Una questione di corna: cap.12 Le avventure di Alessandra (3)
di
Joe Cabot
genere
orge
[Edit.: non è possibile editare il titolo, ma c'è un errore. Delle avventure di Alessandra è il numero 2 non il 3. le mie scuse. JC]
«Oggi andiamo a fare shopping» le comunicò Theo.
Quando stava da lui, lei era roba sua. Quella che era la sua vita prima di prendere il treno per Vienna e quella che sarebbe stata dopo essersene andata via, non importava, ma in quel mentre, lei era sua e Theo era il suo uomo, e poiché era sua, lui provava per lei tutti i sentimenti di un amante possessivo. Lei con lui provava sotto la sua pelle le perversioni legate al farsi possedere, come il sentirsi viziati e protetti, mentre lui si infiammava per la gelosia, e bruciava di fronte alla sua dedizione, alla sua sottomissione. Lei si sentiva coccolata e vezzeggiata, lui soddisfatto e padrone della situazione.
Poiché era tardi, pranzarono con un’abbondante colazione viennese in un caffè del centro e poi lui l’aiutò ad alzarsi scostandole la sedie, la prese sottobraccio, e la condusse in giro tra Kaertnerstrasse, Am Graben e Kohlmarkt. Scelse per lei ogni cosa, dalle mutandine ai guanti. Poi passeggiarono ancora un po’, presero un aperitivo e quando il taxi li riportò all’appartamento di Theo. Gli acquisti del pomeriggio erano già stati consegnati dai fattorini, lavati e stirati dalla servitù.
«Stasera siamo invitati a cena dal dottor Ruthveil» le disse con il suo solito tono mentre lei si vestiva dietro al separè.
Lei si stava infilando una calza. Si interruppe un attimo e lo guardò da sopra il separà. “Un invito a cena”, pensò. “Che bastardo…”
«Va bene, Theo» disse prima di riprendere a vestirsi con cura.
Il dottor Gustav Ruthveil, o Staffi (come volle subito farsi chiamare), la accolse con un galante baciamano, era un signore estremamente gioviale. Parlava italiano in modo elegante, pur con un sensibile accento austriaco. Aveva una barba curata, argentea, modi raffinati e uno sguardo in qualche modo astuto, come di una volpe appena entrata nel pollaio. Dopo che Theo la ebbe presentata come la “dottoressa Alessandra Ragusa”, il dottore presentò loro l’altra ospite della serata. Ovvero sua nipote, così disse, Andrea.
Alessandra non poté non rimanere incantata. Andrea era davvero una bella ragazza. Alta, ben fatta, bionda naturale e con gli occhi azzurri senza quell’aria svanita che spesso rende le bionde incontri evanescenti. Tutto ciò era merito del cerchio scuro che le contornava l’iride. Di fronte a quegli occhi quasi sbiadiva ogni considerazione sul taglio alto degli zigomi, sulle labbra carnose e perfette. La sua mano era morbida e piacevole da toccare quanto i tratti del suo viso, le sue dita affusolate quanto il taglio dei suoi occhi. L’abito da sera smeraldo cupo le cadeva sul corpo come una carezza.
Durante la cena, Theo non le staccò gli occhi di dosso ed Alessandra provò da qualche parte una punta di rabbia nel vedere i suoi occhi puntati sulla scollatura, le labbra, le spalle della ragazza, mentre la sua mano la teneva saldamente una coscia, a volte sopra la gonna, a volte, infilandosi più sotto. Erano quelle le situazioni che eccitavano Theo Maximili, era quello il modo in cui amava possederla.
Il dottore, dal canto suo, pareva ignorare tutto ciò. Le fece mille domande sulla sua vita, la sua famiglia e il suo lavoro e lei inventò un mare di balle a cui lui fece simpaticamente finta di credere. Da buon padrone di casa, la riempì di attenzione e non fece una piega quando lei arrossì perché Theo aveva raggiunto un certo punto tra le sue cosce. Lui le offrì del vino e lei accettò. Lui tolse la mano da sotto il tavolo e fu allora che si accorse che anche il dottore stava tenendo amabilmente in caldo la ragazza al suo fianco.
