Aveva un bracciale finissimo, quasi invisibile all'occhio. Ma quando muoveva la sua mano, mandava bagliori che era impossibile ignorare.
Comunque, mi ci trovai vicino durante il rinfresco. "Ciao, sono James, piacere". Lei mi guardò. La sua bocca era rossa punto il diadema. "Non perdiamo tempo James. Ci vediamo all'hotel Astor per le 9.30. Davanti alla hall". Poi si girò a cercare con gli occhi il suo compagno...
Successe alle 18.30. Non ero particolarmente eccitato. Già prima di partire la mattina ero stato con una donna dalle mille risorse nascoste. Anna... Un amante incredibile che avevo incontrato pochi anni prima. Era sposata ed aveva figli. Il che per me era perfetto. Ci vedevamo di rado, a volte, a distanza di mesi. Erano incontri che lasciavano il segno... Io ed Anna ne parlammo una volta. Il sesso é arte. Lei come me ne era convinta profondamente. Dalle geometrie alle sensazioni, é un disegno che prende vita. Il sesso é dimostrazione indubbia di capacità di felicità dell'essere umano. Lo si dovrebbe insegnare a scuola. Come toccare. Come baciare. Come leccare. Come succhiare. Come darlo. Come prenderlo. Quando rallentare. Accelerare. Spingere, o rimanere nel mezzo, all'inizio. Sentire il corpo altrui che gode di noi, goderne nello stesso momento, riuscire a percepire il battito di un cuore che non é nostro, godere di piaceri altrui.
Mi scossi dai miei pensieri e decisi di restare. Anche se questa sera avrei dovuto vedere Monica... Pensai a mandarle un messaggio ma mi dimenticai. Poco dopo me ne andai dalla mostra e feci un giro nella Bari antica. Presi un piatto di cozze, la specialità della zona, e chiesi all'oste se potesse indicarmi un albergo decente in zona. Mi spiegò che in zona e vista la stagione sarebbero tutti pieni ma potevo allontanarmi di poco e trovare buone offerte. Si propose di telefonare a suo cugino che aveva un "bellissimo" albergo a Polignano a mare, distante poco da Bari. Gli chiesi il nome e diedi una veloce occhiata su internet. A dir poco era stupefacente. Il proprietario del ristorante che continuava a parlare mentre guardavo le foto mi disse di non preoccuparmi per i costi, che sarebbe stato un affare. Prevenuto gli chiesi "Quanto vuol dire un affare?". "Ma che ne so... rispose. Sui 100 euro va bene?". Acconsentii subito. Come dicevo, il sesso é un arte, e la location non é indifferente. È il quadro della tela.
9:15. Ero parcheggiato davanti all'hotel Astor di Bari.
9:45. Ero ancora li.
9:55. Stavo per far partire la macchina quando si fermò davanti alla hall una range rover edizione speciale. Ne scese lei. Rimasi con le dita fisse sulle chiavi nell'atto di accendere la macchina. La verità é che non ero nemmeno tentato di far partire la macchina. Lasciarla li, sgommare, ed andarmene indignato. Non mi sono mai sentito una persona da far aspettare. Nell'ordine naturale delle cose, c'é chi lo fa, e chi no. Non é solo un fatto di possibilità, ma anche di indole, di carattere, di coscienza di se, forse anche di presunzione, ma é cosi. La vita mi ha donato un bel corpo, un bel viso, ed una mente in grado di destreggiarsi egregiamente in questo mondo. Non é poco. Anzi, per parecchi, é tanto. Cosi tanto da issarti in alto senza il tuo volere. Avevo la fortuna di poter scegliere chi scoparmi. Ed é una fortuna immensa.
