La fessa
di
tilde
genere
voyeur
Filomena, finito il suo racconto, prese una coppa di vino dal vassoio sul grande tovagliato all'ombra degli ulivi e bevve, alzò un ginocchio e lasciò scoprire così la nudità di una gamba. Dioneo, che appresso a lei sedeva, si schiarì la voce e s'alzò e, come un Cicerone pronto nella propria peroratio, disse: "cos'è il genio? colpo d'occhio, immaginazione e rapidità d'esecuzione...", ma un tagliente "assettete" della bellissima Neifile lo fece arrossire; così si chinò sulle sue labbra e la baciò, poi si aggrappò ad un ramo e riprese declamando: "allora, bellocce, ve ne racconto un'altra..."
In Lunigiana, non troppo lontano da qui, c'era un monastero pigiato di monaci a modo, fra i quali un novizio, belloccio come Panfilo, con l’ormone tanto vigoroso che né freddo o fatiche né vigilie o digiuni riuscivano a fiaccare.
Un giorno gli andò di culo.
Mentre gli altri monaci facevano il chilo dopo pranzo, lui se ne andò a spasso nei dintorni solitari della pieve e s'imbatté in una ragazzina assai bella, figlia di qualche bifolco, che saltellava per i campi. Aveva i lineamenti delicati sul carnato chiaro che, assieme alle movenze eleganti, le donavano un'aura nobile; i capelli mori e mossi, sciolti e lunghi fino a sfiorare le natiche tonde e sode, la impreziosivano.
Il monachello, come l'ebbe vista, s'acquattò lesto dietro una siepe; spiandola nel suo incurante piegarsi a cogliere fiori ed erbe. Col controluce, l'abitino leggero lasciava poco all'immaginazione e lui ne fu rapito; assalito dal desiderio carnale di possederla.
Si fece coraggio e le si avvicinò disinvolto, quasi casuale, cavò la forza da sotto la tonaca e cominciò a parlare con lei. Timida e meravigliata sulle prime, le si sciolse pian piano la lingua e, di parola in parola e di carezza in tocco, lui la convinse a seguirlo, mano nella mano, fin dentro il convento.
Guardiola vuota e nessuno in giro per il chiostro, scalzi e svelti salirono le scale; i piedi di lei, così piccoli e morbidi, pareva volassero sulle assi e, in breve, raggiunsero la cella.
Mentre i due si baciavano e toccavano, l’abate si svegliò e passò davanti la loro porticina; parole dolci e cricchiolii trapelavano dalla stanzina del piacere e, per sentire meglio, si guardò intorno ed appoggiò l'orecchio all'uscio. Gli bastò poco per riconoscere la voce ed i gemiti di femmina; s'ingalluzzì a tal punto che quasi bussò, poi decise che sarebbe stato meglio aspettare l’uscita dei due, lasciandoli tranquilli e sicuri d'averla fatta franca.
Il monachello, che stava prono fra le cosce morbide della ragazza con il suo petto a sfiorarle i seni, accarezzava la pelle setosa di quel corpo caldo e voglioso come il suo; baciava le labbra di lei e la sua bocca bramava di penetrare con la lingua, mentre, ad ogni spinta, erano grida afone e gemiti; lei lo guardava senza quasi vederlo e lui viveva l’apice del delirio stringendola a sé godendone.
Il calpestio lo insospettì, guardò bene in una fessura e vide, al di là, l'abate. Pensò subito che il padre avrebbe potuto intuire la presenza della giovane e che, magari, stava anche gustando il loro canto di piacere, ma, sapendo della punizione che sarebbe succeduta, l'ansia l'assalì. Tuttavia la passione ebbe ragione della paura; e nella mente sveglia del novizio balenò un'idea.
