Alla corte del duca - capitolo 1

di
genere
etero

Ripubblico un mio vecchio racconto.
Era arrivato il suo turno.
Elena era nuda, sopra una specie di palco. Il suo vestito grezzo, più somigliante a un sacco di juta che a un abito vero e proprio, giaceva accartocciato ai suoi piedi. Davanti a lei una decina di uomini, di tutte le età, la stavano guardando attentamente, scrutando ogni minimo dettaglio del suo corpo, restando seduti su due file di sedie improvvisate in quel locale sudicio, in cui il fumo delle pipe e dei sigari opprimeva l’aria rendendola irrespirabile, e irritando ulteriormente i suoi occhi, di per sé già resi rossi dal pianto.
Era cominciato tutto una settimana prima.
Quel pomeriggio il sole estivo splendeva cocente sui campi assetati d’acqua, la terra spaccata dall’aridità. Elena raccoglieva le patate dal campo, canticchiando allegra come sempre era. Le giornate pesanti passate nei campi non le pesavano, e lei era orgogliosa di essere utile per la sua famiglia. La miseria in quei tempi era all’ordine del giorno, e si faceva spesso fatica a trovare da mangiare qualcosa per la sera. I suoi due fratelli maschi più piccoli, di sedici e quattordici anni, aiutavano il loro padre a coltivare quella terra ingrata, bagnata dal sudore della fatica di 15 ore di lavoro al giorno, senza mai fermarsi. Ma nonostante tutto ciò, sembrava che il lavoro non pagasse mai, anzi….
Alla sera brodaglia con quattro tozzi di pane secco annegati dentro, e poi polenta, e polenta, e ancora polenta. La loro casa comprendeva 3 stanze: la cucina era l’unica in cui compariva la stufa a legna, l’unica che d’inverno veniva riscaldata, e quella in cui si passava la maggior parte del tempo. Poi c’era la camera dei suoi genitori, e per ultimo, su 3 letti a castello, dormivano lei e i suoi fratelli, isolati dalla cucina solo dal tirare di una tenda lercia. Lei, diciotto anni appena compiuti, era praticamente in età da matrimonio, ma non ci pensava minimamente. La casa in cui abitavano, dispersa nelle campagne, era talmente isolata da non permetterle di conoscere i ragazzi, e siccome l’occasione fa l’uomo ladro, così dice il detto, lei di occasioni non ne aveva, e al sesso e al matrimonio nemmeno ci pensava. Certo, qualche volta si era toccata, ma tutto era finito lì.
Quel giorno percorreva come sempre uno dei viottoli sterrati che univano la sua casa ai campi che avevano in gestione dal feudatario, e al quale davano praticamente tutto il raccolto in cambio di quell’alloggio fatiscente e di quel misero stipendio che arrivava solo se la terra fruttava e se niente fosse andato storto. Quella non era una buona annata: non pioveva da quasi due mesi, e le colture erano in uno stato pietoso, seccate in gran parte dal sole. Si profilava un anno di magra, e questo faceva disperare suo padre, che si spellava le mani a furia di lavorare, ma senza ottenere alla fine grandi risultati.
Stava quindi percorrendo i viottoli trascinandosi dietro il sacco di patate appena raccolte, poche purtroppo rispetto alle sue aspettative ma pur sempre una ventina di chili, che per una ragazza dalla corporatura esile e delicata come la sua erano sempre un bel peso, e quando arrivò in vista della sua dimora notò che davanti stazionava un carro, con legati due cavalli al traino. Ricevevano difficilmente delle visite, non avendo niente di niente da offrire a nessuno, e comunque le poche persone all’anno che si avventuravano fino alla loro casa sperduta in mezzo alle campagne arrivavano a piedi, o nella migliore delle ipotesi a cavallo di un mulo, che era già un grande lusso da quelle parti. Incuriosita, accelerò il passo, muovendo velocemente le sue gambe nervose, gli zoccoli di legno che le racchiudevano i piedi a strisciare sul fondo sconnesso del sentiero.
