La lettrice
di
WabiSabi
genere
incesti
Ho 25 anni e sono sempre stato attratto da mia sorella. Lei, 22 anni, è la classica bella ragazza. Capelli biondo cenere, occhi azzurri, una terza di seno e un culetto sodo, anche merito delle tante ore che trascorre in palestra.
Lei conosceva la mia passione per la lettura e la scrittura e, quando iniziai a scrivere racconti erotici per divertimento, volle a tutti i costi leggere quello che scrivevo. Da parte mia ci fu qualche resistenza, che lei potesse carpire dai miei scritti le mie fantasie sessuali era una cosa che mi spaventava ed eccitava allo stesso tempo.
Le feci leggere un primo racconto che avevo scritto. Parlava di un uomo che si eccitava ad annusare le mutandine usate. Una fantasia che non mi era estranea, in quanto, anche io appena riuscivo, “rubavo” le mutandine di mia sorella dal cesto della biancheria per annusarle e farmi una sega. Mi eccitava sentire il suo odore; quando si bagnava, poi, l’odore diventava più pungente arrivandomi al cervello e portandomi all’orgasmo a volte anche senza toccarmi.
Le piaceva il mio modo di scrivere; ammirava molto che suo fratello avesse una passione viva per la scrittura ed era orgogliosa di me. Quando lesse quel racconto, però, inevitabilmente iniziò a chiedersi se anche a me piaceva fare quello che avevo raccontato.
Per un po' di tempo non ne parlammo più ed io continuai a scrivere, quando non ero troppo occupato a studiare per gli esami universitari.
L’estate era entrata in maniera prepotente nelle vite di ognuno di noi.
I nostri genitori erano fuori per il weekend, una mii vacanza durante il mese di luglio. Io e Sara rimanemmo in città per completare la sessione d’esami universitari che, quell’anno, si prospettava particolarmente difficile.
In quel periodo troppe volte mi ero masturbato pensando al corpo di mia sorella, annusando i suoi slip che tenevo saldamente con una mano sotto il naso mentre con l’altra ci davo dentro scappellando in maniera ossessiva il mio cazzo fin quando non mi sborravo copiosamente sulle mani. Di solito ci voleva poco tempo. Mi eccitava molto pensare a lei ma non l’avrei mai confessato a nessuno, nemmeno sotto tortura.
Quando quel giorno di luglio entrò nella mia stanza indossava un leggings bianco molto aderente, una canotta dei nirvana (il suo gruppo preferito) e ai piedi portava delle infradito. Un abbigliamento leggero vista la calura di quella giornata e la giornata di studio che avrebbe dovuto affrontare. Entrambi frequentavamo la facoltà di ingegneria e, a votle, quando gli esami coincidevano studiavamo anche insieme.
Quando entrò fu come se un raggio di sole aggiuntivo fosse entrato e avesse illuminato ancor di più la stanza; deglutii a fatica e mi destai da quella bellissima visione quando lei mi disse: “ho un problema con fisica II. Visto che sei tu il secchione della famiglia, devi aiutarmi.”
Alzai la testa dal mio libro e la guardai. Anche se stavo studiando per un altro esame decisi di darle una mano, una veloce scorsa alle pagine che aveva iniziato a ripetere.
Ci sistemammo nella mia stanza alla mia scrivania. Purtroppo il condizionatore era fuori uso e i nostri genitori non avevano ancora provveduto a chiamare un tecnico; ci toccava metterci al lavoro accontentandoci di qualche alito di vento proveniente dal corridoio, un piccolo sollievo che ci avrebbe dato la possibilità di affrontare quelle lunghe ore di studio.
Studiammo intensamente, e dopo due ore, nonostante il caldo si facesse sempre più asfissiante le cose stavano procedendo per il meglio e i nodi che l’avevano bloccata sembravano stessero arrivando al pettine.
Decidemmo di concederci una pausa e rinfrescarci con una limonata che preparavamo sempre cogliendo limoni freschi del nostro giardino. Bevemmo seduti uno di fronte all’altro; lei accavallo le gambe e non potei fare a meno di notarle. Complice il caldo e la giornata di studio che avrebbe affrontato non indossava il reggiseno.
Era bellissima in tutta la sua semplicità. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle.
