Il caffè
di
Anonima1981
genere
tradimenti
Ero piuttosto nervosa quel mattino, reduce da una ennesima lite coniugale. La causa? Il solito e improvviso impegno di lavoro. Ma sarà poi vero? O forse invece saranno un paio di giorni da qualche parte con quella segretaria con la faccia da troia?
Il risultato era che restavo sola a sorbirmi la suocera stronza e invadente e i figli adolescenti e ormai ingovernabili che ne combinavano di tutti i colori.
Litigare di sera è meglio. Si può sempre fare la pace sotto le lenzuola più tardi, e di solito il sesso dopo un litigio è qualcosa di magico, almeno per me.
Litigare al mattino è la cosa peggiore. Rimani nervosa tutto il giorno a rimuginare le parole dette e sentite. Hai tutto il tempo per innervosirti ancora di più.
Di certo quel mattino ero ancora molto irritata e non mi avrebbe aiutata per nulla quella spinta improvvisa mentre bevevo il caffè al bancone del bar. Non mi avrebbe aiutata se, girandomi con intenzioni bellicose e pronta a sbranare il malcapitato, non avessi incontrato gli occhi grigi di un giovane uomo che sorridendo mi chiedeva scusa e mi guardava con sicuro interesse.
L’irritazione era svanita in un lampo ed era stata sostituita da una piacevole sensazione, la sensazione di poter ancora attrarre l’interesse di un uomo. Essere guardata come si guarda una donna e non come un organismo animale asessuato e fedele custode del focolare domestico.
“Occhigrigi” mi aveva chiesto se poteva offrirmi un altro caffè per sostituire quello che maldestramente mi aveva fatto rovesciare a terra. Ma in che modo lo diceva!! Lo faceva facendo scivolare su di me, come una carezza gentile, il suo sguardo. Mentre io, quasi fossi di nuovo una timida fanciulla, mi sentivo arrossire e mi chiedevo perché mai mi ero vestita così di fretta in quella mattina nervosa.
Un paio di scarpe nere e severe con tacco 6, un jeans nero aderente, una bralette nera e leggera sotto la giacca blu a tre bottoni che, dallo scollo, lasciava spaziare lo sguardo sull’inizio del solco tra i seni. Forse mi ero vestita così, senza davvero pensarci, per una sorta di vendetta inconscia nei confronti di mio marito.
E’ cominciato tutto così!
Si chiama Riccardo, 30 anni, quasi tredici meno di me, fidanzato da tempo con Roberta, la ragazza di sempre.
Ha un bel fisico asciutto e allenato ma soprattutto nasconde sotto i jeans, che indossa di regola, un cazzo di tutto rispetto delle cui prestazioni sono, ormai da qualche mese, fruitrice felice, per quanto non esclusiva.
Quel primo mattino al bar ci siamo messi a parlare come se già ci conoscessimo. Cosa strana per me che non do mai confidenza a nessuno incontrato per caso. Eppure parlare e guardare quel giovane mi metteva allegria e mi faceva sentire viva, giovane ed eccitata!
Mi metteva allegria soprattutto vedere i suoi occhi che giocavano con i miei e poi, facendo finta di nulla, scendevano all’apertura della mia giacca, lì dove nasceva il solco dei seni appena coperti dal sottile nero tessuto.
Lo guardavo mentre appoggiavo le labbra sulla tazza del caffè americano che aveva insistito ad offrirmi, lo guardavo mentre sentivo destarsi i capezzoli, lo guardavo mentre li sentivo spingere urgenti contro la stoffa della bralette.
Mi piaceva stare a parlare appoggiata al bancone del bar. Il tempo non aveva importanza, nemmeno per lui. Mi raccontava di sé, come se mi conoscesse da sempre, mi parlava del suo lavoro da giovane professionista, della sua ragazza che lavorava più ancora di lui e che sembrava non avere mai tempo per fare qualcosa. Più parlava e più mi piaceva restare così, incantata in una dimensione diversa!
Ci siamo rivisti altre tre o quattro volte, sempre nel medesimo bar, sempre alla medesima ora, sempre senza darci un reale appuntamento. Sapevo i suoi orari, lui conosceva i miei. Era un tacito accordo.
