L'ombra
di
WabiSabi
genere
voyeur
Me ne ero accorta una sera, quando, dopo aver fatto la doccia ero in camera da letto e mi stavo preparando. La finestra di fronte al mio balcone era illuminata e vedevo un’ombra che scostava la tenda con la mano per ammirarmi. Inizialmente non ci feci molto caso ma, quando la cosa si ripeté per la seconda e la terza sera, mi resi conto che c’era qualcuno che osservava la mia intimità, come se fosse un appuntamento fisso. Non sapevo chi fosse, non avevo molta conoscenza con il vicinato e frequentavo poco le persone del mio condominio. All’interno del cortile dove abitavo erano presenti due palazzine, una di fronte all’altra e, vista la vicinanza con l’università, c’erano molti studenti che avevano preso una stanza in affitto. Anche non conoscendo bene tutti pensai che potesse essere facile, andando per esclusione, individuare a chi appartenesse l’ombra che mi osservava attraverso la finestra del terzo piano. Con il tempo ci presi gusto. Non trovavo ci fosse nulla di male nel mostrarmi a qualcuno mentre mi preparavo dopo la doccia e la cosa cominciava a stimolare la mia fantasia e la mia femminilità. Sapere che qualcuno potesse osservare il mio corpo e magari eccitarsi mentre lo faceva, era per me motivo di vanto. Mi faceva sentire bella, dopo tanti anni trascorsi ad odiarmi perché semplicemente non mi piaceva il mio corpo. Quando mi guardavo allo specchio non vedevo riflesso il corpo di una donna, ma una massa informe che pensavo non potesse piacere a nessuno. I fianchi troppo larghi, un po’ di cellulite sparsa sulle gambe facevano di me non proprio la donna che gli uomini osservavano rapiti dalla sua bellezza. Gli occhiali da secchiona che indossavo dall’epoca del liceo, poi, mi conferivano un aspetto da nerd, e nessun ragazzo metteva mai gli occhi su di me, nessuno che mi facesse la corte come capitava alle mie amiche. Gli unici uomini che erano venuti a letto con me l’avevano fatto per sfogare i loro istinti sessuali, ma nessuno mi aveva mai donato amore mentre eravamo insieme. L’amore che pensavo di meritare perché anche io avevo il diritto di essere felice. Avevo voglia, dentro di me, di occuparmi di qualcuno, amare semplicemente come una donna ed essere ricambiata in modo sincero. Tutto questo non aveva fatto altro che accentuare le mie insicurezze che, con il tempo, erano diventate delle ossessioni.
Sapere che qualcuno mi osservava nascosto dietro una tenda era lo stimolo di cui avevo bisogno per sentirmi donna, anche se si trattava di un uomo anonimo che guardava attentamente quel corpo che io detestavo.
Per le mie amiche era tutto diverso. Erano consapevoli della loro bellezza, dei loro fisici longilinei, con il trucco sempre in ordine, erano pronte a respingere gli uomini che le facevano la corte, quando questi non erano apprezzati da loro. Ero gelosa dei loro corpi, del loro sentirsi a proprio agio con l’altro sesso, del loro modo di fare. Rifiutavano le avance di coloro che non gradivano a volte in modo scontroso, definendoli “casi umani”, solo perché non rappresentavano l’ideale di uomo che volevano al loro fianco. La cosa mi deprimeva, era come se la loro bellezza fosse una giustificazione per allontanare malamente pretendenti su pretendenti, mentre su di me nessuno posava mai lo sguardo. Non avevo avuto molte storie, nonostante avessi venticinque anni, e avevo perso la verginità molto tardi rispetto alla media delle mie amiche. L’amore e l’erotismo mi mancavano, non c’era che dire. Da quando avevo abbandonato il mio paesino natio per studiare in quella grande città, vivevo da sola e trascorrevo il mio tempo china sui libri a studiare un esame dietro l’altro per cercare di completare alla svelta il mio percorso universitario e scappare il più lontano possibile. Non mi ero mai ambientata nei grossi spazi e non ero riuscita ad inserirmi in quella vita molto diversa dal piccolo paesino di provincia da dove provenivo.