Sentivo che l’eccitazione stava salendo, avevo bisogno di calmarmi altrimenti non sarei mai più riuscito a riprendere lo studio, altro che fisica! In quel momento avevo in mente solo il suo corpo.
“Ti dispiace se vado un attimo in bagno?” dissi alzandomi dalla sedia, approfittando della pausa.
“Vai pure, ma fai presto” disse lei aprendo distrattamente il libro di fisica sistemandosi i capelli dietro le orecchie, un gesto che trovai estremamente sexy.
Avevo intenzione di masturbarmi in bagno e di venire velocemente per cercare di liberarmi da quella libidine che il suo corpo mi aveva conferito in poco tempo.
Percorsi il corridoio, entrai in bagno e richiusi la porta alle mie spalle; mi sistemai in piedi di fronte al water; poggiai una mano sulle mattonelle fredde e con l’altra mano mi tirai fuori il pene che stava quasi per esplodere. Era in completa erezione; dovevo sborrare se avessi voluto mettere fine a quel tormento. Iniziai a muoverlo veloce, chiudendo la mano a pugno attorno all’asta dura e, sapere che lei era nella stanza accanto, mi procurava ancora maggior piacere ma, nonostante ciò, dopo alcuni minuti mi sentivo bloccato e non riuscivo a venire anche se avevo voglia di scaricare tutto il mio piacere sotto forma di caldo seme dedicato a lei.
Presi a cercare le sue mutandine nel cesto dei panni, che era posizionato accanto alla vasca da bagno ma trovai solo un reggiseno e una maglietta. Evidentemente, la domestica aveva già messo tutto in lavatrice. Cavolo!
Sentii dei passi provenire dal corridoio.
Era lei che si avvicinava alla porta del bagno.
Dopo poco bussò con le nocche e disse: “ehi, va tutto bene?”.
Io risposi con noncuranza “ehm…sì certo..tutto ok…ora esco”.
Tirai lo sciacquone e uscii non avendo concluso nulla, ma ritrovandomi ancora più eccitato di prima. Tornai in camera e la trovai china sul libro di fisica intenta a sottolineare con attenzione. Riuscivo a vedere bene il suo decolté e la forma sinuosa ed eccitante della sua terza misura di seno.
Alzò la testa da quello che stava contemplando. “Ehi! Mi stavo preoccupando”, disse “va tutto bene?”
“Tutto bene, non è niente. Forse la limonata ghiacciata mi ha fatto male”, dissi cercando di simulare una sorta di indigestione passeggera toccandomi la pancia. Lei rise al mio gesto, forse perché aveva capito che si era trattato di un attacco di diarrea. L’avevo scampata per un pelo.
Ma il mio problema era di tutt’altra natura: lo tenevo ancora duro nei pantaloni della tuta, gonfi sul davanti. Riprendemmo a studiare e cercai di darmi un contegno, ma per quanto ci provassi non ci riuscivo; mi tremavano le mani e sottolineare le frasi con l’evidenziatore era diventato difficile.
Mentre eravamo curvi sui libri lei disse: “potevi almeno aspettare che tornassi nella mia camera eh?!”. Subito dopo fece un risolino inclinando le labbra, per poi nascondersi dietro il quaderno degli appunti.
Rimasi pietrificato, non sapevo cosa risponderle; cercai di balbettare qualcosa ma non riuscivo a dire una parola. Poi presi un bel respiro e dissi: “cosa dici?”
“Ti ho visto dal buco della serratura…” disse con un tono di vergogna e a bassa voce.
Avevo il capo chino e aspettavo che quel momento passasse il più velocemente possibile; ero consapevole d’aver fatto una figuraccia. Lei mi eccitava, certo; le avevo dedicato qualche sega, ma era comunque mia sorella.
“beh… direi che hai un bell’attrezzo…” disse continuando a guardare distrattamente il libro.
Io deglutii non sapendo cosa risponderle, ma il solo pensare che si stava riferendo al mio pene, e che mi aveva spiato, mi fece eccitare più di prima. Su sua insistenza dovetti confessarle tutto, a cominciare dalla mia passione per il suo corpo, fino a confessare le masturbazioni che le dedicavo annusando le sue mutandine, che erano state tante.