Posò il sacco appena fuori sulla panca di legno che era sistemata li per godersi un po’ di frescura notturna in quelle notti afose d’estate, dove la famiglia prima di andare a letto si riuniva per chiacchierare un po’. Spinse la porta fatta di assi di legno inchiodate tra loro, in cui c’erano più spifferi che formiche in un formicaio, e si trovò nella cucina, dove vide sua madre e suo padre seduti al tavolo con un uomo piccolo e tozzo, la pancia pronunciata, e la calvizie che lo aveva privato completamente dei capelli sulla nuca.
Sentendo il cigolio della porta che si apriva l’uomo, che era seduto di spalle, si girò lentamente a guardarla, scrutandola da capo a piedi, poi si rivolse a suo padre:
-E’ questa la ragazza?
-Si, è Elena, nostra figlia. Elena, saluta il signore!
Elena rimase stupita dal fatto che aspettassero proprio lei
-Buonasera signore!
Disse educatamente, come le era stato insegnato a fare dalla mamma, in una delle molteplici volte in cui giocavano a fare le “signore”, quelle dell’alta società, ricche, ben vestite e curate. In quei momenti si divertivano a fare finta di prendere il the, apparecchiando la tavola con le loro stoviglie in legno intagliato e immaginando che fossero di porcellana, giocando a chiedersi “quante zollette signora?” “due, no anzi tre!!!” “gradisce latte o limone?” e poi scoppiando in fragorose risate, mentre lei o sua madre facevano le facce serie e altezzose.
-Molto carina, complimenti!
Aggiunse quello strano personaggio sorridendole. Lei ricambiò il sorriso, felice per il complimento appena ricevuto. Il pelato si girò nuovamente verso suo padre, l’espressione che si fece seria
-Vediamo, le posso dare….1000 denari
Suo padre teneva gli occhi bassi, a fissare il pavimento in terra battuta, e sua madre intervenne:
-Ma come? Così poco???
-Signora, io le ho detto quello che per me vale. Posso arrivare al massimo a 1500…..
Sua mamma guardò l’uomo viscido che aveva davanti, poi riprese:
-La ragazza è sana ed è vergine, oltre ad essere anche bella, e per quello che ho sentito in giro, vale almeno 5000 denari….
-Vede signora, il prezzo che lei ha sentito è quello di ultimo acquisto, quando la ragazza viene, diciamo così, accasata da qualche parte. Io le ripeto la mia offerta oltre la quale, mi dispiace, non posso proprio andare.
Dicendo questo,l’uomo estrasse dal suo panciotto la pipa e il tabacco, e con molta calma cominciò a riempire il braciere, adocchiando ogni tanto la coppia di genitori che aveva davanti. Lui sapeva bene, perché gli era successo già molte altre volte, che quelle persone erano disperate, altrimenti non si sarebbero spinte a fare un gesto di quel tipo, vendere una figlia che era sangue del loro sangue. Sicuramente quei due, pensava tra sé e sé, non hanno più niente con cui sfamare loro e i loro figli, e per farlo negli ultimi tempi hanno contratto tanti debiti da strangolarli, e hanno il terrore che quel poco che ancora hanno, quella terra così dura e difficile, venga loro tolto, buttandoli completamente su una strada e senza la possibilità di sopravvivere.
Mille e cinquecento denari era proprio il debito che il padre di Elena in questo momento aveva contratto, e sarebbe riuscito a saldarlo senza nemmeno avanzarci niente. Per fortuna intervenne ancora sua madre, che in fatto di trattative commerciali era decisamente più brava di suo marito, e provò a rilanciare ancora:
-Tremila non è possibile?
-Signora lei è terribile… facciamo così, voglio proprio venirvi incontro ma questa è la mia ultima, e ripeto ultima, offerta….ve ne do 2000 subito, e vado via già oggi con la ragazza. Prendere o lasciare.
