Pigmei - schiava della tribu' (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Chanel non provò nemmeno ad aspettare Jeanne che era stata presa da un pigmeo per la notte.
Le altre non potevano dialogare fluentemente ed era difficile la comunicazione.
Si addormentarono.
Chanel si svegliò durante la notte, più volte, al pari delle altre nuove. La tensione era forte non sapendo cosa sarebbe loro accaduto e, comunque, spaventate da quel poco che avevano visto ed appreso.
Ad ogni risveglio, cercava Jeanne, sperando che l’avessero riportata. Invece non la vide per quella notte.
Evidentemente era stata tenuta dal Padrone oppure riportata in altra buca.
Chanel, più avanti nel tempo, avrebbe appreso che a volte il pigmeo, dopo avere usato la schiava e pigro nel riportarla, non volendo tenerla nella capanna, la faceva uscire e la legava saldamente il guinzaglio ad un palo dell’abitazione, lasciandola tutta la notte come un cane, all’aperto e a terra.
Le nuove schiave si svegliarono dopo una notte che a loro sembrò insonne. Non avvertirono stanchezza in quanto tenute vigili dall'adrenalina della paura.
Il cuore battè a mille quando qualcuno venne ad aprire la botola per fare uscire le schiave e destinarle agli usi quotidiani.
Fu il pigmeo dall’alto a scegliere quella che avrebbe dovuto fare da scalino umano.
Toccò ad una italiana mettersi a 4 zampe appena sotto l’uscita.
Venne indicato a quelle arrivate il giorno prima di restare ferme. Le altre salirono coi piedi sulla schiena della loro compagna ed uscirono.
Nella fossa restarono solo le nuove e Anna, lo scalino umano. Chanel provò a dialogare con la schiava rimasta. Le altre assistettero al tentativo di conversazione. Sophie si ritirò in un angolo.
Appresero che giorno per giorno veniva scelta la schiava scalino che, uscite tutte, non aveva modo di arrampicarsi, né i Padroni prestavano aiuto. La lasciavano nella fossa e, più tardi, qualcuno sarebbe passato a calare dentro qualcosa da mangiare in una cesta.
Dopo un tempo che a loro apparve interminabile, venne anche il loro turno.
Col cuore pesante, che a loro pareva impazzito, salirono sullo scalino umano e, una volta fuori, fecero ciò che Anna era riuscita a comunicare e si prostrarono ai piedi dei due pigmei che erano venuti a prenderle.
La cosa che stupì Chanel fu che ciò che lei credeva essere straordinario, cioè una fila di schiave bianche unite da una corda legata al loro collo e tenute al guinzaglio da un pigmeo, in quel villaggio era cosa tanto normale da non suscitare alcuna attenzione da parte delle altre persone libere e, cosa che la lasciò ancor più basita, nemmeno nelle altre schiave che si voltarono appena a guardarle.
Alcune, nella carovana che seguiva il pigmeo, guardavano a terra, cercando di evitare di osservare in giro, per paura di restare scioccate da ciò che avevano iniziato a vedere.
Altre, tra le quali Chanel, osservarono attentamente ogni cosa.
Furono colpite dall’ordinarietà di ciò che pareva straordinario.
Ciò che accadeva intorno a loro era la vita normale di quel tipo di villaggio, dove regnava la calma.
Tutto sarebbe sembrato normale se non fosse stato per alcuni pigmei o pigmee che si spostavano tra le vie trasportati da una cavalla umana.
Altri camminavano tranquillamente tenendo al guinzaglio una schiava da soma che portava legna o ceste di frutta.
In una zona all’ombra, due uomini ed una donna stavano discorrendo tranquillamente quale tipica scena europea di amici al tavolino di un caffé, se non fosse stato per il fatto che tutti e tre erano seduti sulla schiena di altrettante schiave inginocchiate e accucciate su loro stesse in modo da offrire una comoda seduta.
Poco dopo dall’abitazione uscì una pigmea con 4 ciotole contenenti qualcosa da bere che offrì agli altri prima di sedersi sulla schiena dell’ultima schiava/sedile in attesa.