Sara era presa dall’imbarazzo, divenne rossa in viso, ma l’argomento non sembrava preoccuparla più di tanto. Ne parlava serenamente. Io avrei voluto sprofondare invece. Sapeva di essere una bella ragazza e mi confessò a sua volta, con non poca vergogna, che in qualche modo essere oggetto del mio desiderio la inorgogliva. Lo riteneva un complimento. Quando me lo disse esplose in una risata, cosa che mi fece piacere; risi anche io e quel momento di imbarazzo sembrava essere passato. “Allora quello che scrivi nei racconti erotici ha uno sfondo autobiografico?”, disse ridendo, come per prendermi in giro. Io cercavo di non incrociare il suo sguardo tanta era la vergogna che stavo provando in quel momento.
Dopo quella confessione mi sentii meglio e mi resi conto che avremmo potuto continuare a studiare in pace e con concentrazione, quando lei all’improvviso disse:
“Non intendi finire?” mi guardava con i suoi bellissimi occhi che ricordavano quelli di una ragazza giapponese, una di quelle protagoniste dei manga che collezionavo da quando avevo dieci anni.“Finire… cosa?” risposi io.
“Beh.. dài, hai capito…” disse timidamente “…so che per voi maschietti trattenervi può essere pericoloso in alcuni casi…”
“ehm… Sara dai… meglio continuare…”
Il mio pene reagì all’istante sbattendo contro il boxer che cercava di contenerlo senza riuscirci.
“Di… di cosa stai parlando?” dissi poi; mi sentivo come se avessi la febbre a 40.
“Beh..se dici che io sono l’oggetto preferito per le tue… ehm… insomma, i tuoi momenti solitari, ora sono qui, potresti approfittarne.”
Mi parlava in modo serio e non sembrava minimamente turbata per quella giornata di studio che si era trasformata in un pomeriggio di dichiarazioni sessuali tra di noi.
Forse era molto più libertina di quanto avevo immaginato e molto più aperta mentalmente. Del resto aveva sempre commentato i miei racconti erotici in modo aperto e senza imbarazzo, provando quasi ammirazione per quello che scrivevo.
“Dai..forza…poi riprenderemo a studiare in modo totalmente più calmo… specialmente tu. Non posso toppare quest’esame. È troppo importante.”
“Stai scherzando Sara?”
“No! Sono serissima. Se non passo quest’esame non potrò chiedere la tesi, e se tu non ti concentri non riuscirò mai a farcela.” Si alzò dalla sedia e mi invitò a sedermi sul divano.
Lo feci. Lei si mise al centro della stanza e tolse le infradito rimanendo a piedi nudi. Era bellissima. Il mio pene continuava a reagire, era arrivato al massimo dell’erezione e sobbalzava ad ogni suo movimento, anche se mi sentivo molto imbarazzato.
“Su, forza…” disse intimandomi di prepararmi alla masturbazione. Ero completamente nel pallone! Avevo la febbre, era l’unica spiegazione. Abbassai la tuta e il boxer, non senza imbarazzo, e tirai fuori il mio cazzo duro. La cappella era lucida e umida, bagnata dei miei umori. Iniziai a toccarmelo guardando le sue gambe. Nonostante la sua sfrontatezza potevo leggere sul suo viso i segni dell’imbarazzo. Era ancora più dolce.
“Cosa vuoi che faccia?” mi disse rompendo quel silenzio imbarazzante.
Non risposi. Non che non volessi risponderle, ma proprio non ci riuscivo. Mi guardò. Ero tremendamente eccitato per tutta quella situazione.
Si morse il labbro inferiore. “Ok. Faccio da sola. Tu comincia pure”, disse.
Iniziai a muovere il mio pene duro, scoprendo e ricoprendo il glande ritmicamente. Lei di fronte a me, al centro di quella stanza dove tante volte mi ero masturbato pensando al suo corpo, stava per spogliarsi.
Iniziò a sfilare il leggins scoprendo le sue gambe e il suo fondoschiena sodo. Non avevo mai visto un culo così sodo.
Lo tolse. Indossava una mutandina bianca di cotone che rappresentava a pieno la sua semplicità. Niente ricami di pizzo, nessun perizoma da super donna. Una semplice mutandina bianca in cotone che, indossata da lei, era la cosa più eccitante che avessi mai visto.
