La Signora
di
Joe Cabot
genere
trio
Fuori piove. Folate di vento scuotono la superficie della piscina, Alfredo De Levi guarda fuori dall’ampia vetrata del soggiorno. Ha un anello al dito indice con le sue iniziali: è l’anello d’oro ricevuto dai suoi per la laurea in Letteratura Latina. Con l’anello, Alfredo, ticchetta il bicchiere di whisky che ha atteso quasi un decennio in una botte delle Highlands prima di essere bevuto da lui.
Luisa è di spalle, è una donna elegante, sempre. Da bambina aveva la casetta di Barbie, come la monaca di Monza aveva la bambola-badessa, e nella casetta c’era tutto, mancava solo il mobile-bar dal quale adesso sta scegliendo tra varie bottiglie smerigliate. Avrebbe preso lo sherry, come la regina madre d’Inghilterra, come avava fatto per tutta la serata, mentre i soliti amici divenivano sempre più accettabili. A volte le viene da piangere, a Luisa, ma poi non lo fa.
Alfredo si volta, cammina verso sua moglie, la spinge con dolcezza in avanti fino a che lei lascia il bicchiere di sherry per tenersi al mobile-bar. Lui le tiene una mano sulla nuca, sul collier di perle che, premuto sulla spina dorsale, fa male. L’altra mano prima le si posa sul culo, poi scende improvvisa, le solleva la gonna, le si infila imperiosa tra le cosce. Luisa è una donna elegante, dovunque. Ha i reggicalze come conviene, e le mutandine in pizzo. Non troppe mutandine, soprattutto dietro, e cerca di bagnarsi in fretta, prima che le dita di suo marito cerchino di penetrarla.
«Al…,» mormora.
Lui la volta di scatto, la spinge contro il tavolo del soggiorno, laccato di nero, le riempie la bocca di lingua, poi la scosta e la obbliga a baciargli il collo, mentre la mano continua a cercare alla rinfusa il clitoride.
Un giro di valzer e Alfredo appoggia il sedere al tavolo, spinge la moglie in ginocchio davanti a sé, la tiene per i capelli rovinandole un po' la permanente di giornata.
«Succhiami il cazzo...»
Luisa ha una smagliatura di rimmel, dove un lacrima si è staccata dagli occhi, ed anche il rossetto è sbavato. Slaccia la patta al marito, apre la bocca.
Alfredo tiene con un mano i capelli della moglie, con l’altra mano estrae il telefonino dalla tasca interna della giacca.
«Hamed? Sono Al…, sì subito. No, non mi frega un cazzo se piove… prendi un taxi…si pago io, ok…ok, sì, muoviti»
Chiude.
«Io vado in cesso.»
Luisa rimane in ginocchio, poi si alza, finisce d’un sorso lo sherry ma le rimane in bocca in sapore acre. Accanto al soggiorno c’è il guardaroba, uno specchio. Luisa ci si osserva, si rimette il rossetto sulle labbra, cancella la ferita di rimmel. Le carezze di Al hanno spinto in profondità tra le cosce le mutandine e lei se le risistema, poi si mette a posto la gonna che tende a ruotare attorno ai suoi fianchi pieni.
«Luisa, cara, apri la porta, non senti che suonano?»
Luisa aziona il cancelletto automatico, apre la porta d’ingresso. Appoggiata alla porta, mezza riparata da essa, distoglie lo sguardo quando passa Hamed.
«Buona sera Signora De Levi», fa il tunisino con il suo accento incerto.
«Ciao Hamed.»
«Fallo accomodare, arrivo subito.»
Hamed si siede sul divano. Non ci sta comodo, è troppo alto, sorride, guarda le gambe della Signora seduta nella poltrona, beve.
Alfredo appare con indosso la vestaglia di seta, quella rosso cupo, porta un cofanetto nella mano sinistra, una sigaretta nell’altra. Va verso la poltrona di Luisa, la guarda dall’alto, lei per un attimo distoglie lo sguardo, poi si alza e si risiede sul divano, accanto ad Hamed, che continua a sorridere. Nella poltrona Alfredo toglie dal cofanetto il necessario, prepara tre strisce e fa sparire la sua. Hamed non si fa pregare, con Luisa bisogna sempre insistere.
Alfredo riverso sulla poltrona, le braccia abbandonate che quasi toccano terra, la sua sigaretta si consuma abbandonata nel posacenere. Luisa impettita, le mani in grembo, le gambe incrociate alle caviglie, una scarpa quasi sfilata. Tira su col naso, a tratti.