Adesso, quella tenda che ogni sera si muoveva per osservarmi nel buio era la dimostrazione che anche io potevo sentirmi bella, desiderata da qualcuno. A volte immaginavo chi potesse essere quella persona, forse uno studente nerd come me che aveva poca dimestichezza con le donne. Me lo raffiguravo nella mente come una specie di principe azzurro che mi osservava non solo perché era attratto dal mio seno e dall’adrenalina che gli girava in corpo per la paura di essere scoperto, ma perché in segreto era innamorato di me, e ogni volta che mi incrociava nel cortile non aveva il coraggio di dichiararmi tutto il suo amore.
C’erano molti studenti nei due condomini, come anche persone di una certa età, e per lungo tempo m’interrogai su chi potesse essere quell’ombra che mi spiava nel buio. Una sera, di ritorno da una lezione all’università, mi fermai di fronte alle cassette della posta e le esaminai con cura, cercando di scoprire chi abitasse al terzo piano della palazzina di fronte alla mia. Il cerchio iniziò a restringersi quando compresi che su quel pianerottolo c’erano solo quattro appartamenti, dei quali, solo due avevano le finestre nella direzione del mio balcone. In questi unici due appartamenti vi erano sei studenti, tre maschi e tre femmine, che frequentavano la facoltà di ingegneria. Una volta ristretto il campo, capii che chi mi spiava ormai ogni sera, quantomeno era un ragazzo e non un anziano bavoso che guardava il mio corpo per ricordarsi come era fatta una donna vera.
Quando venne la primavera, il suo profumo potevi sentirlo nell’aria del mattino. Avevo sempre amato il periodo che precedeva l’estate, forse perché ero cresciuta in campagna e quelle sensazioni mi ricordavano la mia infanzia. Conclusi gli ultimi esami della sessione in maniera brillante, del resto, non avevo altro da fare che studiare e seguire le lezioni, nonostante alcune sere uscivo per andare al cinema con alcune ragazze con le quali avevo stretto amicizia in facoltà. Con l’avvento della stagione calda era più facile per me mostrarmi a quell’ombra anonima che mi osservava dietro la tenda della sua finestra al buio. La curiosità mi assaliva ogniqualvolta facevo la doccia e, una volta entrata in camera, notavo che le tende di quel terzo piano si muovevano timide; per l’ombra era un appuntamento fisso e spesso mi lasciavo ammirare come se nulla fosse; avevo ritrovato la mia femminilità, la fiducia in me stessa e nel mio corpo; volevo con tutta me stessa sentirmi bella agli occhi di qualcun altro.
Una sera di primavera feci una doccia calda e, avvolta nell’accappatoio, entrai nella stanza che dava sulla finestra dell’ombra. Spalancai il balcone, feci cadere l’accappatoio in terra e rimasi nuda accanto al letto. Con la coda dell’occhio cercavo di notare i movimenti della tenda, a volte erano impercettibili. Anche quella sera lui era lì e non mi fu difficile capirlo. Presi dell’olio da massaggio e, come sempre dopo aver fatto la doccia, iniziai a strofinarmelo per il corpo, accettando che lui si godesse lo spettacolo. Massaggiai i miei seni e li cosparsi di olio che odorava di pesca. Presi a spalmarlo sulle mie cosce non proprio snelle e, lentamente, sentivo che l’eccitazione saliva; la vagina iniziava a inumidirsi, consapevole del fatto che l’ombra stesse osservando i miei movimenti e, magari, stava per darsi piacere da solo. Mi sedetti sul letto, aprii le gambe in direzione della finestra e iniziai a stimolarmi il clitoride. Avevo tanto bisogno di sentire un uomo al mio fianco che fu come se ci facessi l’amore con l’ombra, donandogli un mio momento intimo, senza vergogna alcuna, non curandomi del fatto che mi stesse guardando.
Dopo quella volta trascorsero un paio di settimane senza che l’ombra si presentasse dietro la finestra. Mancava poco all’ultimo esame della sessione estiva, poi sarei tornata dai miei genitori e avrei trascorso l’estate al mare con la mia famiglia. Non vedevo l’ora. Da quando ero andata lontano per motivi di studio, mi mancavano ogni giorno di più. Presi a studiare tutto il giorno.
Una mattina, mentre ero seduta alla scrivania colma di libri e appunti, il mio cellulare produsse una vibrazione. Lo raccolsi sotto il mare di carte che lo sommergevano. Era un messaggio da un numero sconosciuto: “Sei uno spettacolo bellissimo”, diceva. Risposi quasi subito, non senza sentire dentro di me un po' di inquietudine: “Chi sei?”