Venne il turno della canotta dei Nirvana; quando la tolse i suoi seni sodi, bellissimi, vennero fuori in tutto il loro splendore. Aveva le areole piccole e rosa e i capezzoli mi puntavano come baionette innestate. “Guarda cosa mi tocca fare per studiare in pace”, disse ridendo. Quella sua frase strappò una risata anche a me.
“Dai forza…fai pure” disse con un filo di voce. Colta da un leggero imbarazzo cercò di coprirsi il seno, e sul suo viso potevo leggere quel misto di vergogna ed eccitazione che in un attimo fecero di lei la donna più bella che avessi mai visto in vita mia. Avevo gli occhi sbarrati, afferrai nuovamente il mio pene che pulsava. Avevo la mano completamente bagnata dei tanti umori che il mio glande stava producendo alla vista del suo fisico.
Quando ripresi la mia “opera”, lentamente afferrò i lembi delle mutandine e iniziò a calarle giù per le gambe, finché non arrivarono ai piedi, allora con un colpo le mise da parte e rimase totalmente nuda di fronte a me. Venne a sedersi sul divano accanto a me stringendo le mutandine in mano. “Spero che almeno ci tirerai fuori un bel racconto”, disse. Non ebbi la forza di risponderle.
“Almeno poi dopo riprenderemo a studiare in pace” mi disse di nuovo ridendo.
Quella frase mi rimbombava nella testa. Mi sentivo come in un dopo sbronza micidiale. Continuavo a masturbarmi guardando la sua vagina perfetta contornata solo da pochi peli. Mi guardava rossa in viso mentre mi concedevo piacere da solo. Prese a carezzarsi la pancia piatta, aspettando solo la mia eiaculazione per poter riprendere a studiare quell’esame universitario che tanto la stava facendo penare.
“Ci sei quasi?” mi disse. Io ero al limite dell’orgasmo e riuscii solo a proferire una parola, un piccolo “Sì…qua…quasi…”; in verità volevo che quegli attimi non finissero mai.
Mancava davvero poco alla mia esplosione. Il divano sobbalzava ad ogni mio movimento e vedevo il suo seno fare altrettanto sotto i colpi che stavo dando al mio cazzo.
Aveva raccolto le gambe sotto il sedere stringendo ancora le mutandine tra le mani. Da quella posizione potevo guardare benissimo l’apertura della sua vagina che mai sarebbe stata mia. A pensarci bene tutto quello che stavo vivendo mi sembrava una specie di castigo da girone infernale. Una cosa così bella che non avrei mai avuto.
Senza dire nulla le accarezzai la coscia sinistra. Lei mi sorrise e si morse il labbro inferiore, consapevole di come aveva scombussolato i miei ormoni. Notavo che anche sul suo viso si stava palesando una evidente eccitazione, complice quella situazione che, quando ci svegliammo qual mattino, mai avremmo immaginato sarebbe potuta accadere.
“Vuoi annusare queste?” mi chiese tendendo la mano. “Oh sì, ti prego Sara”. Si avvicinò a me, dispiegò le sue mutandine e portò sotto al mio naso la porzione di stoffa che fino a quel momento era stata a contatto con la sua figa. Sentii subito l’odore dei suoi umori che mi salirono al cervello come un proiettile.
Afferrò la mia mano e la diresse verso la sua vagina, e fu in quel momento che eiaculai con tutta la forza che avevo nei testicoli producendo un getto di sperma che m’inondò la pancia e il petto.
Mi guardò godere e fece un leggero sorriso, sbarrando gli occhi incredula per l’enorme orgasmo che avevo provato e la grande quantità di sperma che le mie palle avevano riversato fuori.
La soddisfazione era disegnata sul suo viso bellissimo. Sembrava che stesse per dire qualcosa, quando sentii un suono lontano, leggerissimo. Come un “bip-bip” che non voleva saperne di finire. Era il mio cellulare che stava squillando.
Aprii gli occhi, ero sullo stesso divano; il mio telefonino continuava a suonare. Non ero nudo, ma indossavo un jeans e una maglietta e Sara non era lì con me. Ma lo sperma c’era, lo sentivo distintamente che mi bagnava le mutande. Mi ero assopito sul divano ed ero venuto nei pantaloni come conseguenza di quel sogno stupendo che avevo fatto.
