La gelosia di Arianna

di
genere
tradimenti

Il cielo sopra di noi, il mare una distesa serena e il vento che ci accarezzava la pelle come un amante premuroso. La festa vibrava di energia, ma dentro di me c'era un tumulto che non riuscivo a placare. Mi muovevo con passi incerti, inciampando sui miei stessi piedi, indecisa se scivolare dietro agli altri o restare al mio posto. C’era una battaglia tra la ragione e quel nodo pulsante nello stomaco che mi urlava contro.
Il nostro accordo era chiaro. Davide e io avevamo parlato apertamente e lui aveva ottenuto il permesso. Una regola non scritta tra noi. Eppure, ciò che avevo sempre disprezzato nella gelosia degli altri ora ribolliva dentro me, come un veleno dolce e inaspettato.

Davide, forte e sicuro, raramente aveva bisogno di altri. Io, al contrario, spesso cercavo rifugio in braccia estranee, una fuga temporanea dalla monotonia.
Quella sera, mentre posavo con decisione il bicchiere sul tavolo, il richiamo della spiaggia era irresistibile. Il quarantesimo compleanno del nostro amico era un susseguirsi di musica, cibo e balli, un falò che prometteva una notte indimenticabile. Eppure, mentre mi avviavo verso la riva, una vocina dentro di me insisteva nel dirmi di tornare indietro. I miei piedi, però, continuavano a camminare. Le onde sussurravano segreti proibiti contro le rocce, e all'improvviso li sentii: risate sommesse, un mormorio che si confondeva con il rumore del mare.

Mi avvicinai, e lì, sotto la luce tenue delle stelle, li vidi. Davide era sdraiato sulla sabbia, il suo corpo nudo che si muoveva in un ritmo antico e carnale tra le gambe di un’altra donna. Un calore doloroso mi attraversò il ventre, immobilizzandomi mentre osservavo la scena che si svolgeva davanti ai miei occhi. Le spinte profonde di Davide erano accompagnate dal suono umido e lussurioso del loro piacere, i gemiti bassi e gutturali che si mescolavano con il fruscio delle onde. Il loro bacio era una danza di labbra e lingue, una fusione di desiderio che mi spezzava il cuore.

Mi allontanai alla cieca, la festa attorno a me trasformata in un muto brusio. Non riuscivo a sentire la musica, ero dentro una bolla di vetro, isolata dal mondo. Attraversai l'area con tavoli e sedie, sfuggendo alle braccia tese di Beatrice che mi chiamava per ballare. Sorrisi forzatamente, un sorriso che nascondeva un mare di emozioni, e mi diressi verso la casa di Paolo e Luciana, aggirandola per trovare un angolo buio.

Seduta su una panchina del giardinetto dietro la casa, finalmente esalai un respiro che non sapevo di trattenere. Le stelle sopra di me erano indifferenti, splendenti come se nulla fosse accaduto. Mi chiesi perché fossi andata laggiù, cosa sperassi di ottenere vedendo ciò che già sapevo. Davide mi aveva chiesto il permesso, ed io glielo avevo dato. Ma, in quel momento, mi resi conto che, nonostante tutto, non ero davvero pronta ad accettarlo.

Lei era un’apparizione sensuale: i capelli biondi ondeggiavano liberi, gli occhi azzurri scintillavano sotto le luci della festa, un culetto vivace che attirava sguardi ovunque andasse. Il vestito leggero che indossava non nascondeva nulla, e senza il reggiseno i suoi seni pieni si muovevano con quella grazia naturale che catturava l’attenzione di uomini e donne. Era lì per caso, amica della sorella del festeggiato, ma la sua presenza era magnetica.

Davide l’aveva notata subito, come era inevitabile. Durante la cena, lei era stata la sua cameriera, e tra un piatto e l’altro si erano scambiati sguardi e battute. Li avevo osservati da lontano mentre ridevano insieme, mentre ballavano, i loro corpi vicini e sincronizzati, le mani di lui che si muovevano sempre più audaci. Quando me l’aveva presentata, i suoi occhi brillavano di desiderio, un desiderio che conoscevo bene. Più tardi, era venuto da me, mi aveva baciato profondamente e con un sussurro roco mi aveva chiesto se poteva andare con lei.

