Cosa intendevo quando ti ho detto «è strano vivere nel tempo»
di
Dora
genere
sentimentali
Ding ding ding ding
Le monete di resto cadono giù dal distributore, le agguanta tutte, le conta e le riconta, ma comunque le ha fottuto due euro e dieci. È il prezzo da pagare perché non è voluta entrare in farmacia e dire «scusi, mi servirebbe un pacco di preservativi XL», nonostante la preparazione psicologica e le canzoni motivazionali zeppe di “I’m cunty” e la riproduzione casuale che propone “Pop porno” appena prima di arrivare.
C’è un sole così azzurro e un cielo così brillante o forse era il contrario, non è poi così importante cosa è cosa, chi è chi, lei cammina in quel quartiere popolare con le case sgarrupate, gli stendini sui marciapiedi e l’asfalto colabrodo, all’orizzonte vede già le barriere verdi della ferrovia.
Messaggino:
Presi, sto arrivando
Messaggino:
Sono giù
Giù nella strada chiusa dietro le barriere verdi.
Appoggiata al cancello prende il sole e aspetta che lui scenda ad aprire - da sopra non si può. La manifattura di tabacchi abbandonata si intravede dietro i palazzi con le sue centinaia di finestre. Il viso pallido brilla al riflesso delle monete che la porta si apre e “Che stai facendo” “Conto il resto, ma mancano proprio due euro”.
Ed entrano in camera e lui si scusa ma sta finendo di sistemare i vestiti e di guardare un video sui programmi delle elezioni tedesche, “Lo sai che AfD ha una candidata lesbica? Nel programma però non hanno nessuna legge che tratti temi LGBT” e a lui questo sembra positivo e lei un po’ si acciglia ma non ha voglia di parlare di politica, allora “Guarda, ti è ritornata la muffa sul muro”.
Ma è un diversivo momentaneo prima del “siediti qui”, prima delle carezze sui collant e dei complimenti per la gonnellina scozzese e degli strilli per il solletico e dei baci, tanti baci, sulla bocca sul collo che alla fine lui propone sorridendo: “Nudi sotto le coperte?” “Sì!”.
Nella stanza ammuffita lui fa volare la sua tuta, lei sbottona la gonna, esce da maglioni e magliette, sfila i collant e fa saltare il gancetto del reggiseno. Si abbracciano pelle contro pelle, il ragazzo sceglie la musica, si decide per una playlist che avevano trovato per caso un’altra notte in cui erano in quel letto, «Canzoni per essere uccisi ma in modo erotico». Alla ragazza non fa troppa differenza, sprofonda nel suo petto morbido e compatto, si fa avvolgere dai bicipiti e inala quel suo odore di incenso, pino e fiori.
Erano rimasti uno dentro l’altra, stringendosi e mordendosi come se quello non fosse abbastanza, come se solo inglobandosi avrebbero raggiunto la soddisfazione.
Due preservativi usati già per terra. Lui aveva ordinato da mangiare al Burger King, lei aveva un panino con lo speck nello zaino, nonostante il manifesto disprezzo per quei fast-food multinazionali aveva proteso la bocca verso la patatina fritta che lui le porgeva. Il gusto unto e salato le era esploso sulle papille gustative e aveva pensato che il cibo è sempre meglio dopo il sesso.
“Andiamo in biblioteca?”; “Vado in bagno a darmi una sistemata” ed era dovuta passare in cucina dove inaspettatamente bivaccavano i due coinquilini che “Ho fatto una torta se volete provarla” ma era fuggita con un ciao e la gonna mezza sbottonata e un asciugamano a coprire i capezzoli ancora turgidi sotto la maglia intima bianca.
Si chiese se la sentissero dalle pareti, ansimare sottilmente e gemere mentre veniva.
Ma non ebbe il tempo di pensarci perché di nuovo chiusi in camera, era venuto fuori: “Com’è possibile che tu non ti sia mai fatta una sveltina”.
E di nuovo lo aveva avuto dentro, sentirlo farsi strada tra le sue pareti, divelta sul letto con collant e mutandine, appena rimessi e già abbassati, la maglia infilata solo per un braccio. Qualcosa intorno ai cinque minuti, il tempo di essere rivoltata con la schiena sul letto, le gambe sulla testa, ad incorniciare il viso di lui, il cazzo che spingeva in alto in un punto così giusto.
