Lo scrutinio

di
genere
saffico

Guardo una schiena nuda di donna. Non è giovane, è la schiena di una donna quasi di mezza età.
Una pelle sulla quale il tempo comincia a dire che non si ferma per nessuno ma è una schiena ancora bella, morbida al tatto, con il segno arrossato lasciato dal gancetto del reggiseno.
Lei si gira verso di me, lo conosco bene quel viso. Lo conosco da anni ma non così come è ora, non con quello sguardo che si posa su me.
Un viso dolce e leggermente allungato, incorniciato da una folta cascata di capelli castani tra i quali già si scorge qualche filo bianco. Una miriade di piccole rughe agli angoli dei grandi occhi chiari e della bocca dalle labbra sottili, un naso sottile e delicato. Una ruga più profonda sale dalla radice del naso, andando a formare quello che, ho letto da qualche parte, chiamano il triangolo della tristezza, come il titolo di un film di qualche anno fa.
Lo conosco bene quel viso, è la mia collega di storia e filosofia. Stessa scuola, stessa sezione, stesso collegio docenti. Sposate da anni con due amici di gioventù, senza figli.
Gli scrutini di fine quadrimestre sono una noia mortale. Colonne di voti, valutazioni di scritti, interrogazioni orali, giustificazioni, assenze. Alla fine tutto si riduce a una sequenza di numeri che, per ora, diranno ad allievi e genitori se le cose vanno bene o almeno in modo sufficiente ma che, a fine anno, saranno una sentenza inappellabile.
Si, lo sappiamo bene che normative e decreti dicono che gli scrutini si fanno a scuola perché i registri sono documenti ufficiali che non possono uscire dalle mura dell’istituto ma in realtà tutti se li portano a casa per lavorare più comodi.
Noi non facciamo eccezione ma è solo la seconda volta che ci troviamo a casa mia per lavorare insieme… è comodo essere in due, ci si aiuta e si fanno meno errori.
Pomeriggio d’inverno a Milano. Piove. Sembra quasi sera per la poca luce che filtra attraverso le nubi gonfie di pioggia.
Fuori, attutiti, il rumore delle auto sull’asfalto bagnato, lo sferragliare dei tram sulle rotaie, un’ambulanza passa a sirena spiegata.
La stanza, quella dove di solito correggo i compiti in classe, è in penombra. Sul tavolo, illuminato da una lampada a stelo che diffonde una luce calda, due tazzine di caffè vuote, un pacchetto di biscotti al cioccolato per ingannare il tempo e la noia. Sono annoiata da morire.
La mano sul ginocchio. No, mi sbaglio dai.!!?? Non mi sbaglio, guardo Irene con muta domanda.
Irene sorride, solleva la mano a coprire uno sbadiglio e mi chiede se non sono annoiata da tutti quei numeri.
E’ bella Irene in questa luce calda e soffusa che le accarezza la pelle nascondendo i segni del tempo. Sorride di nuovo e, con un movimento morbido e languido, stira le braccia sopra la testa. Il golfino nero si tende sui seni che si mostrano ancora pieni e rotondi.
Nel caldo silenzio ovattato riprendiamo a fare quello stucchevole gioco di numeri, medie e arrotondamenti.
Dopo poco, di nuovo, la sua mano sul ginocchio. Lo accarezza e poi, delicata, lo stringe mentre mi dice che ha bisogno di qualche minuto di pausa.
Irene si alza, passa dietro di me e mi appoggia le mani sulle spalle, un leggero massaggio.
“Ma non ti fa male il collo dopo tutto questo tempo chinata sul tavolo? E poi questo tempo umido di certo non aiuta alla nostra età!!”.
Scoppiamo a ridere entrambe mentre le dita scivolano sulla maglia leggera che indosso.
So che dovrei fermarla, magari con una battuta di spirito, forse dovrei alzarmi anch’io e proporre un altro caffè. Ma non ne ho voglia, è così bello sentire quelle mani, quelle dita che dalle spalle scendono sulle scapole e poi di nuovo sulle spalle per poi scivolare, incerte, verso l’attaccatura dei seni.
Il movimento delle dita, via via un po’ più sicure, solleva i miei seni contro il leggero tessuto del reggiseno, lo sfregamento contro la stoffa è piacevole, come segnalano al cervello i capezzoli che presto si risvegliano.
Rilassandomi mi appoggio al suo ventre morbido. Avverto sulla testa il dolce peso dei seni.
Chiudo gli occhi. Il suo massaggio si fa più insistito e le dita si allungano fin quasi al bordo superiore del reggiseno.
