Il collasso della Funzione Donna
di
Chicken1973
genere
etero
di Chicken e Tilde
Fu una giornata che ricorderò a vita.
Tutto era cominciato con un invito gettato nel vento della speranza, poco prima dell'inizio delle lezioni; prontamente raccolto, con mio stupore, da quella donna che messaggiò un: "Finalmente! Passo a prenderti alle otto al bar che mi hai detto, stupiscimi"
Poi nessun nuovo messaggio.
Passai il pomeriggio cercando il ristorante giusto nel posto giusto, fissai. Poi corressi i compiti del test che avevo assegnato il venerdì in classe, ma la mia mente saltellava onirica nel desiderio di lei. Non stavo nella pelle, quasi un adolescente alla prima uscita. Dopo mesi a scriverci e ad inviarci timide immagini, era giunto il momento.
Mi conosceva, ma decisi che sarei stato al massimo: mi rasai la barba con cura, perché sapevo che a lei piaceva così; docciato e profumato, scelsi un abito formale, ma misurato per non metterla in difficoltà; solo il suo nome ronzava nella mia testa, l'ultima foto di lei dallo stadio (con quella maglia… vabbè) mi balenava davanti agli occhi. Infilai le scarpe, due Oxford Alexander che non indossavo da anni, e ruppi una stringa; mi ci venne da piangere ed optai per lo stivaletto.
Lei fu puntuale, entrò nel locale che ero appena uscito dal bagno; l'emozione mi aveva già tradito tre volte quel giorno.
Bellissima, molto più di quanto già non apparisse negli scatti, le sue parole furono già un enigma:
"Bendami, guida tu e portami dove vuoi"
Durante la cena il ponentino ci accarezzava fresco, portando con sé un sentore di mare e pini; solo due coppie, tre tavoli distanti, dividevano quella terrazza con noi; stavamo bene, due anime che si erano trovate. Parlavamo ed i nostri occhi si mescolavano lo sguardo senza cedere, ma la danza della sua bocca mi rubava attimi da quelle iridi profonde. Poi mi decisi e con le mie dita cercai timidamente le sue; mi sorprese ancora lasciando che ne toccassi la pelle morbida e delicata. Nel mentre si protese verso di me, il mio cuore cominciò a battere violento immaginandomi un tocco furtivo e casuale delle nostre labbra e mi spinsi verso di lei; ma fu un istante e lei si rigettò allo schienale e, perplessa, mi domandò:
“Veramente non conosci la storia del gatto di Schroedinger?”
Mi faceva impazzire sentirla incredula nello scoprire che c’erano conoscenze per lei normali e per me meno consuete, invece...
Amavo la sua intelligenza, amavo la sua arguzia.
“Che dirti… certo che ne ho sentito parlare, so che è un paradosso legato alla fisica moderna… ma non saprei dirti esattamente di che si tratta.“
I suoi occhi, cercando il cielo, brillarono delle luci sospese
“Perché non me ne parli tu? Coraggio… farò del mio meglio per capire”
Lei si schiarì la voce, passandosi nel frattempo la mano in quegli stupendi capelli arruffati.
“Allora, se ti dico che la fisica delle particelle elementari non segue le regole del senso comune, che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, mi capisci?”
La guardai socchiudendo gli occhi, tradito da una espressione dubbiosa.
“Senti, ti basta sapere che le leggi che regolano il comportamento delle particelle sono fondamentalmente leggi statistiche. A livello atomico non è come giocare con palle di biliardo o come guardare i pianeti in un telescopio. Di una particella non puoi sapere esattamente tutte le informazioni contemporaneamente”.
Annuii.
"Puoi conoscere la probabilità di certi stati di quella particella che vuoi studiare, vederne gli effetti sul modo circostante, ma, finché non fai delle misurazioni, quella singola particella si relazionerà con l’ambiente come se fosse contemporaneamente tante particelle, ognuna con le proprie caratteristiche definite da una certa regola… da una certa funzione”.
Cercai di non lasciarmi distrarre dal suo sguardo felino, bevvi un poco del mio bicchiere di vino e le risposi:
“Ok, posso starci… più o meno”.
“Allora prova ad immaginare di chiudere dentro una scatola un gatto ed una particella potenzialmente radioattiva, capace di ucciderlo”.
“Ok… ho il gatto nella scatola”.