Fu a causa di questa punta di rabbia che Alessandra ruppe le regole e iniziò a parlare con Andrea. Venne fuori che forse era davvero nipote del dottore, o che almeno era una ragazza dell’alta borghesia viennese. Era lì di ritorno da Berkeley dove stava facendo un postdoc in filologia romanza. Per tutto il secondo, le due donne lasciarono i loro accompagnatori ai margini, il dottore che ascoltava distratto, Theo palesemente infastidito. D’un tratto capitò che Alessandra facesse una domanda sulle relazioni tra chanson de geste e teatro dei pupi e, mentre Andrea si apprestava a risponderle con un radioso sorriso, Theo, in un momento di frustrazione, le si infilò sotto le mutandine cercando di penetrarla con un dito. Alessandra, senza badarci troppo, gli prese la mano e la posò sul tavolo.
«Theo, un attimo» gli disse senza perdere il filo del discorso di Andrea.
Theo, arrossì violentemente dall’umiliazione.
Mentre Andrea e Alessandra scherzavano riguardo le assonanze tra siciliano e lingue romanze, passando spesso dal tedesco al francese, i due uomini, palesemente a corto di argomenti, mangiavano in silenzio incapaci di aggiungere alcunché. Il dottore pareva prenderla con eleganza, anche se, dalle parti della seconda portata, gli sfuggì un clamoroso sbadiglio. Theo era invece sempre più furente, man mano che capiva che il programma che si era prefigurato stava deragliando. Da tempo voleva la bionda nipote del dottore e il pensiero di ottenerla scambiandola con “la sua puttana italiana”, lo stava eccitando da mesi. Ma, evidentemente, “la sua puttana italiana” di stare ai suoi giochetti, interessava poco.
Presero l’aperitivo in terrazza e Andrea, candidamente, propose di fare un salto in un locale mod che conosceva.
«Vedrete, pare di essere negli anni ’60»
«Io ci sono già stato» sorrise il dottore «e non ho più il taglio di capelli adatto»
«Oh, zio Staffi, che dici,» cinguettò Andrea «sei ancora un giovanotto.»
L’uomo rise ma fu irremovibile.
«Noi invece dobbiamo andare» intervenne brusco Theo.
Alessandra alzò un sopracciglio.
«”Noi”?» chiese «Intendi tu e il tuo autista? Io ci vado.»
Lasciarono il palazzo in taxi, lasciandosi dietro senza rimpianti quei due impiastri. Alessandra più coglieva lampi di intelligenza negli occhi di quella giovane donna, più ne ammirava la bellezza del sorriso.
«Ma senti un po’» le chiese d’un tratto. «Ma che ci facevi poco fa con quei due?»
«Potrei chiederti la stessa cosa» rise Andrea.
«Immagino di sì. E non saprei bene cosa rispondere. Trasgressione, immagino. Qualche visione di “Sissi” di troppo, forse. Ma quello… era davvero tuo zio?»
«Frau Alessandra, non la trova una domanda indiscreta?» finse di offendersi la ragazza. «Comunque sì, è fratello di mio padre.»
L’espressione di Alessandra, fece ridere come una pazza Andrea.
«Beh, da ragazzina le regole mi parevano interessanti solo se potevo infrangere. Poi ho scoperto che, nel nostro ambiente, certe regole non contano poi molto, se trasgredite in privato. Fin da bambina ho adorato zio Steffi. Credimi dieci anni fa era ancora un bell’uomo… e un gran porco. Beh, quello lo è rimasto. È bastato poco per farlo diventare, come dire…, il mio “mentore”.»
«Messa così…»
«E sapessi come usa bene la lingua!»
Risero forte agitando i fianchi e facendo risalire le gonne sulle belle cosce per la gioia del tassista che, apparentemente impassibile, non aveva perso una parola.
Il locale mod non tradì le aspettative. Alessandra amava le atmosfere vintage e si stupì di quanti giovani con i capelli a caschetto e i parka amassero ascoltare My generation indifferenti al fatto che la generazione cui era dedicata avesse ormai passato i settant’anni. Con Andrea risero e bevvero, cantarono e ballarono come ragazzine. Alla fine ad Alessandra prese un certo languorino, soprattutto perché si era accorta che un tipo di tanto in tanto lanciava occhiate nella sua direzione. Indossava un abito strettissimo, color viola opaco, che ne metteva in risalto due spalle da brivido. Andrea se ne accorse.
«Ti piace Matthi?» le disse indicandole il tipo senza smettere di ballare.
«Lo conosci?»
«Certo. È famoso nel giro. Suona il basso in un gruppo. Ti piace?»
«Ma dai! Cioè… sì, ma evito certe situazioni con ragazzini che avranno che hanno dieci anni meno di me.»
«Ma quanti ne hai?»
«37.»
