Volevo fare l'editor
di
Claire1980
genere
etero
Ero in ritardo, come al solito. Presi le chiavi, un’occhiata rapida allo specchio, il rossetto ancora brillante, la borsetta pronta. E fuori, a correre. Era sempre così quando si trattava di quei lavoretti saltuari.
All’epoca, per pagarmi gli studi da fuorisede a Milano e quel maledetto affitto, accettavo qualunque cosa. Ho fatto di tutto, la hostess alle fiere, la cubista, la guida turistica in nero, ho tradotto manuali incomprensibili dal croato, fermato la gente nei centri commerciali per fargli assaggiare il caffè di cui ero la faccia sorridente. Mi piaceva quella schizofrenia di lavori, mi sentivo viva, anche se stanca.
Quella sera? Un addio al celibato. Mi avevano ingaggiata per ballare, nient’altro. Un lavoro semplice. Avrei ballato, fatto finta di divertirmi, visto l'eccitazione nei loro occhi gonfi di desiderio e poi via. Le altre ragazze avrebbero continuato lo spettacolo, quelle disposte a spogliarsi sul serio, disposte a vendere la pelle.
Io non restavo mai a vedere il finale. Declino gli inviti con un sorriso, afferro il mio compenso, e torno a studiare. Non era moralismo, non sono mai stata una bacchettona. Ma l’idea di prostituirmi per soddisfare quelle fantasie sudice mi ha sempre fatto schifo. Non ne valeva la pena, anche se avevo bisogno dei soldi. Non c’era abbastanza denaro al mondo per farmi scendere a quel livello.
Mi recai nel luogo indicato e fui accolta da un giovane, gentile e nervoso, che mi indicò una stanza dove avrei potuto prepararmi in tranquillità. Con mia sorpresa, era lo sposo, tutto emozionato per la sua ultima festa da single. Sorrideva come un ragazzino, sembrava che fosse la prima volta che vedeva una donna in vita sua.
Entrai, mi tolsi i vestiti lentamente davanti allo specchio. Mi piaceva quello che vedevo: la pelle ancora dorata dalla spiaggia del weekend prima, i capelli neri lunghi che scendevano sulle spalle. Indossai un top rosso, aderente al punto giusto, fasciava il mio seno come una seconda pelle. Poi una minigonna altrettanto rossa da cubista in ecopelle, aderente e lucida, che mi avvolgeva i fianchi con audacia, esaltando le curve. Mi profumai, controllai ancora una volta il trucco, mi girai per godermi l'effetto del tessuto della gonna che rifletteva la luce con un leggero bagliore, donandomi un aspetto grintoso e provocante. Mi sentivo una bomba.
Aspettai lì il mio turno, lasciando che la tensione della serata si accumulasse lentamente. Dopo un po', bussarono alla porta. Mi infilai l’accappatoio, aprii la porta e davanti a me c'era un uomo. Alto, sui cinquant'anni, capelli grigi, occhi neri che sembravano scavare dentro. Profumava come il diavolo.
“Ciao, Arianna, io sono Sandro.” Mi porse la mano. Una stretta decisa, maschia, come se volesse dimostrare che nonostante l'età era ancora in controllo.
Era il padre dello sposo. Il grande sponsor della festa, il padrone del gioco. Entrò nella stanza senza chiedere permesso, come se quel luogo fosse suo, e mi spiegò le regole del gioco con calma, come se fossi un soldato appena arruolato.
“Ho dato al deejay la chiavetta con la tua playlist, dovrai ballare, provocarli, eccitarli. Alla fine della presentazione, verrai da me per il tuo compenso.”
Lo guardai senza dire nulla, cercando di decifrare il messaggio nascosto dietro il tono della sua voce. Poi, mentre si stava per voltare, mi fece una domanda che mi aspettavo.
“Quindi, sei solo una ballerina? Non fai come le altre ragazze, giusto?”
Lo fissai. Quello sguardo affilato, il tono ambiguo, e quel maledetto sorriso che sembrava sapere già tutto. Mi avvicinai un po' più del dovuto, lasciando che il suo profumo mi invadesse, come una sfida.
“Solo una ballerina,” dissi, scandendo le parole, “ma a volte ballare è più che abbastanza.”
Lui rise, una risata bassa, gutturale, come se avesse trovato divertente il mio gioco.