“Colui che ogni sera ti guarda e si gode il tuo corpo”.
Era l’ombra. Ma come aveva avuto il mio numero? Inizialmente ebbi paura, ma poi, tutto sommato, mi faceva piacere avere un ammiratore segreto con il quale, adesso, potevo anche interloquire. Scacciai subito quel pensiero e continuai a parlare.
“Non sarai mica un maniaco?” gli chiesi.
“Ma quale maniaco, stai tranquilla! Sono solo un uomo che si gode una bellissima vista ogni sera”
“Vuoi dire che il mio corpo è una vista bellissima?”
“Altroché. Dalla prima volta che ti ho vista spero sempre che tu ti spogli davanti alla finestra, anche se sono molte sere che non riesco a vederti”
“Ho molto da studiare, sai, l’ultimo esame è alle porte.”
“A chi lo dici. Posso capirti benissimo”.
Quindi era uno studente. Non mi ero sbagliata. “ora, se permetti vorrei tornare a studiare”
“Certo, figurati. È stato un piacere parlare con te”
Quando chiudemmo la comunicazione rimasi con il cellulare stretto nella mano, chiedendomi come poteva aver avuto il mio numero. Mi interrogai su quel quesito per molto tempo, ma il dubbio era assalito dalla voglia di conquista, dalla smania di sentirmi bella e desiderata. Salvai il suo numero in rubrica: “l’ombra”
Finii di studiare verso le 19 quel giorno, ed ero sfinita. Mi preparai una cena leggera e andai a fare una doccia, per poi mettermi subito a letto.
Nei giorni seguenti io e l’ombra parlammo molto. Era diventato un amico, anche se non l’avevo mai visto. L’inquietudine lasciò il posto alla curiosità di scoprire quel ragazzo che studiava alla facoltà di ingegneria, timido e, molto probabilmente, nerd come me. Ci tenne a scusarsi più del dovuto, dicendomi che non era bello spiarmi ogni sera. Gli risposi in più di un’occasione che anche io avevo invogliato le sue voglie, avrei potuto benissimo chiudermi dentro mentre mi spogliavo, ma non l’avevo fatto. Non volle rivelarmi come aveva avuto il mio numero, anche se il mio istinto mi diceva che, molto probabilmente, dovevamo avere qualche amicizia in comune in facoltà, dove, gira e rigira, si incontravano sempre le stesse facce a lezione. Quando uscivo nel cortile del nostro palazzo cercavo di individuarlo, ma non ci riuscii mai. Evidentemente avevamo orari diversi.
Una sera, di ritorno dall’università, feci una lunga doccia rilassante e tornai in camera indossando solo l’accappatoio, quello rosa che avevo comprato qualche temo prima; il cellulare era sul tavolo. Lo presi e guardai lo schermo, chiedendomi se avessi dovuto farlo o meno. Spalancai la finestra che dava sul balcone e scrissi un messaggio all’ombra, senza pensarci più di tanto.
“Perché non ti godi lo spettacolo?” scrissi.
Mi rispose dopo poco. “Con il tuo permesso, si capisce”
“Certo. Guarda pure”
Guardai una luce accendersi al terzo piano e la solita ombra che scostava le tende. Tolsi l’accappatoio e restai nuda. Iniziai a toccarmi il seno, poi scesi con la mano verso il ventre e presi ad accarezzarmi la vagina. Lo facevo con estrema naturalezza, consapevole di essere guardata da quello che orami era diventato quasi una presenza fissa, un amico, se volevamo dirla tutta.
Questa volta mi eccitai più delle altre volte, perché ero stata io a volerlo, ero cosciente del fatto che lui mi stesse ammirando e questo mi faceva sentire bella come non lo ero mai stata. Tolsi gli occhiali da secchiona e li buttai sul letto. Mi sedetti sul bordo e spalancai per bene le gambe in direzione della finestra; iniziai a masturbarmi. Avevo la vagina umida e, più la toccavo, più sentivo che si bagnava, fin quando non divenne un lago.
Il cellulare squillò. Risposi. Era lui. “sei bellissima” mi sussurrò. Era la prima volta che sentivo la sua voce.
“Mi prendi in giro” dissi.
“Ti piace sapere che ti sto ammirando?”