«Caspita, in effetti lui credo abbia un paio d’anni più di me. Ma, credimi: se non lo dici tu, nessuno se ne accorge. Sei bellissima.»
Alessandra si accorse di essere del tutto vulnerabile all’adulazione, soprattutto quando veniva da una tipa dall’aria così candida e sincera. Arrossì di brutto.
«Però c’è un problema,» continuò Andrea con aria da gatta. «Ci siamo appena conosciute, ci stiamo divertendo e non mi va che tu mi molli qui.»
«Certo che no» la interruppe Alessandra facendosi seria.
«E poi,» riprese Andrea, «Matthi piace anche a me.»
Alessandra la guardò senza riuscire ad interpretare il sorrisetto della ragazza. Finalmente capì e spalanacò la bocca dallo stupore.
«Oh!» fece dandole un affettuoso buffetto su una spalla, «ma lei è proprio un diavoletta, Fräulein Andrea!»
Le due iniziarono il loro ambiguo rituale amoroso. Il ragazzo ben presto se ne accorse e si avvicinò mostrando una certa grazia ed eleganza nel ballo. Evidentemente era attratto dall’aria sicura di Alessandra, dalla sua bellezza particolare, matura, ma quando capì la situazione non gli ci volle molto a corteggiare anche Andrea. Dopo alcune presentazioni e convenevoli, al ragazzo fu chiaro che le donne volevano essere scopate per bene ed al più presto. Le portò nel suo appartamento.
Alessandra, appena dentro, gli infilò la lingua in bocca. Si sentiva eccitata, leggera per l’alcool e la voglia di sesso. Abbassò la mano verso il pacco del ragazzo e si accorse che Andrea si era inginocchiata e lo stava prendendo in bocca. Le accarezzò i capelli biondi, eccitata dal sentirla fare avanti e indietro. Le mani del ragazzo si stavano godendo le sue forme, i suoi seni, il suo culo. Le sue dita stavano sfiorando l’elegante lingerie che Theo le aveva regalato. Strusciandosi l’un l’altra, con Andrea che non mollava la presa, si trascinarono fino ad un divano. Lì Matthi, la fece voltare e la spinse a quattro zampe sul divano, le ginocchia sulla seduta, le scarpe col tacco appena fuori, le mani sulla spalliera. Le sollevò la gonna sul suo culo imperiale, incorniciato dal reggicalze, le abbassò le mutandine di pizzo nero fino a metà coscia, e le puntò l’affare sulle labbra già dischiuse e fradice dalle carezze fin lì ricevute. Come lo sentì spingere, si rese conto che si trattava di un bel calibro. Si voltò e vide che ora Andrea si era rialzata e stava baciando Matthi con passione. Lui le teneva una mano sul sedere, sotto alla gonna che lei si era sollevata per infilarsi le dita nella fica. Quanto all’affare dell’uomo non si sbagliava. Era bello grosso e, come sentì quando iniziò a prenderla, bello duro. La sbatté a lungo, senza remora, tenendola per i fianchi. Sentì anche le mani di Andrea che le si infilavano sotto al vestito fino ai seni, dove le sue unghie laccate di rosso afferrarono un capezzolo. Lo strinsero. Alessandra venne gridando e Matthi le si scaricò dentro per poi crollare sul divano.
Alessandra, ancora scossa dall’orgasmo appena vissuto, si accasciò contro lo schienale del divano, con il sedere all’aria e la fica aperta e pulsante. Accanto a lei stava il ragazzo abbordato poco prima, con il fiatone, i pantaloni calati alle caviglie, il grosso pene ammosciato contro la coscia, lucido di piacere.
Andrea, in piedi accanto ai due, se la rideva e, guardando Matthi scosse il capo: «Alessandra, mi hai giù fatto scoppiare il maschietto, ora come facciamo.»
Lui, ansando, sollevo la mano aperta e disse “cinque minuti, poi ne riparliamo”.
«Ah, sì? Allora vedremo di aiutarti.»
Alessandra si sollevò e si alzò in piedi e la gonna ricadde a coprire il bordo delle calze. Un rivoletto del piacere del ragazzo le scese lungo una coscia (evento che lei trovava oltremodo osceno ed eccitante). Le mutandine invece erano ancora abbassate, tese tra le sue cosce, poco sopra le ginocchia.
«Alessandra» disse Andrea avvicinandosi con movenze e voce da gatta, «mi aiuti a rimettere in sesto il nostro amico?»
«Sì» rispose con un sussurro fissando gli occhi azzurri e le labbra rosse della ragazza che si avvicinò fino a posarle le mani sui fianchi.