“Non dubito che tu sappia fare bene il tuo lavoro. Ma qui... tutti vogliono qualcosa di più.”
Mi guardò ancora, più a lungo, il suo sorriso era più un ghigno, complice di un pensiero che non condivideva.
“Tra dieci minuti puoi andare,” disse poi.
E uscì, lasciando dietro di sé una scia di dubbi.
Mentre lo guardavo andar via, capii solo dopo cosa fosse quel sorriso. Era un invito. Ma non ero sicura se volessi accettarlo.
La stanza era avvolta in una penombra ipnotica e la musica iniziò a pulsare, un battito incessante che sembrava provenire da un cuore gigante. Gli ospiti, sparpagliati sui divani con i loro drink, erano immersi in un’inebriante miscela di alcool e attesa. Io, al centro del palcoscenico improvvisato, iniziai il mio numero.
Mi lasciai andare, affondando nei ritmi di “Strobe” di Deadmau5 e “Oblivion” di Moby. I bassi pulsanti erano come una dolce tortura, Daft Punk, Carl Cox, e Sven Vath vibravano sotto la pelle. Ogni movimento era studiato per catturare, un gioco di curve e torsioni che avevo perfezionato per essere sensuale e irresistibile.
Il mio corpo scivolava sinuoso, la minigonna in ecopelle rossa ondeggiava come una seconda pelle, aderendo e staccandosi dalle mie gambe con ogni passo. I fianchi si muovevano con grazia e determinazione, le braccia si allungavano verso il soffitto e poi scendevano lungo il corpo in un lento abbandono. Le luci intermittenti accentuavano la lucentezza del mio vestito, creando giochi di ombre e bagliori.
Fu allora che i miei occhi incontrarono quelli di Sandro. C’era una fame primordiale in quegli occhi, un desiderio che sembrava pulsare con la stessa intensità dei bassi. Quella sensazione, quella consapevolezza di essere desiderata, mi travolse come un'onda. Mi spinsi oltre, aumentando l’intensità della danza, permettendo al ritmo di invadere ogni fibra del mio essere. Ogni movimento, ogni sguardo, era un invito a perdersi in quella danza sensuale, dove ogni battito sembrava chiedere di essere consumato.
Ballavo, il sorriso sulle labbra, e mi avvicinai a lui con un passo lento e carico di promessa. Il ritmo della musica era il mio alleato.
Mi avvicinai, il corpo vicino al suo, e iniziai a toccarlo, a far scivolare il mio sedere contro il suo, un contatto delicato ma inevitabilmente intimo. Sentivo la sua eccitazione, un segnale bruciante sotto le mie mani. La mia pelle, calda e lucida di desiderio, si adattava alla sua, mentre mi muovevo con l’arte di un’amante esperta.
Sorrisi maliziosamente, quel sorriso che prometteva e sfidava allo stesso tempo, e continuai a ballare, il corpo che accarezzava il suo in un gioco di sfioramenti. Ogni passo, ogni contatto, era un invito a lasciarsi andare, a cedere all’atmosfera che avevo creato. Era come se la musica e la mia danza avessero creato una trappola sensuale, e lui, perduto nel mio gioco, mi seguiva con lo sguardo, affascinato e impotente di fronte alla mia provocazione.
Finii il mio spettacolo, ringraziai gli ospiti emozionati e mi diressi verso la stanza che fungeva da spogliatoio per tornare alla mia vita di sempre. Appena chiusi la porta, qualcuno bussò. Era il bellissimo sposo, con un sorriso orgoglioso stampato sul volto.
"Wow, Arianna," disse, "sei stata incredibile. I miei amici sono entusiasti, non hanno mai visto nulla del genere."
Lo ringraziai con un sorriso, mentre il pensiero del pagamento mi attraversava la mente.
“Mi fa piacere che sia piaciuto,” risposi.
“Ma devi andare subito in ufficio,” continuò, “mio padre ti sta aspettando. Ha chiesto di incontrarti prima che ti cambi perché vuole tornare presto alla festa.”
Lo ringraziai di nuovo e mi avviai verso l’ufficio, i tacchi alti che clicchettavano sul pavimento, il vestito rosso che mi fasciava il corpo sudato. Bussai alla porta e entrai. Lui era seduto dietro un grande tavolo, lo sguardo che scivolava su di me, esaminandomi come un predatore la sua preda.