Un caffè. Il suo sguardo su me che mettevo sempre più cura nel vestirmi per lui. Il reggiseno era ormai (con stupore silente di mio marito!) un capo d’abbigliamento dimenticato. In realtà mi rendevo conto perfettamente che facevo di tutto per farmi guardare da lui.
Poi, finalmente, un giorno Riccardo mi ha detto che, se mi faceva piacere, avremmo potuto vederci anche in un luogo diverso dal bar sotto casa. Credo di essere diventata rossa per l’emozione ma, da donna matura e di mondo, con studiata e finta incertezza ho lasciato passare qualche secondo prima di dire di si.
Con quel suo seducente sorriso mi ha chiesto se mi stava bene fare due passi nei sentieri del Monte Stella. Il monte milanese dei runner, dei cani a passeggio, delle coppie romantiche e di quelle clandestine. Gli ho risposto che era perfetto, e in quella risposta c’era già tutto.
Il mercoledì successivo, su una panchina, all’ombra di un faggio lussureggiante nella primavera già esplosa c’è stato il primo bacio, timido all’inizio e poi pieno, finalmente profondo. Al primo bacio ne sono seguiti altri, sempre più appassionati e feroci, con labbra che mangiano labbra, con lingue che danzano nervose, con mani che, dapprima esitanti, rapidamente diventano audaci e curiose di quello che vogliono conoscere fin dal primo giorno.
Tra le sue braccia, ho sentito subito l’urgenza del suo desiderio contro il mio ventre, quel cazzo così duro e prepotente che ho imparato a soddisfare nel nostro letto di amanti.
I miei seni nelle sue mani hanno chiesto sempre maggiore attenzione, ho sentito le dita giocare con i capezzoli, stringerli forte quando hanno risposto al richiamo del desiderio.
E oggi di nuovo siamo qui, in quello che lui ha cominciato a chiamare il “nostro” motel, la stanza da letto della nostra alcova segreta. Non perde mai troppo tempo a togliermi tutto di dosso da quando, ben presto, ha perduto l’iniziale incertezza e ha visto che non aspettavo altro che essere nuda, che diventare strumento per il suo piacere.
Mi spoglia con furia febbrile ogni volta che riesco a trovare qualche ora di fuga dalla mia vita normale. Lo spoglio eccitata ogni volta che riesce a trovare qualche ora di fuga dalla sua professione o dalla sua fidanzata. So che si eccita ancora di più se gli chiedo di lei mentre ho le labbra che sfiorano il glande già lucido per il montante piacere. Sa che non so trattenermi quando mi chiede di mio marito mentre prendo in bocca il suo membro.
E’ sempre attento a non lasciar segni sulla mia pelle di donna sposata, mi riempie di baci sul collo, sul seno, mi morde i capezzoli. Ormai ha ben imparato come darmi piacere.
Scende con la bocca sulla mia intimità bagnata di miele al solo suo tocco, la sua lingua mi prende feroce, mi penetra, sa dove andare per farmi miagolare come una gatta in calore.
Ora conosco il suo giovane cazzo in ogni sua vena, in ogni suo punto. Lo accarezzo con gli occhi, lo stringo nella mano mentre prendo a leccarlo come una troia consumata, la sua troia, la donna da letto.
Lo lecco con studiata lentezza, dalla base alla punta del glande mentre lo fisso nei suoi occhi grigi, mentre vedo che sta per godere, mentre stringe i denti per non venirmi subito in bocca.
Mi gira prona, mi prende da dietro. Sento il suo cazzo, grosso e duro, farsi strada potente dentro di me, di nuovo mi lecca sul collo, sento la lingua accarezzarmi l’orecchio e poi la sua voce che chiede un po’ roca se sono pronta.
Giro la testa verso di lui e con la voce e gli occhi gli dico di si.
La mano stende un velo di unguento in mezzo ai miei glutei, è fresco, profuma di agrumi.
Appoggia il cazzo al mio fiore da tempo inviolato, lo forza, mi strappa un piccolo grido per l’improvviso dolore. Si ferma, riprende, penetra… il breve dolore si stempera presto in piacere.
Ecco è dentro, una sensazione inebriante e sconvolgente di orgasmo che sale, che monta, che è pronto a esplodere. Un uragano dei sensi.
