Una notte a Madrid - Matematica

di
genere
etero

(di Tilde&Chicken)
Questa storia sembrerà assurda, ma è successa realmente quasi un anno fa.

Era fine aprile e già caldo, partecipai ad un convegno di due giorni sulla matematica applicata alla psicoanalisi che si tenne in un hotel di Madrid.
Avevo appena fatto il check-in con una brunetta andalusa quando chiamai il lift e, senza guardare, infilai appena si aprì, andando a sbattere con un tipo di mezza età un po’ stralunato che stava uscendo.
Mi sorrise ed io altrettanto, chinò subito il capo quasi vergognandosi e scappò via veloce senza dire una parola; le porte si chiusero e mi trovai avvolta da un forte odore di colonia.

Incrociai quell’uomo altre tre volte nella giornata. Anche al vicino museo reina Sofia, mentre gustavo Guernica, una mano ruvida sfiorò la mia; mi voltai, ma di lui non v’era traccia se non quell’essenza.

Fu la sera che ci conoscemmo.

Non avevo granché voglia di uscire, ma l’incontrai al desk che chiedeva della plaza Mayor, mi vide e mi disse autoritario, con una forte cadenza romana nella voce, “vieni con me”.
Come spesso accade, il mio aspetto elegante, il viso incorniciato dai capelli color rubino e i miei occhi felini non erano passati inosservati.
Obbedii senza la minima esitazione, come se desiderassi solo quello fin dal primo minuto.

Madrid si gira benissimo a piedi ed è breve dalla zona del Prado alle vie vitali del centro. Nessuno dei due aveva cenato, passeggiando ci catturò un bar de tapas con i tavolini sulla piazzetta. Ci sedemmo lì.
Fummo banali con la sangria, ma era fresca, gustosa e scivolava bene tra le labbra giù per gola, che i pochi bocadillos e qualche tapas non furono sufficienti a mitigare.
Il ragazzo ci prese in simpatia e ci regalò due giri, era molto carino e lo invitammo a fermarsi al tavolo, lui prese una sedia e si mise accanto al mio uomo.
Già: “mio uomo”, lo chiamai così per tutta la sera. Il ragazzo lo guardava con un certo non so che e rideva alle sue battute quasi stesse flirtando; in un primo momento divertita, mi ingelosii a poco a poco.

La testa ormai leggera, quando qualcuno alzò la musica, seguendo l’onda della gente di passaggio che si fermava per ballare, io stessa mi alzai e provai a trascinare lui con me, ma venni travolta da qualcuno, un “sorry” dall’accento truce delle highlands, finii così fra le braccia del mio uomo.
In quello sperato abbraccio, chiusi gli occhi e le sue labbra sfiorarono i mio collo, strappandomi finalmente quel brivido latente dal mattino.

Ballammo una danza nostra, isolati nel viavai delle persone, sensuale e perversa; fino a che due agenti ci destarono dall’onirica passione che ci aveva preso.
Ormai, il limite era stato superato, ogni remora infranta.
Dalla strada alla stanza, fu una rapida fuga dalla realtà e dal pudore, giungendo alla porta dell’hotel quasi fusi in un corpo unico.
Nel bianco dell’ascensore liberty caddero le ultime vesti.
Nudi, spalancammo la porta della sua camera, che si richiuse fragorosamente.
Nudi, ci gettammo sul letto.
La mia eccitazione era già massima e desideravo solo il suo sesso dentro di me.
Mi bloccò sulle lenzuola chiare e mi fu sopra.
Con le ginocchia mi bloccò le braccia aperte e sbatté il suo turgore violento e deciso a cercare la mia bocca che, avida del suo sapore, l’accolse.
Le sue mani sul mio viso, come a gestire il coito orale che mi soffocava, mi affondavano nel soffice dei cuscini e, mentre i suoi occhi iniettati di brama scavavano nei miei, realizzò di donarmi le sue attenzioni. Le sue dita lasciarono le mie guance e sussurrò “siediti sulla mia faccia”, si scostò ed eseguii l’ordine regalando la mia intimità alle sue labbra; la sua asta, dura e già pulsante, fu ostaggio delle mie e delle mie dita.
La mia mente, devastata dalla voglia di lui, mi fece collassare rapidamente al suo tocco sapiente ed al tormento della mia femminilità; si nutrì di ogni mio piacere, godette dei miei gemiti e delle mie cure alla sua essenza di maschio.

Proruppe in me improvvisamente affogandomi; mordendomi il clitoride, mi lasciò senza fiato Strinsi le cosce, scappando dalla sua bocca, bloccandogli le tempie.
Colai ogni voglia repressa sul suo volto e gridò, gridammo, ciò che ci eravamo donati.

Fu solo l’inizio.

Mi svegliai sorridente, percepivo una presenza accanto a me, ne sentivo il respiro; un “ti amo” sospirato aleggiava nel chiarore dell’alba che penetrava dalle finestre.
Distesi il braccio dietro di me ed allungai la mano, ma sfiorai solo il cotone del cuscino.
Poi accarezzai le lenzuola con i miei piedi cercando un tepore, che trovai; solo flebile.