Alfredo si raccoglie un po’, si mette comodo, slaccia la vestaglia con un gesto annoiato rivelando un pene flaccido, uno scroto abbandonato tra le cosce non troppo pelose. Raccoglie il tutto in una mano, come fosse un seno, si palpeggia con un lento movimento circolare.
Il moro si avvicina alla donna mettendosi al suo fianco, una mano la abbraccia da dietro, la tira a sé, l’altra le si posa su un ginocchio. Hamed ha le labbra carnose, le guance leggermente rovinate dall’acne non curata, la camicia aperta su un petto dai radi peli attorno ai capezzoli. Luisa si protegge abbassando il capo e lui le bacia la nuca con molta saliva, cerca di infilarle la mano tra le cosce e la donna fa resistenza. Ma Hamed è forte e lei poco convinta non fa che gemere dei “no” poco incisivi con la voce impastata alle lacrime, mentre lui la tira sul divano, le allarga le gambe, vi si infila, le apre la camicetta facendone saltare un bottone. Le mani le sollevano la gonna, le cercano le mutandine, le sfilano via.
Alfredo vede Hamed sul divano che si alza sulle ginocchia per sfilarsi la camicia e slacciarsi i calzoni, sua moglie ha le gambe aperte, le mutandine pendono da una caviglia, ha la testa appoggiata al bracciolo del divano e guarda verso di lui. Ha una spallina del reggiseno abbassata, un capezzolo esposto a metà, il trucco pesante.
«Luisa, cara, voglio che tu ti tocchi la fica.»
La donna abbandona un mano sul pube, inizia a masturbarsi frenetica, contrae le labbra.
Hamed è nudo, il lungo cazzo diritto, si china sulla donna, inizia a baciarla dove la calza nera lascia scoperta la carne abbronzata dalle lampade. Mordicchia, risale verso l’inguine, ai margini del pelo sul monte di Venere, poi ridiscende, inizia ad esplorare con la lingua la vagina della Signora che trema, irrigidisce le gambe, si bagna.
«Scopala Hamed, dagli il tuo cazzo!»
Il moro si allunga sulla donna, si aiuta con le mani a puntarle l’uccello mentre lei non smette di toccarsela. Allora lui le afferra i polsi, li solleva sopra la testa della donna e, guardandola negli occhi, la penetra.
Hamed si scopa la moglie di Al e Al si masturba e suda, ha il viso congestionato, dà ordini come “scopa quella troia Hamed”, “ti fai sbattere dai negri puttana”, “ce l’ha grosso”, “ti piace…”, “Hamed scopala come una cagna”, “girati Luisa, cara, offrigli la tua fica bella aperta, così, che poi te lo rompo io quel culetto da zoccola”.
Luisa si fa insultare e si gode il cazzo di Hamed. Ora sta con i gomiti e le ginocchia appoggiati al divano, “come una cagna” le ripete Al, e le carezze del tunisino le hanno sollevato il reggiseno sopra i seni, i capezzoli graffiano il divano ad ogni spinta di Hamed.
Alfredo si alza, ha il cazzo duro che duole, fruga in un cassetto, si avvicina ai due, inizia a spalmare l’ano di Luisa con la crema apposita e si china verso la moglie, le alza il capo per i capelli, sussurra all’orecchio.
«Sei proprio una brutta troia! Anzi una troiona, una vera cagna in calore, se chiamassi un esercito di negri a fotterti, cosa faresti? Eh? Dimmelo!»
«Mi farei…sbattere…da tutti»
«Lo so che lo faresti, perché tu sei un lurida svergognata puttana. Puttana! Adesso ti rompo il culo così impari. Sei contenta adesso?»
«Sì, inculami. Prenditi ciò che vuoi.»
Hamed si scosta, Al appoggia il glande sull’ano di Luisa che si alza sulle mani per rendere meno dolorosa la penetrazione. Al inizia a spingere tenendo saldamente la donna per i fianchi, lei cerca di rilassare i muscoli del culo, apre la bocca, lo prega di fare piano. L’ano cede facilmente, Al entra e inizia a fotterla piano. Hamed si mette davanti a Luisa, offre il suo cazzo alla bocca della donna.
«Succhiaglielo zoccola, voglio che ti sborri in bocca.»
Luisa si abbassa e prende l’uccello di Hamed in bocca, ma è troppo sconvolta dalle spinte di Al, sempre più secche, rapide, per fare un buon lavoro e poco dopo smette e Hamed si scosta per venire in santa pace.
«Caro, mi fai godere, sbattimi, scopami.»
