Per un paio di Loubies

di
genere
corna

Cara Valentina,
Ti scrivo per aggiornarti su una questione che ha tormentato la mia mente da quando mio marito, con una sorta di candore inquietante, ha espresso il desiderio di vedermi con altri uomini. Mi ha sorpreso, naturalmente, e mi ha confuso. Come poteva concepire un pensiero simile? Voleva che la donna della sua vita lo tradisse! E non solo, ma avrebbe dovuto anche confessarglielo? Non riuscivo a decifrare la logica dietro tutto ciò.

Ecco… Vale, è successa una cosa che ti voglio raccontare.
E’ successo in un negozio di scarpe, non qui a Trieste, dove ci conoscono tutti, ma a Bergamo, quando siamo andati per una settimana dai genitori di Davide. Pensavo di non parlarne mai, per un misto di vergogna e riservatezza. Ma a te, che sei la mia unica confidente, non lo voglio nascondere.
Non mi aveva mai eccitato l’idea di andare a letto con un altro uomo ma quel giorno sembrava diverso. In realtà, fu la prima e, per ora, l’unica volta che mi trovai in una situazione del genere, e ne fui incredibilmente soddisfatta. Davide aveva orchestrato tutto in modo tale da renderlo perverso, e col tempo ho iniziato a guardare la cosa con occhi diversi.

Quel giorno mio marito mi disse che gli sarebbe piaciuto portarmi nel negozio di scarpe di un amico. Voleva regalarmi un paio di Louboutin. Ebbene, Vale, tu sai meglio di chiunque altra cosa darei per un paio di Loubies e non potevo certo rifiutarmi. E’ vero che ne ho uno scaffale pieno, ma un posticino per le So Kate si trovano sempre, non credi?
Ma ascolta, conosco molto bene mio marito e so che quando mi fa un regalo è perché vuole qualcosa in cambio… Dal suo sorriso, sapevo che c'era qualcosa di sporco in quella storia, ma non sapevo cosa. O non lo volevo sapere. Trovavo molto più eccitante fingermi innocente.

“E’ una boutique di lusso, vestiti adeguatamente”, disse Davide. Non chiedevo di meglio. Te lo ricordi il tubino rosa di Maestri che indossavo quando siamo andati a ballare a Portorose? Quello corto corto che quei due ragazzotti che ci importunavano hanno definito “illegale”? Ecco. Proprio quello. Con ai piedi i sandali trasparenti Talk to Me 105 di Aquazzurra facevo la mia sporca figura.
“Eccomi, sono pronta. Andiamo?”
Davide, che era seduto sul divano del soggiorno, quando mi ha visto non ha potuto fare a meno di sbavare.
“Sei splendida”, “la tua eleganza è una poesia”, “illumini la stanza”, e tutte quelle cose lì che erano un ulteriore indizio che la sua proposta di shopping non era disinteressata.
Cosa sarebbe successo nel negozio dell’amico? Non sei stupida, Vale, te lo stai immaginando? Vuoi che continui a raccontartelo?

E invece no, non te lo puoi immaginare, perché invece di una boutique di lusso in pieno centro ben illuminata, con tanto di divanetti e di commessi eleganti, dopo aver parcheggiato all’ingresso di un vicolo e averlo percorso fino in fondo, mi sono ritrovata in un piccolo negozietto vetusto, con in vetrina alcune scarpe che venivano dal secolo scorso!
“Dove cazzo mi hai portata?”, ho chiesto a Davide, che mi teneva stretta la mano.
“Tranquilla coniglietta, vedrai dentro. E poi, il vintage va di moda, no?”
L’interno era ancora peggio: il negozio era in una specie di corridoio piccolo e stretto che puzzava di muffa e cose vecchie. Oltre a uno scaffale con esposte (poche) calzature c’era un unico cubo con appoggiato un cuscino che ha visto tempi migliori dove sedersi per la prova, e sul fondo un tavolino col registratore di cassa.

“Ehi, Antonio. Finalmente te l'ho portata!” ha detto Davide. Ho iniziato a capire. Quei due avevano senza dubbio concordato qualcosa in anticipo.