«E lo sai cosa eccita tanto tanto gli uomini?»
«N-non lo so.»
«Ora ti mostro.»
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«Oggi andiamo a fare shopping» le comunicò Theo.
Quando stava da lui, lei era roba sua. Quella che era la sua vita prima di prendere il treno per Vienna e quella che sarebbe stata dopo essersene andata via, non importava, ma in quel mentre, lei era sua e Theo era il suo uomo, e poiché era sua, lui provava per lei tutti i sentimenti di un amante possessivo. Lei con lui provava sotto la sua pelle le perversioni legate al farsi possedere, come il sentirsi viziati e protetti, mentre lui si infiammava per la gelosia, e bruciava di fronte alla sua dedizione, alla sua sottomissione. Lei si sentiva coccolata e vezzeggiata, lui soddisfatto e padrone della situazione.
Poiché era tardi, pranzarono con un’abbondante colazione viennese in un caffè del centro e poi lui l’aiutò ad alzarsi scostandole la sedie, la prese sottobraccio, e la condusse in giro tra Kaertnerstrasse, Am Graben e Kohlmarkt. Scelse per lei ogni cosa, dalle mutandine ai guanti. Poi passeggiarono ancora un po’, presero un aperitivo e quando il taxi li riportò all’appartamento di Theo. Gli acquisti del pomeriggio erano già stati consegnati dai fattorini, lavati e stirati dalla servitù.
«Stasera siamo invitati a cena dal dottor Ruthveil» le disse con il suo solito tono mentre lei si vestiva dietro al separè.
Lei si stava infilando una calza. Si interruppe un attimo e lo guardò da sopra il separà. “Un invito a cena”, pensò. “Che bastardo…”
«Va bene, Theo» disse prima di riprendere a vestirsi con cura.
Il dottor Gustav Ruthveil, o Staffi (come volle subito farsi chiamare), la accolse con un galante baciamano, era un signore estremamente gioviale. Parlava italiano in modo elegante, pur con un sensibile accento austriaco. Aveva una barba curata, argentea, modi raffinati e uno sguardo in qualche modo astuto, come di una volpe appena entrata nel pollaio. Dopo che Theo la ebbe presentata come la “dottoressa Alessandra Ragusa”, il dottore presentò loro l’altra ospite della serata. Ovvero sua nipote, così disse, Andrea.
Alessandra non poté non rimanere incantata. Andrea era davvero una bella ragazza. Alta, ben fatta, bionda naturale e con gli occhi azzurri senza quell’aria svanita che spesso rende le bionde incontri evanescenti. Tutto ciò era merito del cerchio scuro che le contornava l’iride. Di fronte a quegli occhi quasi sbiadiva ogni considerazione sul taglio alto degli zigomi, sulle labbra carnose e perfette. La sua mano era morbida e piacevole da toccare quanto i tratti del suo viso, le sue dita affusolate quanto il taglio dei suoi occhi. L’abito da sera smeraldo cupo le cadeva sul corpo come una carezza.
Durante la cena, Theo non le staccò gli occhi di dosso ed Alessandra provò da qualche parte una punta di rabbia nel vedere i suoi occhi puntati sulla scollatura, le labbra, le spalle della ragazza, mentre la sua mano la teneva saldamente una coscia, a volte sopra la gonna, a volte, infilandosi più sotto. Erano quelle le situazioni che eccitavano Theo Maximili, era quello il modo in cui amava possederla.
Il dottore, dal canto suo, pareva ignorare tutto ciò. Le fece mille domande sulla sua vita, la sua famiglia e il suo lavoro e lei inventò un mare di balle a cui lui fece simpaticamente finta di credere. Da buon padrone di casa, la riempì di attenzione e non fece una piega quando lei arrossì perché Theo aveva raggiunto un certo punto tra le sue cosce. Lui le offrì del vino e lei accettò. Lui tolse la mano da sotto il tavolo e fu allora che si accorse che anche il dottore stava tenendo amabilmente in caldo la ragazza al suo fianco.
Fu a causa di questa punta di rabbia che Alessandra ruppe le regole e iniziò a parlare con Andrea. Venne fuori che forse era davvero nipote del dottore, o che almeno era una ragazza dell’alta borghesia viennese. Era lì di ritorno da Berkeley dove stava facendo un postdoc in filologia romanza. Per tutto il secondo, le due donne lasciarono i loro accompagnatori ai margini, il dottore che ascoltava distratto, Theo palesemente infastidito. D’un tratto capitò che Alessandra facesse una domanda sulle relazioni tra chanson de geste e teatro dei pupi e, mentre Andrea si apprestava a risponderle con un radioso sorriso, Theo, in un momento di frustrazione, le si infilò sotto le mutandine cercando di penetrarla con un dito. Alessandra, senza badarci troppo, gli prese la mano e la posò sul tavolo.