“Dai, smettiamola. Riprendiamo, se no non finiamo più…” dico con voce che sento incerta e confusa.
Irene si ferma ma è solo un attimo. Poi sospira e riprende il lento e ipnotico movimento di dita.
Nel silenzio l’atmosfera nella stanza ora è cambiata. I rumori del traffico sono lontani, la pioggia cade rumorosa sulla lamiera delle grondaie.
Dobbiamo fermarci. Mi alzo, mi giro verso di lei, a pochi centimetri l’una dall’altra.
La guardo negli occhi spaventati e un poco stupiti, come certo sono anche i miei. Avverto il suo profumo leggero quando mi scosta una ciocca di capelli dal viso e la mano si ferma sulla guancia.
Vedo i suoi seni sollevarsi nel respiro che si fa più frequente.
Le accarezzo il viso che lei dolcemente appoggia alla mia mano. Avvicino le labbra alle sue.
Si ritrae e distoglie lo sguardo. Le giro il viso verso di me e di nuovo avvicino le labbra alle sue, sono morbide, tiepide, senza trucco.
I suoi occhi ora sono chiusi mentre la bocca risponde al mio bacio leggero.
Nell’abbraccio i seni ora si sfiorano, le braccia dell’una sulla schiena dell’altra. Chiudo gli occhi quando sento la punta della lingua che, lieve, accarezza le mie labbra dischiuse.
La mia lingua risponde alla sua in un chiaro e improvviso messaggio.
Con movimenti incerti e insicuri sfilo dalla testa il suo golfino nero e mi fermo a guardarla, mentre con gli occhi sempre chiusi e con un tremolio delle labbra lei si mostra a me.
Il seno coperto dal piccolo reggiseno è, come immaginavo da sempre, pieno e rotondo, maturo e ancora fiorente. La sua pelle è bianca, morbida, un piccolo neo alla base del collo che accarezzo con la lingua.
Irene sussurra il mio nome con voce che non riconosco mentre le slaccio il reggiseno e prendo tra le mani quei seni che chiedono di essere baciati, quei capezzoli eretti che chiedono solo di essere amati.
I suoi occhi chiari sono fari nella penombra della stanza mentre la guido sul divano dietro di noi.
Le sue mani, con l’urgenza del desiderio, mi spogliano, sento la bocca che affonda nel solco tra i miei seni ora nudi, la lingua che dai capezzoli risale al mio collo e su, fino alla bocca dischiusa e alla lingua pronta al gioco che stiamo imparando a condurre.
Poi, finalmente, fa scivolare a terra i suoi pantaloni e con la mano conduce le mie dita al paradiso segreto ancora celato dal piccolo slip che scosto impaziente. Gioco con le dita tra i folti riccioli bruni che scopro già umidi al tatto, scendo lungo la via che porta al sesso bagnato di miele.
Con fatica levo la mano dal caldo nido e mi alzo. Tolgo quel poco che ancora indosso e, nuda, mi chino tra le sue cosce dischiuse e accoglienti. Le mani di Irene mi guidano in questa nuova conoscenza, mi spiegano i movimenti, mi suggeriscono i ritmi.
Imparo affondando la lingua dentro di lei mentre le braccia, le mani scivolano sulla sua pelle sudata fino a diventare padrone dei seni, ad accarezzare con le dita le areole brune, a stringere tra le dita gli eccitati capezzoli.
Ancora pronuncia il mio nome con voce calda e tremante mentre mi guida verso il limite del suo piacere che supera arrestando il respiro e inarcando la schiena in un gesto antico.
Risalgo a baciare la bocca umida e calda, la lingua che avvolge la mia.
La mano ora scende tra le mie cosce languidamente aperte al suo tocco, mi penetra con dita curiose e sapienti, mi porta in un abisso di godimento che sembra non trovare mai il fondo.
Finalmente ci abbandoniamo sul divano che ci ha visto conoscere i nostri corpi, donarci il desiderio.
Irene mi volge la schiena, l’abbraccio da dietro, le mani strette a coppa sui suoi seni caldi. I miei schiacciati contro la schiena. I glutei morbidi contro il mio ventre ancora bagnato di piacere…
Poi, poco dopo, lei si gira verso di me. Lo conosco quel viso, lo conosco da anni ma non così come è ora, non con quegli occhi che guardano i miei, non con quelle labbra che ancora si poggiano lievi sulle mie.
Instancabili le mie dita percorrono sentieri segreti sulla pelle di lei che, scossa da tremiti, si stringe a me sussurrando al mio orecchio promesse infuocate. Nulla sarà più come prima. Un mondo cambia.
scritto il
2023-09-24
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