“Non sai quanto. Sono tutta bagnata”
“Anche a me è venuto duro. Dai continua a toccarti, ti sto guardando”.
Misi il telefono in viva-voce e lo poggiai accanto a me sul letto. Ripresi a toccarmi; sentivo il suo respiro sempre più affannato provenire dal microfono del telefono ed espandersi nella stanza. Iniziai ad eccitarmi sul serio. Probabilmente si stava masturbando anche lui ed essere l’oggetto del suo piacere faceva crescere il mio ego in maniera esponenziale. Ogni tanto gettavo uno sguardo verso la sua finestra e potevo percepire dei piccoli movimenti dell’ombra. Improvvisamente la comunicazione si interruppe. Aveva riagganciato. Rimasi delusa, ma continuai a toccarmi, consapevole che il mio orgasmo era vicino. Lo raggiunsi dopo poco e mi precipitai a chiudere la finestra. La luce dell’ombra si era spenta e aveva abbassato la serranda. Mi rivestii e andai a letto.
L’ultimo esame andò bene. Prima di partire per tornare dai miei, l’amministratore del condominio annunciò una riunione di fine anno che si sarebbe tenuta nella saletta del custode. Pensai che quello sarebbe stato il momento adatto per guardare negli occhi l’ombra. Volevo dare un volto a quella persona sconosciuta con la quale avevo condiviso quel momento. Durante la riunione nascosi il cellulare nella borsa e al momento giusto, quando pensai che nessuno mi stesse guardando, feci partire una chiamata verso quel numero. Si sentì uno squillo. Un ragazzo all’interno della sala mise la mano dietro il jeans e afferrò il telefono; guardò lo schermo e rifiutò la chiamata. Divenne rosso come un peperone. L’avevo individuato. Avrà avuto non più di venticinque anni, basso di statura e non proprio un adone, ma aveva un viso simpatico e al tempo stesso buono. Pensai che mi potevo fidare.
Quando uscimmo dalla riunione lo avvicinai. “ciao”, gi dissi. Mi guardò pietrificato; divenne pallido in viso e cercò di balbettare qualche frase di scusa. “piacere, io mi chiamo Sara” , dissi. Come un gattino intimorito allungò la mano e me la strinse. “Piacere… Ma…Matteo”, rispose. “insomma sei tu l’ombra”
“l’ombra?” disse
“Sì. Dal primo momento ti ho chiamato in questo modo, non conoscendo nulla di te.”
“Ti chiedo scusa” disse timidamente.
Si vedeva lontano un miglio che era un ragazzo introverso che non aveva molta esperienza con le donne. Un po’ mi rivedevo ne suoi occhi. Era come la mia trasposizione maschile.
“Non è che mi denuncerai?”
“Macché” dissi. “Magari, però, potremmo conoscerci meglio”
Era visibilmente in imbarazzo. Non riusciva a parlare ma potevo scorgere dietro il suo sguardo un mare di emozioni che avevo voglia di approfondire.
“Posso offrirti un gelato?” mi chiese.
“Certo. Adoro la fragola”
“Io la nocciola”
“dai cosi mentre mangiamo il gelato mi spiegherai anche come hai ottenuto il mio numero”, dissi ridendo. Lui fece un sorriso imbarazzato.
Camminammo insieme e chiacchierammo per tutta la sera. Non mi lasciai condizionare dal suo aspetto, proprio come molte volte avevano fatto con me gli uomini, e decisi di dargli una possibilità, quella che molti non avevano dato a me.
Sapere che qualcuno mi osservava nascosto dietro una tenda era lo stimolo di cui avevo bisogno per sentirmi donna, anche se si trattava di un uomo anonimo che guardava attentamente quel corpo che io detestavo.