Sospirando d'estasi le sussurrò dolcemente:
-devo scoprire come farti uscire senza che ti veda nessuno; tu resta qui, senza fare rumore, finché non torno -
Uscì e chiuse la porta, poi andò nella camera dell'abate a chiedere, come d'uso, il permesso di poter andare fuori e, con fare ingenuo, disse:
-padre, stamane non ho potuto portar dentro tutta la legna che avevo fatto tagliare, con vostra licenza, andrei al bosco a prendere il resto -
L’abate, credendo che il novizio non si fosse accorto di nulla e pensando di scoprire meglio il peccato commesso, dette la licenza più che volentieri.
Andato via il ragazzo, per qualche istante, si crucciò se fosse giusto aprire la cella di fronte agli altri monaci e mostrare subito lei ed il fallo del novizio, così da evitare allusioni, oppure, pensando che sarebbe potuta essere moglie o figlia di qualche nobilotto, che non sarebbe stata buona cosa svergognarla davanti a tutti, così, alla fine, decise di veder prima chi fosse. cautamente, aprì la porta; poi entrò dentro e l’uscio richiuse.
La giovane, vedendo entrare l’abate, s'impaurì e cominciò a piagnere di vergogna. Questo le mise gli occhi addosso e, vedendone la bellezza e la freschezza, anche se vecchio, sentì subito gli stessi cocenti stimoli della carne avuti dal giovane pivello; e fra sé si disse:
-Deh, perché non prendermi ora questa felicità inaspettata visto che privazioni e noia non mi mancheranno di certo? Costei è un gran pezzo di gnocca e nessuno sa che è qui; se la persuado a donarmi il piacer mio, perché non lo dovrei fare. Chi mai saprà? dirò di più: penso sia saggio prendersi del bene quando lo manda il signore -
Così dicendo e cambiando il suo proposito iniziale, si avvicinò alla giovane, lentamente cominciò a confortarla ed a pregarla che non piangesse; poi, di parola in parola e di carezza in carezza procedendo, ad aprirle il suo desiderio pervenne.
La ragazza, che non era né fredda né dura, cedette e si piegò docilmente ai piaceri turgidi dell'abate; questi, abbracciandola e baciandola con passione e brama, si gettò sul letticello del monaco; avendo forse riguardo al grave peso della sua dignità ed alla tenera età della pulzella, temendo di farle male, non la mise sotto; ma, supino, lasciò che fosse lei a salire su di sé con il suo meraviglioso corpo ed i suoi seni sodi davanti ai propri occhi, già umidi di sogno; godendo a lungo del suo movimento e del suo morbido e lieve peso.
Il monaco, che aveva fatto finta d’andare al bosco restando nascosto nel dormitorio, come vide l’abate entrare nella sua cella pensò che il piano avrebbe funzionato; vistolo chiudersi dentro, ne fu certo.
Andò subito al medesimo pertugio da dove aveva spiato il vecchio abate e fece lo stesso.
L'abate, sazio dei piaceri della giovanetta, uscì dalla stanzetta chiudendola dentro e tornando alla propria.
Dopo un po' sentì i passi del novizio sulle assi del corridoio e decise di riprenderlo davanti a tutti e di farlo incarcerare, per il fatto di aver posseduto la ragazza; così lo fece chiamare e duramente l'accusò.
Il monachello fu scaltro e rispose:
-padre, io sono ancora nuovo dell’ordine di san Benedetto e non ne conosco ogni regola; voi ancora non mi avevate mostrato che i monaci si debbano far prendere dalle femmine come dai digiuni e dalle vigilie; ma, ora che me lo avete mostrato, vi prometto, se questa mi perdonate, di mai più in ciò peccare; anzi farò sempre come io a voi ho visto fare -
Anche il Priore non era tonto e capì subito che egli aveva visto la splendida cavalcata, così, pensando che pure lui avrebbe meritato la gogna, lo perdonò. Insieme ed in segreto portarono fuori dal convento la ragazzina; ma si pensa che ella vi fece ritorno alquanto spesso.
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liberamente trasposto dal Decameron, quarta novella della prima giornata.
lascio volutamente questo pezzo che non tratta né di me e né di chi mi vuole bene.
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