Guardai l’orario, erano le 14:30. Avrei dovuto mettermi a studiare e, forse, avrei scritto un racconto erotico.
Lei conosceva la mia passione per la lettura e la scrittura e, quando iniziai a scrivere racconti erotici per divertimento, volle a tutti i costi leggere quello che scrivevo. Da parte mia ci fu qualche resistenza, che lei potesse carpire dai miei scritti le mie fantasie sessuali era una cosa che mi spaventava ed eccitava allo stesso tempo.
Le feci leggere un primo racconto che avevo scritto. Parlava di un uomo che si eccitava ad annusare le mutandine usate. Una fantasia che non mi era estranea, in quanto, anche io appena riuscivo, “rubavo” le mutandine di mia sorella dal cesto della biancheria per annusarle e farmi una sega. Mi eccitava sentire il suo odore; quando si bagnava, poi, l’odore diventava più pungente arrivandomi al cervello e portandomi all’orgasmo a volte anche senza toccarmi.
Le piaceva il mio modo di scrivere; ammirava molto che suo fratello avesse una passione viva per la scrittura ed era orgogliosa di me. Quando lesse quel racconto, però, inevitabilmente iniziò a chiedersi se anche a me piaceva fare quello che avevo raccontato.
Per un po' di tempo non ne parlammo più ed io continuai a scrivere, quando non ero troppo occupato a studiare per gli esami universitari.
L’estate era entrata in maniera prepotente nelle vite di ognuno di noi.
I nostri genitori erano fuori per il weekend, una mii vacanza durante il mese di luglio. Io e Sara rimanemmo in città per completare la sessione d’esami universitari che, quell’anno, si prospettava particolarmente difficile.
In quel periodo troppe volte mi ero masturbato pensando al corpo di mia sorella, annusando i suoi slip che tenevo saldamente con una mano sotto il naso mentre con l’altra ci davo dentro scappellando in maniera ossessiva il mio cazzo fin quando non mi sborravo copiosamente sulle mani. Di solito ci voleva poco tempo. Mi eccitava molto pensare a lei ma non l’avrei mai confessato a nessuno, nemmeno sotto tortura.
Quando quel giorno di luglio entrò nella mia stanza indossava un leggings bianco molto aderente, una canotta dei nirvana (il suo gruppo preferito) e ai piedi portava delle infradito. Un abbigliamento leggero vista la calura di quella giornata e la giornata di studio che avrebbe dovuto affrontare. Entrambi frequentavamo la facoltà di ingegneria e, a votle, quando gli esami coincidevano studiavamo anche insieme.
Quando entrò fu come se un raggio di sole aggiuntivo fosse entrato e avesse illuminato ancor di più la stanza; deglutii a fatica e mi destai da quella bellissima visione quando lei mi disse: “ho un problema con fisica II. Visto che sei tu il secchione della famiglia, devi aiutarmi.”
Alzai la testa dal mio libro e la guardai. Anche se stavo studiando per un altro esame decisi di darle una mano, una veloce scorsa alle pagine che aveva iniziato a ripetere.
Ci sistemammo nella mia stanza alla mia scrivania. Purtroppo il condizionatore era fuori uso e i nostri genitori non avevano ancora provveduto a chiamare un tecnico; ci toccava metterci al lavoro accontentandoci di qualche alito di vento proveniente dal corridoio, un piccolo sollievo che ci avrebbe dato la possibilità di affrontare quelle lunghe ore di studio.
Studiammo intensamente, e dopo due ore, nonostante il caldo si facesse sempre più asfissiante le cose stavano procedendo per il meglio e i nodi che l’avevano bloccata sembravano stessero arrivando al pettine.
Decidemmo di concederci una pausa e rinfrescarci con una limonata che preparavamo sempre cogliendo limoni freschi del nostro giardino. Bevemmo seduti uno di fronte all’altro; lei accavallo le gambe e non potei fare a meno di notarle. Complice il caldo e la giornata di studio che avrebbe affrontato non indossava il reggiseno.
Era bellissima in tutta la sua semplicità. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle.
Sentivo che l’eccitazione stava salendo, avevo bisogno di calmarmi altrimenti non sarei mai più riuscito a riprendere lo studio, altro che fisica! In quel momento avevo in mente solo il suo corpo.