Al si fotte in culo la moglie, ha il corpo inarcato in avanti, con una mano ne risale avido la schiena, arriva ad una spalla, si àncora e la tira a sé per poi esplodere dentro di lei con un gemito strozzato. Al cade sopra Luisa senza forze, lei sente lo sperma che cola lungo una coscia, si abbandona sul divano completamente coperta dal marito.
«Amore caro» geme la donna.
Luisa è di spalle, è una donna elegante, sempre. Da bambina aveva la casetta di Barbie, come la monaca di Monza aveva la bambola-badessa, e nella casetta c’era tutto, mancava solo il mobile-bar dal quale adesso sta scegliendo tra varie bottiglie smerigliate. Avrebbe preso lo sherry, come la regina madre d’Inghilterra, come avava fatto per tutta la serata, mentre i soliti amici divenivano sempre più accettabili. A volte le viene da piangere, a Luisa, ma poi non lo fa.
Alfredo si volta, cammina verso sua moglie, la spinge con dolcezza in avanti fino a che lei lascia il bicchiere di sherry per tenersi al mobile-bar. Lui le tiene una mano sulla nuca, sul collier di perle che, premuto sulla spina dorsale, fa male. L’altra mano prima le si posa sul culo, poi scende improvvisa, le solleva la gonna, le si infila imperiosa tra le cosce. Luisa è una donna elegante, dovunque. Ha i reggicalze come conviene, e le mutandine in pizzo. Non troppe mutandine, soprattutto dietro, e cerca di bagnarsi in fretta, prima che le dita di suo marito cerchino di penetrarla.
«Al…,» mormora.
Lui la volta di scatto, la spinge contro il tavolo del soggiorno, laccato di nero, le riempie la bocca di lingua, poi la scosta e la obbliga a baciargli il collo, mentre la mano continua a cercare alla rinfusa il clitoride.
Un giro di valzer e Alfredo appoggia il sedere al tavolo, spinge la moglie in ginocchio davanti a sé, la tiene per i capelli rovinandole un po' la permanente di giornata.
«Succhiami il cazzo...»
Luisa ha una smagliatura di rimmel, dove un lacrima si è staccata dagli occhi, ed anche il rossetto è sbavato. Slaccia la patta al marito, apre la bocca.
Alfredo tiene con un mano i capelli della moglie, con l’altra mano estrae il telefonino dalla tasca interna della giacca.
«Hamed? Sono Al…, sì subito. No, non mi frega un cazzo se piove… prendi un taxi…si pago io, ok…ok, sì, muoviti»
Chiude.
«Io vado in cesso.»
Luisa rimane in ginocchio, poi si alza, finisce d’un sorso lo sherry ma le rimane in bocca in sapore acre. Accanto al soggiorno c’è il guardaroba, uno specchio. Luisa ci si osserva, si rimette il rossetto sulle labbra, cancella la ferita di rimmel. Le carezze di Al hanno spinto in profondità tra le cosce le mutandine e lei se le risistema, poi si mette a posto la gonna che tende a ruotare attorno ai suoi fianchi pieni.
«Luisa, cara, apri la porta, non senti che suonano?»
Luisa aziona il cancelletto automatico, apre la porta d’ingresso. Appoggiata alla porta, mezza riparata da essa, distoglie lo sguardo quando passa Hamed.
«Buona sera Signora De Levi», fa il tunisino con il suo accento incerto.
«Ciao Hamed.»
«Fallo accomodare, arrivo subito.»
Hamed si siede sul divano. Non ci sta comodo, è troppo alto, sorride, guarda le gambe della Signora seduta nella poltrona, beve.
Alfredo appare con indosso la vestaglia di seta, quella rosso cupo, porta un cofanetto nella mano sinistra, una sigaretta nell’altra. Va verso la poltrona di Luisa, la guarda dall’alto, lei per un attimo distoglie lo sguardo, poi si alza e si risiede sul divano, accanto ad Hamed, che continua a sorridere. Nella poltrona Alfredo toglie dal cofanetto il necessario, prepara tre strisce e fa sparire la sua. Hamed non si fa pregare, con Luisa bisogna sempre insistere.
Alfredo riverso sulla poltrona, le braccia abbandonate che quasi toccano terra, la sua sigaretta si consuma abbandonata nel posacenere. Luisa impettita, le mani in grembo, le gambe incrociate alle caviglie, una scarpa quasi sfilata. Tira su col naso, a tratti.
Alfredo si raccoglie un po’, si mette comodo, slaccia la vestaglia con un gesto annoiato rivelando un pene flaccido, uno scroto abbandonato tra le cosce non troppo pelose. Raccoglie il tutto in una mano, come fosse un seno, si palpeggia con un lento movimento circolare.