«Theo, un attimo» gli disse senza perdere il filo del discorso di Andrea.
Theo, arrossì violentemente dall’umiliazione.
Mentre Andrea e Alessandra scherzavano riguardo le assonanze tra siciliano e lingue romanze, passando spesso dal tedesco al francese, i due uomini, palesemente a corto di argomenti, mangiavano in silenzio incapaci di aggiungere alcunché. Il dottore pareva prenderla con eleganza, anche se, dalle parti della seconda portata, gli sfuggì un clamoroso sbadiglio. Theo era invece sempre più furente, man mano che capiva che il programma che si era prefigurato stava deragliando. Da tempo voleva la bionda nipote del dottore e il pensiero di ottenerla scambiandola con “la sua puttana italiana”, lo stava eccitando da mesi. Ma, evidentemente, “la sua puttana italiana” di stare ai suoi giochetti, interessava poco.
Presero l’aperitivo in terrazza e Andrea, candidamente, propose di fare un salto in un locale mod che conosceva.
«Vedrete, pare di essere negli anni ’60»
«Io ci sono già stato» sorrise il dottore «e non ho più il taglio di capelli adatto»
«Oh, zio Staffi, che dici,» cinguettò Andrea «sei ancora un giovanotto.»
L’uomo rise ma fu irremovibile.
«Noi invece dobbiamo andare» intervenne brusco Theo.
Alessandra alzò un sopracciglio.
«”Noi”?» chiese «Intendi tu e il tuo autista? Io ci vado.»
Lasciarono il palazzo in taxi, lasciandosi dietro senza rimpianti quei due impiastri. Alessandra più coglieva lampi di intelligenza negli occhi di quella giovane donna, più ne ammirava la bellezza del sorriso.
«Ma senti un po’» le chiese d’un tratto. «Ma che ci facevi poco fa con quei due?»
«Potrei chiederti la stessa cosa» rise Andrea.
«Immagino di sì. E non saprei bene cosa rispondere. Trasgressione, immagino. Qualche visione di “Sissi” di troppo, forse. Ma quello… era davvero tuo zio?»
«Frau Alessandra, non la trova una domanda indiscreta?» finse di offendersi la ragazza. «Comunque sì, è fratello di mio padre.»
L’espressione di Alessandra, fece ridere come una pazza Andrea.
«Beh, da ragazzina le regole mi parevano interessanti solo se potevo infrangere. Poi ho scoperto che, nel nostro ambiente, certe regole non contano poi molto, se trasgredite in privato. Fin da bambina ho adorato zio Steffi. Credimi dieci anni fa era ancora un bell’uomo… e un gran porco. Beh, quello lo è rimasto. È bastato poco per farlo diventare, come dire…, il mio “mentore”.»
«Messa così…»
«E sapessi come usa bene la lingua!»
Risero forte agitando i fianchi e facendo risalire le gonne sulle belle cosce per la gioia del tassista che, apparentemente impassibile, non aveva perso una parola.
Il locale mod non tradì le aspettative. Alessandra amava le atmosfere vintage e si stupì di quanti giovani con i capelli a caschetto e i parka amassero ascoltare My generation indifferenti al fatto che la generazione cui era dedicata avesse ormai passato i settant’anni. Con Andrea risero e bevvero, cantarono e ballarono come ragazzine. Alla fine ad Alessandra prese un certo languorino, soprattutto perché si era accorta che un tipo di tanto in tanto lanciava occhiate nella sua direzione. Indossava un abito strettissimo, color viola opaco, che ne metteva in risalto due spalle da brivido. Andrea se ne accorse.
«Ti piace Matthi?» le disse indicandole il tipo senza smettere di ballare.
«Lo conosci?»
«Certo. È famoso nel giro. Suona il basso in un gruppo. Ti piace?»
«Ma dai! Cioè… sì, ma evito certe situazioni con ragazzini che avranno che hanno dieci anni meno di me.»
«Ma quanti ne hai?»
«37.»
«Caspita, in effetti lui credo abbia un paio d’anni più di me. Ma, credimi: se non lo dici tu, nessuno se ne accorge. Sei bellissima.»