Rimasi dunque seduto al volante. Lei non fece nemmeno finta di entrare in albergo come mi sarei aspettato. Aveva cambiato il vestito e la borsa. Piuttosto grande la borsa. Fece dalla macchina e cominciò a guardarsi attorno. Mi vide e si diresse verso di me a passi rapidi. Non feci nemmeno in tempo a scendere ed a aprirle lo sportello che già era seduta nell'abitacolo. Rinchiuse e mi guardò con un sorriso. "Scusa il ritardo".
"Avrai modo di farti perdonare" dissi con un tono scherzoso. Da un istante all'altro, ero passato dalla frustrazione ad un incredibile eccitazione. Ed entusiasmo. "Vuoi bere qualcosa?" Le chiesi. "Hai preso una stanza?" Mi rispose. "Si certo" dissi. Mi divertiva la sua replica. Un pò ci assomigliavamo. Agata era abituata a comandare. Ed a ottenere ciò che vuole.
"Dove andiamo?" Mi chiese quando cominciammo a lasciare la città. "Polignano a mare" dissi. "Ah". Fu tutto quello che disse. Poi prese il cellulare e durante tutto il tragitto non ci rivolgemmo la parola.
Entrati in stanza, diventò la donna che avevo intravisto incrociando il suo sguardo durante il vernissage. Non ci toccammo ne ci provocammo al di fuori della stanza. Chiusa la porta, mi venne vicino, alzò la testa verso il mio collo, inspirò profondamente, e poi con le labbra, mi diede un bacio leggerissimo. Le sue mani, o meglio, le sue dita, correvano piano sulla mia schiena. La lasciai fare per un minuto mentre a mia volta sentivo il suo odore. Per me era essenziale, cosi come per lei. Le nostre bocche non si cercarono subito. Disegnavamo con le labbra sulla pelle a vicenda dei desideri di lussuria. Le mie mani cercavano sul suo corpo i brividi. Andavano e venivano laddove lei trasaliva e mi mordicchiava leggermente. Non potevo vederla negli occhi perché eravamo al buio. Bisogna introdurre la scheda per accendere il tutto. La presi da sotto le braccia, la alzai un poco al mio livello, e le diedi un piccolo bacio in bocca. Al di ché la lasciai a terra e mi girai a mettere la chiave.
Se non dissi "waouh", fu perché non volevo fare una piccola figura davanti a lei. Non sono ignaro alla ricchezza, ne ai posti di lusso, ma quella suite era a dir poco splendida. Come poggiata su una roccia in mezzo al mare. La moquette era cosi alta da attutire ogni rumore dei passi ed il sapiente disegno tra l'antico ed il moderno davano un fasto inaspettato. Lei non rimase colpita per niente. Si diresse verso il centro della stanza e mentre camminava tirò giù la zip laterale del vestito che indossava che le scivolò mentre continuava a camminare. Sui tacchi, perizoma nero di pizzo, reggiseno della stessa linea, mostrò quanto fosse sensuale. Era voluttuosa. Leggermente abbondante, ma non abbastanza. La sensualità delle donne si accresce con un pò di carne. Tranne per quelle che del peso fanno un problema. Agata non ne aveva di problemi. Non sapevo allora che cosi si chiamava. Pur se non sono facilmente impressionabile, quella volta, dovetti deglutire. Era bello provare l'emozione di un incontro. Cominciai a sbottonarmi la camicia mentre trafficava con Alexa. Dopo poco, delle sonorità moderne del blues e del jazz riempirono la stanza. Agata si sedette sul divano di pelle bianca e tirò a se il piccolo tavolo dove poggiò le gambe incrociandole. In mano, teneva il telecomando di un televisore che scopri essere sia sul soffitto che su un intera parete e mise un film o qualcosa. La osservavo divertito. A condurre il gioco, di solito, sono io. Ad essere indifferente, di solito, sono io. A far aspettare, di solito, sono io. Ma ho la presunzione di sapere del sesso ciò che molti ignorano: la sua bellezza. E vivendola in modo intenso, ho alzato sempre l'asticella. È come una droga. Da una, passai a due, tre, persino con quattro donne assieme sono stato. Bypassiamo poi le feste ed i festini. Tutta acqua passata, utile a crescere ma sopratutto a capire che il sesso é cosi complesso da non essere compreso da tutti. E da li, ti nasce un atteggiamento distaccato, che spesso può essere scambiato come presunzione, o arroganza.