Mi guardò dall’alto in basso, con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
“Sarei interessato a un altro ballo,” disse, la voce bassa e vellutata, “questa volta in privato.”
Gli dissi che non ero il tipo di donna per quel genere di lavoro, ma il suo sorriso non vacillò.
“Solo un ballo,” insistette, “e ti offrirò una ricompensa generosa.”
Pensai all’ultima bolletta del gas e l'idea di quella somma aggiuntiva mi fece vacillare. Accettai. La mia mente era già lontana, proiettata verso il futuro, mentre mi avvicinavo a un’altra performance, completamente diversa da quella che avevo appena concluso.
Si alzò, abbassò le luci nell'ufficio, accese una musica morbida e si appoggiò alla scrivania con una certa nonchalance. Io, senza esitazione, iniziai un nuovo numero di danza. Muovevo il corpo con sensualità palpabile, mi avvicinavo a lui, il suo profumo penetrava l'aria, intenso e avvolgente.
Era come se una sbronza sottile mi avesse preso, confondendo i miei sensi. L’odore, l’ambiente e quell’uomo mi stimolavano più del solito. Chiusi gli occhi e iniziai a muovere i fianchi da un lato all’altro, immersa nel ritmo, quando sentii una mano tra i miei capelli. Sentii la pressione di un corpo dietro di me, un contatto che non ammetteva repliche. Lui mi attirò verso di sé, e in un istante, il suo membro duro si fece sentire contro il mio corpo.
Mi afferrò la vita con decisione, le sue mani scorrevano lungo il mio corpo, mentre mi girava verso di lui. Prima che potessi protestare, mi baciò, un bacio che era un mix di dominio e urgenza. Mi avvolse tra le sue braccia, e io, con le gambe tremanti, mi ritrovai seduta sul tavolo.
Il mio corpo, sdraiato sul freddo piano di formica, si sentiva maledettamente sexy. Lui mi accarezzava il collo, stringeva le mie cosce e mi sussurrava all'orecchio, con una voce che era una promessa oscura.
"Oggi inizierai una nuova professione," disse, "e non voglio sentire altro che i tuoi gemiti."
Le sue parole erano un comando irresistibile. Le mie mutandine si inumidirono istantaneamente, tradendo il desiderio che cresceva dentro di me. Non c’era più spazio per il rifiuto. Il suo tocco, il suo respiro, erano la mia nuova realtà, e io non avevo scelta se non abbandonarmi a quella nuova, selvaggia esperienza.
Si posizionò tra le mie gambe, aprì la cerniera e, con una determinazione feroce, tirò fuori il suo cazzo. Un cazzo di dimensioni impressionanti, che a quei tempi non avevo mai visto prima. Lo poggiò sulla mia fica, ancora nascosta dal perizoma, e l'eccitazione esplose in me, un fuoco che bruciava senza controllo.
Mi sfregai contro di lui, incandescente di lussuria, mentre lo vedevo togliersi la maglietta, rivelando un corpo che accresceva ulteriormente il mio desiderio. Senza preavviso, si chinò e cominciò a succhiarmi. I suoi movimenti erano leggeri, la sua lingua esplorava ogni centimetro di me con una precisione che mi faceva impazzire. Poi, un morso improvviso, un dolore che si tramutava in pura eccitazione.
Mi fece alzare dal tavolo, mi posizionò in ginocchio con il cazzo davanti al viso. Non resistei e caddi, incapace di controllare la fame e il desiderio che mi avevano sopraffatta. Iniziai a succhiare quel membro con un'avidità che non avevo mai conosciuto. La mia lingua scivolava sulle sue palle, mordicchiando e poi tornando a concentrarsi sul cazzo.
Osservai il suo volto, il sorriso sornione che mi suggeriva quanto lo stavo soddisfacendo. Tornai a succhiare con frenesia, finché, all’improvviso, mi tolse il cetriolo dalla bocca. Il mio corpo tremava, bramando ancora, mentre il suo sorriso da porco rimaneva impresso nella mia mente.
Non disse nulla. Mi spinse a faccia in giù sul tavolo, e sentii il peso del suo corpo schiacciare il mio. Le sue mani mi afferrarono i capelli, e con un tono deciso, mi disse che mi avrebbe "mangiata" solo se glielo avessi chiesto e se fossi stata convincente.