Vuoi che ti parli di questo Antonio? Tieniti forte, Vale.
Sulla sessantina, calvo come una palla da biliardo e pallido come un foglio di carta igienica. Ti giuro: bianco con un colorito rosso da ubriacone militante sulle guance. E non ti dico il sorriso! Quello di Joker, al confronto, è una ninna nanna. Inquietante, La caricatura di un personaggio uscito dai peggiori incubi di Stephen King.

Dopo aver salutato mio marito, si è rivolto a me.
“Wow! Piacere di conoscerti, Arianna. Davide mi parla tanto di te” ha detto, mettendomi una mano sulla vita, poi l’altra.
“E spero che ne parli bene” ho risposto scherzando, guardando Davide con uno sguardo inquisitorio e rancoroso.
“Ma è impossibile dire qualcosa di male di te, tesoro.”
Il vecchio sgorbio mi ha abbracciata, le sue mani sulla mia schiena, la sua guancia mi ha sfiorato la pelle lasciandomi una sensazione di ribrezzo.

“Sei molto fortunato Davide, tua moglie è meravigliosa”, ho sentito le sue labbra scivolare sul mio collo, “e profumatissima.”
Le sue mani si muovevano palpandomi sopra il vestito, mi sono scostata di colpo, non senza lanciare un’occhiata sfuggente a quello strano bottino sotto ai pantaloni che avevo intuito al tocco.
Mi sono aggiustata il vestito e sono indietreggiata verso mio marito.
“Mi è piaciuto molto il tuo negozio, Antonio”.
Ho preso a braccetto Davide pronta ad andarmene,
“Ma cara, aspetta. Devi ancora scegliere le scarpe” ha detto Davide.
“Siediti lì su quel cubo,” ha ribadito il vecchio, “Louboutin vero? Fammi un attimo vedere cosa ho in casa e te le faccio provare. Calzi in trentasei, giusto?”
“Conosci pure la mia misura dei piedi” ho detto io, sarcastica.
“Oh, certo, ne parlo spesso con tuo marito. E ti confesso Arianna che da quando mi ha mandato la foto, mi sono innamorato dei tuoi piedi” ha detto con quella faccia da cartone animato che si ritrovava.

Davide sembrava scolpito nel marmo, immobile e silenzioso.
Cara amica mia, ero lì, intrappolata tra lui e Antonio che mi scrutavano come predatori affamati. Poi, senza pensarci troppo, ho lasciato scivolare una risata e mi sono tolta i sandali, lasciando i miei piedi nudi, a pochi passi dalla loro avidità silenziosa.
“Wow, sei perfetta, Arianna” ha detto Antonio, avvicinandosi con movimenti sincronizzati, come se dietro di lui operasse un'intera rete di marionettisti nascosti.
Istintivamente, sono indietreggiata. Una frazione di secondo prima che le sue dita si estendessero come tentacoli verso di me. Come in un sogno febbrile, mi sono ritrovata a camminare nello spazio angusto del negozio, gli scaffali con le scarpe che sembravano più artefatti rituali che accessori di moda. Niente mi piaceva, naturalmente, ma qualcosa dentro di me sembrava godere di quell'assurdità.
“Uhmm, adoro le So Kate” ho detto, indicando un paio di palesi fake con la suola rossa che non somigliavano nemmeno lontanamente alle originali, “Ce l’hai del mio numero?”
Mi sono voltata verso il vecchio: un rigonfiamento paradossale si faceva strada nei suoi pantaloni. Cosa c’era là sotto, Vale? Troppo grosso per essere reale, troppo osceno per non far parte di qualche scherzo della natura.
“Certamente sì, Arianna. Aspetta un momento.”

Quando Antonio è sparito dietro una porta che non avevo visto, e che probabilmente non esisteva qualche minuto prima, mi sono rivolta a mio marito, che sorrideva con quel suo ghigno sempre fuori posto.
“Davide, stai scherzando, vero?”
“Coniglietta mia, rilassati. Il gioco non è ancora finito. Vedrai, ne varrà la pena. Almeno, per qualcuno di noi...”
L’idea di cedere a quel gioco perverso era assurda quanto il pensiero stesso che tutto quello fosse reale. Eppure, qualcosa nella mia testa continuava a dibattersi tra il desiderio di fuggire e la curiosità morbosa che mi spingeva a voler svelare il mistero sotto il rigonfiamento dei pantaloni di Antonio. Per un breve istante, il mio mondo era diventato una mappa senza confini, e io stavo cercando un punto di riferimento in mezzo a un’illusione. Tu cosa avresti fatto, amica mia?