Tutto questo avveniva sotto lo sguardo allibito e incredulo di Elena, che aveva assistito a tutta questa strana trattativa.
Nel frattempo la pipa era stata accuratamente riempita di tabacco, e venne accesa subito dopo.
-Vi lascio un po’ di tempo per parlarne, aspetterò qui fuori la vostra decisione.
L’uomo si incamminò con passo tranquillo verso il cortile, passando di fianco alla giovane che lo guardava con aria attonita.
Non appena fu uscito, Elena arrabbiatissima con i suoi genitori cominciò a parlare, quasi urlando:
-Ma che cosa succede??? Non avrete mica intenzione di darmi a quello lì vero????
Sua madre la prese per mano:
-Siediti Elena. Adesso ne parliamo.
E poi, rivolgendosi verso il marito
-Cosa facciamo? Accettiamo?
Lui, sempre guardando verso il basso per non guardare negli occhi sua figlia, fece un cenno di assenso col capo. La madre allora si rivolse di nuovo verso Elena:
-Mi dispiace, figlia mia. Noi purtroppo non ce la facciamo più a mantenerti! Le braccia forti dei tuoi fratelli ci servono per lavorare la terra, mentre tu vedrai, vai a stare bene…
-Ma cosa stai dicendo mamma???? Sono tua figlia, mi stai vendendo a un grasso schifoso!!! Io voglio restare qui, non voglio andare via, voglio restare!!!!
Disse la povera ragazza, le lacrime che le rigavano le guance
-Ti prego papà, fa qualcosa tu!!!
Il padre se ne stava sempre con lo sguardo chino, e con un filo di voce rispose
-Mi spiace piccola – così la chiamava sempre il suo papà - non sai quanto mi dispiace, ma non abbiamo altra scelta….
La madre nel frattempo si era alzata, e direttasi verso la porta, aveva richiamato l’uomo
-Accettiamo!
Aveva detto.
Lui allora aveva preso Elena per il braccio, tenendola con fermezza. Non era la prima volta che faceva quel lavoro, e sapeva bene che a volte le ragazze scappavano, e poi si doveva fare una vera e propria faticaccia per riacciuffarle. Cominciò con decisione a trascinarla fuori, verso il suo carro posteggiato nel cortile, mentre lei piangente ed urlante scalciava in tutte le direzioni nel tentativo di liberarsi, e urlava e implorava che non voleva, e chiedeva ai suoi genitori di aiutarla. Ad un certo punto, ormai vicina al carro, si accorse che non erano nemmeno usciti a salutarla, che la lasciavano andare via così. Allora smise di ribellarsi, anche se sentiva una rabbia ancora maggiore crescerle dentro, e con molto orgoglio salì da sola sul carro. Non appena fu dentro, l’uomo viscido entrò e dopo averla fatta sedere sulla panca laterale, rovistò sotto il sedile, estraendo una cavigliera di metallo fissata ad una catena e con essa al carro: una costrizione robusta, che una volta fissata ai suoi piedi le avrebbe impedito ogni tentativo di fuga.
L’uomo gliela chiuse intorno al piede con un grosso chiavistello, poi scese dal carro richiudendolo con cura, in modo tale che non si potesse vedere da fuori cosa ci fosse all’interno, né tantomeno da dentro si poteva vedere niente del mondo circostante.
Dopo essere rientrato e aver dato l’importo pattuito alla famiglia, l’uomo si mise alla guida del carro, frustando i cavalli. Mentre rapidamente si allontanava, i genitori della ragazza si affacciarono sull’aia, e fecero ancora in tempo a sentire la figlia gridare:
-Mi fate schifo!!!! Mi fate schifo!!!!!
Fu l’ultima volta che sentirono la voce di Elena.
………..
