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di
genere
etero

I trentenni per me sono stati una grande delusione. Ho sempre pensato che uscire con un ragazzo più grande sarebbe stato qualcosa di travolgente. Mi immaginavo giovani uomini con la barba, un accenno di rughette attorno agli occhi e un sacco di storie da raccontare. Ho visto troppi film e letto troppi libri e ascoltato troppa musica.
O forse ho solo conosciuto i trentenni sbagliati, Tinder è quello che è, i più interessanti sono probabilmente in una relazione stabile.
La sicurezza c’è, hanno praticamente tutti un lavoro, scherzano e sopperiscono con gioia alla mia indole timida. Alcuni in modo anche troppo solerte che mi mette a disagio. Non sono mica un giocattolo rotto che devi aggiustare, sono un fiore che sboccia con lentezza, devi darmi acqua ma anche i miei sacrosanti spazi!!
Al primo appuntamento con uno di loro, quando si è messo a parlare per mezz’ora del suo incidente in moto e dei suoi problemi fisici, ho constatato che le battute sul deperimento del corpo sono tristemente vere. Passano il sabato sera in casa o a mangiare nei locali, piuttosto che in giro o a ballare. Hanno mal di schiena o mal di spalle e non fanno più le cinque come una volta. Non c’è niente di male, li accetto per quello che sono, probabilmente finirò anche io ad essere così. Ora come ora mi chiedo, ha senso per me a vent’anni sobbarcarmi la loro stanchezza? La risposta è no, almeno credo.
Ho realizzato che tra una donna etero di vent’anni e un uomo etero di trent’anni esiste un gap generazionale non trascurabile. Sono giovane, femminista, attenta ai temi sociali e ambientali, maledettamente sensibile e a tratti fragile. E loro sono poco in contatto con le loro emozioni, attaccati ad un umorismo datato, sorpresi dal fatto che io guidi, per nulla interessati a capire come sono fatta.
Dove sono finiti gli attori che ti fanno scoprire nuove bellissime poesie per poi farti avere sei orgasmi? I musicisti senza speranza con una dipendenza da nicotina che ti scopano venerandoti con sotto il miglior gruppo punk rock che tu abbia mai ascoltato?
Vivono solo nella mia testa? Forse sono stati mangiati dai laureati in sociologia disoccupati, che ti raccontano di dove parcheggiavano la macchina dieci anni fa; dai dottori neo-impiegati che vogliono disperatamente comprarti un libro perché te lo meriti, ma non ti suscitano niente se non una vaga simpatia amicale; dai possessori di bar e ristoranti, che non hai mai visto, ma pensano sia una buona idea invitarti nella loro casa in campagna alle due di notte per una canna.

Ho capito che non sono pronta per una persona stabile, sono così emotivamente precaria e ho bisogno di qualcuno che capisca o almeno si ricordi di queste sensazioni, che non le sminuisca. Una mia cara amica mi ha lanciato uno sguardo inorridito quando l’ho detto, è inconcepibile per lei il desiderare una persona emotivamente complicata. La capisco, vorrei non averne bisogno perché i legami di quel tipo sono montagne russe, ma se si riesce ad essere veramente sinceri e aperti l’uno con l’altro, secondo me si può avere qualcosa di veramente profondo e degno di esistere al di là di tutti i casini e il dolore. Non so ben spiegare il tipo di persona che cerco, probabilmente mi penserete in una relazione tossica in cui lui mi maltratta, ma non intendevo questo. Penso più al tipo di cosa dove vivere fa soffrire entrambi ma insieme cercate di capirci meglio qualcosa.

L’ultimo trentenne con cui sono uscita è un barista, cinico e brontolone, con delle occhiaie bellissime. Trovavo divertente il fatto di non avere nulla in comune, a volte non ne posso più di stare nella mia testa. Lui mi prendeva in giro, quel tipo di dispetti tutti maschili, parte integrante del flirt, che ti fanno sorridere sottilmente e fingere di esserti offesa.
A casa sua ci sono andata ma non volevo farci sesso, non ero depilata né psicologicamente pronta, che è la parte più rilevante. Siamo finiti a coccolarci per due ore davanti ad un film di Fantozzi, abbastanza surreale. Il suo modo di stringermi e accarezzarmi, passarmi le dita sulle labbra e poi alla fine giocare con un mio capezzolo e chiedermi oscenamente cosa stesse toccando, quello sì era stato eccitante.
Pensavo che avrei conosciuto finalmente la sua generazione anche dal punto di vista sessuale, che forse le voci sul fatto che fossero più bravi erano vere.
Poi puff... sparito tra il lavoro e il mal di schiena, le mie richieste di uscire ignorate.

Sono andata a ballare perché ero stanca e scazzata, non contavo sul fatto che mi avrebbe fatto stare meglio, semmai pensavo che sarei stata peggio. Avevo un maglione nero a v, terribilmente noioso, una gonna colorata carina ma non abbastanza corta, calze velate e scarpe nere, normali. Intorno a me ragazze con corsetti e minuscoli top. “Sono troppo vestita” ho detto ai miei amici. E quella sensazione tossica di inadeguatezza, il caldo e la penombra, mi hanno spinto ad un certo punto a mettermi a ballare in reggiseno. In quel momento ho iniziato a sentirmi bene, è diventato tutto catartico.
Qualcuno si è avvicinato alla mia sinistra:
- Scusami, ti ho notato da un po’ mentre ballavi e volevo solo dirti che sei bellissima, hai un viso davvero dolce e sei davvero bella. Non ci sto provando, tranquilla, sono gay.
Gli ho voluto davvero bene, è bastata quella frase per cancellare giorni di incertezza e scarsa autostima. Si è allontanato e ho continuato a muovermi sorridendo, solo per poco, alla mia destra è comparso un altro ragazzo. Alto, biondino, un cappellino da baseball in testa, zigomi definiti, sguardo tagliente.
- Ciao, il mio amico è venuto perché mi ha sfidato ad avere il coraggio di chiederti un bacio. Se ti va...
- Non lo so, quanti anni hai?
- Trentatré.
L’ho baciato e più avanti durante la notte gliel’ho richiesto. Ed è stato il tipo di bacio che ti dà un uomo ubriaco, irruente, con le labbra che premono forti sulle tue, il retrogusto dolciastro dell’alcool e quello acidulo del fumo, la barba sul punto di spuntare che ti lascia la pelle formicolante. Ed è quel senso di scelta, di incontro di corpi che si vogliono che mi manda fuori di testa, ne vorrei sempre di più, sempre di più.
- Io sono Giuliano e tu sei Dora e adesso ci salutiamo.
Ho baciato un poeta popolare che non sa di esserlo, ha racchiuso la nostra essenza in una tautologia, io sono io, tu sei tu, solo noi sappiamo quello che siamo e non importa, abbiamo condiviso qualcosa di fisico e tangibile, ora ci separiamo.

Non ho una relazione stabile e continuo ad incontrare persone più o meno incompatibili per i motivi più svariati, alla fine però ognuno di loro mi lascia qualcosa. E a forza di sbagliare prima o poi forse scoperò di nuovo anche io...
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scritto il
2023-03-16
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