Agente Lucy - 11 - Lo sceriffo

di
genere
pulp

Il mio viaggio procede in un'altra direzione, ma sempre in peggio.
Félipe mi carica sul cassone del camion militare requisito ai governativi. Spiega a tutti che chi mi tocca scende e se la fa a piedi, e se la vedrà da solo coi governativi! Un'occhiata che dice che lui non scherza e sale in cabina.
Sembra che funzioni, il cassone è affollato, non c'è posto per sedersi, mi rannicchio al centro tra due ali di miliziani e nessuno mi salta addosso. C'è però un silenzio imbarazzante, solo qualche battutina e mille sguardi che mi mettono a disagio. Indosso solo una lurida camicia chiazzata di sudore e gli anfibi che mi hanno salvato la vita nella marcia, l'intimo è andato perso nella scaramuccia coi governativi, sarà bruciato con tutta la stalla.
È un plotone di sfigati che si fingono allegri, matricole o poco più, ragazzi che sognano qualche soldo e s'illudono una vita decente, ma campassero anche trent'anni metterlo in bocca a una strafica yankee sarebbe l'unico vero ricordo della loro vita. Chi sono io per negarlo? Col mento allargo le ginocchia del più vicino.
Il convoglio procede lento nel pomeriggio afoso su stradine nascoste nella foresta, su è giù per valli e montagne, io a dondolare con le mani legate dietro la schiena facendo pompini ai miei salvatori. Anche ai ragazzi al Centro sarà venuto il mal d'auto a fissare uccelli.
Finito il primo giro ho le ginocchia a pezzi, faccio per iniziarne un secondo quando un buon samaritano mi offre da sedere. No, non mi cede il posto, solo il cazzo, è disposto a prendermi in braccio. Okay, così fa molto più caldo ma almeno sto meno scomoda. I ragazzi applaudono e sperano che questa gita in camion non finisca più.
Io invece non ne vedo l'ora, ma so di essere in buone mani. Io, al contrario di quel che crede il Colonnello, studio davvero i dossier e mi ricordo d'aver letto di Félipe, è un uomo di fiducia di Uribe, in pratica uno dei suoi tanti bracci destri. La missione non è saltata.
Ad un certo punto, in mezzo al nulla più totale, siamo arrivati.
C'è una berlina parcheggiata sotto una pianta stitica. Félipe mi chiude nel bagagliaio senza darmi il tempo di salutare i miei premurosi guerriglieri e, incredibile, l'auto si mette a correre su una strada asfaltata, così liscia che per me potrebbe essere l'autostrada per San Diego.
Chiusa nel baule m'addormento finalmente, ma è un sonno agitato, mi sveglio e mi riaddormento in continuazione.


La notte fanno una breve pausa per darsi il cambio alla guida, sono in due. Félipe apre e mi dà da bere. Devo pisciare, zero privacy e di nuovo nel bagagliaio.
Quando fa giorno, la lamiera comincia a scottare; incollo il naso in un angolo dove entra un po' d'aria. La strada ora è piena di curve, salite e discese, mi vien la nausea anche se non ho mai sofferto il mal d'auto. Questo guida da schifo.
Non ho la minima idea di dove possa essere o di dove cazzo mi stiano portando, sono zero in geografia e mi pare impossibile che esistano strade tanto lunghe. Ma sono tranquilla, grazie ai sensori quantici i ragazzi del Centro mi stanno seguondo metro per metro e ritroveranno senza fatica il mio cadavere. Cazzo!