Udii uno scroscio improvviso ed una voce intonare da sotto l’acqua. Risi.

Nonostante la mia preparazione, alle volte mi è faticoso essere sempre quella brillante.
Normalmente mi viene naturale (quasi senza sforzo), ma non quella mattina.
Quella mattina volevo essere “meno”, concedermi di essere meno arguta, essere meno scaltra.
Era la mattina giusta per farlo.

Mi scoprii; solo il negligé cipria addosso, strappato e risalito sui fianchi a lasciar nude cosce e natiche; il rossore di palmi e dita troneggiava su di esse.

Abbracciai il cuscino stritolandolo fra le gambe e, nel mentre, bussarono alla porta; una voce maschile disse in un inglese molto duro:

“room service”
“one moment, please!” risposi

Afferrai la di lui camicia a righine azzurre, infilandola come una giacca, poi aprii; il cameriere entrò ed apparecchiò velocemente il tavolino tondo di fronte alla finestra lasciando coperte le cloche, lanciò uno sguardo al letto disfatto ed uno, discreto, alla mia pelle scoperta, poi uscì ossequioso.

Mentre lo scroscio continuava senza affievolirsi, la curiosità di sbirciare nella sua valigetta abbandonata sullo scrittoio s’impossessò di me. Dentro trovai uno studio di fattibilità, una perizia geologica ed una valutazione d’impatto ambientale per la realizzazione di un centro di studi scientifici non ben definiti, anche alcune tavole di progetto; feci per spiegarne una ed un foglio giallo scritto a mano cadde a terra. lo lessi:

La sua mente scientifica, acuta, le ha assicurato il ruolo di professore di matematica all’University College London.
Pensatrice fuori dagli schemi, ha scelto strade inusuali per un matematico, diventando celebre per i suoi studi sui pattern del comportamento umano applicati alle relazioni interpersonali e all’attrazione sessuale.
Data la sua avvenenza, è inevitabilmente oggetto delle fantasie di colleghi docenti e orde di studenti, d’ambo i sessi.
Da non dimenticare: lei ci tiene a ricordare le estati che sua madre le faceva passare a risolvere quotidiane paginate di problemi di matematica, quando la sua adolescenza avrebbe richiesto altro.

“e sta roba?” esclamai sottovoce

Fu inevitabile ritrovarmi in quel profilo che, talvolta, trovavo io stessa insopportabile.
Forzatamente, ma in maniera liberatoria, mi trovai ad ammettere che, forse e per una volta, ero stata meno smart di quanto ritenessi di essere.
Qualcuno che, alle mie spalle, aveva piani su di me che io non ero riuscita a subodorare.

Mi versai del caffè e, soffiando sulle volute di moka, uscii sul balconcino inondato dai primi raggi di sole.
Appoggiai i gomiti al parapetto, mi sporsi ed il freddo delle colonnine sulle mie cosce calde mi irrigidì i capezzolini tormentati ed ancora un po’ doloranti. Sentii alcune gocce colarmi fra le gambe e sorrisi ancora, maliziosa.
Sapevo che, se fosse stato lì vicino a me, avrebbe commentato ad alta voce quello che stava succedendo laggiù, avrebbe lasciato scivolare la sua grande mano su di me, per intercettare quelle lacrime, bagnarsene le labbra e tornare ad accarezzarmi la vulva ancora assonnata e vagamente indolenzita; sporcandola di me stessa.
Cazzo, forse sarei dovuta andare a lavarmi…

Vidi un ragazzo che mi guardava dalla strada due piani più sotto e ne riconobbi i tratti del dispensatore d’alcool della sera; lo salutai con un gesto della mano scoprendo così un mio seno e la mia spoglia nudità; mi salutò e, quasi vergognandosi, scappò nell’hotel.

“Sì…” mi dissi “solo una ciucca, in alcun altro modo posso giustificare la cazzata di questa notte!”

Normalmente avrei considerato il concedermi a quel tipo, di cui conoscevo solo il nome, non particolarmente bello né elegante e neppure arguto, i maniera piuttosto imbarazzata. Eppure…
In quel momento mi voltai verso la camera, lasciando le natiche bianche appoggiate alla ringhiera.
Lo sbirciai, con la coda dell’occhio, sotto la doccia indugiare più del dovuto sulle proprie parti basse (neanche particolarmente notevoli) e, lì, realizzai che tutti i miei studi sulla scienza dell’attrazione si dimostravano di una penosa inutilità.

La realtà era solo una e mi perforava il cervello, mi bruciava nell’intimità dolente…
o forse erano i postumi della sbornia e della notte di sesso.

La verità è che il gesto di quell’uomo, come il grimaldello di uno scassinatore, aveva violato ogni mia resistenza.
Come se mi conoscesse meglio di me stessa, scoprendomi truffata nella mia tanto sbandierata intelligenza, facendomi sentire denudata nell’intimo.