C’era un’irresistibile eccitazione nei suoi occhi, gli occhi di un bambino alla vigilia di Natale, e io, contro ogni istinto, avevo annuito, gli avevo sorriso e avevo detto che andava bene. Mi aveva guardato con preoccupazione.
"Sei sicura?" mi aveva chiesto.
E io, mentendo anche a me stessa, avevo detto sì. Dentro, però, mi chiedevo che diavolo stessi facendo.

Il problema non era che Davide fosse con un’altra donna - questo era già successo una volta, faceva parte del nostro accordo - ma che fosse lei, lì, sotto gli occhi di tutti, durante la festa di compleanno di Paolo, con i nostri amici a pochi passi di distanza. L’idea mi faceva ribollire di ansia, un’irrequietezza che mi consumava. Pensai di andare a letto, di provare a dormire anche se sapevo che non sarebbe stato possibile dimenticare quella notte orribile e scacciare l’immagine di lui che affondava dentro di lei, schiaffeggiando la sua figa bagnata.

Mi alzai, decisa a fuggire da quei pensieri, ma proprio in quel momento vidi una figura che si avvicinava nell’oscurità. L’ultima cosa che volevo era parlare con qualcuno. Stavo per girarmi e andarmene quando una voce mi chiamò, tagliente e familiare. "Arianna?" Era Paolo. Il mio cuore saltò un battito, e mi voltai verso di lui, sperando che non potesse vedere la mia espressione nel buio.

“Ehi, Paolo, cosa ci fai qui? Non vai a ballare?”
La mia voce uscì stranamente forzata, quasi distorta. Un silenzio carico di tensione si allungò tra di noi mentre lui si avvicinava, la sua figura che si definiva alla luce della luna. Quando fu abbastanza vicino, potei vedere la preoccupazione sul suo volto, e il suo sguardo che mi trapassava.
“Arianna... l’ho visto andare via con lei...”
Le sue parole mi colpirono come un colpo allo stomaco, e il nodo che già mi stringeva si fece più stretto. La realtà della situazione mi investì con violenza, e l’idea di quello che stava accadendo tra Davide e quella bellissima donna bionda sulla spiaggia mi fece desiderare di essere ovunque tranne che lì, a quella festa, in quella notte piena di tradimenti sussurrati.

Mi sentivo intrappolata, come un animale ferito, mentre cercavo disperatamente di nascondere ciò che provavo. Le parole di Paolo mi colpirono come un pugno nello stomaco, e sapevo che non c’era modo di evitare la verità. Provai a fare la finta tonta, a fingere di non capire, ma lui non si lasciò ingannare.
“Dai, Arianna, capisci cosa intendo. Ho visto anche che sei andata laggiù a vedere. Ti va bene?”

La mia facciata crollò in un attimo. Abbassai lo sguardo, incapace di mentire ancora. Le lacrime, che avevo cercato di trattenere, cominciarono a scorrere lungo le guance, e con un gesto gentile Paolo mi tirò a sé, abbracciandomi con una tenerezza che mi fece sentire piccola e vulnerabile. Lo sentii sussurrare parole di conforto mentre mi cullava dolcemente, le sue mani accarezzavano i miei capelli. Ogni tocco, ogni parola, era come un balsamo che alleviava il dolore che sentivo dentro.
“Shhh, Arianna... Andrà tutto bene,” disse con una voce che vibrava di sincerità.

Mi allontanai leggermente, cercando di riordinare i miei pensieri.
“Sai qual è la cosa peggiore? Me lo ha chiesto. E io da cretina che sono gliel’ho concesso. Ora ne sono pentita, mi strapperei tutti i capelli se solo potessi tornare indietro.”
Paolo mi attirò di nuovo a sé.
“Sei così forte, Arianna, bella e forte,” disse, sollevandomi il viso con un dito sotto il mento. Poi, con una delicatezza sorprendente, le sue labbra sfiorarono le mie. Rimasi immobile, sorpresa da quel gesto inaspettato, ma quando lui mi baciò di nuovo, questa volta con più intenzione, non mi ritrassi.