All'improvviso sento agitazione nell'abitacolo.
“Cazzo, che faccio?”
“Va' tranquillo, forse non ci...”
S'accende una sirena dietro di noi.
“Merda!”
“Accosta e non fare cazzate. Tranquillo, è Montero.”
Rallentiamo. L'auto sobbalza leggermente di lato, due pneumatici mordono sassi, e ci fermiamo. La sirena muggisce altre due volte e si spegne in un lamento.
“Parlo io, tu non aprir bocca.” Ordina Félipe, in spagnolo. “Montero è solo un pezzente a libro paga dei Vicario. È okay.”
“Ma non dicevi che forse i Vicario stavano con Vargas?”
“Non lo sappiamo, ma Montero non ci darà problemi. Occhi aperti, però.”
Si apre la portiera destra. È sicuramente Félipe che scende per farsi riconoscere, lui non teme d'essere sparato dall'agente nervoso. Sento il clic di un accendino.
Si apre anche una portiera lontana e dei passi che s'avvicinano.
“Ma guarda chi si vede, Félipe!”
“Hola.”
Non capisco più un cazzo, parlano tra loro forse in dialetto, come vecchi amici che si odiano. “... è tanto che non ti fai vedere.”
“Io lavoro sempre, che credi?... Apri il bagagliaio.”
Gelo.
“... Félipe, con te nessun problema, ma io qui devo controllare tutto.”
Si apre lentamente il bagagliaio. Il sole è alto, quasi m'acceca. Vedo l'ombra di un poliziotto che guarda dentro e storce il naso girando la testa dall'altra parte: “Cazzo, che puzza!” Lo sceriffo ha tutti gli anni per andare in pensione e non si sorprende di trovar una ragazza chiusa nel baule.
Mi estrae con due dita tirandomi per il colletto. “Félipe, pensavi di nascondermi questa tua nuova puttanella?!”
Parte la recita. Sparo una ventina di porfavor in mezzo ad un torrente di suppliche in inglese. M'aggrappo al suo colletto ed alla stella, piango e balbetto, indico Félipe con gli occhi terrorizzati, insomma mi pare d'essere una vittima credibile. Ed ovviamente tento di scappare.
Félipe senza scomporsi mi blocca artigliandomi la camicia dietro la schiena. Quasi cado all'indietro. Mi giro e lo colpisco ripetutamente con la forza d'una puttanella. Passa un'auto. Félipe getta la sigaretta da annoiato e, sollevandomi di peso, mi porta dietro il pick up coi lampeggianti blu.
“No no, questo non va bene. Una yankee!, non vogliamo casini in città.” Il poliziotto ci segue senza avvicinarsi troppo. È alto e magro, un vecchio che odia le rogne.
Siamo fermi in un'ampia curva su quella che dovrebbe essere la sua città, una cazzo di cittadina cinquecento metri di scarpata più in basso in una vallata contornata da montagne verdi. C'è anche la pista di un aeroporto. Insomma un gran cesso di posto.
Félipe con uno spintone mi schiaccia di muso contro la fiancata. “Che problemi ci sono, amigo?”
“Questa è una grana.”
“Ella es la puta del profesor.”
“Mi prendi per il culo?! Questa merda?!”
Non devo aver un bell'aspetto dopo due giorni di marcia, uno stupro di gruppo, una camionata di pompini ed una notte nel bagagliaio, ma Félipe mi solleva di qualche centimetro la camicia dietro per scoprirmi il culetto.
“Opporcaputtana che culo! Tu le sai scegliere, Fèlipe... però io non voglio grane.” Ripete il gendarme.
Félipe mi lascia, gli infila dei dollari americani nel taschino e s'allontana. “Nemmeno Uribe vuole grane ed è molto generoso coi suoi amici. Questo è solo un anticipo... Riportamela dopo.”
Ora sono più tranquilla, sembra che abbiano aggiustato le cose, non è saltata la mia missione. Sento il suo fiato alla nuca, cazzo di sigarette si fuma 'sto porco? È indeciso, controlla se siamo al riparo dalla strada. Il manganello di plastica s'infila piano tra le cosce e mi risale fin contro la figa. Con l'altra mano si sta slacciando i pantaloni.
Félipe s'è riacceso un'altra sigaretta ed aspetta annoiato accanto all'auto.
No, questo bastardo non può passarla liscia, domani potrà capitargli di fermare un'altra auto con una ragazza nel bagagliaio. È un porco bastardo che se lo sta menando moscio.
“Escúchame, abuelo... ¿Eres Montero?” Chiedo.
Si blocca stupito: ha scoperto che parlo spagnolo e che so pure chi è. Ora non gli verrà più duro. O forse s'è ammosciato perché l'ho chiamato nonno. “Che cazz..?”
“Zitto, non farti capire, è una trappola. Fa' finta di scoparmi.”
Butto in fuori il culo. M'afferra per i fianchi e mi sbatte il pene moscio tra chiappe. “... Uribe vuol far fuori tutti gli uomini dei Vicario.”
“Come fai a saperlo? Una puttana non può s...” Gli tremano le mani.
“Ho sentito tutto, non sanno che parlo spagnolo. Aiutami! Quelli ci vogliono uccidere.”
“Non ci casco, non è possibile!”
“Ha fatto uccidere Vargas, lo sai, ora tocca ai Vicario e a te... Guarda Félipe, è al telefono... secondo te con chi sta parlando?”
Ho devastato il coglione, al vecchio è crollato il mondo addosso ed è imbestialito, lui non vuole rogne. Si richiude la patta, m'ammanetta alla portiera del pick up e mi spinge contro con tutto il peso. “Ora penso a quegli stronzi, ma tu dopo dovrai raccontarmi un po' di cose.”
Mi fa sentire il manganello di punta contro la figa e poi spinge da bastardo strappandomi un gemito. Questo lo fa sentire uomo e gli dà la carica, gliene serve prima d'affrontare Félipe. Perde altro tempo col manganello: lo ruota per farmelo sentire, me lo scopa su e giù, lo ripicchia e lo inclina roteandomelo nel ventre, “ti piace, vero puttana? stai godendo, cagna?”
È un vecchio insicuro, questo maiale ha perso fiducia anche nel suo manganello di gomma.
Mi morde l'orecchio. “Lo so, lo vorresti in culo... Dopo!, dopo te lo faccio provare tutto in culo, ma tu non farmi scherzi o in culo ti ci ficco la mia carabina e t'insegno io chi è Ignacio Montero!”
Si scolla. Rimette il manganello in vita, si dà un'occhiata nel finestrino, raddrizza la stella, si sistema il colletto e torna da Félipe. Ride troppo forte, da coglione, e grida: “Che troia Félipe!!! Sai se questa cagna ha una sorella? Voglio sbattermi anche lei!”
Félipe capisce subito che qualcosa non va e si tradisce con lo sguardo.
Il vecchio porco estrae la pistola con una velocità da western. Lo vedo di schiena, i pantaloni cascanti sotto il culo piatto, tiene in scacco Félipe. “Non è ancora nato chi fregherà Montero!” Sentenzia da pagliaccio. “Fa' scendere il tuo...”
Purtroppo non fa in tempo ad accorgersi che non c'è più nessuno sull'auto, la manganellata alla nuca lo stordisce o l'ammazza. Non tocca nemmeno terra, lo caricano subito sul pick up.
Félipe è agitato meno d'un giocatore di scacchi: trova la chiave delle manette e mi libera. “Se t'allontani d'un passo ti taglio le dita dei piedi.” Mi promette e lui non fa promesse a vuoto. Sale alla guida e, stringendo il volante con dei fazzoletti in mano, attende che il socio dietro la curva gli dia l'okay, che non passa nessuno, quindi innesta la marcia, attraversa la strada e punta verso la scarpata per saltar giù un metro prima del precipizio. Tutto in venti secondi.
Faccio bye bye allo stronzo con stelletta.
Non perdono altri secondi. Félipe mi richiude nel baule incazzato nero. Non gliene va bene una, porto davvero sfiga.
Nel buio m'arriva un bip bip: l'azione è stata approvata.