Con la mano scivola ad accarezzarmi un seno, lo stringe con forza, mi strappa un altro lamento che non è più di dolore. Sono sua, carne che brucia, cuore che scoppia, respiro che accelera.
Il cazzo scivola quasi fuori dall’ano, lui lo spinge dentro con forza. Poi ancora fuori e di nuovo dentro, sempre più dentro, tutto più dentro, con spinte sempre più forti come sa che mi piace.
Il piacere, l’orgasmo lascivo che sento crescere prende vita in un lungo e rauco lamento. Mi sento bruciare, le cosce e l’addome bagnati dagli umori che colano con copiosa abbondanza.
Tutto esplode dentro di me, il ventre, il cuore, il cervello. Il prolungato grido accompagna la mia piccola morte quando sento il suo piacere arrivare ad ondate. Lui viene dentro di me, sento bollenti i suoi getti copiosi di giovane amante riempire il mio ventre.
Crollo sudata ed esausta sul letto disfatto. Godo del suo sperma che scivola tra le cosce mentre con la mano finisco di giocare con la mia intimità, con il piccolo fiore che ancora spunta eretto tra le piccole tumide labbra.
Poi mi giro supina, lo guardo nei suoi giovani occhi spalancati sulla mia carne nuda quando mi chiede se mi sia piaciuto. Non riesco a rispondere che con la mano che scende a riprendere possesso del cazzo ora più morbido al tocco. Con la punta del pollice accarezzo il glande, lo avvicino alle labbra e, come donna che vuole ancora dare piacere, prendo lentamente a pulirlo con la lingua.
E’ sporco di me e di lui, sulla mia lingua, nella mia bocca il sapore del suo sperma e del mio ano violato. Lui è il mio giovane amante a cui nulla posso o voglio negare. Né ora né mai.
“Sai, ho parlato di te a Roberta. Le ho detto che sei una cara amica che conosco da tempo. Vorrebbe conoscerti, che ne pensi? Ti va?” me lo dice mentre, nudo in piedi davanti a me, sta rimettendo quegli eccitanti boxer bianchi così aderenti.
E quel “Ti va?” assume subito un significato diverso. Gli occhi grigi mi dicono quello che vuole, quello che ho già capito. Quello che avrà.
Il risultato era che restavo sola a sorbirmi la suocera stronza e invadente e i figli adolescenti e ormai ingovernabili che ne combinavano di tutti i colori.
Litigare di sera è meglio. Si può sempre fare la pace sotto le lenzuola più tardi, e di solito il sesso dopo un litigio è qualcosa di magico, almeno per me.
Litigare al mattino è la cosa peggiore. Rimani nervosa tutto il giorno a rimuginare le parole dette e sentite. Hai tutto il tempo per innervosirti ancora di più.
Di certo quel mattino ero ancora molto irritata e non mi avrebbe aiutata per nulla quella spinta improvvisa mentre bevevo il caffè al bancone del bar. Non mi avrebbe aiutata se, girandomi con intenzioni bellicose e pronta a sbranare il malcapitato, non avessi incontrato gli occhi grigi di un giovane uomo che sorridendo mi chiedeva scusa e mi guardava con sicuro interesse.
L’irritazione era svanita in un lampo ed era stata sostituita da una piacevole sensazione, la sensazione di poter ancora attrarre l’interesse di un uomo. Essere guardata come si guarda una donna e non come un organismo animale asessuato e fedele custode del focolare domestico.
“Occhigrigi” mi aveva chiesto se poteva offrirmi un altro caffè per sostituire quello che maldestramente mi aveva fatto rovesciare a terra. Ma in che modo lo diceva!! Lo faceva facendo scivolare su di me, come una carezza gentile, il suo sguardo. Mentre io, quasi fossi di nuovo una timida fanciulla, mi sentivo arrossire e mi chiedevo perché mai mi ero vestita così di fretta in quella mattina nervosa.
Un paio di scarpe nere e severe con tacco 6, un jeans nero aderente, una bralette nera e leggera sotto la giacca blu a tre bottoni che, dallo scollo, lasciava spaziare lo sguardo sull’inizio del solco tra i seni. Forse mi ero vestita così, senza davvero pensarci, per una sorta di vendetta inconscia nei confronti di mio marito.