Il bacio si trasformò rapidamente in qualcosa di più profondo, di più urgente. La sua lingua scivolò dentro la mia bocca e trovò la mia, giocando con una dolcezza che contrastava con il tumulto dentro di me. Le mie mani, ancora appoggiate al suo petto, potevano sentire il battito accelerato del suo cuore, mentre lui si chinava su di me, la sua altezza mi faceva sentire piccola, ma non indifesa.

Le sue mani grandi scesero verso i miei fianchi, stringendoli con una possessività che mi fece fremere. Sentii il calore del suo corpo avvolgermi, e quando una delle sue mani trovò la strada verso la mia natica, stringendola con forza, il mio respiro si fece più veloce, il desiderio si accese come una fiamma. I miei seni premevano contro il suo torace, e ogni movimento delle sue mani, ogni tocco, accendeva una scintilla che correva lungo la mia schiena.

Senza interrompere il nostro bacio, lasciai scivolare una mano verso il basso, cercando e trovando il rigonfiamento nei suoi pantaloni. Era duro, grande, e il calore del suo sesso attraverso il tessuto mi fece rabbrividire. Con movimenti lenti e deliberati, lasciai che la mia mano lo accarezzasse, godendo del modo in cui il suo corpo rispondeva al mio tocco.

Ma il suono improvviso di qualcuno che imprecava ci fece separare di colpo. Paolo si guardò intorno rapidamente, poi, senza esitazione, mi prese per mano e mi trascinò attraverso la porta di casa. Una volta dentro, chiuse la porta con un gesto deciso, senza accendere la luce, e mi spinse con forza contro di essa. Il bacio che seguì era selvaggio, disperato. Le sue mani, ormai prive di controllo, armeggiavano con il mio vestito, cercando di abbassarlo per scoprire i miei seni. Quando ci riuscì, con un movimento rapido lo sollevò, tirando giù il reggiseno e liberando le mie tette.
La sua bocca si abbatté su di loro con una ferocia che mi fece ansimare, i miei palmi premuti contro la porta per mantenere l’equilibrio mentre la sua lingua e le sue labbra esploravano ogni centimetro della mia pelle sensibile. La testa mi girava, e il mio corpo rispondeva ai suoi stimoli con una frenesia incontrollabile. Ogni inibizione, ogni dubbio, era sparito. Ormai, erano i miei istinti più primitivi a guidarmi.

Paolo mi trascinò con decisione attraverso la casa avvolta dall'oscurità, le sue mani sicure sulla mia spalla. Attraversammo il soggiorno, i nostri passi risonanti sul pavimento, fino a raggiungere il corridoio sul retro. Lì, davanti al ripostiglio, la sua urgenza divenne manifesta. Con un movimento veloce, i suoi pantaloni scivolarono fino a metà ginocchio, rivelando la sua vulnerabilità. Inciampò leggermente in un cesto della biancheria, ma il lieve disordine della situazione non fece che aumentare il fascino di quel momento clandestino e carico di aspettative.

Le nostre labbra si cercavano con una fame insaziabile, mentre lui mi afferrava con forza i glutei, sollevandomi sul tavolo della lavanderia con una facilità che mi fece tremare di lussuria. Le mie mani, mosse da un'urgenza frenetica, tirarono verso il basso i suoi boxer, rivelando un’asta bruciante di desiderio. Fu allora che lo sentii, l'unica cosa in grado di placare quella mia fame intensa: il suo cazzo!
Paolo mi alzò il vestitino corto, spostò il perizoma di lato e scivolò senza ostacoli mia figa arrapata.
"Ohhhh" esclamò, alzando la testa verso il soffitto.

Mi penetrò fino in fondo. Faceva un po' male, era grande. Nella mia mente obnubilata dal dolore e dal piacere potevo solo pensare a quanto fosse straordinario, mentre il suo corpo colpiva con forza l'addome e l'orlo delle mie mutandine, stimolando il mio clitoride con una precisione eccitante. La lubrificazione vaginale faceva il resto: ogni parte di me accoglieva con ansia il regalo inatteso di un membro maschile dentro di me.