Lei mi sfilò il calice dalla mano e bevve un sorso del mio Chianti; mi piaceva l’idea che le nostre bocche si incontrassero sull'orlo di quel cristallo.
“Semplificando al massimo, se puoi solo sapere la probabilità dello stato di quella particella potenzialmente mortale, alla stessa maniera conosci la probabilità che il gatto venga ucciso da quella particella”
“Povero gatto…. Certo, ti seguo”.
“Il paradosso sta nel fatto che, fino a quando non apri la scatola per guardare, il gatto è sia vivo che morto”.
“Oddio, in realtà sarà vivo o morto con una certa probabilità”.
“No, no… è proprio lì il paradosso! Sebbene ciò risponda fedelmente alle leggi della fisica quantistica, è chiaramente impossibile nel nostro mondo macroscopico!”.
Si accalorò nel cercare di spiegare, guardavo le vene sul suo collo, le pupille dei suoi occhi dilatarsi come ad ipnotizzarmi, la piega delle sue labbra farsi decisa per ammaliarmi, continuò
"Il gatto è contemporaneamente vivo e morto, secondo certe probabilità. Solo all'apertura del coperchio, lui ricadrà in uno dei due stati. Quando guardi nella scatola, fai una misurazione. E, toccando con mano l’esperimento, costringi il sistema ad assumere una delle condizioni possibili nel nostro mondo macroscopico”.
...Toccare con mano… pensavo e guardavo il suo petto alzarsi ed abbassarsi nella foga della spiegazione e… avrei voluto toccarlo con la mano, quel petto, in quel momento, certo…
“Non distrarti. Dai, cazzo! Che mi stai guardando le tette?”.
“Tesoro… certo che ti sto guardando le tette… cosa ti aspetti… però, ok: mi concentro… ma tu devi farmi un altro esempio, ti prego!”.
Lei distolse lo sguardo spazientita, ne approfittai per farmi più vicino (benedetti tavoli piccoli!) sino a sentirne l’odore e lei mi mise una mano su di una guancia per evitare distrazioni.
“Ascoltami… allora: fino a ieri io e te abbiamo solo chattato… ci siamo solo scritti delle mail, ok?”.
“Sì, ok, questo mi è familiare”.
“Oggi finalmente ci siamo visti in questo ristorante”.
“Giornata memorabile! non mi toglierò mai dalla mente l’immagine di te che entri nel bar… "
Un misto di conferme e sorprese rispetto a quanto avevo fin lì immaginato, pensai, dopo settimane, mesi, passati a scriversi.
“Scemo… per te, fino a ieri, ero un’immagine nella tua testa… ma non sapevi come fossi realmente”
“Neanche tu sapevi come fossi io!”.
“Certo, lo stesso valeva anche per me. Io per te potevo essere tante cose: mi conoscevi per la mia testa, per quello che ti scrivevo. Ma non conoscevi altro di me. Le mie idiosincrasie, le fissazioni, i miei difetti. Nella tua testa, c’erano tante versioni di me, un’infinita combinazione di possibilità, belle e brutte, piacevoli e spiacevoli, eccitanti e frustranti”.
In realtà, io avevo solo immaginato il meglio di lei, ammettiamolo.
“Magari sono più bassa di quello che ti immaginavi. Oppure sono più giovane di quanto non appaia quando scrivo. Oppure mi hai scoperta con il culo grosso!”
Non dissi nulla, sapevo che mi sarei compromesso, l’avrei solo fatta incazzare… ok, il culo era più grosso di quanto immaginassi. Ma mi piaceva così, come farglielo capire?
Ma credo che, vista come era andata la serata, l’avesse perfettamente capito.
“Quando mi hai vista, le infinite possibilità che mi rappresentavano, sono diventate una donna. Sono diventate me: prima c’erano moltitudini di combinazioni, più o meno probabili. Quando mi hai finalmente incontrata, sono diventata quella donna specifica e non una delle tante possibilità.
In termini tecnici, si dice che la funzione d’onda che mi rappresentava nella tua testa, è collassata nello stato ME, con i miei capelli, la mia voce e, già, anche le mie tette… mi stai ascoltando?".
"Eh!? sì, cioè no, anzi sì… mi rapisci e confondi… posso…?".
"Che ti prende? Dai, vuoi baciarmi qui? no, dai, qui no…".
