Mira #1

di
genere
etero

Mira viene da un posto che non ho capito e comunque alle 7 del mattino ad Hampstead Heath fa un freddo del cazzo.

*

«Sei un fotografo?», mi chiede muovendosi per la stanza dentro la mia camicia stropicciata. Poi molla il caffè, tira fuori un disco a caso e lo mette sul piatto. Sono un grande fan dei Sonic Youth ma non tra il sonno e la veglia.

«Sei normale, tu?», le chiedo rotolando dal piumone alle assi del pavimento, e abbasso. Sotto e sopra c’è gente che dorme. Un sorso dalla tazza abbandonata, in fondo solo perché il primo tiro di sigaretta del giorno fila meglio con quel sapore in bocca. Fuck, che creatura divina.

*

Si vede la città che inizia a brulicare, i grattacieli e le arterie e la giornata è tersa ma non abbastanza da scorgere cosa ho lasciato a sud del fiume. Qua il Tamigi è ‘tems’, dove la esse è più una zeta morbida e quanto aspra sia la sillaba iniziale dipende dalla geografia urbana. Mira non lo sa dire, per lei è ‘teims’ o ‘thims’ o una cosa diversa ogni volta ma mai quella esatta.

Ne ridiamo mentre si accascia sul tronco cavo di un albero che deve averne viste molte. S’aggiusta la frangia sui Wayfarer inopportuni, passa svelto uno scoiattolo,
click.

*

Certe cose, come succedono? Siamo crollati rimandando le capriole a data da destinarsi. Appena toccato il letto ogni cosa si è spenta in un lampo.

L’invito non è equivocabile e tanto sotto la camicia sta solo un g-string che viene lanciato dall’altra parte della stanza. Il gatto osserva stupito, io più che altro osservo stupito lui: ma di chi è ‘sto gatto?. Acqua, bollente; sapone, schiuma; Mira ignora la mia erezione e io conto i suoi tatuaggi.

*

Tornerò a casa con un rullino di libellule grosse come pugni, fiori, arbusti e sentieri lungo i quali Mira aspetta il momento giusto per aprire il trench all’obiettivo. Vorrei fermare i runner e le prime mamme coi loro passeggini da trekking, assicurare tutti che no – nemmeno a me pare normale. Ma capitano giornate così, o almeno: questo mi è stato sempre detto.

È una bella camminata tra la radura e la Kenwood House, passando accanto a statue che sembrano più che altro incudini piegate dal calore. L’aria fresca mi riempie i polmoni mentre Mira chiama un’Uber e va.

*

Quasi sembra che la vita abbia una prospettiva diversa, una volta indossati gli accappatoi bianchi e morbidissimi rubati dal Chesterfield. Accendo la seconda davanti allo specchio e Mira mi cinge da dietro poggiandosi su di me con la testa fradicia.

Grazie per stanotte, per avermi messa qui e per non averne approfittato, questo mi dice e io so solo rispondere: «è ok», tradito dalla grazia con cui scioglie il nodo dell’accappatoio e comincia ad accarezzarmi, premendosi più forte a me, senza guardare, lasciando che le dita affusolate sfiorino il glande e scorrano sull’asta, placando con dolcezza insistente un desiderio di cui un po’, in realtà, mi vergogno - almeno finché lei sembra rendersene conto davvero («mi fa impazzire così duro») e l’immagine di un attimo fa, del suo corpo perfetto e impertinente sotto il getto dell’acqua, prende il sopravvento scuotendomi dal basso mentre riverso nel lavandino tracce dense delle mie voglie notturne inespresse.
scritto il
2025-04-06
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