Per le mie amiche era tutto diverso. Erano consapevoli della loro bellezza, dei loro fisici longilinei, con il trucco sempre in ordine, erano pronte a respingere gli uomini che le facevano la corte, quando questi non erano apprezzati da loro. Ero gelosa dei loro corpi, del loro sentirsi a proprio agio con l’altro sesso, del loro modo di fare. Rifiutavano le avance di coloro che non gradivano a volte in modo scontroso, definendoli “casi umani”, solo perché non rappresentavano l’ideale di uomo che volevano al loro fianco. La cosa mi deprimeva, era come se la loro bellezza fosse una giustificazione per allontanare malamente pretendenti su pretendenti, mentre su di me nessuno posava mai lo sguardo. Non avevo avuto molte storie, nonostante avessi venticinque anni, e avevo perso la verginità molto tardi rispetto alla media delle mie amiche. L’amore e l’erotismo mi mancavano, non c’era che dire. Da quando avevo abbandonato il mio paesino natio per studiare in quella grande città, vivevo da sola e trascorrevo il mio tempo china sui libri a studiare un esame dietro l’altro per cercare di completare alla svelta il mio percorso universitario e scappare il più lontano possibile. Non mi ero mai ambientata nei grossi spazi e non ero riuscita ad inserirmi in quella vita molto diversa dal piccolo paesino di provincia da dove provenivo.
Adesso, quella tenda che ogni sera si muoveva per osservarmi nel buio era la dimostrazione che anche io potevo sentirmi bella, desiderata da qualcuno. A volte immaginavo chi potesse essere quella persona, forse uno studente nerd come me che aveva poca dimestichezza con le donne. Me lo raffiguravo nella mente come una specie di principe azzurro che mi osservava non solo perché era attratto dal mio seno e dall’adrenalina che gli girava in corpo per la paura di essere scoperto, ma perché in segreto era innamorato di me, e ogni volta che mi incrociava nel cortile non aveva il coraggio di dichiararmi tutto il suo amore.
C’erano molti studenti nei due condomini, come anche persone di una certa età, e per lungo tempo m’interrogai su chi potesse essere quell’ombra che mi spiava nel buio. Una sera, di ritorno da una lezione all’università, mi fermai di fronte alle cassette della posta e le esaminai con cura, cercando di scoprire chi abitasse al terzo piano della palazzina di fronte alla mia. Il cerchio iniziò a restringersi quando compresi che su quel pianerottolo c’erano solo quattro appartamenti, dei quali, solo due avevano le finestre nella direzione del mio balcone. In questi unici due appartamenti vi erano sei studenti, tre maschi e tre femmine, che frequentavano la facoltà di ingegneria. Una volta ristretto il campo, capii che chi mi spiava ormai ogni sera, quantomeno era un ragazzo e non un anziano bavoso che guardava il mio corpo per ricordarsi come era fatta una donna vera.
Quando venne la primavera, il suo profumo potevi sentirlo nell’aria del mattino. Avevo sempre amato il periodo che precedeva l’estate, forse perché ero cresciuta in campagna e quelle sensazioni mi ricordavano la mia infanzia. Conclusi gli ultimi esami della sessione in maniera brillante, del resto, non avevo altro da fare che studiare e seguire le lezioni, nonostante alcune sere uscivo per andare al cinema con alcune ragazze con le quali avevo stretto amicizia in facoltà. Con l’avvento della stagione calda era più facile per me mostrarmi a quell’ombra anonima che mi osservava dietro la tenda della sua finestra al buio. La curiosità mi assaliva ogniqualvolta facevo la doccia e, una volta entrata in camera, notavo che le tende di quel terzo piano si muovevano timide; per l’ombra era un appuntamento fisso e spesso mi lasciavo ammirare come se nulla fosse; avevo ritrovato la mia femminilità, la fiducia in me stessa e nel mio corpo; volevo con tutta me stessa sentirmi bella agli occhi di qualcun altro.
Una sera di primavera feci una doccia calda e, avvolta nell’accappatoio, entrai nella stanza che dava sulla finestra dell’ombra. Spalancai il balcone, feci cadere l’accappatoio in terra e rimasi nuda accanto al letto. Con la coda dell’occhio cercavo di notare i movimenti della tenda, a volte erano impercettibili. Anche quella sera lui era lì e non mi fu difficile capirlo. Presi dell’olio da massaggio e, come sempre dopo aver fatto la doccia, iniziai a strofinarmelo per il corpo, accettando che lui si godesse lo spettacolo. Massaggiai i miei seni e li cosparsi di olio che odorava di pesca. Presi a spalmarlo sulle mie cosce non proprio snelle e, lentamente, sentivo che l’eccitazione saliva; la vagina iniziava a inumidirsi, consapevole del fatto che l’ombra stesse osservando i miei movimenti e, magari, stava per darsi piacere da solo. Mi sedetti sul letto, aprii le gambe in direzione della finestra e iniziai a stimolarmi il clitoride. Avevo tanto bisogno di sentire un uomo al mio fianco che fu come se ci facessi l’amore con l’ombra, donandogli un mio momento intimo, senza vergogna alcuna, non curandomi del fatto che mi stesse guardando.