Uscimmo nella notte, un lampione irradiava il suo tono seppia proprio sopra l'auto di lei. Io, timido, non ebbi il coraggio che sfoggiò lei prendendomi la mano. Allo sportello tirò fuori di nuovo il foulard d'hermes e me lo porse dandomi la schiena.
"Dai, come prima: bendami e portami dove vuoi"
Poi mi allungò le chiavi, strinsi il nodo a quella seta colorata e mi soffermai con le dita sulla sua schiena nuda ed invitante, ne sfiorai la pelle giovane e morbida, mugolò un "sì" a fil di voce e le baciai il collo. Lei mi accarezzò la testa liscia ed io l'abbracciai incrociando le mie mani sul suo ventre.
Lei, di spalle, iniziò a dirmi tutte le fantasie che la abitavano in quel momento, la sua voce mi giungeva come in sogno, non vedendo le sue labbra.
"C'è un universo di scelte davanti a noi adesso. Potresti far scivolare le tue mani sulla mia intimità e masturbarmi qui..."
"Oppure…" risposi "potrei chiederti di inarcare un poco la schiena e farmi sentire il tuo stupendo culo sulla mia eccitazione dentro i miei pantaloni..."
"Potrei chiederti di lasciare che ti succhi un dito; che ho voglia di qualcosa in bocca, ma non di concedermi troppo presto e cercherei di farti impazzire così"
"C'è anche la possibilità che ti chieda di chinarti sul cofano della macchina e arrenderti a me".
Fu in quel momento, a quelle mie parole, che iniziò a muoversi, premendosi, contro di me; la cosa mi stava eccitando e non facevo più caso alla doccia di luce sotto cui eravamo, chiusi gli occhi e sentii lei abbandonarsi ai sensi.
Avvolse una mia mano con la sua e la portò al suo petto; sotto il mio palmo il battito accelerato di lei ed il delicato del suo seno; sospirò. Tentai di accarezzale un fianco con l'altra quando mi bloccò intrecciando le sue dita sulle mie. "sì" sussurrò e le guidò al suo ombelico, celato dal leggero tessuto; affondai col mignolo in quel piccolo occhiello e mi spinse più giù, fino al pube.
"Toccami" disse ancora.
La mia voglia stava prendendo il sopravvento sulla mia solita fermezza, stavo godendo del suo corpo caldo premuto contro il mio.
"Toccami, hai paura?" mi ripeté, incoraggiandomi.
A quella domanda, quasi stordito dal desiderio, cacciai i dubbi dalla mia mente e varcai l'orlo, ormai risalito, del tubino nero; quasi senza capire cosa stesse succedendo, dove fossi e chi fosse quella donna nelle mie braccia.
Un piccolo ciuffo di peli soffici e umidi accolsero le mie dita che toccavano, che accarezzavano lentamente avvicinandosi alle labbra più nascoste di quella donna affascinante; mi meravigliai nello scoprire l'assenza di intimo; di colpo le sue mani mi presero i fianchi tirandomi a sé; nel mio, di intimo, ero al massimo del turgore e stavo premendolo fra le sue natiche nude.
Lei ondeggiò leggermente i suoi fianchi, stavo esplodendo, poi lei: "Prendimi, qui, adesso" mi disse in un alito di voce.
Mi si annebbiò del tutto la vista; affondai la faccia nel profumo dei suoi capelli, mentre la sua mano mi sbottonava i pantaloni e con decisa delicatezza me lo tirava fuori. Duro.
Allargò le gambe e finalmente si protese sul cofano, come le mie ultime parole le avevano suggerito, come immaginavo e speravo sarebbe andata quella serata, dal momento in cui l’avevo vista varcare la soglia del bar.
Un istante fermo per sempre nella mia mente, quello, un faro che illuminava tutto ciò che poteva essere, come sul palco di un teatro nel momento più carico di pathos dell'opera.
La sensazione fu che, in quello spazio indefinito, in quel tempo sospeso, tutto potesse accadere.
E tutto stava accadendo.
"In meccanica quantistica la funzione d'onda rappresenta lo stato di un sistema fisico. È una funzione complessa che ha come variabili reali le coordinate spaziali e il tempo, il cui significato è quello di un'ampiezza di probabilità."
https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_d%27onda
Fu una giornata che ricorderò a vita.