Uscì dal bagno con l’accappatoio bianco dal monogramma HH semi aperto, sul collo portava i segni di un mio morso.
Aggirò il tavolino e si avvicinò. Mi baciò sulla guancia, salvo poi fare un passo indietro per riempirsi gli occhi delle mie carni, spalancandomi la camicia.

“Amò!” esordì compiaciuto “me sa che ce so annato un po’ troppo pesante co’ sti schiaffi stanotte. Le tu’ chiappe parono ‘na mappa orografica, co tutti quei segni rossi!”

Battuta un po’ triviale, ma, ormai entrata nel ruolo della bella un po’ sciocca, mi limitai a chiedere, ingenua, se si potesse fare qualcosa

“ecchennesò…ce mettemo un pochetto de pomata?”
“uuh!! sì, sì, un po’ di pomata ci starebbe bene, sì. Ma fai piano!”

La dotazione dell’albergo non mancava di una crema corpo in bagno, di quelle che normalmente vengono ignorate o usate per errore al posto del bagnoschiuma.
Mi trascinò dentro e spinse sul letto, finii prona con la faccia annegata nel cuscino e la camicia risalita fino al collo.

Ne spruzzò un’abbondante dose, fresca, sulla mia pelle delicata e sensibile, strofinandosi le dure mani per riscaldarle. Il suo tocco mi fece chiudere gli occhi e stringere lo stomaco.
Sentirlo risalire dall’incavo dietro le ginocchia su per l’interno coscia mi annebbiò rapidamente la ragione e dimenticare i miei inutili studi.
Disegnava percorsi crudeli, lasciandomi intendere che avrebbe presto raggiunto i confini delle mie labbra, per scartare all’ultimo momento lungo la piega dei glutei.
Inarcai la schiena per porgergli oscenamente la mia intimità, ma lui continuò incurante il viaggio delle sue dita su di me, come se non gli importasse dell’effetto che mi stava facendo.

Un piccolo mugolio mi uscì dalla bocca schiusa in un sospiro quando sfiorò il mio fiore più segreto.

Si sedette sopra di me, sulle mie gambe e sui suoi talloni, sentii il ruvido dei suoi palmi tormentarmi fianchi e vita per poi giungere alla schiena e sfilarmi lentamente la camicia dalle braccia.
Il suo corpo disteso su di me mi regalò un calore improvviso e gemetti alla durezza del suo cazzo fra le mie natiche. Non provò nemmeno, ma la voglia stava iniziando a farsi prepotente in me.
Si rialzò quel poco che bastava per riprendere a massaggiarmi la schiena, poi si sfilò l’accappatoio e la punta di quel turgore provò a premere nel mio intimo

“aspetta…” sussurrai

“abbiamo tutto er tempo…” risposte

Si chinò su di me, mi scostò i capelli e mi inondò di baci le guance , le labbra, il
collo; scivolò lungo il mio corpo con la sua bocca facendomi sussultare ad ogni tocco della sua lingua, indugiò in quella fossetta in fondo alla schiena, al confine della curva delle mie natiche, in cui poco dopo affondò il naso, stringendosele in viso.
Aspirò forte e mi ricordai delle goccioline di prima, sul balcone.

“Dai, ancora non mi sono lavata!” dissi in un riso imbarazzato
“mejo!”

Il suo cazzo che sbatteva sui miei polpacci e sui miei piedi mi diceva che evidentemente, per qualcuno non era un problema.

E fu lì che, purtroppo, ritornai in me stessa, con tutta la mia fottuta e inopportuna intelligenza, a rovinare quel momento perfetto della sua bocca pronta a scoprirmi.
Sapevo che avrei dovuto aspettare ancora un poco, giocare con la sua eccitazione, torturarlo con il suo desiderio, fargli intravedere nuovamente anche solo l’ombra della mia totale disponibilità, per potergli chiedere qualsiasi cosa, ottenendo ubbidienti risposte.
Come, per esempio, che cazzo ci faceva quel foglio, che così dolorosamente mi descriveva, nella sua borsa.

Un piano infallibile, degno di me stessa e della mia intelligenza… ma che, come al solito, stava distruggendo l’attimo perfetto.

Buttai al cesso le mie resistenze e, anche senza la droga d’alcool della notte, spinsi il mio culo a forza sulla sua bocca, la sua lingua esplorò, nuovamente e come un luogo vergine ed incontaminato, il mio corpo che, dimentico del dolore degli schiaffi sulla pelle, ne reclamò ancora.

Non l’ho più rivisto ed il numero che mi dette non è attivo.
Cosa cercasse da me, non mi è mai stato chiaro.
Ogni tanto tremo al pensiero di scandali che non saprei giustificare, che macchierebbero la mia reputazione e la mia carriera universitaria.
Ma altre volte penso a lui.
E mi manca.

(DEDICATO AD HANNAH FRY)
scritto il
2024-03-12
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