Ma prima che potessi decidere se ridere o fuggire, Antonio è tornato con le scarpe, mostrandomi una scatola aperta che conteneva due So Kate vere come una moneta da tre euro.
“Eccole qui, Arianna, proviamole.”
Mi sono seduta sul cubo che mi aveva indicato prima, ho accavallato le gambe e lui si è chinato davanti a me.
“Mi permetti?” ha chiesto tenendomi il piedino.
Ho semplicemente fatto spallucce, guardando Davide, che mi osservava col suo ghigno soddisfatto. E’ questo che vuoi da tua moglie, tesoro?, ho pensato fissandolo negli occhi. Ho cercato di vincere il ribrezzo di quelle mani sui miei piedi e mi sono lasciata andare.

Antonio, con la delicatezza di chi non ha mai infilato una scarpa a qualcun altro in vita sua, mi ha allungato la gamba e ha provato a farmi entrare in una di quelle scarpe. Io, lì, con il mio mini abito che non copriva nemmeno l’essenziale, e lui che guardava dritto, senza neanche far finta di essere discreto, le mie mutandine. E a quel punto, non ci voleva certo un genio per capire che erano già bagnate, e lui se n’era accorto.
Poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, le sue mani hanno iniziato a risalire le mie cosce, sollevando il vestito. E io? Io me ne stavo lì, lasciandomi trasportare, Vale, tipo quando sei in coda alla posta e sai che non puoi farci niente. Ho dato un'occhiata a Davide per vedere cosa stesse combinando, e lo vedo, tranquillo, che si slaccia i pantaloni come se fosse una questione di principio.
Un attimo dopo, il vecchio aveva già afferrato le mie mutandine, sfilandomele dalle gambe, per poi lanciarle sul pavimento con la grazia di chi lancia uno scartino a briscola.
Tutto è successo in un istante. Hai presente quando stai camminando nel bosco, magari stai pensando a cosa mangiare a cena e all'improvviso ti rendi conto che non sai più dove sei? Hai perso la strada del ritorno, ma intanto non ti agiti, perché alla fine, chissà come, da qualche parte uscirai.

Quel posto, a pensarci bene adesso, era perfetto per certe fantasie. Il negozio era aperto, sì, ma chi sarebbe mai entrato? Forse nemmeno Antonio si ricordava quando ha visto l’ultimo cliente, e a giudicare dalla polvere sugli scaffali, probabilmente era una decina di anni prima. Così, mentre mi apriva le gambe con la naturalezza di chi sa già come andrà a finire, si è chinato e ha messo la bocca proprio lì, sulla mia figa, come se stesse assaggiando un vino pregiato, e ha iniziato a succhiare.
Ho gettato le gambe sulle sue spalle, come se stessi allungandomi sul divano dopo una lunga giornata, e mi sono inarcata sul cubo. Un gemito sommesso mi è scappato, perché in fin dei conti, quando una cosa è piacevole, un po’ di partecipazione ci vuole, no? Ho guardato mio marito, che era lì davanti, e indovina un po’? Si stava masturbando, come se fosse la cosa più normale del mondo, osservando la scena con quell’aria assorta, come se stesse guardando un documentario sulle balene.

