Dirty postmodernist dance

di
genere
saffico

"Ciao, sono Arianna, sono qui per il corso di danza"
"Fantastico, la tua insegnante è Alexandra, ti aspetterà in fondo al corridoio, nella stanza rossa sulla tua destra. Divertiti!"
Il soffitto della sala è illuminato con colori arancioni tramonto che rendono l'atmosfera insolitamente sensuale. Mi guardo e noto che le parti bianche dei miei vestiti brillano. Entrando nella piccola sala, vedo un paio di studentesse che si allungano e si riscaldano con dei tappetini sul pavimento.
"Ehi, tu devi essere Arianna."
Resto sbalordita dal suo outfit: ha pantaloncini corti, minuscoli, rossi e scintillanti. Così attillati da far notare la fessura.
Lei mi sorride e mi tende la mano per stringerla. È di qualche centimetro più alta di me. Mi fa cenno di avvicinarmi e mi ha aiuto a prendere un tappetino e a scegliere un paio di scarpette da ballo. Mentre mi riscaldo accanto a lei, mi adatto all'atmosfera della stanza. È facile sentirsi a proprio agio con Alexandra. Ride spesso e non mi fa mai sentire in imbarazzo quando sbaglio qualcosa. C'è una tensione sessuale nel tipo di passi di danza che mi insegna. Mi ritrovo ad arrossire mentre cerco di eseguirli. Alexandra è infinitamente incoraggiante. Ogni tanto mette le mani sulla mia schiena per sostenermi o inclina la mia testa nella giusta direzione.

Il primo giorno è una scossa, un fremito che si è infilato tra le ossa. La scarica arriva ogni volta che una mossa, una singola mossa, viene catturata. È così che l'ho capito: questa lezione, questi gesti, ogni angolo di questa sala conta. Mi incatenano al gruppo, legami intrecciati come fili che mi tengono ancorata, un po’ più sicura del mio corpo ogni giorno che passa. Alexandra non molla, mai. Ci osserva come una lente d’ingrandimento, una pressione costante, quasi brutale. Lei vede in noi qualcosa che noi non possiamo vedere. C’è una ragione dietro a ogni suo sorriso, a ogni volta che ci sprona.
Alla fine di ogni lezione, resto lì a farle da complice, l'aiuto a riporre i tappetini. Presto diventa un rito – quelle chiacchierate che fluttuano nell’aria, mescolate al sudore e all'odore stantio della sala.

Poi, una sera, quando il ritmo è ancora un’eco nei muscoli, mi ritrovo con l’auto morta nel parcheggio. Testa appoggiata al volante, un respiro che diventa un tonfo di frustrazione. Bussano al finestrino: Alexandra.
"Tutto ok?"
La sua voce è filtrata dal vetro, come un suono che affoga.
Scendo, lancio un gemito stanco: "La mia macchina non parte."
"Merda. Vuoi un passaggio?"
"Oh, no, non serve. Chiamo mio marito e gli chiedo di venire a prendermi."
“Finiscila," fa una smorfia quasi ironica. "Salta su, Arianna."
E così, eccomi qui seduta accanto a lei, in un silenzio che sembra vibrare. Non ci sono più distrazioni, nessun tappetino, nessuna musica. Solo noi due. Le parole mi sfuggono quasi automaticamente: "Come hai cominciato con la danza?"
"Sembra assurdo, ma tutto è cominciato con Dirty Dancing." E vedo i suoi occhi che scintillano. "Quel film è come una canzone che s’incolla alla pelle. Lo avrò visto mille volte da bambina, finché non ho implorato mia madre per le lezioni. All'inizio è stato un disastro, ma una volta capito che potevo migliorare… non mi sono più fermata."
La guardo.
"Credo di non aver mai visto Dirty Dancing."
Si blocca, trattiene il fiato come se l’avessi appena colpita con una rivelazione ai limiti dell’assurdo.
"È davvero una delle storie d’amore più belle di tutti i tempi," dice con una serietà quasi grottesca, come se avessi appena insultato una verità assoluta.
"Prima o poi dovrai farmelo vedere," rispondo mentre ci avviciniamo a casa mia, una via familiare che adesso sembra un mondo alieno.
"Mi piacerebbe, ma non vorrei scandalizzarti," risponde, sarcasmo che striscia dalle labbra, sferzante.
"Non sono così innocente!" protesto, sentendo il calore salirmi alle guance. "Potresti rimanere sorpresa, Alexandra, sono più coinvolta in... cose scandalose di quanto pensi."
"Come cosa?"
Il motore si spegne, ci fermiamo. Un attimo perfetto per scivolare fuori dall’auto, per sparire. Eppure, c’è un invito, una sfida nei suoi occhi che non posso ignorare.
"Beh..." Esito, come se le parole stesse fossero spine da inghiottire. Non sono sicura se lei faccia sul serio o se mi stia solo tirando un filo. Non voglio rivelare troppo, non voglio scoprirla.
"Arianna, non ti giudico, te lo prometto."
Il suo sguardo è implacabile, insistente, uno specchio in cui mi perdo. Chiudo gli occhi, un istante per raccogliere il coraggio.
"Io... sono... interessata," il respiro è frammentato, tremo sotto ogni parola. "Si… ecco… la sottomissione... mi piace molto."
I miei occhi scivolano su di lei, incerti, spostandosi verso il cruscotto come per trovare un riparo. Un sorriso le si accende, come una scintilla improvvisa.
"Oh, allora siamo in due," dice dopo un silenzio breve e denso.
"Seriamente?"
"Sì. Forse ho spinto un po’ troppo con te. Quella confessione sembra averti lasciata senza fiato."
"Non voglio che tu ci vada piano," le sussurro, e mi sporgo, catturando le sue labbra in un bacio dolce, un contatto che si trasforma presto in altro. Lei risponde, afferrandomi la nuca con forza, mentre il bacio si fa più profondo, la sua lingua danza con la mia. Mi perdo in lei, un gemito mi sfugge mentre le mie gambe premono, come se potessero contenere l’esplosione che si diffonde in me, il desiderio che pulsa e si infiamma.
"Va bene così?" mormora, spostandosi per sfilarmi il reggiseno sportivo. Le sue mani scivolano sui miei seni, un tocco che mi fa fremere.
Annuisco, senza parole, troppo avvolta nel momento.
"Voglio che tu me lo dica, Ari. È un sì?"
"Sì... sì, grazie."
"Brava ragazza."