Tutto era cominciato con un invito gettato nel vento della speranza, poco prima dell'inizio delle lezioni; prontamente raccolto, con mio stupore, da quella donna che messaggiò un: "Finalmente! Passo a prenderti alle otto al bar che mi hai detto, stupiscimi"
Poi nessun nuovo messaggio.
Passai il pomeriggio cercando il ristorante giusto nel posto giusto, fissai. Poi corressi i compiti del test che avevo assegnato il venerdì in classe, ma la mia mente saltellava onirica nel desiderio di lei. Non stavo nella pelle, quasi un adolescente alla prima uscita. Dopo mesi a scriverci e ad inviarci timide immagini, era giunto il momento.
Mi conosceva, ma decisi che sarei stato al massimo: mi rasai la barba con cura, perché sapevo che a lei piaceva così; docciato e profumato, scelsi un abito formale, ma misurato per non metterla in difficoltà; solo il suo nome ronzava nella mia testa, l'ultima foto di lei dallo stadio (con quella maglia… vabbè) mi balenava davanti agli occhi. Infilai le scarpe, due Oxford Alexander che non indossavo da anni, e ruppi una stringa; mi ci venne da piangere ed optai per lo stivaletto.
Lei fu puntuale, entrò nel locale che ero appena uscito dal bagno; l'emozione mi aveva già tradito tre volte quel giorno.
Bellissima, molto più di quanto già non apparisse negli scatti, le sue parole furono già un enigma:
"Bendami, guida tu e portami dove vuoi"
Durante la cena il ponentino ci accarezzava fresco, portando con sé un sentore di mare e pini; solo due coppie, tre tavoli distanti, dividevano quella terrazza con noi; stavamo bene, due anime che si erano trovate. Parlavamo ed i nostri occhi si mescolavano lo sguardo senza cedere, ma la danza della sua bocca mi rubava attimi da quelle iridi profonde. Poi mi decisi e con le mie dita cercai timidamente le sue; mi sorprese ancora lasciando che ne toccassi la pelle morbida e delicata. Nel mentre si protese verso di me, il mio cuore cominciò a battere violento immaginandomi un tocco furtivo e casuale delle nostre labbra e mi spinsi verso di lei; ma fu un istante e lei si rigettò allo schienale e, perplessa, mi domandò:
“Veramente non conosci la storia del gatto di Schroedinger?”
Mi faceva impazzire sentirla incredula nello scoprire che c’erano conoscenze per lei normali e per me meno consuete, invece...
Amavo la sua intelligenza, amavo la sua arguzia.
“Che dirti… certo che ne ho sentito parlare, so che è un paradosso legato alla fisica moderna… ma non saprei dirti esattamente di che si tratta.“
I suoi occhi, cercando il cielo, brillarono delle luci sospese
“Perché non me ne parli tu? Coraggio… farò del mio meglio per capire”
Lei si schiarì la voce, passandosi nel frattempo la mano in quegli stupendi capelli arruffati.
“Allora, se ti dico che la fisica delle particelle elementari non segue le regole del senso comune, che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, mi capisci?”
La guardai socchiudendo gli occhi, tradito da una espressione dubbiosa.
“Senti, ti basta sapere che le leggi che regolano il comportamento delle particelle sono fondamentalmente leggi statistiche. A livello atomico non è come giocare con palle di biliardo o come guardare i pianeti in un telescopio. Di una particella non puoi sapere esattamente tutte le informazioni contemporaneamente”.
Annuii.
"Puoi conoscere la probabilità di certi stati di quella particella che vuoi studiare, vederne gli effetti sul modo circostante, ma, finché non fai delle misurazioni, quella singola particella si relazionerà con l’ambiente come se fosse contemporaneamente tante particelle, ognuna con le proprie caratteristiche definite da una certa regola… da una certa funzione”.
Cercai di non lasciarmi distrarre dal suo sguardo felino, bevvi un poco del mio bicchiere di vino e le risposi:
“Ok, posso starci… più o meno”.
“Allora prova ad immaginare di chiudere dentro una scatola un gatto ed una particella potenzialmente radioattiva, capace di ucciderlo”.
“Ok… ho il gatto nella scatola”.
Lei mi sfilò il calice dalla mano e bevve un sorso del mio Chianti; mi piaceva l’idea che le nostre bocche si incontrassero sull'orlo di quel cristallo.