Dopo quella volta trascorsero un paio di settimane senza che l’ombra si presentasse dietro la finestra. Mancava poco all’ultimo esame della sessione estiva, poi sarei tornata dai miei genitori e avrei trascorso l’estate al mare con la mia famiglia. Non vedevo l’ora. Da quando ero andata lontano per motivi di studio, mi mancavano ogni giorno di più. Presi a studiare tutto il giorno.
Una mattina, mentre ero seduta alla scrivania colma di libri e appunti, il mio cellulare produsse una vibrazione. Lo raccolsi sotto il mare di carte che lo sommergevano. Era un messaggio da un numero sconosciuto: “Sei uno spettacolo bellissimo”, diceva. Risposi quasi subito, non senza sentire dentro di me un po' di inquietudine: “Chi sei?”
“Colui che ogni sera ti guarda e si gode il tuo corpo”.
Era l’ombra. Ma come aveva avuto il mio numero? Inizialmente ebbi paura, ma poi, tutto sommato, mi faceva piacere avere un ammiratore segreto con il quale, adesso, potevo anche interloquire. Scacciai subito quel pensiero e continuai a parlare.
“Non sarai mica un maniaco?” gli chiesi.
“Ma quale maniaco, stai tranquilla! Sono solo un uomo che si gode una bellissima vista ogni sera”
“Vuoi dire che il mio corpo è una vista bellissima?”
“Altroché. Dalla prima volta che ti ho vista spero sempre che tu ti spogli davanti alla finestra, anche se sono molte sere che non riesco a vederti”
“Ho molto da studiare, sai, l’ultimo esame è alle porte.”
“A chi lo dici. Posso capirti benissimo”.
Quindi era uno studente. Non mi ero sbagliata. “ora, se permetti vorrei tornare a studiare”
“Certo, figurati. È stato un piacere parlare con te”
Quando chiudemmo la comunicazione rimasi con il cellulare stretto nella mano, chiedendomi come poteva aver avuto il mio numero. Mi interrogai su quel quesito per molto tempo, ma il dubbio era assalito dalla voglia di conquista, dalla smania di sentirmi bella e desiderata. Salvai il suo numero in rubrica: “l’ombra”
Finii di studiare verso le 19 quel giorno, ed ero sfinita. Mi preparai una cena leggera e andai a fare una doccia, per poi mettermi subito a letto.
Nei giorni seguenti io e l’ombra parlammo molto. Era diventato un amico, anche se non l’avevo mai visto. L’inquietudine lasciò il posto alla curiosità di scoprire quel ragazzo che studiava alla facoltà di ingegneria, timido e, molto probabilmente, nerd come me. Ci tenne a scusarsi più del dovuto, dicendomi che non era bello spiarmi ogni sera. Gli risposi in più di un’occasione che anche io avevo invogliato le sue voglie, avrei potuto benissimo chiudermi dentro mentre mi spogliavo, ma non l’avevo fatto. Non volle rivelarmi come aveva avuto il mio numero, anche se il mio istinto mi diceva che, molto probabilmente, dovevamo avere qualche amicizia in comune in facoltà, dove, gira e rigira, si incontravano sempre le stesse facce a lezione. Quando uscivo nel cortile del nostro palazzo cercavo di individuarlo, ma non ci riuscii mai. Evidentemente avevamo orari diversi.
Una sera, di ritorno dall’università, feci una lunga doccia rilassante e tornai in camera indossando solo l’accappatoio, quello rosa che avevo comprato qualche temo prima; il cellulare era sul tavolo. Lo presi e guardai lo schermo, chiedendomi se avessi dovuto farlo o meno. Spalancai la finestra che dava sul balcone e scrissi un messaggio all’ombra, senza pensarci più di tanto.
“Perché non ti godi lo spettacolo?” scrissi.
Mi rispose dopo poco. “Con il tuo permesso, si capisce”
“Certo. Guarda pure”
Guardai una luce accendersi al terzo piano e la solita ombra che scostava le tende. Tolsi l’accappatoio e restai nuda. Iniziai a toccarmi il seno, poi scesi con la mano verso il ventre e presi ad accarezzarmi la vagina. Lo facevo con estrema naturalezza, consapevole di essere guardata da quello che orami era diventato quasi una presenza fissa, un amico, se volevamo dirla tutta.
