Il Barista Immaginario
di
Dora
genere
comici
- Una bottiglietta d’acqua.
- Come sei seria? Chi dobbiamo sgridare? Il tuo ragazzo? Ti ha fatto arrabbiare?
- Il mio ragazzo non c’è più.
Neanche fosse morto, ho risposto in modo più teatrale del dovuto.
- Ah, ti ha lasciato.
- Sì, ma ormai è passato un po’ di tempo.
- Come si dice, meglio soli che male accompagnati. Poi se arriva qualcuno a cui si vuole bene...
- Sì, è vero.
Sorrido, il barista consolatore mancava nella mia vita.
- Ciao bella! Che ti do?
- Una bottiglietta d’acqua.
- Mi deludi.
- Eh, lo so. Ho preso una Sambuca a inizio serata, ma adesso non posso bere. Devo guidare.
- Vomitare?
- No, no, guidare.
- Ahh, menomale.
Ci salutiamo e vado via.
Ogni tanto fantastico sul barista. Ha la barba folta e gli occhi profondi. Sembra aver sostituito quel Pierluigi che mi stava tanto antipatico.
Sembra essere sui venticinque anni, forse di più. Probabilmente fa così con tutte. Però mi ha fatto sorridere e va sempre bene.
Nel film che mi sono fatta, in qualche modo non specificato, andiamo al mare insieme. Ci tuffiamo dagli scogli e iniziamo a nuotare. I muscoli si contraggono per lo sforzo. Le onde e l’acqua fresca. Finiamo a baciarci.
Si nota che è una fantasia perché non so come potrei restare a galla e farmi prendere dalla passione allo stesso tempo.
Però c’è qualcosa nelle bocche che si cercano, nei corpi che lottano per restare vicini, nel sapore del sale sulle labbra.
Ritorniamo sulla scogliera. Ci siamo solo noi, quindi è un primo pomeriggio, giorno feriale, settembre. I turisti sono andati via. Ci hanno lasciati soli. E noi ci stiamo bene, solitari e malinconici.
Magari restiamo a fissarci per qualche minuto, per riprendere fiato e realizzare che la cosa è reale. Quanto è da folle inserire un momento di “realizzazione” in una fantasia?
Comunque – Alleluia! – possiamo baciarci come si deve.
In piedi. Le mie mani dietro al suo collo, fra i capelli, sulla schiena. Le sue mani sulla schiena e sui fianchi, infilate nei laccetti del costume.
Le labbra sul collo a leccare il sale. I denti sul collo perché ci piacciono.
- La mia casa al mare è qui vicino, ti va?
Così, diretta. Ovviamente direbbe di sì. Raccatteremmo le nostre cose in velocità. Lo prenderei per mano, lo porterei alla mia macchina. Adoro portare i ragazzi in giro con la mia macchina. Quindi diretti a casa.
Immagine successiva. Ci sono io seduta sul tavolo del soggiorno. Lui davanti a me, mi accarezza le cosce sotto il vestitino bianco. Ad un certo punto mi solleva, caccio un gridolino di finto spavento. In realtà mi fa impazzire l’idea. Non ne può più, quindi deve sollevarmi e scaraventarmi su un letto, sfilarmi il vestito e iniziare a divorarmi.
Il collo, le clavicole, le spalle. Con le labbra, con i denti e con la lingua. Irruento ma non frettoloso. E poi finalmente il seno, già libero dal pezzo di sopra. Stretto nelle mani. I polpastrelli che solleticano i capezzoli, seguiti dalla lingua. Ancora e ancora, fino a quando non lo supplico di darmi di più. Mi guarda, scende baciandomi la pelle sensibile della pancia e mi sfila le mutandine del costume. Dice qualcosa di totalmente irrealistico, tipo: “Cristo, mi fai impazzire”. E inizia a leccare e succhiare piano il clitoride. Mi mette una o due dita dentro per sentire quanto sono bagnata.
Qui la fantasia si fa confusa, poco dettagliata. Ci sono i suoi capelli castani tra le mie dita. Le cosce che gli stringono la testa. Il mio corpo inarcato. I gemiti. L’orgasmo.
Me lo meriterei. Non lo dico per presunzione. Lo dico perché so quello che ho passato.
La fantasia dovrebbe ampliarsi. Anche il barista ha bisogno della sua consolazione, anche lui se la meriterebbe. Però questa cosa che ho immaginato e scritto è già abbastanza strana. Sicuramente quando la rileggerò mi farà schifo.
E poi ho voglia di chiudere gli occhi e baciarlo, questo mio barista immaginario. Consolarmi un po’.