Andai in bagno a farmi una doccia e tornai con l'accappatoio in stanza. Da li, usci sull'enorme balcone fumando una sigaretta ed assaporando l'aria fresca della sera. Lei venne vicino a me com'era vestita e si accese una sigaretta. Fumammo in silenzio. Non avevamo niente da dirci con le parole.
Tolsi l'accappatoio entrando e quasi ci scontrammo all'uscio. Sorrise, lei mi guardò sorpresa. Le presi la mano, e la portai sulla destra della stanza dove non c'era altro che un quadro in mezzo al muro. Le feci appoggiare le braccia sul muro. E poi con un dito, un solo dito, cominciai a toccarla. Lungo la schiena, le cosce, tra le gambe, sotto i seni, i capezzoli. Raccoglievo informazioni di goduria, guardavo il suo corpo che si tendeva e si arcuava. Decisi di masturbarla mentre la accarezzavo nello stesso modo e toccai delicatamente il suo clitoride. Senza fretta. Era molto bagnata, e presi un po di umori dalla sua vagina per far scivolare meglio il dito sul clitoride che si era gonfiato. Alzò la testa all'indietro e reprimo un grido. Allora le misi la bocca nell'incavo della schiena, e delicatamente, mentre la masturbavo, andavo su e giu con la lingua.
Si girò di colpo e mi guardò. Non era venuta. Non voleva venire in questo modo. Fu lei questa volta a prendermi la mano ed a condurmi sul divano. Si sedette, tirò fuori dalla sua borsa tre bottiglie di vino, apri un piccolo mobile affianco con dei calici e ne prese due insieme al cavatappi. Mi aspettavo che mi chiedesse di aprire ma non lo fece. Non mi proposi. Non era necessario. Versò due calici dopo aver annusato ad approvato il vino. Mi guardò negli occhi ed alzò la coppa. Non brindammo a niente. Non ci conoscevamo, non c'era nulla a cui brindare per allora. Poi, si accese un altra sigaretta, e con nonchalance, presi il mio membro tra le dita. "Cazzo" disse. Finita la sigaretta, semplicemente si alzò, scostò la mutande, e si infilò sopra di me.
La figa é sempre diversa l'un dall'altra. Chi é più profonda, chi bagna di più, chi contrae di più quando gode, chi si apre di più, chi può prendere il cazzo per ore, chi no. Ed é uguale per il cazzo. La figa di Agata era morbida, vellutata, dolce, avvolgente. Si lasciò cadere sul mio cazzo e fece una smorfia di dolore. Che avesse delle dimensioni esagerate lo sapevo. Lei però non si alzò. Rimase cosi, con me conficcato in lei, per almeno un minuto. Sentivo il battito del suo cuore sul mio cazzo, le sue contrazioni che a loro volte mi mi provocavano brividi anche sul cazzo. Il che a sua volta le procurava lo stesso. Brividi che rincorrono brividi. Aveva le mani sul mio petto, io le avevo sul suo bacino. Era surreale come situazione. I nostri corpi avevano tre giunzioni. Lei cominciò a muoversi mentre da uno specchio agganciato in modo sapiente per non occupare lo spazio riuscito a vedere i nostri corpi sul divano bianco. Il mio corpo nero si ritagliava perfettamente contro lo sfondo bianco del divano mentre Agata sembrava il contrasto del contrasto. Sospirai. E guardai il mio cazzo che al ritmo di una canzone blues spariva nella sua figa per tornare sempre più lucente di piaceri intimi. Le passai una mano sotto il collo e con l'altra le presi il seno destro. Era tondo, bello pieno, morbido, allettante... Avvicinai la bocca e le presi il capezzolo in bocca. Lentamente. Come si fa con le caramelle gommose. Quasi timoroso di staccarlo. Lo avvolsi con la lingua, e