“Oh tesoro, sei così fottutamente bella!”
Mi baciò di nuovo, le mie braccia si avvolsero attorno al suo collo, i nostri respiri si incrociavano in un ritmo affannato, e il mio “aiinn, aiinn, aiinn” si perdeva nell’orecchio caldo di Paolo.

Proprio in quel momento, la porta del ripostiglio si aprì con un rumore secco. La luce si accese. Immobilizzati, con la testa appoggiata al suo collo, non vidi subito chi fosse.
“Spegni la luce!” disse Paolo, la sua voce carica di tensione. La luce si spense immediatamente, ma restammo fermi, il suo respiro rapido e irregolare contro la mia pelle.
“Che diavolo stai facendo?”
La voce maschile che interruppe il nostro momento era quella di Alberto o Alessandro o Alessio o come diavolo si chiamava. Non ricordavo il suo nome, ma mi ricordai di lui come un amico di Paolo.
“Maledetto Paolo! E se Luciana ti scoprisse?”
Il pensiero di Luciana, la moglie di Paolo, mi colpì improvvisamente come un pugno allo stomaco.
“Fermati adesso. Sai benissimo cosa succede. Luciana non deve scoprirmi, Muovi il culo e vattene da qui,” ordinò Paolo.
Ero sospesa tra il desiderio ardente e la voglia di scomparire. Alberto o Alessandro o Alessio o come diavolo si chiamava sembrava bloccato.
“Chi stai scopando?” chiese a Paolo.
Prima che potesse rispondere, mi girai verso di lui e dissi con una voce neutra, come se fosse la cosa più naturale del mondo: “Sono io, Arianna.”
Paolo ridacchiò di gusto, si mosse verso di me e mi baciò. Bastò la mia battuta a far cadere il velo di imbarazzo. Come se nulla fosse, ormai disinteressandosi della presenza nella stanza, ricominciò a muovere il suo corpo dentro e fuori di me con un ritmo deciso.
“Aiinn, aiinn, aiinn!”
Mi appoggiai al muro dietro la lavanderia, sorreggendomi sulle braccia.
A si avvicinò, guardando alternativamente il mio viso e il cazzo di Paolo che mi penetrava con forza. La sua mano si fece strada sotto il mio vestito, Paolo si sfilò, mi tolse il perizoma e lo gettò all’amico, che lo guardò e lo annusò.
“Cazzo, Paolo: la tua amichetta è bagnata fradicia!” disse.

A prese uno sgabello e vi si sedette con un’aria di aspettativa. Estrasse il cazzo dai pantaloni e cominciò a masturbarlo. Era asciutto ma emanava un calore irresistibile
“Posso?” chiesi a Paolo,
“Ma sei impazzita?”
Senza pensarci due volte scesi dalla lavanderia, e mi posizionai a cavalcioni su A, con il viso rivolto verso di lui. Quando mi lasciai scivolare sopra, il suo corpo si irrigidì e un “Ohhh sììììì” sfuggì dalle sue labbra, mormorato con una carica di godimento che mi fece sorridere. La vulva allagata e le dimensioni meno ingombranti di quelle di Paolo mi permisero di scoparlo senza nessun attrito.

Nel frattempo, Paolo, accanto a me, prese la mia mano e se la mise sul cazzo, guidandomi in un gioco di carezze e esplorazioni. Con l’uccello di Paolo in mano, continuando a sollevarmi e a lasciarmi cadere su quello di A, il mio corpo pulsava di gratitudine e felicità.

Paolo, con una sensualità impetuosa, si spostò dietro di me e le sue mani trovarono subito i miei seni, esposti sopra il vestito. Il reggiseno ancora abbassato, lasciava miei seni in bella vista, i capezzoli tesi e sensibili sotto il suo tocco. Le sue dita li accarezzarono con intensità, provocando una scossa elettrica di euforia.
Paolo abbassò la testa prese a baciarmi il collo con ardore, il suo respiro caldo e le sue labbra umide che mi solleticavano. Il suo naso si strofinava contro la mia pelle, aggiungendo una dimensione ulteriore di intimità a quel momento di pura passione.