Mi dimenai, cercando di rotolarmi per raggiungere quel cazzo, ma lui non cedette. Continuava a ripetermi di chiedere, di esprimere il mio desiderio.
"Per favore... Fammi avere quello che voglio," sussurrai, quasi supplicando.
Senti la sua mano avvicinarsi, spostare il mio perizoma di lato. La sua cappella entrò lentamente, infliggendomi un piacere insopportabile, una penetrazione parziale che mi faceva impazzire.
"Fanculo, ti voglio dentro di me," gemetti, il desiderio quasi soffocante.
Non riuscii nemmeno a finire la frase quando, con un movimento deciso, lui si alzò e mi penetrò con decisione. Mugulai, sentendo quel cazzo affondare dentro di me, le sue palle che si sbattevano contro il mio culo. Riempii l’aria con i miei squitti di gioia, persa nella lussuria, mentre Sandro sei muoveva dentro di me con colpi profondi e decisi. Ad ogni spinta, le mie gambe si ammorbidivano, e poco dopo, venni, lasciando il suo cazzo intriso del mio piacere.
Ancora dentro di me, le sue mani scivolavano sulla mia figa viscida e appiccicosa, mentre il suo dito vagava leggero, giocando con il mio buco del culo, inumidendolo, riempiendolo di umori e saliva.
Con un movimento deciso, estrasse il cazzo dalla mia figa e lo posizionò all’entrata dell’orifizio anale. Mi sentii adattata e pronta, il mio corpo tremava, mentre lui mi teneva i polsi con una mano e tirava i capelli con l'altra.
"Sei sicura di volerlo, vero?" chiese con voce rauca
Senza poter rispondere, accettai, consapevole che la mia mente e il mio corpo erano ormai completamente sottomessi al quel piacere.
Cercai di respirare lentamente e profondamente, rilasciai i muscoli anali in attesa del colpo, ma non c’era nessuna preparazione che potesse alleviare il dolore di quando quel cazzo enorme attraversò l’anellino lacerandomi il culo. Il bastardo entrò deciso, e sentii le lacrime scendermi dagli angoli degli occhi.
Restai ferma e sofferente mentre il mio sfintere si abituava a quel supplizio, ma in tempi bervi il dolore si trasformò in lussuria e comincia a muovermi molto lentamente per sentirlo tutto dentro.
“Ti piace, troietta?”
“Aghmmm, lo adoro.”
“Sei la mia puttanella?”
“Aiinn... aiinn... aiinn… Sono la tua puttanella!”
Mentre mi tirava i capelli e mi pompava come una trivella in azione, non riuscivo a smettere di gemere. Mi sentivo come una cavalla domata dal suo proprietario. Ad ogni spinta lui diventava più forte, più veloce finché non esplose in un orgasmo profondo e liberatorio.
Ma non potei rilassare il corpo, perché era ancora dentro di me. Per eccitarsi mi chiamava puttana, e troia, e zoccola. Quelle parole lo fecero arrapare ancora di più finché non lo sentii gonfiarsi. Sentii il suo seme nel mio culo mentre venni ancora una volta, farcita dalla sborra calda di quell’uomo,
La calma scese sui nostri corpi come un velo pesante, e lui mi tirò a sé con una forza che parlava di intimità e possesso. Mi diede un bacio, un gesto che era tanto una rivendicazione quanto un saluto. Poi si aggiustò, tornò al suo posto dietro il tavolo. Aprì un cassetto e mi porse una busta con il pagamento, il suo volto attraversato da un sorriso che tradiva una certa malizia.
Sandro, con un'espressione che mescolava piacere e complicità, mi chiese: “Allora, il lavoro ti è piaciuto?”
Sorrisi, un sorriso che non aveva nulla di convenzionale, e risposi con una sincerità disarmante: “Sì, mi è piaciuto. Eccome se mi è piaciuto.”
Sandro rise, un suono secco e soddisfatto, mentre io mi dirigevo verso la porta.
“Beh, allora, mi fa piacere che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Torna quando vuoi ragazzina, un lavoro per te lo trovo sempre,”
Rimasi un attimo sulla soglia, poi uscì, il pensiero del nostro incontro ronzante nella mia testa, sapendo che avevo appena vissuto qualcosa di dannatamente speciale.