“Semplificando al massimo, se puoi solo sapere la probabilità dello stato di quella particella potenzialmente mortale, alla stessa maniera conosci la probabilità che il gatto venga ucciso da quella particella”
“Povero gatto…. Certo, ti seguo”.
“Il paradosso sta nel fatto che, fino a quando non apri la scatola per guardare, il gatto è sia vivo che morto”.
“Oddio, in realtà sarà vivo o morto con una certa probabilità”.
“No, no… è proprio lì il paradosso! Sebbene ciò risponda fedelmente alle leggi della fisica quantistica, è chiaramente impossibile nel nostro mondo macroscopico!”.
Si accalorò nel cercare di spiegare, guardavo le vene sul suo collo, le pupille dei suoi occhi dilatarsi come ad ipnotizzarmi, la piega delle sue labbra farsi decisa per ammaliarmi, continuò
"Il gatto è contemporaneamente vivo e morto, secondo certe probabilità. Solo all'apertura del coperchio, lui ricadrà in uno dei due stati. Quando guardi nella scatola, fai una misurazione. E, toccando con mano l’esperimento, costringi il sistema ad assumere una delle condizioni possibili nel nostro mondo macroscopico”.
...Toccare con mano… pensavo e guardavo il suo petto alzarsi ed abbassarsi nella foga della spiegazione e… avrei voluto toccarlo con la mano, quel petto, in quel momento, certo…
“Non distrarti. Dai, cazzo! Che mi stai guardando le tette?”.
“Tesoro… certo che ti sto guardando le tette… cosa ti aspetti… però, ok: mi concentro… ma tu devi farmi un altro esempio, ti prego!”.
Lei distolse lo sguardo spazientita, ne approfittai per farmi più vicino (benedetti tavoli piccoli!) sino a sentirne l’odore e lei mi mise una mano su di una guancia per evitare distrazioni.
“Ascoltami… allora: fino a ieri io e te abbiamo solo chattato… ci siamo solo scritti delle mail, ok?”.
“Sì, ok, questo mi è familiare”.
“Oggi finalmente ci siamo visti in questo ristorante”.
“Giornata memorabile! non mi toglierò mai dalla mente l’immagine di te che entri nel bar… "
Un misto di conferme e sorprese rispetto a quanto avevo fin lì immaginato, pensai, dopo settimane, mesi, passati a scriversi.
“Scemo… per te, fino a ieri, ero un’immagine nella tua testa… ma non sapevi come fossi realmente”
“Neanche tu sapevi come fossi io!”.
“Certo, lo stesso valeva anche per me. Io per te potevo essere tante cose: mi conoscevi per la mia testa, per quello che ti scrivevo. Ma non conoscevi altro di me. Le mie idiosincrasie, le fissazioni, i miei difetti. Nella tua testa, c’erano tante versioni di me, un’infinita combinazione di possibilità, belle e brutte, piacevoli e spiacevoli, eccitanti e frustranti”.
In realtà, io avevo solo immaginato il meglio di lei, ammettiamolo.
“Magari sono più bassa di quello che ti immaginavi. Oppure sono più giovane di quanto non appaia quando scrivo. Oppure mi hai scoperta con il culo grosso!”
Non dissi nulla, sapevo che mi sarei compromesso, l’avrei solo fatta incazzare… ok, il culo era più grosso di quanto immaginassi. Ma mi piaceva così, come farglielo capire?
Ma credo che, vista come era andata la serata, l’avesse perfettamente capito.
“Quando mi hai vista, le infinite possibilità che mi rappresentavano, sono diventate una donna. Sono diventate me: prima c’erano moltitudini di combinazioni, più o meno probabili. Quando mi hai finalmente incontrata, sono diventata quella donna specifica e non una delle tante possibilità.
In termini tecnici, si dice che la funzione d’onda che mi rappresentava nella tua testa, è collassata nello stato ME, con i miei capelli, la mia voce e, già, anche le mie tette… mi stai ascoltando?".
"Eh!? sì, cioè no, anzi sì… mi rapisci e confondi… posso…?".
"Che ti prende? Dai, vuoi baciarmi qui? no, dai, qui no…".
