Greg Barison e l'Odore del Piacere. cap.14

di
genere
pulp

NELLE PUNTATE PRECEDENTI Greg Barison ha ormai risolto, più o meno, il caso di Antonella Librandis, ossessionata dai presunti tradimenti del marito, Giorgio, con tale Sonia Orici. A questo punto non gli rimane che sistemare la questione del sottosegretario Illumini: incaricato dalla signora Illumini di indagare sulla fedeltà del marito ma ricattato dal capitano Cipriani affinché fornisca false prove alla moglie, Barison ha giocato le sue carte per salvare capra e cavoli....

Cap. 14 ULTIMA PUNTATA
Torno in ufficio e sento puzza di guai fin da fuori. Entro e la porta del mio studio è aperta. Giulia è agitata.
– C’è…– inizia a dirmi con la voce ancora più alta e nasale del solito a causa dell’emozione.
– Va tutto bene Giulia. Tu ora esci e vammi a prendere il giornale.
– L’ho già preso, capo.
– Prendine un altro. Uno locale.
– Va bene, capo.– Prende la borsetta ed esce.
Cipriani è seduto dentro. L’aria è appestata dalle sue MS ed a terra ci sono diverse cicche schiacciate con rabbia. Vado alla finestra, la spalanco, poi mi siedo alla mia scrivania. Olla si piazza vicino alla porta, con la braccia incrociate, le mani molto vicine alla fondina.
– Illumini – ringhia Cipriani. È davvero incazzato nero ma non sa ancora se può prendersela con me.
Io lo guardo con la mia migliore espressione neutrale.
– Ho chiuso il caso sabato. Ho dato alla signora Illumini le mie foto e quelle che gli avete fatto voi. Tra l’altro ho dovuto ritoccare questa,– la tiro fuori dal cassetto e gliela mostro, –perché l’idiota che l’ha scattata non si è accorto della data sul portatile.
Mostro col dito il punto. Cipriani guarda la foto, si volta verso Olla e gli lancia un’occhiata infastidita. Ho idea che il fotografo idiota sia Olla. Io continuo.
– Le ho detto che secondo me è cambiato, che le corna non gliele mette più e che quindi il caso era chiuso. La signora mi ha guardato male e se ne è andata più infastidita che convinta. Credo che qui non la rivedrò più. Né del resto ci tengo.
Cipriani mi guarda con l’espressione di una mina a pressione. Il piede sopra l’innesto è il mio.
– Non li legge i giornali, Barison?
– Solo quelli sportivi. Ma ho mandato ora la segretaria a prendermene uno locale per togliermela una po’ dai coglioni, con tutto il rispetto.
– Ha una voce fastidiosissima.
– Ma un bel paio di gambe.
Cipriani non ci pensa nemmeno a sorridere alla mia battuta. Si alza dalla sedia, butta a terra la cicca, la pesta e fa un cenno a Olla che apre la porta obbediente.
– Io non lo so se centri qualcosa con questa storia, pezzo di merda. L’unica cosa che ti salva è che io penso che tu in fondo sia un povero sniffapatte fallito e basta. Ma se scopro che dietro ci sei tu, giuro che te la faccio pagare. Quelli come te, stronzetto, stanno in piedi solo perché quelli come me glielo lasciano fare, non dimenticarlo, Barison.
Esce dal mio studio. Esce dall’ufficio. Come sento la porta richiudersi lascio andare il respiro. Cerco di aprire l’ultimo cassetto della scrivania ma la mano mi trema troppo e lascio perdere. Quando torna Giulia le vado incontro e le strappo di mano il giornale. Sfoglio il giornale aperto sulla sua scrivania una volta, poi passo alle pagina della cronaca provinciale. Nulla. Riprendo dall’inizio prestando più attenzione ai marginalia. Passo in provincia e trovo, nella cronaca della città, un unico trafiletto in cui si dà notizia di un caso di turbativa dell’ordine pubblico dovuto ad un litigio coniugale. Pare che un politico piuttosto in vista sia stato sorpreso dalla moglie mentre consumava il proprio adulterio con una prostituta. Mentre la ragazza si dileguava mezza nuda sotto lo sguardo dei vicini, allertati da grida e rumori di oggetti infranti, la moglie avrebbe cacciato di casa il marito, lanciando tutte le sue cose dalla finestra. Il noto politico era sceso in strada in mutande e con un soprabito sulle spalle, e si era allontanato a bordo di un’auto della polizia allertata dagli schiamazzi.
Erano riusciti a sbattere l’articolo in cronaca e ad omettere nomi ed ogni altro riferimento ma ciò non cambiava il fatto che stavolta Illumini si è davvero fottuto. Sorrido a Giulia che non ha capito evidentemente nulla. Le prendo la faccia tra le mani e le stampo un bacio sulle labbra.
– Ma, capo... – fa tutta imporporata fingendosi offesa mentre io me ne torno nello studio. Ora sì che ci vuole un buon cicchetto di slibovitz quindicenne.