Andai nello spogliatoio, mi feci una doccia e mi cambiai i vestiti. Controllai il pagamento - è stato molto generoso - e tornai alla vita reale. Dopotutto lunedì avevo un colloquio: volevo fare la editor, non la puttana.
All’epoca, per pagarmi gli studi da fuorisede a Milano e quel maledetto affitto, accettavo qualunque cosa. Ho fatto di tutto, la hostess alle fiere, la cubista, la guida turistica in nero, ho tradotto manuali incomprensibili dal croato, fermato la gente nei centri commerciali per fargli assaggiare il caffè di cui ero la faccia sorridente. Mi piaceva quella schizofrenia di lavori, mi sentivo viva, anche se stanca.
Quella sera? Un addio al celibato. Mi avevano ingaggiata per ballare, nient’altro. Un lavoro semplice. Avrei ballato, fatto finta di divertirmi, visto l'eccitazione nei loro occhi gonfi di desiderio e poi via. Le altre ragazze avrebbero continuato lo spettacolo, quelle disposte a spogliarsi sul serio, disposte a vendere la pelle.
Io non restavo mai a vedere il finale. Declino gli inviti con un sorriso, afferro il mio compenso, e torno a studiare. Non era moralismo, non sono mai stata una bacchettona. Ma l’idea di prostituirmi per soddisfare quelle fantasie sudice mi ha sempre fatto schifo. Non ne valeva la pena, anche se avevo bisogno dei soldi. Non c’era abbastanza denaro al mondo per farmi scendere a quel livello.
Mi recai nel luogo indicato e fui accolta da un giovane, gentile e nervoso, che mi indicò una stanza dove avrei potuto prepararmi in tranquillità. Con mia sorpresa, era lo sposo, tutto emozionato per la sua ultima festa da single. Sorrideva come un ragazzino, sembrava che fosse la prima volta che vedeva una donna in vita sua.
Entrai, mi tolsi i vestiti lentamente davanti allo specchio. Mi piaceva quello che vedevo: la pelle ancora dorata dalla spiaggia del weekend prima, i capelli neri lunghi che scendevano sulle spalle. Indossai un top rosso, aderente al punto giusto, fasciava il mio seno come una seconda pelle. Poi una minigonna altrettanto rossa da cubista in ecopelle, aderente e lucida, che mi avvolgeva i fianchi con audacia, esaltando le curve. Mi profumai, controllai ancora una volta il trucco, mi girai per godermi l'effetto del tessuto della gonna che rifletteva la luce con un leggero bagliore, donandomi un aspetto grintoso e provocante. Mi sentivo una bomba.
Aspettai lì il mio turno, lasciando che la tensione della serata si accumulasse lentamente. Dopo un po', bussarono alla porta. Mi infilai l’accappatoio, aprii la porta e davanti a me c'era un uomo. Alto, sui cinquant'anni, capelli grigi, occhi neri che sembravano scavare dentro. Profumava come il diavolo.
“Ciao, Arianna, io sono Sandro.” Mi porse la mano. Una stretta decisa, maschia, come se volesse dimostrare che nonostante l'età era ancora in controllo.
Era il padre dello sposo. Il grande sponsor della festa, il padrone del gioco. Entrò nella stanza senza chiedere permesso, come se quel luogo fosse suo, e mi spiegò le regole del gioco con calma, come se fossi un soldato appena arruolato.
“Ho dato al deejay la chiavetta con la tua playlist, dovrai ballare, provocarli, eccitarli. Alla fine della presentazione, verrai da me per il tuo compenso.”
Lo guardai senza dire nulla, cercando di decifrare il messaggio nascosto dietro il tono della sua voce. Poi, mentre si stava per voltare, mi fece una domanda che mi aspettavo.
“Quindi, sei solo una ballerina? Non fai come le altre ragazze, giusto?”
Lo fissai. Quello sguardo affilato, il tono ambiguo, e quel maledetto sorriso che sembrava sapere già tutto. Mi avvicinai un po' più del dovuto, lasciando che il suo profumo mi invadesse, come una sfida.
“Solo una ballerina,” dissi, scandendo le parole, “ma a volte ballare è più che abbastanza.”
Lui rise, una risata bassa, gutturale, come se avesse trovato divertente il mio gioco.
“Non dubito che tu sappia fare bene il tuo lavoro. Ma qui... tutti vogliono qualcosa di più.”