E’ cominciato tutto così!
Si chiama Riccardo, 30 anni, quasi tredici meno di me, fidanzato da tempo con Roberta, la ragazza di sempre.
Ha un bel fisico asciutto e allenato ma soprattutto nasconde sotto i jeans, che indossa di regola, un cazzo di tutto rispetto delle cui prestazioni sono, ormai da qualche mese, fruitrice felice, per quanto non esclusiva.
Quel primo mattino al bar ci siamo messi a parlare come se già ci conoscessimo. Cosa strana per me che non do mai confidenza a nessuno incontrato per caso. Eppure parlare e guardare quel giovane mi metteva allegria e mi faceva sentire viva, giovane ed eccitata!
Mi metteva allegria soprattutto vedere i suoi occhi che giocavano con i miei e poi, facendo finta di nulla, scendevano all’apertura della mia giacca, lì dove nasceva il solco dei seni appena coperti dal sottile nero tessuto.
Lo guardavo mentre appoggiavo le labbra sulla tazza del caffè americano che aveva insistito ad offrirmi, lo guardavo mentre sentivo destarsi i capezzoli, lo guardavo mentre li sentivo spingere urgenti contro la stoffa della bralette.
Mi piaceva stare a parlare appoggiata al bancone del bar. Il tempo non aveva importanza, nemmeno per lui. Mi raccontava di sé, come se mi conoscesse da sempre, mi parlava del suo lavoro da giovane professionista, della sua ragazza che lavorava più ancora di lui e che sembrava non avere mai tempo per fare qualcosa. Più parlava e più mi piaceva restare così, incantata in una dimensione diversa!
Ci siamo rivisti altre tre o quattro volte, sempre nel medesimo bar, sempre alla medesima ora, sempre senza darci un reale appuntamento. Sapevo i suoi orari, lui conosceva i miei. Era un tacito accordo.
Un caffè. Il suo sguardo su me che mettevo sempre più cura nel vestirmi per lui. Il reggiseno era ormai (con stupore silente di mio marito!) un capo d’abbigliamento dimenticato. In realtà mi rendevo conto perfettamente che facevo di tutto per farmi guardare da lui.
Poi, finalmente, un giorno Riccardo mi ha detto che, se mi faceva piacere, avremmo potuto vederci anche in un luogo diverso dal bar sotto casa. Credo di essere diventata rossa per l’emozione ma, da donna matura e di mondo, con studiata e finta incertezza ho lasciato passare qualche secondo prima di dire di si.
Con quel suo seducente sorriso mi ha chiesto se mi stava bene fare due passi nei sentieri del Monte Stella. Il monte milanese dei runner, dei cani a passeggio, delle coppie romantiche e di quelle clandestine. Gli ho risposto che era perfetto, e in quella risposta c’era già tutto.
Il mercoledì successivo, su una panchina, all’ombra di un faggio lussureggiante nella primavera già esplosa c’è stato il primo bacio, timido all’inizio e poi pieno, finalmente profondo. Al primo bacio ne sono seguiti altri, sempre più appassionati e feroci, con labbra che mangiano labbra, con lingue che danzano nervose, con mani che, dapprima esitanti, rapidamente diventano audaci e curiose di quello che vogliono conoscere fin dal primo giorno.
Tra le sue braccia, ho sentito subito l’urgenza del suo desiderio contro il mio ventre, quel cazzo così duro e prepotente che ho imparato a soddisfare nel nostro letto di amanti.
I miei seni nelle sue mani hanno chiesto sempre maggiore attenzione, ho sentito le dita giocare con i capezzoli, stringerli forte quando hanno risposto al richiamo del desiderio.
E oggi di nuovo siamo qui, in quello che lui ha cominciato a chiamare il “nostro” motel, la stanza da letto della nostra alcova segreta. Non perde mai troppo tempo a togliermi tutto di dosso da quando, ben presto, ha perduto l’iniziale incertezza e ha visto che non aspettavo altro che essere nuda, che diventare strumento per il suo piacere.
