Agente Lucy - 12 - Félipe

di
genere
pulp

Scatta la serratura ed entrano Félipe cupo in viso, un pirlotto con sorriso arrogante, la moglie più imbronciata del marito ed un pollo ai peperoni dal profumo divino! Il pollo è l'orgoglio della cuoca, mentre il ragazzotto è l'orgoglio di papà Félipe: è il figlio che ha studiato, l'unico che parla inglese.
Mentre divoro una porzione da squalo seduta al tavolino contro la parete, il 'piccolo bastardo un giorno tutto questo sarà mio' traduce quel che dice papà.
Ma ci mette molto di suo: “Troia, ora sei la puttana di Uribe, non essere così scema da tentare di fuggire, ti ritroverebbe ovunque e non sai che cazzo fa a chi lo tradisce. Ehehehe!”
Il moccioso deve studiare meglio la risatina, è penosa. “E sta' alla larga dalla polizia, non ti conviene, puttana schifosa, ti stanno cercando, la moglie di Vargas ha raccontato che c'era una puttana yankee coi capelli biondi a sparare al marito. Ahahah.”
Sono in trappola.
La mia vita non è cambiata.
Il pirlotto pretende che lo guardi mentre mi parla, lo faccio masticando il delizioso pollo.
Segue un lunghissimo e minuzioso elenco di regole, proibizioni e minacce.
Prima di lasciarmi sola, Fèlipe mi lancia uno sguardo che vale le mille minacce e risatine del pirlotto.
A quanto pare sono stata assunta nel bordello di famiglia Félipe su raccomandazione di Uribe. Non mi preoccupo, so come si fa.

Dopo venti minuti bussano alla porta ed entra un omone, il mio primo cliente, un puttaniere di provincia quarantenne sovrappeso.
Mi guarda strano.
Cosa c'è che non va? Mi controllo nello specchio, sì in questo deprimente nido d'amore c'è uno specchio di sessanta centimetri di fianco al letto per vedere qualcosina mentre si scopa. Questo vestitino mezza manica di jersey, preso per tre pesos in un svendotutto del mercato di paese, ha il suo perché indosso a me, ma su di me sta bene qualsiasi cosa mi metta. Mi fascia stretto seni e fianchi, forse troppo perché l'orlino mi s'arrampica sulle cosce. Lo tiro un po' giù sculettando davanti allo specchio: carino! Il verde mare è perfetto su di me, sono uno schianto.
Lo pensa anche il puttaniere di provincia che difficilmente s'è mai comprato una figa come me.
Ma la buonadonna m'ha fatto una testa così! Mi sfilo il vestitino dalla testa e lo riappendo nell'armadio. Se lo rovino m'uccide.
Ora che sono in mutandine bianche e tette al vento il maiale si mette ad ululare per la scarica ai coglioni ed allunga le mani titubante, teme che non sia vera e che sparisca all'improvviso come nei suoi sogni erotici.
Gli faccio toccar con mano, mi lascio abbrancare da dietro, sono calda e vera, morbida come i suoi sogni erotici e mi può impastare sul letto Quando le dita scivolano sotto l'elastico degli slip verso la fighetta, spingo contro il culo e giro indietro la testa per dargli anche le labbra da baciare. No, non ha mai pagato una puttana come me.
Ma il puttaniere di provincia ha esperienza ed è uno che non corre rischi, mi allontana con le braccia e mi chiede serissimo se sono maggiorenne. Fa sempre piacere sentirselo chiedere. Mi raddrizzo sul letto, in ginocchio seduta sui piedi e cosce chiuse, proprio una bella gaattina. Abbasso gli occhi mentre gli slaccio i pantaloni. ”Tienes una gran polla, papá.”