Le sveltine erano il piacere di possedersi ancora una volta prima di uscire, prima di andare in aula studio e fare finta di essere amici. Anche se si punzecchiavano continuamente e probabilmente tutti gli impiccioni che gli giravano intorno avevano capito cosa c’era sotto. Ma non avevano la certezza, questo bastava ai due ragazzi. Un velo di segretezza sotto cui farsi battutine, senza avere gli sguardi degli altri puntati addosso come riflettori, senza entrare nei loro pettegolezzi oppure entrandoci solo in obliquo.
A volte, nella penombra della stanza ammuffita, era la ragazza a prendere il controllo. Lui la lasciava fare, sdraiato, con i polsi bloccati sulla testa. Lei ammirava i suoi occhi chiusi, la bocca semiaperta, il viso incorniciato dai riccioli, le braccia e le spalle muscolose, il petto robusto ma candido e morbido su cui amava premere i suoi seni.
La stupiva esserne capace, sentire scorrere un piccolo potere nelle vene, a volte le sembrava di non essere davvero lei che lo scopava e lo mordeva e faceva uscire quegli ansimi dalla sua bocca, che arrivava a premere timidamente una mano intorno al suo collo. Eppure non era un doppio, era una nuova parte della sua interiorità, un segnale che ogni tanto poteva essere in controllo o per lo meno dirsi “fake it ‘till you make it” e godersi la bocca semiaperta e lo sguardo trasognato dell’uomo incastrato dentro a quel suo corpicino arzigogolato dal culetto bianco e saltellante.
Ed erano come un puzzle dall’immagine indefinita a cui si incastravano nuovi pezzi giorno dopo giorno, ed erano un vaso gigante in cui gettare graffette inanellate, ed erano animali che si desiderano per il sapore della propria saliva e gli odori della propria pelle, ed erano di notte con gli occhi vulnerabili come uova crude – spaventati – dal passato e dal futuro, dal rumore sottile di ossa che scricchiolano come piccoli pezzetti di legno che schizzano da un ciocco piallato ma grati di essersi trovati, in quel letto in quel momento, con le braccia e le gambe strette l’una sull’altro a guardarsi e non guardarsi a sbirciarsi a sussurrare a interrompersi perché non si sa come esprimere un’emozione difficile
ad avere paura ma per Dio! grazie a Dio! per Giove per Buddha per il caos l’universo la quantistica la riposta alle domande sull’universo e tutto quanto
non solo quella.
a scambiarsi baci umidi sulla bocca
di labbra come lumache danzanti
Le monete di resto cadono giù dal distributore, le agguanta tutte, le conta e le riconta, ma comunque le ha fottuto due euro e dieci. È il prezzo da pagare perché non è voluta entrare in farmacia e dire «scusi, mi servirebbe un pacco di preservativi XL», nonostante la preparazione psicologica e le canzoni motivazionali zeppe di “I’m cunty” e la riproduzione casuale che propone “Pop porno” appena prima di arrivare.
C’è un sole così azzurro e un cielo così brillante o forse era il contrario, non è poi così importante cosa è cosa, chi è chi, lei cammina in quel quartiere popolare con le case sgarrupate, gli stendini sui marciapiedi e l’asfalto colabrodo, all’orizzonte vede già le barriere verdi della ferrovia.
Messaggino:
Presi, sto arrivando
Messaggino:
Sono giù
Giù nella strada chiusa dietro le barriere verdi.
Appoggiata al cancello prende il sole e aspetta che lui scenda ad aprire - da sopra non si può. La manifattura di tabacchi abbandonata si intravede dietro i palazzi con le sue centinaia di finestre. Il viso pallido brilla al riflesso delle monete che la porta si apre e “Che stai facendo” “Conto il resto, ma mancano proprio due euro”.
Ed entrano in camera e lui si scusa ma sta finendo di sistemare i vestiti e di guardare un video sui programmi delle elezioni tedesche, “Lo sai che AfD ha una candidata lesbica? Nel programma però non hanno nessuna legge che tratti temi LGBT” e a lui questo sembra positivo e lei un po’ si acciglia ma non ha voglia di parlare di politica, allora “Guarda, ti è ritornata la muffa sul muro”.
Ma è un diversivo momentaneo prima del “siediti qui”, prima delle carezze sui collant e dei complimenti per la gonnellina scozzese e degli strilli per il solletico e dei baci, tanti baci, sulla bocca sul collo che alla fine lui propone sorridendo: “Nudi sotto le coperte?” “Sì!”.