cominciai a succhiare come fanno i neonati ma con molta meno foga. Sembrò apprezzare. Si rizzò ancor di più. Credo il mio cazzo fece lo stesso in lei. Mi sorprese che non avesse fretta. Perlopiù, le donne hanno fretta di godere. Per la poca fiducia nei tempi dei loro Partners, per la poco percezione che i loro partner danno ai loro corpi. Solitamente, si sbrigano a godere. Lei no. La sentii godere per le contrazioni della sua vagina. Era come un parto... Le contrazioni erano sempre più vicine per poi diventare uniche. La figa di una donna che gode é come il paradiso. Se é vero quel che dicono del paradiso. In quel momento, non si tratta più di sola fisicità, o mentali piaceri. È un tutto che travolge a partire dei sensi per arrivare all'irrazionale logica di questo cazzo di mondo. Stavo in lei che mi stringeva e sentivo un immenso piacere prendere posto in ogni fibra del mio corpo. Agata non cambiò ritmo mentre continuò a godere per lunghissimi minuti.
Poi, si fermò esausta. Ma non si staccò. Rimase e quindi potetti godermi le ultime contrazioni della sua figa che colava copiosamente bagnandomi completamente le gambe. Piano, la scostai. Si alzò in piedi ed ebbe un momento di debolezze sulle gambe. Prontamente la abbracciai e la feci sedere. Non era mia intenzione farmi fare un pompino. Ma avevamo la stessa razza di desiderio, gli stessi vasto confini del piacere. La sua bocca rossa avvolse il mio pene risucchiandolo lentamente. Il piacere non ha fretta. Lei lo sapeva, io lo sapevo. Col mio pene in bocca, mi dimostrò la sua maestria nell'arte del sesso. Premeva con la lingua sul mio glande, sfiorava con la punta della lingua la base del mio cazzo al mio limite delle palle. Si fermava, lo teneva in mano, ci soffiava sopra. Lo baciava. Lei osservava ogni sussulto del mio cazzo, lo accompagnava, lo rispettava, lo allevava, lo allietava. La scostai da me e ci alzammo. Ci dirigemmo verso il balcone. Le altre suite della nostra erano confinanti ma separati da una lastra di vetro che faceva passare la luce ma impediva di distinguere dall'altra parte. Lei andò diritto alla ringhiera ed appoggiò le mani offrendomi il sedere. La presi per i fianchi e presi dolcemente possesso di lei. O lei di me. Di nuovo mi sentii avvolgere dalla sua intimità. Scivolavo in lei con naturalezza, convinto, deliziato. I miei occhi godevano quanto il mio corpo. Agata guardava il mare in lontananza. Ci muovevamo al ritmo delle onde. Si sentiva la musica ancora ma era dominata dal fracasso della marea che andava e veniva. Sul mio cazzo nero, apparve una densa crema bianca. Più andavo e venivo in lei, da lei, più aumentava. E sentivo il piacere di nuovo, assillante, perpetuo, costante, stupendo. Godevo con gli occhi la meraviglia del piacere. Le misi una mano sul clitoride, e mi spinsi in avanti rimanendo poi immobile tranne che col dito. Mugugnava lei, mugugnavo io. Venne un altra volta per un tempo indefinibile. Le contrazioni non erano solo sue. Erano nostre. Per chi non lo sa, anche gli uomini godono in più modi. Eiaculare é un altra cosa. La goduria non é solo mentale. È metafisica. Il corpo non si raddoppia, anzi, si divide. Lascia la parte che ha il controllo della realtà fuori da noi. E rimane solo quella senza limiti. Quella artistica che sa riconoscere il bello, quella mentale che sa rendere reale ogni fantasia, persino quella umana che ti convince che non siamo soli.
