Torre in H5: sesso matto - Capitolo 2

di
genere
etero

Ogni uomo ha il suo punto debole.
Per alcuni è il potere. Per altri, il denaro.
Per Luigi, era la sfida.
Non c’era nulla di più eccitante di una donna che non si concedeva subito, di un’avversaria degna di essere giocata mossa dopo mossa. Per questo, quando la vide per la prima volta, capì immediatamente che sarebbe stata la sua nuova ossessione.
Il locale era uno di quelli più esclusivi della città, il genere di posto dove la gente fingeva di essere sofisticata mentre annegava i propri fallimenti in cocktail costosi. Luigi era lì solo per una ragione: cacciare.
E poi la notò.
Alta, fianchi pronunciati, gambe incrociate con una sicurezza che parlava più di mille parole. I capelli neri raccolti in uno chignon perfetto, il vestito rosso che aderiva al corpo senza lasciare spazio all’immaginazione. Ma non era questo a colpirlo.
Era il suo sguardo.
Freddo, distaccato, come se nulla potesse impressionarla. Gli uomini attorno a lei? Inutili. Le loro battute? Prevedibili.
Luigi sorrise tra sé. Perfetta.
Primo movimento: attirare l’attenzione.
Non si avvicinò subito. Questo era l’errore che commettevano tutti gli altri, gettandosi addosso a lei come cani affamati. No, lui sapeva che una donna del genere andava incuriosita prima di essere conquistata.
Si sedette qualche tavolo più in là, ordinò un drink e si rilassò. Ma la osservava. Notava il modo in cui alzava appena il sopracciglio quando qualcuno cercava di impressionarla. Il modo in cui le sue dita giocavano distrattamente con il gambo del bicchiere, un gesto automatico e carico di sottotesti.
Lei percepì il suo sguardo.
Si voltò appena, incontrando i suoi occhi per meno di un secondo prima di tornare a ignorarlo.
Un altro uomo avrebbe pensato di non aver attirato il suo interesse. Luigi sapeva che era l’opposto.
Secondo movimento: il contatto iniziale.
Si alzò con calma e si avvicinò al bancone, posizionandosi proprio accanto a lei. Non la guardò subito, lasciò che fosse il caso a fare il primo passo. E il caso fu il barista.
«Vuole un altro, signorina?»
Lei sospirò. «Perché no.»
«E uno anche per lui,» aggiunse Luigi con naturalezza, annuendo al barista.
Solo allora si voltò verso di lei. Lei lo fissò, con un’aria impassibile che avrebbe intimorito chiunque.
Chiunque, tranne lui.
«Non ho detto di volerti offrire da bere.»
Luigi sorrise. «E non ho detto che lo stavi facendo.»
Silenzio. Un lungo, elettrico silenzio.
Poi, finalmente, un leggero accenno di sorriso. Non abbastanza da renderla meno pericolosa, ma sufficiente a fargli capire che la partita era ufficialmente iniziata.
Terzo movimento: il gioco della seduzione.
Si presentarono senza troppi convenevoli. Lei si chiamava Alessia. Nessun dettaglio superfluo, nessuna informazione concessa senza motivo. Ogni parola che pronunciava sembrava calcolata, misurata.
Luigi capì subito che non era una donna da adulare con stupide lusinghe. No, lei voleva essere sfidata.
Così lo fece.
«Di solito le donne come te non passano la serata da sole,» disse, sorseggiando il drink.
«E gli uomini come te non sanno stare senza provarci con qualcuna.»
Rideva. Ma non era una risata dolce, era una lama affilata.
Dio, era eccitante.
Quarto movimento: abbattere le difese.
Parlarono a lungo, come due schermidori che incrociavano le spade con sorrisi e doppi sensi. Ogni battuta era una provocazione, ogni risposta un colpo sferrato con precisione.
Finché Luigi non decise di alzare la posta.
Si avvicinò appena, inclinando la testa verso di lei.
«Hai paura di me?» le sussurrò, con lo stesso tono che tante altre volte aveva fatto cedere donne meno esperte.
Ma Alessia non si scompose.
Si avvicinò anche lei, fino a sfiorargli appena il lobo dell’orecchio con le labbra.
«Dovrei?» sussurrò a sua volta.
Il suo respiro era caldo, profumato di alcol e pericolo. Luigi sentì un brivido scorrergli lungo la schiena. Non era lui a condurre il gioco.
Non ancora.
Ultimo movimento: la resa.
Si baciarono nel parcheggio, addossati alla sua auto. Ma non fu un bacio dolce, né delicato. Fu un duello.
Alessia gli afferrò la cravatta, stringendola appena per tirarlo più vicino. Le sue unghie gli graffiavano la nuca mentre le loro lingue si scontravano in una battaglia ardente.
Luigi la spinse contro la portiera, il suo corpo premuto contro il suo, sentendo il calore di lei attraverso i vestiti.
«Vieni da me,» le disse, senza neanche provare a mascherarlo come una richiesta.
Lei si scostò appena, guardandolo con un sorriso di sfida.
«No.»
Luigi la fissò, sorpreso.
«No?» ripeté, come se fosse una parola che non aveva mai sentito prima.
Alessia si morse il labbro inferiore, lasciando che la sua espressione si tingesse di malizia.
«Voglio vederti sudare un po’.»
Si voltò, lasciandolo lì, con il sapore del suo bacio ancora sulle labbra e il desiderio incandescente che gli bruciava nelle vene.
Luigi la osservò allontanarsi, con la schiena dritta e il passo sicuro.
Dio, se l’avrebbe avuta.
La partita era appena cominciata.
scritto il
2025-02-25
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