“Mmmhh… così mi farai venire!”
“Tuo marito ti succhia così bene?”
“See, magari…” ho risposto, guardando mio marito che se lo menava.
“Hai una bella puttanella a casa, Davide, ma non sai come usarla” ha detto il vecchio. Si è alzato, ha aperto i pantaloni che puzzavano di muffa e ha tirato fuori il cazzo.
Oh mio dio! Giuro Valentina che non so come descriverlo senza usare la parola grandioso. Mai visto un bastone del genere. E credo nemmeno tu, che di cazzi ne hai visti ben più di me! Guardando mio marito l’ho preso in mano, anzi, nelle due mani, e ho cominciato a segarlo, succhiandogli le palle, che col cazzo che quel cazzo ci stava nella mia piccola bocca (perdona il gioco di parole, Vale).
Dopo aver dato a quel dono di dio la durezza di un diamante, mi sono messa carponi sul cubo. Antonio mi ha sollevato il vestito, ha appoggiato il cazzo tra le piccole labbra e ha spinto.
“Fai piano, merda, mi fai male”
Mi agitavo e contorcevo per il dolore, ma tutto arriva per chi sa aspettare, con calma e prudenza, centimetro dopo centimetro dopo centimetro - e i centimetri erano tanti, amica mia - quel mostro mi allungò la figa all’estremo, penetrandomi fino in fondo.
“Dì a tuo marito che ti piace farti scopare da altri uomini” ha detto, tirandomi per i capelli e facendomi voltare verso Davide.
“Amo…” ho detto guardandolo negli occhi.

E il vecchio, incredibilmente energico, in un modo che non ti aspetteresti da qualcuno della sua età, pompava e pompava e pompava scavando nella mia figa con colpi precisi e metodici e ripetitivi, come se per lui fosse di vitale importanza non interrompere il ritmo nemmeno per un respiro in più, e tutto ciò mi colpiva, questa sua energia, questa sua insistenza sul rimanere attivo, come se il semplice stare fermo lo facesse appassire all'istante. Ogni tre quattro colpi mi schiaffeggiava il sedere, aggiungendo un dolore piacevole al piacere doloroso della sua nerchia che mi sventrava, e c’è stato quel momento in cui la sua mano mi ha afferrato il collo e per un attimo ho avuto la sensazione che stessi per soffocare, ma al contempo, e qui mi fermo perché non ha davvero senso, o meglio non ha senso detto così, ma tutto questo mi ha eccitato in una maniera che ancora faccio fatica a spiegare, tipo che non posso neanche dirti quante volte sono venuta, e venuta e venuta, non riesco a contarle e, cosa ancora più strana, non mi sono nemmeno sentita colpevole o imbarazzata, anche se in teoria avrei dovuto.

Ma la parte migliore, amica mia, è stata quando Davide ha visto il cazzo del suo amico uscire dalla mia figa bagnato di succhi, puntarlo con la mano verso il mio orifizio anale e schizzare ripetutamente riempiendo di sperma il mio piccolo anello. Da quanto non sborrava il vecchietto? Da riempirci una pinta, ti giuro Vale.
A quel punto si è avvicinato anche mio marito, e per completare il quadro del mio culetto che grondava sperma, ha voluto esplodere lì anche il suo carico, mescolando i suoi schizzi come un impulso istintivo da consegnare alla storia universale del sesso.
Cazzo, Valentina, quanto avrei voluto avere uno specchio per guardare quell’opera d’arte: “Pasticcio di sperma in buco di culo”. Meglio di un Pollock.

Siamo rimasti lì per qualche minuto. Ho chiesto la possibilità di usare un bagno, Antonio mi ha indicato una porticina che portava in un bugigattolo privo di finestre. Ti risparmio la descrizione per la prossima volta che parleremo di film horror. Mi sono ricomposta e pulita come meglio potevo. Uscendo mi sono fermata nascosta ad ascoltare quello scarabocchio d'uomo che raccontava a mio marito delle pratiche estreme che aveva sperimentato con altre donne. Ha confessato che amava scopare le donne sposate, per poi pisciare loro addosso costringendole a ingoiare la sua urina. Disgustoso.
Davide, parlava poco, rideva di più.
“Se Arianna volesse…”, gli ho sentito mormorare.

A proposito, cara Vale. Quando ci vediamo? Alla fine Davide me lo doveva, si è svenato, per farmele avere: devo farti vedere le mie nuove So Kate blush 120, non immagini come si intonano bene al Maestri di quel pomeriggio.
Dobbiamo assolutamente andare a ballare. Vedrai quanti ne rimorchiamo stavolta.

Ti abbraccio forte. Tua, Arianna.
scritto il
2024-11-02
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