Dopo mezz'ora l'auto parcheggia.
Mi tirano fuori. Un palazzotto isolato, forse in periferia.
Faccio conoscenza di tutta la famiglia Félipe in una botta sola: è una folla di fratelli e sorelle, cognate e cognati, figli e figlie, nipoti e nipoti ed uno stuolo di marmocchi che ci corrono incontro scalzi. Osservano tutti incuriositi il nuovo acquisto del capofamiglia, i maschi da intenditori, le femmine con cattiveria.
Mi prende in consegna la moglie. È lei che comanda in casa: mi porta via da tutti e mi spintona sulle scale fino al terzo piano. Sono sporca come una che ha dormito una notte in tenda ed una in un bagagliaio e mi fa un certo effetto la pulizia di questa casa.
La buonadonna mi spinge in una camera, mi mostra il cassetto con la biancheria, l'armadio con un unico vestitino verde appeso e la porta del bagno: è tutto. Mi fa levare la camicia militare che mi si è appiccicata addosso e la porta via tenendola ben distante con due dita.
Nella vasca scrostata ci faccio un bagno che m'annega i pensieri e poi, abbandonata sulle lenzuola pulite, mi pare d'esser altrove: in un cesso di posto con le lenzuola pulite.
scritto il
2024-06-30
8 4 8
visite
1 1
voti
valutazione
7.2
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Agente Lucy - 10 - Dolores

racconto sucessivo

Agente Lucy - 12 - Félipe
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.