“Ti dispiace se vado un attimo in bagno?” dissi alzandomi dalla sedia, approfittando della pausa.
“Vai pure, ma fai presto” disse lei aprendo distrattamente il libro di fisica sistemandosi i capelli dietro le orecchie, un gesto che trovai estremamente sexy.
Avevo intenzione di masturbarmi in bagno e di venire velocemente per cercare di liberarmi da quella libidine che il suo corpo mi aveva conferito in poco tempo.
Percorsi il corridoio, entrai in bagno e richiusi la porta alle mie spalle; mi sistemai in piedi di fronte al water; poggiai una mano sulle mattonelle fredde e con l’altra mano mi tirai fuori il pene che stava quasi per esplodere. Era in completa erezione; dovevo sborrare se avessi voluto mettere fine a quel tormento. Iniziai a muoverlo veloce, chiudendo la mano a pugno attorno all’asta dura e, sapere che lei era nella stanza accanto, mi procurava ancora maggior piacere ma, nonostante ciò, dopo alcuni minuti mi sentivo bloccato e non riuscivo a venire anche se avevo voglia di scaricare tutto il mio piacere sotto forma di caldo seme dedicato a lei.
Presi a cercare le sue mutandine nel cesto dei panni, che era posizionato accanto alla vasca da bagno ma trovai solo un reggiseno e una maglietta. Evidentemente, la domestica aveva già messo tutto in lavatrice. Cavolo!
Sentii dei passi provenire dal corridoio.
Era lei che si avvicinava alla porta del bagno.
Dopo poco bussò con le nocche e disse: “ehi, va tutto bene?”.
Io risposi con noncuranza “ehm…sì certo..tutto ok…ora esco”.
Tirai lo sciacquone e uscii non avendo concluso nulla, ma ritrovandomi ancora più eccitato di prima. Tornai in camera e la trovai china sul libro di fisica intenta a sottolineare con attenzione. Riuscivo a vedere bene il suo decolté e la forma sinuosa ed eccitante della sua terza misura di seno.
Alzò la testa da quello che stava contemplando. “Ehi! Mi stavo preoccupando”, disse “va tutto bene?”
“Tutto bene, non è niente. Forse la limonata ghiacciata mi ha fatto male”, dissi cercando di simulare una sorta di indigestione passeggera toccandomi la pancia. Lei rise al mio gesto, forse perché aveva capito che si era trattato di un attacco di diarrea. L’avevo scampata per un pelo.
Ma il mio problema era di tutt’altra natura: lo tenevo ancora duro nei pantaloni della tuta, gonfi sul davanti. Riprendemmo a studiare e cercai di darmi un contegno, ma per quanto ci provassi non ci riuscivo; mi tremavano le mani e sottolineare le frasi con l’evidenziatore era diventato difficile.
Mentre eravamo curvi sui libri lei disse: “potevi almeno aspettare che tornassi nella mia camera eh?!”. Subito dopo fece un risolino inclinando le labbra, per poi nascondersi dietro il quaderno degli appunti.
Rimasi pietrificato, non sapevo cosa risponderle; cercai di balbettare qualcosa ma non riuscivo a dire una parola. Poi presi un bel respiro e dissi: “cosa dici?”
“Ti ho visto dal buco della serratura…” disse con un tono di vergogna e a bassa voce.
Avevo il capo chino e aspettavo che quel momento passasse il più velocemente possibile; ero consapevole d’aver fatto una figuraccia. Lei mi eccitava, certo; le avevo dedicato qualche sega, ma era comunque mia sorella.
“beh… direi che hai un bell’attrezzo…” disse continuando a guardare distrattamente il libro.
Io deglutii non sapendo cosa risponderle, ma il solo pensare che si stava riferendo al mio pene, e che mi aveva spiato, mi fece eccitare più di prima. Su sua insistenza dovetti confessarle tutto, a cominciare dalla mia passione per il suo corpo, fino a confessare le masturbazioni che le dedicavo annusando le sue mutandine, che erano state tante.