Il moro si avvicina alla donna mettendosi al suo fianco, una mano la abbraccia da dietro, la tira a sé, l’altra le si posa su un ginocchio. Hamed ha le labbra carnose, le guance leggermente rovinate dall’acne non curata, la camicia aperta su un petto dai radi peli attorno ai capezzoli. Luisa si protegge abbassando il capo e lui le bacia la nuca con molta saliva, cerca di infilarle la mano tra le cosce e la donna fa resistenza. Ma Hamed è forte e lei poco convinta non fa che gemere dei “no” poco incisivi con la voce impastata alle lacrime, mentre lui la tira sul divano, le allarga le gambe, vi si infila, le apre la camicetta facendone saltare un bottone. Le mani le sollevano la gonna, le cercano le mutandine, le sfilano via.
Alfredo vede Hamed sul divano che si alza sulle ginocchia per sfilarsi la camicia e slacciarsi i calzoni, sua moglie ha le gambe aperte, le mutandine pendono da una caviglia, ha la testa appoggiata al bracciolo del divano e guarda verso di lui. Ha una spallina del reggiseno abbassata, un capezzolo esposto a metà, il trucco pesante.
«Luisa, cara, voglio che tu ti tocchi la fica.»
La donna abbandona un mano sul pube, inizia a masturbarsi frenetica, contrae le labbra.
Hamed è nudo, il lungo cazzo diritto, si china sulla donna, inizia a baciarla dove la calza nera lascia scoperta la carne abbronzata dalle lampade. Mordicchia, risale verso l’inguine, ai margini del pelo sul monte di Venere, poi ridiscende, inizia ad esplorare con la lingua la vagina della Signora che trema, irrigidisce le gambe, si bagna.
«Scopala Hamed, dagli il tuo cazzo!»
Il moro si allunga sulla donna, si aiuta con le mani a puntarle l’uccello mentre lei non smette di toccarsela. Allora lui le afferra i polsi, li solleva sopra la testa della donna e, guardandola negli occhi, la penetra.
Hamed si scopa la moglie di Al e Al si masturba e suda, ha il viso congestionato, dà ordini come “scopa quella troia Hamed”, “ti fai sbattere dai negri puttana”, “ce l’ha grosso”, “ti piace…”, “Hamed scopala come una cagna”, “girati Luisa, cara, offrigli la tua fica bella aperta, così, che poi te lo rompo io quel culetto da zoccola”.
Luisa si fa insultare e si gode il cazzo di Hamed. Ora sta con i gomiti e le ginocchia appoggiati al divano, “come una cagna” le ripete Al, e le carezze del tunisino le hanno sollevato il reggiseno sopra i seni, i capezzoli graffiano il divano ad ogni spinta di Hamed.
Alfredo si alza, ha il cazzo duro che duole, fruga in un cassetto, si avvicina ai due, inizia a spalmare l’ano di Luisa con la crema apposita e si china verso la moglie, le alza il capo per i capelli, sussurra all’orecchio.
«Sei proprio una brutta troia! Anzi una troiona, una vera cagna in calore, se chiamassi un esercito di negri a fotterti, cosa faresti? Eh? Dimmelo!»
«Mi farei…sbattere…da tutti»
«Lo so che lo faresti, perché tu sei un lurida svergognata puttana. Puttana! Adesso ti rompo il culo così impari. Sei contenta adesso?»
«Sì, inculami. Prenditi ciò che vuoi.»
Hamed si scosta, Al appoggia il glande sull’ano di Luisa che si alza sulle mani per rendere meno dolorosa la penetrazione. Al inizia a spingere tenendo saldamente la donna per i fianchi, lei cerca di rilassare i muscoli del culo, apre la bocca, lo prega di fare piano. L’ano cede facilmente, Al entra e inizia a fotterla piano. Hamed si mette davanti a Luisa, offre il suo cazzo alla bocca della donna.
«Succhiaglielo zoccola, voglio che ti sborri in bocca.»
Luisa si abbassa e prende l’uccello di Hamed in bocca, ma è troppo sconvolta dalle spinte di Al, sempre più secche, rapide, per fare un buon lavoro e poco dopo smette e Hamed si scosta per venire in santa pace.
«Caro, mi fai godere, sbattimi, scopami.»
Al si fotte in culo la moglie, ha il corpo inarcato in avanti, con una mano ne risale avido la schiena, arriva ad una spalla, si àncora e la tira a sé per poi esplodere dentro di lei con un gemito strozzato. Al cade sopra Luisa senza forze, lei sente lo sperma che cola lungo una coscia, si abbandona sul divano completamente coperta dal marito.
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