Mi guardò ancora, più a lungo, il suo sorriso era più un ghigno, complice di un pensiero che non condivideva.
“Tra dieci minuti puoi andare,” disse poi.
E uscì, lasciando dietro di sé una scia di dubbi.
Mentre lo guardavo andar via, capii solo dopo cosa fosse quel sorriso. Era un invito. Ma non ero sicura se volessi accettarlo.
La stanza era avvolta in una penombra ipnotica e la musica iniziò a pulsare, un battito incessante che sembrava provenire da un cuore gigante. Gli ospiti, sparpagliati sui divani con i loro drink, erano immersi in un’inebriante miscela di alcool e attesa. Io, al centro del palcoscenico improvvisato, iniziai il mio numero.
Mi lasciai andare, affondando nei ritmi di “Strobe” di Deadmau5 e “Oblivion” di Moby. I bassi pulsanti erano come una dolce tortura, Daft Punk, Carl Cox, e Sven Vath vibravano sotto la pelle. Ogni movimento era studiato per catturare, un gioco di curve e torsioni che avevo perfezionato per essere sensuale e irresistibile.
Il mio corpo scivolava sinuoso, la minigonna in ecopelle rossa ondeggiava come una seconda pelle, aderendo e staccandosi dalle mie gambe con ogni passo. I fianchi si muovevano con grazia e determinazione, le braccia si allungavano verso il soffitto e poi scendevano lungo il corpo in un lento abbandono. Le luci intermittenti accentuavano la lucentezza del mio vestito, creando giochi di ombre e bagliori.
Fu allora che i miei occhi incontrarono quelli di Sandro. C’era una fame primordiale in quegli occhi, un desiderio che sembrava pulsare con la stessa intensità dei bassi. Quella sensazione, quella consapevolezza di essere desiderata, mi travolse come un'onda. Mi spinsi oltre, aumentando l’intensità della danza, permettendo al ritmo di invadere ogni fibra del mio essere. Ogni movimento, ogni sguardo, era un invito a perdersi in quella danza sensuale, dove ogni battito sembrava chiedere di essere consumato.
Ballavo, il sorriso sulle labbra, e mi avvicinai a lui con un passo lento e carico di promessa. Il ritmo della musica era il mio alleato.
Mi avvicinai, il corpo vicino al suo, e iniziai a toccarlo, a far scivolare il mio sedere contro il suo, un contatto delicato ma inevitabilmente intimo. Sentivo la sua eccitazione, un segnale bruciante sotto le mie mani. La mia pelle, calda e lucida di desiderio, si adattava alla sua, mentre mi muovevo con l’arte di un’amante esperta.
Sorrisi maliziosamente, quel sorriso che prometteva e sfidava allo stesso tempo, e continuai a ballare, il corpo che accarezzava il suo in un gioco di sfioramenti. Ogni passo, ogni contatto, era un invito a lasciarsi andare, a cedere all’atmosfera che avevo creato. Era come se la musica e la mia danza avessero creato una trappola sensuale, e lui, perduto nel mio gioco, mi seguiva con lo sguardo, affascinato e impotente di fronte alla mia provocazione.
Finii il mio spettacolo, ringraziai gli ospiti emozionati e mi diressi verso la stanza che fungeva da spogliatoio per tornare alla mia vita di sempre. Appena chiusi la porta, qualcuno bussò. Era il bellissimo sposo, con un sorriso orgoglioso stampato sul volto.
"Wow, Arianna," disse, "sei stata incredibile. I miei amici sono entusiasti, non hanno mai visto nulla del genere."
Lo ringraziai con un sorriso, mentre il pensiero del pagamento mi attraversava la mente.
“Mi fa piacere che sia piaciuto,” risposi.
“Ma devi andare subito in ufficio,” continuò, “mio padre ti sta aspettando. Ha chiesto di incontrarti prima che ti cambi perché vuole tornare presto alla festa.”
Lo ringraziai di nuovo e mi avviai verso l’ufficio, i tacchi alti che clicchettavano sul pavimento, il vestito rosso che mi fasciava il corpo sudato. Bussai alla porta e entrai. Lui era seduto dietro un grande tavolo, lo sguardo che scivolava su di me, esaminandomi come un predatore la sua preda.
Mi guardò dall’alto in basso, con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
“Sarei interessato a un altro ballo,” disse, la voce bassa e vellutata, “questa volta in privato.”