Chanel si chiese quale rapporto vi fosse tra il numero delle schiave e degli abitanti. Avrebbe studiato anche queste dinamiche, posto che non tutti i pigmei avevano una schiava a disposizione. Quindi o vi era un sistema turnario, oppure l’assegnazione era in base al ceto o rango. Non le sembrava una comunità dedita al commercio e quindi al possesso di danaro o simile per l’eventuale acquisto. Le abitazioni sembravano tutte più o meno dello stesso stile. Alcune più grandi ma non di molto.
Anche l’abbigliamento non presentava forti differenze tra un pigmeo e l’altro.
Il denominatore comune nelle schiave era la razza: tutte donne, bianche e giovani. Guardandosi in giro ebbe la conferma che non c’erano schiavi maschi, a meno che questi non fossero destinati al lavoro duro nei campi o nella foresta e non facessero mai ritorno al campo.
Chanel si sentiva assordata da questo ambiente. Aveva considerato le condizioni del viaggio fino al campo come qualcosa di eccezionale. Quello scenario, nel quale la schiavitù delle occidentali era perfettamente integrata nella normalità del villaggio, l’aveva stordita.
Si soffermò a guardare le altre donne davanti a lei ed avrebbe voluto guardare i loro occhi, chiedendosi cosa loro avrebbero letto nei suoi.
Sapeva che dietro di lei c’era Monique. Per quest’ultima la cattura aveva rappresentato la discesa da serva a schiava.
Chanel aveva apprezzato l’atteggiamento di quella giovane serva che, quando erano a Versailles, lei stessa aveva utilizzato umiliandola per divertirsi ed eccitarsi con il consenso della sua Padrona, la Contessa Vivienne.
Era una ragazza gracile ma dallo sguardo che confermava l’intelligenza nel porsi con quegli uomini.
Anche lei, al pari di Chanel, continuava a guardarsi in giro, a studiare i Padroni e a comportarsi con ciascuno di essi come sapeva che egli si aspettava, in modo da subire meno punizioni possibili.
Si girò per guardarla e non fu sorpresa nel notare che anche lei aveva lo sguardo alto, intenta a osservare attentamente.
I loro occhi si incrociarono abbastanza da fermarsi gli uni sugli altri e scambiarsi una rapida intesa complice, tipica di chi ha osservato attentamente l’altra ed ha riconosciuto pensieri e atteggiamenti condivisi.
Uno dei pigmei destinati a portarle a destinazione, si era accorto di quelle due schiave che si guardavano in maniera diversa, distraendosi dal percorso.
Diede una forte frustata sulla schiena ad entrambe. Ciascuna delle due, nonostante il dolore, non distolse lo sguardo, quasi a testimoniare all’altra la propria risolutezza a reagire comunque a quella situazione.
Fu necessario un secondo colpo col frustino per farle rimettere diligentemente in fila. il cuore di quelle due schiave aveva battuto all’unisono e ancora conservavano una sorta di sensazione che le portava a pensare di avere una alleata, anche se ancora non sapevano per quale finalità.
Si ripromisero entrambe di cercarsi e, nei limiti del possibile, frequentarsi e comunicare, scambiare informazioni e sensazioni.
L’ultima in fila era Sophie, l’amante di Re Luigi XVI, nell’altra vita, quella vecchia e lontana, in Francia.
Non si rassegnava e accennava a ribellarsi, restando indietro.
Inizialmente ricevette solo piccoli colpi col frustino per incentivarla a restare nei ranghi.
La pazienza del pigmeo venne portata allo stremo. Iniziò a frustarla ripetutamente e lei, per sottrarsi ad ulteriori colpi, cercava di rimettersi al passo.
Tuttavia il Padrone non desisteva e continua a colpirla. Le altre schiave, spaventate, non diedero nemmeno cenno di volersi girare per guardare, nemmeno Chanel o Monique che, al pari delle altre, avevano capito cosa stava accadendo, ben conoscendo il carattere di Sophie.
I colpi ricevuti dalla ragazza rimbombavano nelle orecchie delle altre schiave, che furono costrette a fermarsi quando la loro compagna si gettò ai piedi del pigmeo per implorare pietà
Non fu il linguaggio a convincere il pigmeo a fermarsi, quanto l’universale tono della supplica disperata che anticipa e assicura la totale resa.