Sara era presa dall’imbarazzo, divenne rossa in viso, ma l’argomento non sembrava preoccuparla più di tanto. Ne parlava serenamente. Io avrei voluto sprofondare invece. Sapeva di essere una bella ragazza e mi confessò a sua volta, con non poca vergogna, che in qualche modo essere oggetto del mio desiderio la inorgogliva. Lo riteneva un complimento. Quando me lo disse esplose in una risata, cosa che mi fece piacere; risi anche io e quel momento di imbarazzo sembrava essere passato. “Allora quello che scrivi nei racconti erotici ha uno sfondo autobiografico?”, disse ridendo, come per prendermi in giro. Io cercavo di non incrociare il suo sguardo tanta era la vergogna che stavo provando in quel momento.
Dopo quella confessione mi sentii meglio e mi resi conto che avremmo potuto continuare a studiare in pace e con concentrazione, quando lei all’improvviso disse:
“Non intendi finire?” mi guardava con i suoi bellissimi occhi che ricordavano quelli di una ragazza giapponese, una di quelle protagoniste dei manga che collezionavo da quando avevo dieci anni.“Finire… cosa?” risposi io.
“Beh.. dài, hai capito…” disse timidamente “…so che per voi maschietti trattenervi può essere pericoloso in alcuni casi…”
“ehm… Sara dai… meglio continuare…”
Il mio pene reagì all’istante sbattendo contro il boxer che cercava di contenerlo senza riuscirci.
“Di… di cosa stai parlando?” dissi poi; mi sentivo come se avessi la febbre a 40.
“Beh..se dici che io sono l’oggetto preferito per le tue… ehm… insomma, i tuoi momenti solitari, ora sono qui, potresti approfittarne.”
Mi parlava in modo serio e non sembrava minimamente turbata per quella giornata di studio che si era trasformata in un pomeriggio di dichiarazioni sessuali tra di noi.
Forse era molto più libertina di quanto avevo immaginato e molto più aperta mentalmente. Del resto aveva sempre commentato i miei racconti erotici in modo aperto e senza imbarazzo, provando quasi ammirazione per quello che scrivevo.
“Dai..forza…poi riprenderemo a studiare in modo totalmente più calmo… specialmente tu. Non posso toppare quest’esame. È troppo importante.”
“Stai scherzando Sara?”
“No! Sono serissima. Se non passo quest’esame non potrò chiedere la tesi, e se tu non ti concentri non riuscirò mai a farcela.” Si alzò dalla sedia e mi invitò a sedermi sul divano.
Lo feci. Lei si mise al centro della stanza e tolse le infradito rimanendo a piedi nudi. Era bellissima. Il mio pene continuava a reagire, era arrivato al massimo dell’erezione e sobbalzava ad ogni suo movimento, anche se mi sentivo molto imbarazzato.
“Su, forza…” disse intimandomi di prepararmi alla masturbazione. Ero completamente nel pallone! Avevo la febbre, era l’unica spiegazione. Abbassai la tuta e il boxer, non senza imbarazzo, e tirai fuori il mio cazzo duro. La cappella era lucida e umida, bagnata dei miei umori. Iniziai a toccarmelo guardando le sue gambe. Nonostante la sua sfrontatezza potevo leggere sul suo viso i segni dell’imbarazzo. Era ancora più dolce.
“Cosa vuoi che faccia?” mi disse rompendo quel silenzio imbarazzante.
Non risposi. Non che non volessi risponderle, ma proprio non ci riuscivo. Mi guardò. Ero tremendamente eccitato per tutta quella situazione.
Si morse il labbro inferiore. “Ok. Faccio da sola. Tu comincia pure”, disse.
Iniziai a muovere il mio pene duro, scoprendo e ricoprendo il glande ritmicamente. Lei di fronte a me, al centro di quella stanza dove tante volte mi ero masturbato pensando al suo corpo, stava per spogliarsi.
Iniziò a sfilare il leggins scoprendo le sue gambe e il suo fondoschiena sodo. Non avevo mai visto un culo così sodo.
Lo tolse. Indossava una mutandina bianca di cotone che rappresentava a pieno la sua semplicità. Niente ricami di pizzo, nessun perizoma da super donna. Una semplice mutandina bianca in cotone che, indossata da lei, era la cosa più eccitante che avessi mai visto.