Il carro procedeva tranquillo, lungo quelle stradine sterrate e piene di buche. L’uomo era molto soddisfatto: aveva fatto un ottimo affare! La ragazza la dietro, con quel visino dolce, quegli occhi verdi carichi di espressività, le gambe lunghe e affusolate che terminavano con delle caviglie sottili ed eleganti, e quelle piccole tettine sode le avrebbe reso un sacco di soldi. L’aveva pagata meno di un terzo del valore corrente di mercato, e l’avrebbe rivenduta almeno a 15-20 volte la cifra che aveva dovuto dare a quella famiglia. Non provava nessun rimorso per quella gente, come non provava rimorso o compassione per nessuno. Era il suo lavoro, e lo sapeva fare bene. Ancora qualche anno, e poi sarebbe stato ricco, e avrebbe potuto invecchiare nell’agiatezza, magari comprandosi qualche ragazzino che lo avrebbe soddisfatto sessualmente. Eh si, lui comprava le ragazze, ma a lui non interessavano per nulla. Proprio per questo i suoi acquirenti si fidavano ciecamente di lui, in quanto al corrente che le ragazze sarebbero arrivate a loro senza che le venisse torto un capello, e senza che avessero conosciuto sessualmente altri uomini. Ripensando ancora una volta a quanto avrebbe incassato sorrise tra se e se, e decise che la cosa andava festeggiata con una buona fumata. Riestrasse dal panciotto la pipa, e dopo averla riempita, cominciò a fare delle buone boccate di fumo, con grande soddisfazione.
Elena dietro stava veramente scomoda. La panca di legno duro le faceva sentire nella schiena ogni singola buca del sentiero, e cominciava a sentire il bisogno di urinare.
Chiese ripetutamente che il carro si fermasse, che doveva scendere un attimo, ma non otteneva nessuna risposta. Cercò quindi di trattenersi, fino a quando ad un certo punto non sentì il carro fermarsi. Allora provò a chiamare di nuovo
-La prego, ho bisogno di scendere un attimo! Mi sente?
Non sentì risposta, ma dopo qualche istante vide aprirsi la tenda
-Cosa c’è? Che hai da gridare?
Le disse l’uomo, con tono irritato
-Ho bisogno di scendere un minuto, per favore
L’uomo si mise a ridere, mostrando i suoi denti ingialliti dal fumo
-E dove devi andare? Devi forse pisciare?
Lei lo guardò con il viso supplichevole, scuotendo in segno di assenso la testa su e giù
-Bella, tu da qui non scendi fino a quando non saremo arrivati a destinazione! Se devi fare qualcosa, fallo pure sul carro, tanto toccherà poi a te dopo pulirlo ahahaha
La tenda si richiuse e lei si decise a resistere fino a quando non fossero arrivati. Si ma quanto ancora avrebbe dovuto restare sul carro? Quanto mancava ancora ad arrivare dove erano diretti? Mentre faceva questi pensieri sentì di fianco al carro il rumore dell’uomo che, fortunato lui, stava svuotando la sua vescica e, pochi istanti dopo, il carro che ripartiva. Tutte quelle sollecitazioni non l’aiutavano, e a un certo punto non ce la fece più, facendosi la pipì addosso e bagnando il vestito sgualfo che portava e la panca sottostante, dove si allargò una pozza di umido.
Erano molte ore che viaggiavano. Lei aveva fame e sete, e l’odore forte della sua urina riempiva il carro chiuso. Aveva dovuto infatti provvedere altre due volte a svuotarsi, ma questa volta era riuscita almeno a non bagnarsi gli indumenti che erano faticosamente asciugati. Intanto il sole aveva lasciato il posto all’imbrunire, e finalmente il carro si fermò davanti ad una locanda. Vide apparire dalla tenda la faccia schifosa dell’omino:
-Bene, per oggi siamo arrivati. Tu dormirai qui, tra poco verrò a darti da bere e da mangiare.