Le altre non potevano dialogare fluentemente ed era difficile la comunicazione.
Si addormentarono.
Chanel si svegliò durante la notte, più volte, al pari delle altre nuove. La tensione era forte non sapendo cosa sarebbe loro accaduto e, comunque, spaventate da quel poco che avevano visto ed appreso.
Ad ogni risveglio, cercava Jeanne, sperando che l’avessero riportata. Invece non la vide per quella notte.
Evidentemente era stata tenuta dal Padrone oppure riportata in altra buca.
Chanel, più avanti nel tempo, avrebbe appreso che a volte il pigmeo, dopo avere usato la schiava e pigro nel riportarla, non volendo tenerla nella capanna, la faceva uscire e la legava saldamente il guinzaglio ad un palo dell’abitazione, lasciandola tutta la notte come un cane, all’aperto e a terra.
Le nuove schiave si svegliarono dopo una notte che a loro sembrò insonne. Non avvertirono stanchezza in quanto tenute vigili dall'adrenalina della paura.
Il cuore battè a mille quando qualcuno venne ad aprire la botola per fare uscire le schiave e destinarle agli usi quotidiani.
Fu il pigmeo dall’alto a scegliere quella che avrebbe dovuto fare da scalino umano.
Toccò ad una italiana mettersi a 4 zampe appena sotto l’uscita.
Venne indicato a quelle arrivate il giorno prima di restare ferme. Le altre salirono coi piedi sulla schiena della loro compagna ed uscirono.
Nella fossa restarono solo le nuove e Anna, lo scalino umano. Chanel provò a dialogare con la schiava rimasta. Le altre assistettero al tentativo di conversazione. Sophie si ritirò in un angolo.
Appresero che giorno per giorno veniva scelta la schiava scalino che, uscite tutte, non aveva modo di arrampicarsi, né i Padroni prestavano aiuto. La lasciavano nella fossa e, più tardi, qualcuno sarebbe passato a calare dentro qualcosa da mangiare in una cesta.
Dopo un tempo che a loro apparve interminabile, venne anche il loro turno.
Col cuore pesante, che a loro pareva impazzito, salirono sullo scalino umano e, una volta fuori, fecero ciò che Anna era riuscita a comunicare e si prostrarono ai piedi dei due pigmei che erano venuti a prenderle.
La cosa che stupì Chanel fu che ciò che lei credeva essere straordinario, cioè una fila di schiave bianche unite da una corda legata al loro collo e tenute al guinzaglio da un pigmeo, in quel villaggio era cosa tanto normale da non suscitare alcuna attenzione da parte delle altre persone libere e, cosa che la lasciò ancor più basita, nemmeno nelle altre schiave che si voltarono appena a guardarle.
Alcune, nella carovana che seguiva il pigmeo, guardavano a terra, cercando di evitare di osservare in giro, per paura di restare scioccate da ciò che avevano iniziato a vedere.
Altre, tra le quali Chanel, osservarono attentamente ogni cosa.
Furono colpite dall’ordinarietà di ciò che pareva straordinario.
Ciò che accadeva intorno a loro era la vita normale di quel tipo di villaggio, dove regnava la calma.
Tutto sarebbe sembrato normale se non fosse stato per alcuni pigmei o pigmee che si spostavano tra le vie trasportati da una cavalla umana.
Altri camminavano tranquillamente tenendo al guinzaglio una schiava da soma che portava legna o ceste di frutta.
In una zona all’ombra, due uomini ed una donna stavano discorrendo tranquillamente quale tipica scena europea di amici al tavolino di un caffé, se non fosse stato per il fatto che tutti e tre erano seduti sulla schiena di altrettante schiave inginocchiate e accucciate su loro stesse in modo da offrire una comoda seduta.
Poco dopo dall’abitazione uscì una pigmea con 4 ciotole contenenti qualcosa da bere che offrì agli altri prima di sedersi sulla schiena dell’ultima schiava/sedile in attesa.