Nella stanza ammuffita lui fa volare la sua tuta, lei sbottona la gonna, esce da maglioni e magliette, sfila i collant e fa saltare il gancetto del reggiseno. Si abbracciano pelle contro pelle, il ragazzo sceglie la musica, si decide per una playlist che avevano trovato per caso un’altra notte in cui erano in quel letto, «Canzoni per essere uccisi ma in modo erotico». Alla ragazza non fa troppa differenza, sprofonda nel suo petto morbido e compatto, si fa avvolgere dai bicipiti e inala quel suo odore di incenso, pino e fiori.
Erano rimasti uno dentro l’altra, stringendosi e mordendosi come se quello non fosse abbastanza, come se solo inglobandosi avrebbero raggiunto la soddisfazione.
Due preservativi usati già per terra. Lui aveva ordinato da mangiare al Burger King, lei aveva un panino con lo speck nello zaino, nonostante il manifesto disprezzo per quei fast-food multinazionali aveva proteso la bocca verso la patatina fritta che lui le porgeva. Il gusto unto e salato le era esploso sulle papille gustative e aveva pensato che il cibo è sempre meglio dopo il sesso.
“Andiamo in biblioteca?”; “Vado in bagno a darmi una sistemata” ed era dovuta passare in cucina dove inaspettatamente bivaccavano i due coinquilini che “Ho fatto una torta se volete provarla” ma era fuggita con un ciao e la gonna mezza sbottonata e un asciugamano a coprire i capezzoli ancora turgidi sotto la maglia intima bianca.
Si chiese se la sentissero dalle pareti, ansimare sottilmente e gemere mentre veniva.
Ma non ebbe il tempo di pensarci perché di nuovo chiusi in camera, era venuto fuori: “Com’è possibile che tu non ti sia mai fatta una sveltina”.
E di nuovo lo aveva avuto dentro, sentirlo farsi strada tra le sue pareti, divelta sul letto con collant e mutandine, appena rimessi e già abbassati, la maglia infilata solo per un braccio. Qualcosa intorno ai cinque minuti, il tempo di essere rivoltata con la schiena sul letto, le gambe sulla testa, ad incorniciare il viso di lui, il cazzo che spingeva in alto in un punto così giusto.
Le sveltine erano il piacere di possedersi ancora una volta prima di uscire, prima di andare in aula studio e fare finta di essere amici. Anche se si punzecchiavano continuamente e probabilmente tutti gli impiccioni che gli giravano intorno avevano capito cosa c’era sotto. Ma non avevano la certezza, questo bastava ai due ragazzi. Un velo di segretezza sotto cui farsi battutine, senza avere gli sguardi degli altri puntati addosso come riflettori, senza entrare nei loro pettegolezzi oppure entrandoci solo in obliquo.
A volte, nella penombra della stanza ammuffita, era la ragazza a prendere il controllo. Lui la lasciava fare, sdraiato, con i polsi bloccati sulla testa. Lei ammirava i suoi occhi chiusi, la bocca semiaperta, il viso incorniciato dai riccioli, le braccia e le spalle muscolose, il petto robusto ma candido e morbido su cui amava premere i suoi seni.
La stupiva esserne capace, sentire scorrere un piccolo potere nelle vene, a volte le sembrava di non essere davvero lei che lo scopava e lo mordeva e faceva uscire quegli ansimi dalla sua bocca, che arrivava a premere timidamente una mano intorno al suo collo. Eppure non era un doppio, era una nuova parte della sua interiorità, un segnale che ogni tanto poteva essere in controllo o per lo meno dirsi “fake it ‘till you make it” e godersi la bocca semiaperta e lo sguardo trasognato dell’uomo incastrato dentro a quel suo corpicino arzigogolato dal culetto bianco e saltellante.
Ed erano come un puzzle dall’immagine indefinita a cui si incastravano nuovi pezzi giorno dopo giorno, ed erano un vaso gigante in cui gettare graffette inanellate, ed erano animali che si desiderano per il sapore della propria saliva e gli odori della propria pelle, ed erano di notte con gli occhi vulnerabili come uova crude – spaventati – dal passato e dal futuro, dal rumore sottile di ossa che scricchiolano come piccoli pezzetti di legno che schizzano da un ciocco piallato ma grati di essersi trovati, in quel letto in quel momento, con le braccia e le gambe strette l’una sull’altro a guardarsi e non guardarsi a sbirciarsi a sussurrare a interrompersi perché non si sa come esprimere un’emozione difficile
ad avere paura ma per Dio! grazie a Dio! per Giove per Buddha per il caos l’universo la quantistica la riposta alle domande sull’universo e tutto quanto
non solo quella.
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