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Okay, non avevo mai fatto la puttana su scala industriale, dodici ore e più al giorno, e non voglio far la principessa sui piselli che si lamenta sempre. Alla fine è un lavoro come tanti altri, monotono come può essere fare la cassiera di banca.
Di una banca del seme, però, perché i progressi della medicina degli ultimi dieci anni hanno fatto chiudere Durex e sono stati la rovina delle puttane. Nessun rischio di trovarti l'uccello piagato, nessun contagio, nessuna sana precauzione. Improvvisamente si sono convertiti tutti i novax e le puttane cinquantenni rimpiangono i bei tempi, quando i clienti avevano sacro timore per il loro fringuello.
Ho imparato qualche trucco da puttana per rallentare il ritmo: li accolgo sempre in mutandine, hanno pagato ed hanno il diritto di levarmele loro, e punto sui preliminari. Mi lascio contemplare e coccolare e fingo addirittura di riconoscere quelli che ritornano. Sono uomini, vecchi e ragazzi. Una buona parte sono operai yankee dell'industria petrolifera che scava pozzi qua attorno. Sono quelli che hanno soldi in tasca e fidanzate lontane. Félipe guadagna più dei petrolieri a far trivellare le sue ragazze dagli operai dei cantieri.
Ma alle diciotto e trenta arriva la prima corriera dalla caserma e non c'è buco per nessun altro, è una valanga di matricole in libera uscita. Mi sbattono a tappeto uno dopo l'altro, a volte in tre o quattro camerati insieme, fino all'ultima corriera delle 22 e 18. La buonadonna mi pressa da maledetta, credo faccia lo sconto militari per la puttanella bionda.
Il weekend è stato devastante.

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No, non ce la faccio più!
Sono una carcerata in isolamento.
La mia cella al terzo piano non è piccola ed è arredata come una cameretta da liceale con tanto di poster con innamorati davanti al tramonto ed ha addirittura un balconcino, ma io dei venti metri quadri utilizzo praticamente solo i quattro scarsi del lettone. Ci sono stesa anche quando non lavoro.
Per le altre ragazze del bordello, forse tre, io non esisto; non hanno mai cercato di parlarmi o vedermi, nemmeno di mattina quando prendo il sole sul balconcino. Sarebbe uno scherzo calarmi nelle loro stanze, ma creerei solo problemi e non credo sarebbero felici di vedermi: le avranno spaventate per bene e più probabilmente saranno incazzate con me perché porto via un sacco di lavoro. Loro ci campano.
La moglie di Félipe governa tutti con polso di ferro, per lei le regole ed i soldi sono tutto: nessuno della famiglia mi ha mai toccata, a parte il visitatore dell'alba. Sono la puttana di Uribe concessa in prestito al suo bordello e la buonadonna ha per me un certo riguardo; m'ha anche concesso quattro giorni di riposo per il ciclo. Sul ciclo non si discute! Credo che per lei sia una conquista femminile, gli uomini si devono solo adeguare e stare zitti e muti.
Il mio riposo l'ho passato sempre prigioniera in camera, sempre su questo letto ad ascoltare la Tv e sfogliando riviste per donne e libri per ragazzi. Ovviamente quando m'ha rimessa in servizio ha accelerato i turni per recuperare la perdita.
Questa buonadonna che ha tutto sotto controllo e non lascia nulla al caso piacerebbe senz'altro al mio Colonnello.
Io muoio!


Inutilmente i ragazzi del Centro mi mandano bipbip di sostegno.
L'unica cosa che mi ricorda che sono un agente segreto in missione è la visita segreta di Félipe all'alba, quando la casa dorme (e pensa che la moglie non sappia).
Già la prima mattina mi sono svegliata al rumore della serratura. Bene, anche Félipe è di carne, mi sono detta, forse c'è possibilità di far breccia in quel monolite. Mai conosciuto nessun altro così concentrato sui propri obiettivi!
Gli sono andata incontro nel buio, gli ho carezzato il cazzo, era già armato, duro come il suo carattere, duro come i suoi muscoli. Un brivido, giuro! Mi sono inginocchiata, ho strofinato il viso, leccato, tirato fuori, lisciato con la mano, con la lingua, succhiato la cappella, le palle, l'ho ingollato tutto... Minchia!, fingevo peggio d'una merda di puttana!
Per fortuna Félipe m'ha rialzata per i capelli, ho sentito il suo alito sul viso, e m'ha rigirata. Félipe è un cazzo di vero uomo bastardo, uno che va dritto al sodo e te lo ficca in culo.
Ora lo attendo già pancia in giù sul letto, un cuscino sotto che mi tiene alzato il bacino. Entra, m'inchioda di peso in culo, piccona al ritmo di uno spalatore, calmo e profondo, viene e se ne va.