Uscimmo nella notte, un lampione irradiava il suo tono seppia proprio sopra l'auto di lei. Io, timido, non ebbi il coraggio che sfoggiò lei prendendomi la mano. Allo sportello tirò fuori di nuovo il foulard d'hermes e me lo porse dandomi la schiena.
"Dai, come prima: bendami e portami dove vuoi"
Poi mi allungò le chiavi, strinsi il nodo a quella seta colorata e mi soffermai con le dita sulla sua schiena nuda ed invitante, ne sfiorai la pelle giovane e morbida, mugolò un "sì" a fil di voce e le baciai il collo. Lei mi accarezzò la testa liscia ed io l'abbracciai incrociando le mie mani sul suo ventre.
Lei, di spalle, iniziò a dirmi tutte le fantasie che la abitavano in quel momento, la sua voce mi giungeva come in sogno, non vedendo le sue labbra.
"C'è un universo di scelte davanti a noi adesso. Potresti far scivolare le tue mani sulla mia intimità e masturbarmi qui..."
"Oppure…" risposi "potrei chiederti di inarcare un poco la schiena e farmi sentire il tuo stupendo culo sulla mia eccitazione dentro i miei pantaloni..."
"Potrei chiederti di lasciare che ti succhi un dito; che ho voglia di qualcosa in bocca, ma non di concedermi troppo presto e cercherei di farti impazzire così"
"C'è anche la possibilità che ti chieda di chinarti sul cofano della macchina e arrenderti a me".
Fu in quel momento, a quelle mie parole, che iniziò a muoversi, premendosi, contro di me; la cosa mi stava eccitando e non facevo più caso alla doccia di luce sotto cui eravamo, chiusi gli occhi e sentii lei abbandonarsi ai sensi.
Avvolse una mia mano con la sua e la portò al suo petto; sotto il mio palmo il battito accelerato di lei ed il delicato del suo seno; sospirò. Tentai di accarezzale un fianco con l'altra quando mi bloccò intrecciando le sue dita sulle mie. "sì" sussurrò e le guidò al suo ombelico, celato dal leggero tessuto; affondai col mignolo in quel piccolo occhiello e mi spinse più giù, fino al pube.
"Toccami" disse ancora.
La mia voglia stava prendendo il sopravvento sulla mia solita fermezza, stavo godendo del suo corpo caldo premuto contro il mio.
"Toccami, hai paura?" mi ripeté, incoraggiandomi.
A quella domanda, quasi stordito dal desiderio, cacciai i dubbi dalla mia mente e varcai l'orlo, ormai risalito, del tubino nero; quasi senza capire cosa stesse succedendo, dove fossi e chi fosse quella donna nelle mie braccia.
Un piccolo ciuffo di peli soffici e umidi accolsero le mie dita che toccavano, che accarezzavano lentamente avvicinandosi alle labbra più nascoste di quella donna affascinante; mi meravigliai nello scoprire l'assenza di intimo; di colpo le sue mani mi presero i fianchi tirandomi a sé; nel mio, di intimo, ero al massimo del turgore e stavo premendolo fra le sue natiche nude.
Lei ondeggiò leggermente i suoi fianchi, stavo esplodendo, poi lei: "Prendimi, qui, adesso" mi disse in un alito di voce.
Mi si annebbiò del tutto la vista; affondai la faccia nel profumo dei suoi capelli, mentre la sua mano mi sbottonava i pantaloni e con decisa delicatezza me lo tirava fuori. Duro.
Allargò le gambe e finalmente si protese sul cofano, come le mie ultime parole le avevano suggerito, come immaginavo e speravo sarebbe andata quella serata, dal momento in cui l’avevo vista varcare la soglia del bar.
Un istante fermo per sempre nella mia mente, quello, un faro che illuminava tutto ciò che poteva essere, come sul palco di un teatro nel momento più carico di pathos dell'opera.
La sensazione fu che, in quello spazio indefinito, in quel tempo sospeso, tutto potesse accadere.
E tutto stava accadendo.
"In meccanica quantistica la funzione d'onda rappresenta lo stato di un sistema fisico. È una funzione complessa che ha come variabili reali le coordinate spaziali e il tempo, il cui significato è quello di un'ampiezza di probabilità."
https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_d%27onda
3
voti
voti
valutazione
6
6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Sonnoracconto sucessivo
What she said - fammi diventare un cane
Commenti dei lettori al racconto erotico