I suoi movimenti sono assieme caos e precisione, una lenta devastazione. Gemo mentre i suoi denti sfiorano i miei capezzoli, come piccoli fulmini che colpiscono il mio petto. Non so se mi sento più fragile o al tempo stesso più potente, la mia vulnerabilità è una moneta che oscilla tra le sue dita.
Desidero il suo tocco più in basso, ma non riesco a formulare la richiesta; ogni sillaba mi si spezza prima di prendere forma. Ma lei, quasi in telepatia, mi scosta le mutande, abbassandole. Le sue mani sono sulle mie gambe, e le separano con lentezza esasperante, preparandomi al loro ingresso.
"Vuoi che ti scopi qui?"
La sua bocca è vicina, mi sfiora, mantenendo un’attesa insostenibile, torturante.
"Sì, cazzo... per favore."
Le parole sono tremori, frammenti spezzati che usconi dalla mia gola.
Lei si china su di me con quel sorriso quasi feroce, affondando la bocca contro la mia pelle in un assalto inesorabile. Ogni tocco della sua lingua è un messaggio cifrato, un codice di piacere e agonia che svela un altro strato del mio corpo, come se non mi appartenesse più.
"Brava ragazza," sussurra tra una leccata e l’altra, una carezza verbale che mi trascina in profondità. "Ti ho desiderato così, per così tanto tempo."
E poi – due dita, una invasione dolce e prepotente, che mi fa irrigidire in un arco perfetto, una corda tesa pronta a spezzarsi.

La mia mente è già oltre, un turbine dove le parole perdono significato.
"Alexandra... io... devo... venire."
Sono ridotta a frammenti di linguaggio, suppliche rotte e primitive.
Lei ride appena, la sua bocca si muove con una sicurezza feroce, e quando parla, il suo tono è dolce ma implacabile.
"Vuoi venire sulle mie dita? Chiedimelo."
"Per favore, Alexandra..."
Sono puro desiderio, la mia volontà ormai in frantumi.
"Più forte!" dice.
Il mio corpo risponde, indipendente dalla mia mente, pronto a sottomettersi e a implodere sotto il suo tocco.
"Per favore, Alexandra, fammi venire," riesco a dire in un gemito spezzato, e le sue mani si muovevano dentro di me come per completare l'incantesimo, per farmi perdere del tutto, fino a che non c’è più alcun confine, solo noi, l’una dentro l’altra, fino alla fine, dissolvendoci in un piacere senza nome.

"Va bene, tesoro, penso di averti fatta aspettare abbastanza," risponde con una voce che è miele e acciaio insieme, e subito dopo le sue dita si muovono con una nuova intenzione, una furia lenta e poi sempre più rapida, mentre la sua bocca si serra intorno alla mia clitoride. Il mio corpo che si perde in un tremito incoerente. Gemo, gemo come in una confessione, come se questa è l’unica lingua che conosco.
Il mio orgasmo è un’esplosione di frammenti: non c’è spazio per il corpo, solo per la sensazione che non riesce a distinguere confini. La lingua della mia mente si contorce, si perde in loop, ripete, si stira e poi frantuma. Le sensazioni non sono più sequenze lineari, sono impulsi disconnessi che scorrono come una corrente elettrica rotta. Non sento il corpo, solo il riverbero: la carne è lontana, un'idea, una vibrazione nel sistema. Il piacere è solo un dato, che si perde nel caos, che sfuma senza lasciare traccia.

Non so per quanto tempo rimaniamo lì, sospese, nel momento. Alla fine, lei ritira le dita con una delicatezza sacrale, e si siede accanto a me. I miei polmoni si svuotano in una risata senza fiato, un sorriso spontaneo che non riesco a contenere.
"Grazie," dico, e il mio tono è quello di chi è stato appena trascinato in un’altra dimensione e ne è tornato intero, ma diverso.
Alexandra mi bacia una guancia, sorride, e poi allunga la mano per prendermi il polso. Un movimento impercettibile, ma il tocco è diverso, quasi meccanico.
“Grazie a te,” dice, ma la voce ha un calore strano, asettico. All’improvviso, noto che la pelle della sua mano si spacca lungo una linea sottile, lasciando intravedere un metallo lucido. La sua voce si dissolve in una sequenza di frasi che suonano come dati confusi: “Esperienza...soddisfacente… amore utente confermato…”
Le sue parole mi svaniscono tra le orecchie, come un programma di addio che si dissolve, e tutto si spegne in pixel, la realtà diventa un'istantanea sgranata, un mosaico di frammenti senza significato, dissolto da un errore di rendering.
scritto il
2024-11-07
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