Mi spoglia con furia febbrile ogni volta che riesco a trovare qualche ora di fuga dalla mia vita normale. Lo spoglio eccitata ogni volta che riesce a trovare qualche ora di fuga dalla sua professione o dalla sua fidanzata. So che si eccita ancora di più se gli chiedo di lei mentre ho le labbra che sfiorano il glande già lucido per il montante piacere. Sa che non so trattenermi quando mi chiede di mio marito mentre prendo in bocca il suo membro.
E’ sempre attento a non lasciar segni sulla mia pelle di donna sposata, mi riempie di baci sul collo, sul seno, mi morde i capezzoli. Ormai ha ben imparato come darmi piacere.
Scende con la bocca sulla mia intimità bagnata di miele al solo suo tocco, la sua lingua mi prende feroce, mi penetra, sa dove andare per farmi miagolare come una gatta in calore.
Ora conosco il suo giovane cazzo in ogni sua vena, in ogni suo punto. Lo accarezzo con gli occhi, lo stringo nella mano mentre prendo a leccarlo come una troia consumata, la sua troia, la donna da letto.
Lo lecco con studiata lentezza, dalla base alla punta del glande mentre lo fisso nei suoi occhi grigi, mentre vedo che sta per godere, mentre stringe i denti per non venirmi subito in bocca.
Mi gira prona, mi prende da dietro. Sento il suo cazzo, grosso e duro, farsi strada potente dentro di me, di nuovo mi lecca sul collo, sento la lingua accarezzarmi l’orecchio e poi la sua voce che chiede un po’ roca se sono pronta.
Giro la testa verso di lui e con la voce e gli occhi gli dico di si.
La mano stende un velo di unguento in mezzo ai miei glutei, è fresco, profuma di agrumi.
Appoggia il cazzo al mio fiore da tempo inviolato, lo forza, mi strappa un piccolo grido per l’improvviso dolore. Si ferma, riprende, penetra… il breve dolore si stempera presto in piacere.
Ecco è dentro, una sensazione inebriante e sconvolgente di orgasmo che sale, che monta, che è pronto a esplodere. Un uragano dei sensi.
Con la mano scivola ad accarezzarmi un seno, lo stringe con forza, mi strappa un altro lamento che non è più di dolore. Sono sua, carne che brucia, cuore che scoppia, respiro che accelera.
Il cazzo scivola quasi fuori dall’ano, lui lo spinge dentro con forza. Poi ancora fuori e di nuovo dentro, sempre più dentro, tutto più dentro, con spinte sempre più forti come sa che mi piace.
Il piacere, l’orgasmo lascivo che sento crescere prende vita in un lungo e rauco lamento. Mi sento bruciare, le cosce e l’addome bagnati dagli umori che colano con copiosa abbondanza.
Tutto esplode dentro di me, il ventre, il cuore, il cervello. Il prolungato grido accompagna la mia piccola morte quando sento il suo piacere arrivare ad ondate. Lui viene dentro di me, sento bollenti i suoi getti copiosi di giovane amante riempire il mio ventre.
Crollo sudata ed esausta sul letto disfatto. Godo del suo sperma che scivola tra le cosce mentre con la mano finisco di giocare con la mia intimità, con il piccolo fiore che ancora spunta eretto tra le piccole tumide labbra.
Poi mi giro supina, lo guardo nei suoi giovani occhi spalancati sulla mia carne nuda quando mi chiede se mi sia piaciuto. Non riesco a rispondere che con la mano che scende a riprendere possesso del cazzo ora più morbido al tocco. Con la punta del pollice accarezzo il glande, lo avvicino alle labbra e, come donna che vuole ancora dare piacere, prendo lentamente a pulirlo con la lingua.
E’ sporco di me e di lui, sulla mia lingua, nella mia bocca il sapore del suo sperma e del mio ano violato. Lui è il mio giovane amante a cui nulla posso o voglio negare. Né ora né mai.
“Sai, ho parlato di te a Roberta. Le ho detto che sei una cara amica che conosco da tempo. Vorrebbe conoscerti, che ne pensi? Ti va?” me lo dice mentre, nudo in piedi davanti a me, sta rimettendo quegli eccitanti boxer bianchi così aderenti.
E quel “Ti va?” assume subito un significato diverso. Gli occhi grigi mi dicono quello che vuole, quello che ho già capito. Quello che avrà.
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