- Come sei seria? Chi dobbiamo sgridare? Il tuo ragazzo? Ti ha fatto arrabbiare?
- Il mio ragazzo non c’è più.
Neanche fosse morto, ho risposto in modo più teatrale del dovuto.
- Ah, ti ha lasciato.
- Sì, ma ormai è passato un po’ di tempo.
- Come si dice, meglio soli che male accompagnati. Poi se arriva qualcuno a cui si vuole bene...
- Sì, è vero.
Sorrido, il barista consolatore mancava nella mia vita.
- Ciao bella! Che ti do?
- Una bottiglietta d’acqua.
- Mi deludi.
- Eh, lo so. Ho preso una Sambuca a inizio serata, ma adesso non posso bere. Devo guidare.
- Vomitare?
- No, no, guidare.
- Ahh, menomale.
Ci salutiamo e vado via.
Ogni tanto fantastico sul barista. Ha la barba folta e gli occhi profondi. Sembra aver sostituito quel Pierluigi che mi stava tanto antipatico.
Sembra essere sui venticinque anni, forse di più. Probabilmente fa così con tutte. Però mi ha fatto sorridere e va sempre bene.
Nel film che mi sono fatta, in qualche modo non specificato, andiamo al mare insieme. Ci tuffiamo dagli scogli e iniziamo a nuotare. I muscoli si contraggono per lo sforzo. Le onde e l’acqua fresca. Finiamo a baciarci.
Si nota che è una fantasia perché non so come potrei restare a galla e farmi prendere dalla passione allo stesso tempo.
Però c’è qualcosa nelle bocche che si cercano, nei corpi che lottano per restare vicini, nel sapore del sale sulle labbra.
Ritorniamo sulla scogliera. Ci siamo solo noi, quindi è un primo pomeriggio, giorno feriale, settembre. I turisti sono andati via. Ci hanno lasciati soli. E noi ci stiamo bene, solitari e malinconici.
Magari restiamo a fissarci per qualche minuto, per riprendere fiato e realizzare che la cosa è reale. Quanto è da folle inserire un momento di “realizzazione” in una fantasia?
Comunque – Alleluia! – possiamo baciarci come si deve.
In piedi. Le mie mani dietro al suo collo, fra i capelli, sulla schiena. Le sue mani sulla schiena e sui fianchi, infilate nei laccetti del costume.
Le labbra sul collo a leccare il sale. I denti sul collo perché ci piacciono.
- La mia casa al mare è qui vicino, ti va?
Così, diretta. Ovviamente direbbe di sì. Raccatteremmo le nostre cose in velocità. Lo prenderei per mano, lo porterei alla mia macchina. Adoro portare i ragazzi in giro con la mia macchina. Quindi diretti a casa.
Immagine successiva. Ci sono io seduta sul tavolo del soggiorno. Lui davanti a me, mi accarezza le cosce sotto il vestitino bianco. Ad un certo punto mi solleva, caccio un gridolino di finto spavento. In realtà mi fa impazzire l’idea. Non ne può più, quindi deve sollevarmi e scaraventarmi su un letto, sfilarmi il vestito e iniziare a divorarmi.
Il collo, le clavicole, le spalle. Con le labbra, con i denti e con la lingua. Irruento ma non frettoloso. E poi finalmente il seno, già libero dal pezzo di sopra. Stretto nelle mani. I polpastrelli che solleticano i capezzoli, seguiti dalla lingua. Ancora e ancora, fino a quando non lo supplico di darmi di più. Mi guarda, scende baciandomi la pelle sensibile della pancia e mi sfila le mutandine del costume. Dice qualcosa di totalmente irrealistico, tipo: “Cristo, mi fai impazzire”. E inizia a leccare e succhiare piano il clitoride. Mi mette una o due dita dentro per sentire quanto sono bagnata.
Qui la fantasia si fa confusa, poco dettagliata. Ci sono i suoi capelli castani tra le mie dita. Le cosce che gli stringono la testa. Il mio corpo inarcato. I gemiti. L’orgasmo.
Me lo meriterei. Non lo dico per presunzione. Lo dico perché so quello che ho passato.
La fantasia dovrebbe ampliarsi. Anche il barista ha bisogno della sua consolazione, anche lui se la meriterebbe. Però questa cosa che ho immaginato e scritto è già abbastanza strana. Sicuramente quando la rileggerò mi farà schifo.
E poi ho voglia di chiudere gli occhi e baciarlo, questo mio barista immaginario. Consolarmi un po’.
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