Gli dissi che non ero il tipo di donna per quel genere di lavoro, ma il suo sorriso non vacillò.
“Solo un ballo,” insistette, “e ti offrirò una ricompensa generosa.”
Pensai all’ultima bolletta del gas e l'idea di quella somma aggiuntiva mi fece vacillare. Accettai. La mia mente era già lontana, proiettata verso il futuro, mentre mi avvicinavo a un’altra performance, completamente diversa da quella che avevo appena concluso.
Si alzò, abbassò le luci nell'ufficio, accese una musica morbida e si appoggiò alla scrivania con una certa nonchalance. Io, senza esitazione, iniziai un nuovo numero di danza. Muovevo il corpo con sensualità palpabile, mi avvicinavo a lui, il suo profumo penetrava l'aria, intenso e avvolgente.
Era come se una sbronza sottile mi avesse preso, confondendo i miei sensi. L’odore, l’ambiente e quell’uomo mi stimolavano più del solito. Chiusi gli occhi e iniziai a muovere i fianchi da un lato all’altro, immersa nel ritmo, quando sentii una mano tra i miei capelli. Sentii la pressione di un corpo dietro di me, un contatto che non ammetteva repliche. Lui mi attirò verso di sé, e in un istante, il suo membro duro si fece sentire contro il mio corpo.
Mi afferrò la vita con decisione, le sue mani scorrevano lungo il mio corpo, mentre mi girava verso di lui. Prima che potessi protestare, mi baciò, un bacio che era un mix di dominio e urgenza. Mi avvolse tra le sue braccia, e io, con le gambe tremanti, mi ritrovai seduta sul tavolo.
Il mio corpo, sdraiato sul freddo piano di formica, si sentiva maledettamente sexy. Lui mi accarezzava il collo, stringeva le mie cosce e mi sussurrava all'orecchio, con una voce che era una promessa oscura.
"Oggi inizierai una nuova professione," disse, "e non voglio sentire altro che i tuoi gemiti."
Le sue parole erano un comando irresistibile. Le mie mutandine si inumidirono istantaneamente, tradendo il desiderio che cresceva dentro di me. Non c’era più spazio per il rifiuto. Il suo tocco, il suo respiro, erano la mia nuova realtà, e io non avevo scelta se non abbandonarmi a quella nuova, selvaggia esperienza.
Si posizionò tra le mie gambe, aprì la cerniera e, con una determinazione feroce, tirò fuori il suo cazzo. Un cazzo di dimensioni impressionanti, che a quei tempi non avevo mai visto prima. Lo poggiò sulla mia fica, ancora nascosta dal perizoma, e l'eccitazione esplose in me, un fuoco che bruciava senza controllo.
Mi sfregai contro di lui, incandescente di lussuria, mentre lo vedevo togliersi la maglietta, rivelando un corpo che accresceva ulteriormente il mio desiderio. Senza preavviso, si chinò e cominciò a succhiarmi. I suoi movimenti erano leggeri, la sua lingua esplorava ogni centimetro di me con una precisione che mi faceva impazzire. Poi, un morso improvviso, un dolore che si tramutava in pura eccitazione.
Mi fece alzare dal tavolo, mi posizionò in ginocchio con il cazzo davanti al viso. Non resistei e caddi, incapace di controllare la fame e il desiderio che mi avevano sopraffatta. Iniziai a succhiare quel membro con un'avidità che non avevo mai conosciuto. La mia lingua scivolava sulle sue palle, mordicchiando e poi tornando a concentrarsi sul cazzo.
Osservai il suo volto, il sorriso sornione che mi suggeriva quanto lo stavo soddisfacendo. Tornai a succhiare con frenesia, finché, all’improvviso, mi tolse il cetriolo dalla bocca. Il mio corpo tremava, bramando ancora, mentre il suo sorriso da porco rimaneva impresso nella mia mente.
Non disse nulla. Mi spinse a faccia in giù sul tavolo, e sentii il peso del suo corpo schiacciare il mio. Le sue mani mi afferrarono i capelli, e con un tono deciso, mi disse che mi avrebbe "mangiata" solo se glielo avessi chiesto e se fossi stata convincente.
Mi dimenai, cercando di rotolarmi per raggiungere quel cazzo, ma lui non cedette. Continuava a ripetermi di chiedere, di esprimere il mio desiderio.