Le mani di A avevano una buona presa sui miei fianchi e mi aiutarono ad alzarmi e abbassarmi, il suo respiro divenne più forte e potevo sentire la sua passione crescere.
“Oooooh sì, fanculo amico!!"
Mi alzava per poi farmi ricadere fino alla radice. Potevo sentire il suo tremore e inutii che stava venendo dentro di me.
“Uhh oh hhh" ansimò mentre la sua testa cadeva sul mio petto, e il suo cazzo mi schizzava in profondità il suo sperma caldo.
Paolo era diventato impaziente e gli diede una pacca sulla spalla.
“Ok. amico, ora basta. Arianna alzati che tocca a me””

Mio malgrado mi sollevai. Sentii lo sperma che mi scivolava fuori.
Paolo non mi diede il tempo di riprendermi, ma mi chinò in modo da farmi mettere a novanta gradi con le mani sulle cosce di A. Mi sollevò il vestito e guidò il suo cazzo verso l’ingresso della mia figa. Quando entrò dentro di me fu delizioso sentire come lo sperma di A lubrificava il movimento. Come un pistone bel lubrificato Paolo iniziò a scoparmi.
"Oh Paolo, sì".
"Hrhgg, sei un mogliettina cattiva, vero?” disse A, che mi teneva il viso fissandomi negli occhi.
“Aiinn, aiinn, aiinn”
“Guarda come stai godendo! Sei una piccola troia, vero?”
Ho semplicemente scosso la testa, con Paolo che continuava a pompare il suo grosso attrezzo in profondità.
“Sul serio? Ti piace scopare gli altri? Giusto?" continuò A, con quel sorrisetto che ormai odiavo.
"Stai zitto, coglione!"
Anche Paolo rise dietro di me e spinse sempre più velocemente.
"Posso venirti dentro?" chiese.
“Fanculo, quel bastardo del tuo amico mica si è fatto problemi”
I suoi colpi divennero più forti, lo sciaff, sciaff, sciaff si confondeva con i miei gemiti.
La mia figa si strinse e sentii che il suo climax arrivo.
"Sìììì!" ruggì, "te lo schizzo tutto dentrooooo!”

Io non ero ancora venuta, allungai la mano sulla clitoride e mi sintonizzai col mio corpo. Con movimenti leggeri e circolari di indice e medio trovai il ritmo giusto, e subito dopo finalmente esplosi anch’io in un gemito di piacere. Niente da fare, ragazzi, le femministe degli anni ’70 avevano ragione: col dito, col dito, orgasmo garantito.

I nostri corpi rimasero legati per un istante, mentre il soldato di Paolo si si ritirava lentamente in se stesso dopo la battaglia. Mi sollevai leggermente, avvertendo il fluido caldo che ancora scivolava lungo le mie cosce
A si alzò, prese un capo d'abbigliamento abbandonato su un armadietto e me lo porse. Lo presi, sentendolo morbido e leggermente umido mentre lo facevo scivolare tra le gambe, percependo ogni curva e ogni piega della mia intimità mentre il tessuto assorbiva il liquido rimasto. Cercai di ricordare l’ultima volta che mi ero presa due carichi del genere. Era un peccato sprecarli così. Prelevai una piccola quantità di sperma sull’indice e l’assaggiai con la punta della lingua, assaporando il sapore acre e pungente. Sarà stata quella di Paolo o quella di A?

A si allacciò i pantaloni, con un gesto affettuoso mi diede una leggera pacca sul braccio.
"Sei dannatamente adorabile" mormorò con un sorriso complice.
“Ci vediamo” aggiunse, rivolto all’amico, prima di girarsi ed uscire dalla stanza.

Paolo e io rimanemmo avvolti dal silenzio per un lungo momento, il respiro appena percettibile nel buio che ci circondava. Sentivo ancora il calore del suo corpo. Senza preavviso, mi abbracciò di nuovo.
"Arianna..."
Lo interruppi, la mia voce un sussurro appena percettibile.
"Va tutto bene, Paolo, non c'è bisogno di parlarne."
Volevo solo uscire, mettere fine a quell’istante di piacere e colpa mescolati insieme. Ma lui non sembrava pronto a lasciarmi andare così facilmente.
"Cosa intendi?" chiese, la sua voce era flebile ma intrisa di un desiderio sincero. "È stato così bello. Ti desidero da secoli."
Le sue parole, dolci e genuine, mi colpirono in profondità. Sentivo una morsa al petto, un senso di colpa che strisciava lentamente dentro di me. Sapevo che Paolo era stato gentile, che il suo desiderio per me era reale, ma la consapevolezza di quello che avevo fatto mi pesava addosso. Con Davide non avevo preso nessun accordo, come aveva fatto lui con me. Potevo contare sulla discrezione di Paolo, che era sposato con Luciana e si sarebbe tenuto il segreto per se, ma quell’altro, A, non lo conoscevo abbastanza.
La paura mi travolse, facendomi desiderare solo di allontanarmi.