Alessandra si accorse di essere del tutto vulnerabile all’adulazione, soprattutto quando veniva da una tipa dall’aria così candida e sincera. Arrossì di brutto.
«Però c’è un problema,» continuò Andrea con aria da gatta. «Ci siamo appena conosciute, ci stiamo divertendo e non mi va che tu mi molli qui.»
«Certo che no» la interruppe Alessandra facendosi seria.
«E poi,» riprese Andrea, «Matthi piace anche a me.»
Alessandra la guardò senza riuscire ad interpretare il sorrisetto della ragazza. Finalmente capì e spalanacò la bocca dallo stupore.
«Oh!» fece dandole un affettuoso buffetto su una spalla, «ma lei è proprio un diavoletta, Fräulein Andrea!»
Le due iniziarono il loro ambiguo rituale amoroso. Il ragazzo ben presto se ne accorse e si avvicinò mostrando una certa grazia ed eleganza nel ballo. Evidentemente era attratto dall’aria sicura di Alessandra, dalla sua bellezza particolare, matura, ma quando capì la situazione non gli ci volle molto a corteggiare anche Andrea. Dopo alcune presentazioni e convenevoli, al ragazzo fu chiaro che le donne volevano essere scopate per bene ed al più presto. Le portò nel suo appartamento.
Alessandra, appena dentro, gli infilò la lingua in bocca. Si sentiva eccitata, leggera per l’alcool e la voglia di sesso. Abbassò la mano verso il pacco del ragazzo e si accorse che Andrea si era inginocchiata e lo stava prendendo in bocca. Le accarezzò i capelli biondi, eccitata dal sentirla fare avanti e indietro. Le mani del ragazzo si stavano godendo le sue forme, i suoi seni, il suo culo. Le sue dita stavano sfiorando l’elegante lingerie che Theo le aveva regalato. Strusciandosi l’un l’altra, con Andrea che non mollava la presa, si trascinarono fino ad un divano. Lì Matthi, la fece voltare e la spinse a quattro zampe sul divano, le ginocchia sulla seduta, le scarpe col tacco appena fuori, le mani sulla spalliera. Le sollevò la gonna sul suo culo imperiale, incorniciato dal reggicalze, le abbassò le mutandine di pizzo nero fino a metà coscia, e le puntò l’affare sulle labbra già dischiuse e fradice dalle carezze fin lì ricevute. Come lo sentì spingere, si rese conto che si trattava di un bel calibro. Si voltò e vide che ora Andrea si era rialzata e stava baciando Matthi con passione. Lui le teneva una mano sul sedere, sotto alla gonna che lei si era sollevata per infilarsi le dita nella fica. Quanto all’affare dell’uomo non si sbagliava. Era bello grosso e, come sentì quando iniziò a prenderla, bello duro. La sbatté a lungo, senza remora, tenendola per i fianchi. Sentì anche le mani di Andrea che le si infilavano sotto al vestito fino ai seni, dove le sue unghie laccate di rosso afferrarono un capezzolo. Lo strinsero. Alessandra venne gridando e Matthi le si scaricò dentro per poi crollare sul divano.
Alessandra, ancora scossa dall’orgasmo appena vissuto, si accasciò contro lo schienale del divano, con il sedere all’aria e la fica aperta e pulsante. Accanto a lei stava il ragazzo abbordato poco prima, con il fiatone, i pantaloni calati alle caviglie, il grosso pene ammosciato contro la coscia, lucido di piacere.
Andrea, in piedi accanto ai due, se la rideva e, guardando Matthi scosse il capo: «Alessandra, mi hai giù fatto scoppiare il maschietto, ora come facciamo.»
Lui, ansando, sollevo la mano aperta e disse “cinque minuti, poi ne riparliamo”.
«Ah, sì? Allora vedremo di aiutarti.»
Alessandra si sollevò e si alzò in piedi e la gonna ricadde a coprire il bordo delle calze. Un rivoletto del piacere del ragazzo le scese lungo una coscia (evento che lei trovava oltremodo osceno ed eccitante). Le mutandine invece erano ancora abbassate, tese tra le sue cosce, poco sopra le ginocchia.
«Alessandra» disse Andrea avvicinandosi con movenze e voce da gatta, «mi aiuti a rimettere in sesto il nostro amico?»
«Sì» rispose con un sussurro fissando gli occhi azzurri e le labbra rosse della ragazza che si avvicinò fino a posarle le mani sui fianchi.
«E lo sai cosa eccita tanto tanto gli uomini?»
«N-non lo so.»
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