"Per favore... Fammi avere quello che voglio," sussurrai, quasi supplicando.
Senti la sua mano avvicinarsi, spostare il mio perizoma di lato. La sua cappella entrò lentamente, infliggendomi un piacere insopportabile, una penetrazione parziale che mi faceva impazzire.
"Fanculo, ti voglio dentro di me," gemetti, il desiderio quasi soffocante.
Non riuscii nemmeno a finire la frase quando, con un movimento deciso, lui si alzò e mi penetrò con decisione. Mugulai, sentendo quel cazzo affondare dentro di me, le sue palle che si sbattevano contro il mio culo. Riempii l’aria con i miei squitti di gioia, persa nella lussuria, mentre Sandro sei muoveva dentro di me con colpi profondi e decisi. Ad ogni spinta, le mie gambe si ammorbidivano, e poco dopo, venni, lasciando il suo cazzo intriso del mio piacere.
Ancora dentro di me, le sue mani scivolavano sulla mia figa viscida e appiccicosa, mentre il suo dito vagava leggero, giocando con il mio buco del culo, inumidendolo, riempiendolo di umori e saliva.
Con un movimento deciso, estrasse il cazzo dalla mia figa e lo posizionò all’entrata dell’orifizio anale. Mi sentii adattata e pronta, il mio corpo tremava, mentre lui mi teneva i polsi con una mano e tirava i capelli con l'altra.
"Sei sicura di volerlo, vero?" chiese con voce rauca
Senza poter rispondere, accettai, consapevole che la mia mente e il mio corpo erano ormai completamente sottomessi al quel piacere.
Cercai di respirare lentamente e profondamente, rilasciai i muscoli anali in attesa del colpo, ma non c’era nessuna preparazione che potesse alleviare il dolore di quando quel cazzo enorme attraversò l’anellino lacerandomi il culo. Il bastardo entrò deciso, e sentii le lacrime scendermi dagli angoli degli occhi.
Restai ferma e sofferente mentre il mio sfintere si abituava a quel supplizio, ma in tempi bervi il dolore si trasformò in lussuria e comincia a muovermi molto lentamente per sentirlo tutto dentro.
“Ti piace, troietta?”
“Aghmmm, lo adoro.”
“Sei la mia puttanella?”
“Aiinn... aiinn... aiinn… Sono la tua puttanella!”
Mentre mi tirava i capelli e mi pompava come una trivella in azione, non riuscivo a smettere di gemere. Mi sentivo come una cavalla domata dal suo proprietario. Ad ogni spinta lui diventava più forte, più veloce finché non esplose in un orgasmo profondo e liberatorio.
Ma non potei rilassare il corpo, perché era ancora dentro di me. Per eccitarsi mi chiamava puttana, e troia, e zoccola. Quelle parole lo fecero arrapare ancora di più finché non lo sentii gonfiarsi. Sentii il suo seme nel mio culo mentre venni ancora una volta, farcita dalla sborra calda di quell’uomo,
La calma scese sui nostri corpi come un velo pesante, e lui mi tirò a sé con una forza che parlava di intimità e possesso. Mi diede un bacio, un gesto che era tanto una rivendicazione quanto un saluto. Poi si aggiustò, tornò al suo posto dietro il tavolo. Aprì un cassetto e mi porse una busta con il pagamento, il suo volto attraversato da un sorriso che tradiva una certa malizia.
Sandro, con un'espressione che mescolava piacere e complicità, mi chiese: “Allora, il lavoro ti è piaciuto?”
Sorrisi, un sorriso che non aveva nulla di convenzionale, e risposi con una sincerità disarmante: “Sì, mi è piaciuto. Eccome se mi è piaciuto.”
Sandro rise, un suono secco e soddisfatto, mentre io mi dirigevo verso la porta.
“Beh, allora, mi fa piacere che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Torna quando vuoi ragazzina, un lavoro per te lo trovo sempre,”
Rimasi un attimo sulla soglia, poi uscì, il pensiero del nostro incontro ronzante nella mia testa, sapendo che avevo appena vissuto qualcosa di dannatamente speciale.
Andai nello spogliatoio, mi feci una doccia e mi cambiai i vestiti. Controllai il pagamento - è stato molto generoso - e tornai alla vita reale. Dopotutto lunedì avevo un colloquio: volevo fare la editor, non la puttana.
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