Questa volta mi eccitai più delle altre volte, perché ero stata io a volerlo, ero cosciente del fatto che lui mi stesse ammirando e questo mi faceva sentire bella come non lo ero mai stata. Tolsi gli occhiali da secchiona e li buttai sul letto. Mi sedetti sul bordo e spalancai per bene le gambe in direzione della finestra; iniziai a masturbarmi. Avevo la vagina umida e, più la toccavo, più sentivo che si bagnava, fin quando non divenne un lago.
Il cellulare squillò. Risposi. Era lui. “sei bellissima” mi sussurrò. Era la prima volta che sentivo la sua voce.
“Mi prendi in giro” dissi.
“Ti piace sapere che ti sto ammirando?”
“Non sai quanto. Sono tutta bagnata”
“Anche a me è venuto duro. Dai continua a toccarti, ti sto guardando”.
Misi il telefono in viva-voce e lo poggiai accanto a me sul letto. Ripresi a toccarmi; sentivo il suo respiro sempre più affannato provenire dal microfono del telefono ed espandersi nella stanza. Iniziai ad eccitarmi sul serio. Probabilmente si stava masturbando anche lui ed essere l’oggetto del suo piacere faceva crescere il mio ego in maniera esponenziale. Ogni tanto gettavo uno sguardo verso la sua finestra e potevo percepire dei piccoli movimenti dell’ombra. Improvvisamente la comunicazione si interruppe. Aveva riagganciato. Rimasi delusa, ma continuai a toccarmi, consapevole che il mio orgasmo era vicino. Lo raggiunsi dopo poco e mi precipitai a chiudere la finestra. La luce dell’ombra si era spenta e aveva abbassato la serranda. Mi rivestii e andai a letto.
L’ultimo esame andò bene. Prima di partire per tornare dai miei, l’amministratore del condominio annunciò una riunione di fine anno che si sarebbe tenuta nella saletta del custode. Pensai che quello sarebbe stato il momento adatto per guardare negli occhi l’ombra. Volevo dare un volto a quella persona sconosciuta con la quale avevo condiviso quel momento. Durante la riunione nascosi il cellulare nella borsa e al momento giusto, quando pensai che nessuno mi stesse guardando, feci partire una chiamata verso quel numero. Si sentì uno squillo. Un ragazzo all’interno della sala mise la mano dietro il jeans e afferrò il telefono; guardò lo schermo e rifiutò la chiamata. Divenne rosso come un peperone. L’avevo individuato. Avrà avuto non più di venticinque anni, basso di statura e non proprio un adone, ma aveva un viso simpatico e al tempo stesso buono. Pensai che mi potevo fidare.
Quando uscimmo dalla riunione lo avvicinai. “ciao”, gi dissi. Mi guardò pietrificato; divenne pallido in viso e cercò di balbettare qualche frase di scusa. “piacere, io mi chiamo Sara” , dissi. Come un gattino intimorito allungò la mano e me la strinse. “Piacere… Ma…Matteo”, rispose. “insomma sei tu l’ombra”
“l’ombra?” disse
“Sì. Dal primo momento ti ho chiamato in questo modo, non conoscendo nulla di te.”
“Ti chiedo scusa” disse timidamente.
Si vedeva lontano un miglio che era un ragazzo introverso che non aveva molta esperienza con le donne. Un po’ mi rivedevo ne suoi occhi. Era come la mia trasposizione maschile.
“Non è che mi denuncerai?”
“Macché” dissi. “Magari, però, potremmo conoscerci meglio”
Era visibilmente in imbarazzo. Non riusciva a parlare ma potevo scorgere dietro il suo sguardo un mare di emozioni che avevo voglia di approfondire.
“Posso offrirti un gelato?” mi chiese.
“Certo. Adoro la fragola”
“Io la nocciola”
“dai cosi mentre mangiamo il gelato mi spiegherai anche come hai ottenuto il mio numero”, dissi ridendo. Lui fece un sorriso imbarazzato.
Camminammo insieme e chiacchierammo per tutta la sera. Non mi lasciai condizionare dal suo aspetto, proprio come molte volte avevano fatto con me gli uomini, e decisi di dargli una possibilità, quella che molti non avevano dato a me.
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