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Cazzo, dopo sedici giorni in questo cesso di cittadina c'è ancora chi ha soldi in tasca. Forse ora Félipe non pensa più che porto solo sfiga!
Ma io non ce la faccio più! Sto sclerando.
Io qui io ci muoio! Sono diventata un robot, una bambola gonfiabile in trance, un materasso bucato che cigola. Seguo le telenovelas in spagnolo mentre mi scopano, non vedo nemmeno più i volti, non so se sto dormendo, scopando o mangiando. Nemmeno mi rimetto più le mutandine.
Ho il cervello in pappa! Quando la buonadonna m'ha portato un cesto di frutta non so che m'ha preso: mi sono messa a succhiare le banane!

Ieri, o è stato una settimana fa?, un tipetto voleva parlare, si lamentava della moglie generale, che lo angosciava, che non lo capiva, lo picchiava anche. “Mi spiace amigo, ma adesso proprio non posso, sulle scale c'è coda.” La moglie non lo menava abbastanza forte.

A volte mi risveglio. Adesso ho tra le cosce un bel ragazzo, liscio e forte come mi sono sempre piaciuti e comincio a sognare. Perché no? Io e lui in una capanna sulla spiaggia bianchissima di un'isola, facciamo l'amore anche sull'amaca, scopiamo felici da un mese senza mai fermarci, mangio il cocco fresco, succhio il suo cazzo, lo voglio, spingilo, più forte, scopami... ma quando rialzo gli occhi mi ritrovo tra le cosce un rinoceronte sudato di centoventi chili.
“Sì, troia, ti faccio godere come una cagna! Ma fa' piano, non farmi venire prima, ho comprato anche il culo.”
Meglio. Mi rigiro sotto il pachiderma e non lo vedo più.
Improvvisamente mentre mi fa il culo prendo una decisione: ancora tre giorni, basta!, il Colonnello non può chiedermi di più. Tre giorni e se non si fa vivo nessuno io me ne vado! “Sì, così, più forte, è grosso, fammi male, spaccami il culo.” e il pachiderma sborra.
Corro in bagno, un bidè velocissimo e fissando lo specchio sul lavello dico sottovoce, sillabando bene le parole: “Ancora tre giorni e se non succede nulla me ne vado.”
So che a quest'ora c'è il Colonnello al Centro. La risposta m'arriva nell'orecchio dopo due minuti di silenzio.
Fischio lungo e breve e poi tre lunghi: NO!
Cazzo, non puoi farmi restare ancor... M'arriva una serie di bip! Li conto fino al dieci. “Dieci giorni?” chiedo allo specchio. Il doppio bip affermativo m'arriva immediatamente.
Bacio lo specchio, sono troppo felice, quest'incubo avrà una fine. Dieci giorni, non sono tanti, posso resistere per altri dieci giorni, ne sono sicura e non sono forte in matematica, non faccio il conto a quante centinaia di cazzi corrispondano.
In camera m'attende già il nuovo cliente, un padre di famiglia che ruba i soldi alla moglie. Gli sorrido dolcissima e glielo succhio da gattina innamorata. Non sa che chiederò al Colonnello di nuclearizzare questo cesso di città.

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C'è vento, minaccia temporale. Dei lampi lontani illuminano la cima dei monti attorno. La casa dorme, ma qualcuno fuma giù in cortile.
Mi sporgo dal balcone, mi lascio penzolare ed atterro senza rumore sul balconcino sotto. Stessa acrobazia e sono al primo piano, da qui basta un salto ancora e sono dietro ad un cespuglio.
Mi avvicino il più possibile. Riconosco Félipe e suo figlio.
È la voce di Félipe: “Okay Dylan, se va bene per Uribe a me sta bene, ma attento!, non ti deve sfuggire una parola con lei, è una spia yankee... La vuole Uribe, sai com'è fatto, tu non rovinargli la sorpresa.”
Ho sentito abbastanza. M'arrampico sul cancello, salto sul primo balcone, salgo in equilibrio sulla ringhiera e con un saltello m'aggrappo al balconcino sopra. In pochi secondi sono di nuovo in camera.
Sanno chi sono, la mia copertura è saltata. Okay, lo avevo già intuito quando Dolores e Félipe si sono separati, ma fa un certo effetto averne la conferma.
Uribe si sta prendendo gioco di me.
Due bip all'orecchio mi danno l'okay.
Non cambia nulla, la missione procede come previsto.
Ti ucciderò, Uribe.
scritto il
2024-07-01
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