L’uomo fu di parola, e poco tempo dopo lei aveva una brocca d’acqua e un bel tozzo di pane da sgranocchiare. Stanca per la giornata trascorsa, cercò per quanto consentitogli dalla catena che la teneva prigioniera di sdraiarsi sulla panca, e si addormentò rannicchiata su quel legno duro.
Venne svegliata dalla voce di due uomini, fuori l’alba che illuminava nel suo modo strano le cose
-Guarda guarda che c’è qui!
Disse quello coi baffi all’altro
-Una bella puttanella fresca fresca!!!
Sentendo quelle parole lei si era messa seduta, cercando di restare il più lontano possibile dal fondo del carro, dove i due avevano messo la testa dentro la tenda e con le mani cercavano di afferrarla. Lei cominciò come il giorno prima a scalciare, ma poteva usare solo un piede perché l’altro era impedito dalla cavigliera.
-Ora ti facciamo vedere noi puttana! Piantala di scalciare, vedrai, ti piacerà!!
Disse sempre quello coi baffi, mentre l’altro aveva stampato sulle labbra un ghigno maligno.
Elena sentì uno strano sibilo nell’aria; un istante dopo uno schiocco tremendo, e dalla guancia dell’uomo che ora non sorrideva più cominciava a sgorgare copioso il sangue dalla ferita.
-Allora? Quella è roba mia, e non si deve toccare!
Disse l’omino, la frusta ben salda nella sua mano destra. Mentre uno dei due si teneva la guancia con la mano, l’altro estrasse velocemente un coltello
-Brutto bastardo, ora ti apro la pancia!!
E con fare minaccioso, il coltello brandito davanti a sé, fece per avvicinarsi all’omino; ma questi fu più veloce, e la frusta sibilò ancora una volta, avvolgendo la mano che teneva l’arma e subito dopo strattonandola, facendogliela cadere.
-Voi pensate che io possa fare questo lavoro senza potermi difendere e senza poter difendere ciò che è mio?
Disse l’uomo, mentre volteggiava nervosamente la frusta nell’aria.
-Per questa volta non vi uccido, ma posso sempre cambiare idea! In fin dei conti stavate frugando nel mio carro, quindi per me siete due ladri…. Ora filate, e non fatevi più vedere!
I due uomini si allontanarono mestamente dal carro, mentre l’omino infilava la testa nella tenda.
-Va tutto bene?
Elena, spaventatissima, stava ancora rintanata sul fondo del carro, le braccia ad avvolgere le ginocchia in un gesto estremo di difesa: scosse la testa in segno di assenso, mentre lui osservava i capelli arruffati di lei e la sporcizia in cui era obbligata a stare, sentendo nelle narici l’odore acre dell’urina che riempiva il carro.
-Resta buona ancora oggi. Stasera saremo arrivati, e potrai mangiare e lavarti.
Richiuse velocemente la tenda, e pochi minuti dopo il carro riprendeva la sua marcia verso una destinazione ad Elena sconosciuta ma ormai agognata.
………..
Era pomeriggio inoltrato quando il carro finalmente si fermò; Elena aveva sentito gridare “Aprite, c’è il capo!” poi il cigolio di un grande portone, e il carro che di nuovo avanzava per qualche minuto.
Il telone venne finalmente aperto, mentre l’omino la scioglieva dalla catena che per quei due giorni era stata sua compagna di viaggio.
I polmoni della ragazza si riempirono di aria finalmente pura, mentre il suo sguardo correva in lungo e in largo per studiare quel posto.
La grande casa su due piani faceva una grande “U” intorno al cortile dentro cui ora si trovava; tutto intorno sulla balconata in alto gerani rossi coloravano la facciata spoglia, mentre galline, oche e cani scorrazzavano liberamente nell’aia. Sulla destra vide il rimessaggio dei carri, con a fianco la stalla per i cavalli.
-Mamma mia come puzzi ragazza, hai bisogno di una bella ripulita!