Tornammo in soggiorno e Agata fece una riflessione sul fatto che non avessimo nemmeno visto come fosse fatta la stanza. Risi e risposi che c'era tempo. "Sicuramente" disse lei ed andò in bagno. Tornò senza reggiseno e senza mutande. Lo dico ancora una volta. Non era la bellezza classica. Non era la donna delle pubblicità. Tantomeno quella che vediamo tutti in fantasia. Per tutti intendo noi maschi. L'eleganza, la sensualità, e l'intelligenza messi insieme hanno un potere travolgente. Lei lo aveva. Si sedette accanto a me, incrociò le gambe, si versò un pò di vino, ed accese la sigaretta lunga. Ne approfittai per andare in bagno. Le cozze si facevano sentire... Mi portai una canna che avevo preparato nel pomeriggio e me la accesi sul cesso. Ero sorridente. Non felice, non ancora appagato, ma soddisfatto oltre il limite. Scopare mi annoiava. Godere no. Speravo che ci fosse ancora tempo...
Mi buttai in doccia dopo aver fatto i miei bisogni e girai la manopola calda quasi sul bollente. Mi stavo quasi scottando quando senti una presenza dietro di me. Aprii gli occhi che tenevo chiusi per via della schiuma e vidi Agata che entrava nella vasca. Era anche una vasca di idromassaggio che aveva lo sportello che si apriva e chiudeva. E lei lo chiuse. Capii subito ciò che desiderava. Lo desideravo anch'io. La mia voglia di acqua bollente sul corpo era condivisa. I piaceri fanno bollori che portano ad eruzioni. Violenti fuori uscite di sensazioni speciali. "Cazzo" disse lei sentendo quanto fosse calda l'acqua. Poi, chiuse la doccia ed accese il rubinetto per riempire la vasca. Ci sedemmo e ci guardammo. "Aspetta" disse lei tutto ad un tratto ed usci dalla vasca. Torbo con i nostri calici e le sue sigarette. Gliene chiesi una e fumammo mentre la vasca si riempiva di acqua bollente. Lei era seduta di fronte a me. Con la punta del piede, giocava distrattamente col mio cazzo. Ed io col mignolo, le massaggiavo delicatamente il clitoride. L'estasi era totale. Poi accesi l'idromassaggio e le bolle cominciarono ad invadere la vasca mentre potenti getti ci colpivano da tutte le parti. Lei si alzò, mi guardò negli occhi, poggiò il suo bicchiere e la sigaretta in bilico sulla vasca, e si sedette su di me...
Poi passammo nella camera da letto. C'erano specchi ovunque. Ci guardammo, e ci sorridemmo a vicenda. "Mi chiamo Agata". Sorrisi. "Stai tranquilla, non ti chiamerò per il nome. Almeno per il momento" le disse. Girò velocemente la testa e mi guardò sorpreso. Aggiunsi che non l'avrei annoiata mai. Stesi sul letto a parlare, si girò verso di me, e mi diede un bacio. La girai, sali sopra di lei, ed entrai in lei. Ci muovemmo ancora ed ancora per ore fino che i raggi del sole ci ricordarono che era giorno. "Posso rimanere?" Mi chiese lei. Come risposta chiamai alla reception e chiesi se c'era la possibilità di prolungare il soggiorno nella stessa stanza per un giorno. Mi fu detto di si. "Solo un giorno?" Disse lei guardandomi con malizia. Le risposi con una pernacchia e ci addormentammo.
Ci svegliammo facendo sesso. Mangiammo facendo l'amore. Passano il pomeriggio l'un nell'altro. Ed ogni secondo fu prezioso. Perché godurioso.
Ecco perché la guardavo con scetticismo. Ero stato bene. Oltre quanto ero abituato. E pareva fosse cosi anche per lei. Ed ora ci guardavamo. Semplicemente.
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