Paolo mi baciò nuovamente, dolcemente, con un'intensità che fece vacillare le mie resistenze.
"Voglio solo andare a letto con te," mormorò contro le mie labbra, la sua voce piena di desiderio. "Magari possiamo parlarne un'altra volta. Ma voglio farlo di nuovo."
Feci un passo indietro, cercando di mettere distanza tra noi, anche se ogni fibra del mio essere lo desiderava ancora.
"Paolo, sei amico di mio marito, sinceramente non so cosa mi sia successo" dissi.
"Arianna, anche tu lo volevi, lo sentivo che lo volevi. Non è necessario parlarne adesso… Ma io ti desidero dalla prima volta che ti ho vista. Sei dannatamente adorabile e vorrei davvero che fossi mia."
Le sue parole furono come una melodia dolce, penetrando nelle mie difese con una facilità sconcertante. E mentre il mio cuore si contorceva al pensiero di Davide, mio marito, perso in chissà quali attenzioni con una giovane e bellissima donna, non potevo negare ciò che stavo provando. Mi trovavo intrappolata tra il rimorso e un desiderio primitivo, una voglia insaziabile che bruciava in me.

Mi domandai se avessi ceduto a Paolo e ad A solo per cercare una conferma, un modo per placare la mia gelosia verso Davide. Ma la verità era più oscura e cruda: ero arrapata, lo ero quasi sempre, e in quel momento, Paolo e A erano stati lì, pronti a rispondere a quel bisogno.
E ora, mentre il calore di Paolo mi avvolgeva di nuovo, sapevo che non era finita. Forse era un pensiero malsano, ma era anche incredibilmente eccitante. Il desiderio che sentivo non era semplicemente una reazione a ciò che Davide stava facendo, era un fuoco che ardeva dentro di me, un bisogno di sentirmi viva, desiderata, e sopra ogni cosa, soddisfatta.

"Va bene, Paolo, ci penserò. Ma mi prometti di tenertelo per te? E magari parlane anche con il tuo compare, Alberto o Alessandro o Alessio o come diavolo si chiama, mi raccomando."
Il suo sorriso si allargò, illuminando il suo viso mentre mi scostava una ciocca di capelli dalla fronte.
"Sì, lo prometto," mormorò, i suoi occhi scintillanti di un desiderio che sembrava non voler svanire. “A proposito, il mio amico si chiama Francesco…”

Si voltò verso la porta. afferrò il capo d'abbigliamento intriso di sperma con cui mi ero asciugata, un oggetto che ora portava con sé il ricordo del nostro incontro clandestino.
"Meglio toglierlo di mezzo," disse con un sorriso, alzandolo davanti a sé. Poi, una risata roca gli sfuggì dalle labbra.
"Oh merda, è la maglietta di Luciana."
Non potei fare a meno di ridere anch'io, un rilascio delle tensioni accumulate.
"Adesso vado" dissi, dirigendomi verso la porta.
"Dico sul serio, Arianna," sussurrò, la sua voce densa di un desiderio profondo e insaziabile. "Vorrei che tu fossi mia."
Mi venne di nuovo vicino, era una tentazione a cui era difficile resistere. Ogni parola, ogni gesto, sembrava un richiamo irresistibile a lasciarmi andare ancora una volta. Nonostante la ragione cercasse di tirarmi indietro, il mio corpo ardeva di voglia, un bisogno di cedere, di appartenergli, anche solo per un altro momento rubato.

Finalmente mi feci forza e uscii, e andai a cercare mio marito.
scritto il
2024-10-30
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