La voce della donna la distolse dalla sua analisi, mentre riusciva persino ad abbozzare un sorriso a mo’ di scusa.
-Seguimi forza!
Elena cominciò a camminare, le gambe intorpidite dalla lunga inattività e i piedi scalzi: le sue zoccole le aveva infatti perse nello scalciare quando era stata portata via da casa sua, dalla sua vita. Fu condotta in una stanza al piano terreno dove una grande tinozza in legno campeggiava nel centro della stanza, già piena d’acqua.
-Spogliati e infilati li dentro! Muoviti, non farmi perdere tempo!
Le disse ancora la donna in modo burbero.
Elena obbedì, togliendosi il vestito che aveva addosso da due giorni; poi salì sulla scaletta e cominciò col mettere un piede nell’acqua, sentendola gelata.
-Ahaha, la principessa voleva un bagno caldo forse?? – La canzonò la donna – dai infilati dentro e comincia a lavarti e fallo bene, non voglio vedere nessun angolo sporco quando esci!
Le ultime parole gliele disse mentre le porgeva una saponetta e una spugna ruvidissima. Poi prese con due dita i suoi vestiti, come fossero infetti
-Questo schifo lo bruciamo subito, prima che ci prendiamo tutti le pulci!
E si allontanò, lasciandola sola.
L’acqua era veramente gelata, e Elena cercò di fare il più veloce possibile a ripulirsi. Grattò velocemente tutta la sua pelle con spugna e il sapone, si sciacquò i capelli e quando finalmente ebbe finito e si tirò su per uscire la sua pelle era tutta arrossata per il freddo e per il forte sfregamento. Nel frattempo la megera era tornata tenendo in mano un vestito che più che tale sembrava un sacco ruvido.
-Tieni, metti questo!
Le disse porgendoglielo. Elena arrossì, poi chiese
-E le mutande?
-La donna si mise a ridere, una risata acida e cattiva
-Bella, qui non è mica una boutique! Metti quello e non rompere!
Rassegnata, la ragazza si infilò quello strano vestito ancora sulla pelle bagnata.
-Seguimi!
La donna si incamminò con Elena dietro; passarono diversi locali, poi presero una scala in discesa che, come scoprì poco dopo la ragazza, portava a un seminterrato che era una specie di prigione. Le stanze piccole erano composte da un tavolato che faceva le veci del letto e un secchio per i bisogni; alla finestra delle robuste sbarre di ferro impedivano eventuali fughe.
-Tra poco vi porto da mangiare! Buona giornata!
Disse la donna, e un secondo dopo la porta si chiudeva a doppia mandata e l’eco dei passi che si allontanavano si fece più lontano.
Nel silenzio più totale, seduta sulla panca, sentì un sussurro:
-Ehi, ragazza nuova! Come ti chiami?
-Dici a me? –rispose, sempre sussurrando come aveva sentito fare all’altra
-Si a te! Come ti chiami?
-Elena e tu?
-Io sono Sabrina
-Siamo solo io e te?
-No, siamo una decina qui dentro!
Elena fu felice di sapere che erano in tante, la cosa le diede un po’ di coraggio. La sua nuova amica continuò:
-Sei fortunata, tra pochi giorni ci sarà il mercato! Pensa che io sono qui da quasi venti giorni!
Una voce interruppe il dialogo:
-Allora?? Lo sapete che è vietato parlare! Silenzio o vengo li!
La conversazione si interruppe volontariamente, per poi riprendere dopo un po’ di tempo. Elena scoprì che a Sabrina e a Giulia, le sue vicine di cella e le uniche che poteva in qualche modo sentire sussurrare, era toccata una sorte simile alla sua. Venivano da posti che lei non conosceva, come loro non conoscevano il posto da cui veniva lei. Passarono i giorni che rimanevano prima del mercato a chiacchierare di tante cose, senza mai peraltro la possibilità di potersi vedere.
scritto il
2024-07-26
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