Venne il turno della canotta dei Nirvana; quando la tolse i suoi seni sodi, bellissimi, vennero fuori in tutto il loro splendore. Aveva le areole piccole e rosa e i capezzoli mi puntavano come baionette innestate. “Guarda cosa mi tocca fare per studiare in pace”, disse ridendo. Quella sua frase strappò una risata anche a me.
“Dai forza…fai pure” disse con un filo di voce. Colta da un leggero imbarazzo cercò di coprirsi il seno, e sul suo viso potevo leggere quel misto di vergogna ed eccitazione che in un attimo fecero di lei la donna più bella che avessi mai visto in vita mia. Avevo gli occhi sbarrati, afferrai nuovamente il mio pene che pulsava. Avevo la mano completamente bagnata dei tanti umori che il mio glande stava producendo alla vista del suo fisico.
Quando ripresi la mia “opera”, lentamente afferrò i lembi delle mutandine e iniziò a calarle giù per le gambe, finché non arrivarono ai piedi, allora con un colpo le mise da parte e rimase totalmente nuda di fronte a me. Venne a sedersi sul divano accanto a me stringendo le mutandine in mano. “Spero che almeno ci tirerai fuori un bel racconto”, disse. Non ebbi la forza di risponderle.
“Almeno poi dopo riprenderemo a studiare in pace” mi disse di nuovo ridendo.
Quella frase mi rimbombava nella testa. Mi sentivo come in un dopo sbronza micidiale. Continuavo a masturbarmi guardando la sua vagina perfetta contornata solo da pochi peli. Mi guardava rossa in viso mentre mi concedevo piacere da solo. Prese a carezzarsi la pancia piatta, aspettando solo la mia eiaculazione per poter riprendere a studiare quell’esame universitario che tanto la stava facendo penare.
“Ci sei quasi?” mi disse. Io ero al limite dell’orgasmo e riuscii solo a proferire una parola, un piccolo “Sì…qua…quasi…”; in verità volevo che quegli attimi non finissero mai.
Mancava davvero poco alla mia esplosione. Il divano sobbalzava ad ogni mio movimento e vedevo il suo seno fare altrettanto sotto i colpi che stavo dando al mio cazzo.
Aveva raccolto le gambe sotto il sedere stringendo ancora le mutandine tra le mani. Da quella posizione potevo guardare benissimo l’apertura della sua vagina che mai sarebbe stata mia. A pensarci bene tutto quello che stavo vivendo mi sembrava una specie di castigo da girone infernale. Una cosa così bella che non avrei mai avuto.
Senza dire nulla le accarezzai la coscia sinistra. Lei mi sorrise e si morse il labbro inferiore, consapevole di come aveva scombussolato i miei ormoni. Notavo che anche sul suo viso si stava palesando una evidente eccitazione, complice quella situazione che, quando ci svegliammo qual mattino, mai avremmo immaginato sarebbe potuta accadere.
“Vuoi annusare queste?” mi chiese tendendo la mano. “Oh sì, ti prego Sara”. Si avvicinò a me, dispiegò le sue mutandine e portò sotto al mio naso la porzione di stoffa che fino a quel momento era stata a contatto con la sua figa. Sentii subito l’odore dei suoi umori che mi salirono al cervello come un proiettile.
Afferrò la mia mano e la diresse verso la sua vagina, e fu in quel momento che eiaculai con tutta la forza che avevo nei testicoli producendo un getto di sperma che m’inondò la pancia e il petto.
Mi guardò godere e fece un leggero sorriso, sbarrando gli occhi incredula per l’enorme orgasmo che avevo provato e la grande quantità di sperma che le mie palle avevano riversato fuori.
La soddisfazione era disegnata sul suo viso bellissimo. Sembrava che stesse per dire qualcosa, quando sentii un suono lontano, leggerissimo. Come un “bip-bip” che non voleva saperne di finire. Era il mio cellulare che stava squillando.
Aprii gli occhi, ero sullo stesso divano; il mio telefonino continuava a suonare. Non ero nudo, ma indossavo un jeans e una maglietta e Sara non era lì con me. Ma lo sperma c’era, lo sentivo distintamente che mi bagnava le mutande. Mi ero assopito sul divano ed ero venuto nei pantaloni come conseguenza di quel sogno stupendo che avevo fatto.
Guardai l’orario, erano le 14:30. Avrei dovuto mettermi a studiare e, forse, avrei scritto un racconto erotico.
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