Chanel si chiese quale rapporto vi fosse tra il numero delle schiave e degli abitanti. Avrebbe studiato anche queste dinamiche, posto che non tutti i pigmei avevano una schiava a disposizione. Quindi o vi era un sistema turnario, oppure l’assegnazione era in base al ceto o rango. Non le sembrava una comunità dedita al commercio e quindi al possesso di danaro o simile per l’eventuale acquisto. Le abitazioni sembravano tutte più o meno dello stesso stile. Alcune più grandi ma non di molto.
Anche l’abbigliamento non presentava forti differenze tra un pigmeo e l’altro.
Il denominatore comune nelle schiave era la razza: tutte donne, bianche e giovani. Guardandosi in giro ebbe la conferma che non c’erano schiavi maschi, a meno che questi non fossero destinati al lavoro duro nei campi o nella foresta e non facessero mai ritorno al campo.
Chanel si sentiva assordata da questo ambiente. Aveva considerato le condizioni del viaggio fino al campo come qualcosa di eccezionale. Quello scenario, nel quale la schiavitù delle occidentali era perfettamente integrata nella normalità del villaggio, l’aveva stordita.
Si soffermò a guardare le altre donne davanti a lei ed avrebbe voluto guardare i loro occhi, chiedendosi cosa loro avrebbero letto nei suoi.
Sapeva che dietro di lei c’era Monique. Per quest’ultima la cattura aveva rappresentato la discesa da serva a schiava.
Chanel aveva apprezzato l’atteggiamento di quella giovane serva che, quando erano a Versailles, lei stessa aveva utilizzato umiliandola per divertirsi ed eccitarsi con il consenso della sua Padrona, la Contessa Vivienne.
Era una ragazza gracile ma dallo sguardo che confermava l’intelligenza nel porsi con quegli uomini.
Anche lei, al pari di Chanel, continuava a guardarsi in giro, a studiare i Padroni e a comportarsi con ciascuno di essi come sapeva che egli si aspettava, in modo da subire meno punizioni possibili.
Si girò per guardarla e non fu sorpresa nel notare che anche lei aveva lo sguardo alto, intenta a osservare attentamente.
I loro occhi si incrociarono abbastanza da fermarsi gli uni sugli altri e scambiarsi una rapida intesa complice, tipica di chi ha osservato attentamente l’altra ed ha riconosciuto pensieri e atteggiamenti condivisi.
Uno dei pigmei destinati a portarle a destinazione, si era accorto di quelle due schiave che si guardavano in maniera diversa, distraendosi dal percorso.
Diede una forte frustata sulla schiena ad entrambe. Ciascuna delle due, nonostante il dolore, non distolse lo sguardo, quasi a testimoniare all’altra la propria risolutezza a reagire comunque a quella situazione.
Fu necessario un secondo colpo col frustino per farle rimettere diligentemente in fila. il cuore di quelle due schiave aveva battuto all’unisono e ancora conservavano una sorta di sensazione che le portava a pensare di avere una alleata, anche se ancora non sapevano per quale finalità.
Si ripromisero entrambe di cercarsi e, nei limiti del possibile, frequentarsi e comunicare, scambiare informazioni e sensazioni.
L’ultima in fila era Sophie, l’amante di Re Luigi XVI, nell’altra vita, quella vecchia e lontana, in Francia.
Non si rassegnava e accennava a ribellarsi, restando indietro.
Inizialmente ricevette solo piccoli colpi col frustino per incentivarla a restare nei ranghi.
La pazienza del pigmeo venne portata allo stremo. Iniziò a frustarla ripetutamente e lei, per sottrarsi ad ulteriori colpi, cercava di rimettersi al passo.
Tuttavia il Padrone non desisteva e continua a colpirla. Le altre schiave, spaventate, non diedero nemmeno cenno di volersi girare per guardare, nemmeno Chanel o Monique che, al pari delle altre, avevano capito cosa stava accadendo, ben conoscendo il carattere di Sophie.
I colpi ricevuti dalla ragazza rimbombavano nelle orecchie delle altre schiave, che furono costrette a fermarsi quando la loro compagna si gettò ai piedi del pigmeo per implorare pietà
Non fu il linguaggio a convincere il pigmeo a fermarsi, quanto l’universale tono della supplica disperata che anticipa e assicura la totale resa.
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