Avevo conosciuto Marika anni prima e mi aveva già reso qualche servizio speciale. Allora lavoravo ancora per Firmino ed eravamo appostati davanti ad un alberghetto vicino alla stazione. Eravamo stati ingaggiati dal solito tizio che sospettava della moglie. Ben presto scoprimmo che alla sua mogliettina, una vacca sui 40 anni, non molto alta ma con grosse tette e ancora in forma, un culo ampio ma capace di fare rizzare un cazzo, piaceva battere. Non andava per strada per paura di essere riconosciuta ma si faceva portare i clienti da una puttana professionale, Marika appunto, che si divideva con lei il lavoro e si teneva tutto il guadagno.
– Dovremmo dare un peluche di premio a certi clienti – aveva sghignazzato Firmino mentre io scattavo le foto richieste.
– Già. Un’alce trudy.
In seguito il talento e il senso per gli affari di Marika era tornato utile allo studio e tanto bastava perché qualcuno nell’ambiente potesse ricondurla a me. Questo era il motivo per cui le avevo chiesto di far fare il lavoro a una di passaggio, che nessuno conoscesse. Ora sto andando a casa sua.
Dopo i soliti giretti tra autobus e vicoletti e mercati entro in un palazzo nella periferia. Fa da portinaio un ragazzino di una decina d’anni, albanese. Ha una maglia del Milan, taroccata. Faccio volare una moneta da due euro nella sua direzione e gli sorrido. Lui guarda la moneta, mi manda a fare in culo con tanto di gesto esplicativo ma pensa che uno sbirro non gli avrebbe dato nemmeno quelli. Salgo con un ascensore veramente messo male che contro ogni previsione mi porta al piano giusto. Busso alla porta. Si apre un po’, si richiude, cade la catenella, si apre del tutto ed entro. Marika viene ad aprirmi. È ubriaca e Nadina guarda il canale-Tv della nazione ex sovietica da cui provengono entrambe. Quando mi vede, sul viso le si apre un sorriso felice, spegne la Tv.
– Io e Marika abbiamo festeggiato – dice faticando sul verbo ausiliario. – Ora Marika è un po’ ubriaca.
Fanno effetto a casa loro, in pigiama davanti alla Tv, con un bottiglia di vodka da discount buttata sul letto.
Io inizio a contare banconote. Ce n’è per entrambe. I soldi vengono dall’affitto dell’appartamento in cui la signora Illumini ha aspettato spiando il marito. Ho avvertito il proprietario di piantarle casini e di dire che c’era una famiglia già pronta ad entrare e che avrebbe dovuto pagarle almeno l’affitto di 6 mesi per quella settimana perché gli faceva perdere il cliente. Per la signora non è stato un problema. Per lui nemmeno visto che non c'era alcun altro cliente. In più vedo dalla faccia di Nadina che le è andata in porto la parte più importante del suo piano.
Inizia a raccontare. Quando non si ricorda un termine scuote la spalla di Marika e chiede a lei. Dopo che le ho lasciate nel bar, lunedì scorso, Nadina è tornata a casa. Si è vestita da brava ragazza dell’est con una gonna casta e una camicetta da educanda, si è pettinata e ha tolto il trucco da puttana. Alle sei era già che aspettava in auto nel punto che le avevo indicato. L’auto blu era arrivata poco dopo le otto e Illumini era entrato in casa congedando l’autista. Poco dopo Nadina suonava il campanello, si chinava ad ascoltare nell’interfono. Illumini deve averla guardata dalla telecamera posta in alto. Avrà visto una bella ragazza, l’occhio gli sarà caduto dentro la camicetta. Insomma non ci ha pensato due volte a farla accomodare.
Una volta dentro, la ragazza recita la sua parte. Dice di essere una badante, che è stata licenziata perché il vecchio che accudiva era morto, e che ora la rinchiuderanno in un centro in attesa di essere rimpatriata in quanto priva di permesso di soggiorno. Dice queste cose accavallando le gambe nella poltrona del ricco studio del sottosegretario. Dice che ha sentito dire da un’amica che lui è tanto buono e che una volta le ha fatto avere un permesso di sei mesi per motivi di studio. Nadina sa di avere fretta, si alza e gli si avvicina, si butta ai suoi piedi e gli abbraccia le ginocchia.
– Io non sono puttana – dice in lacrime. – Io laureata in letteratura ma ora non posso tornare a casa senza niente.
E dicendo così accarezza le cosce di Illumini, gli posa una mano sulla patta. Ad Illumini piace la situazione. È convinto che sua moglie sia partita il giorno prima per le Mauritius e da allora lui non aspetta altro che portarsi a letto una troia. Si apre la zip e offre il cazzo alle labbra della brava ragazza bionda. Con l’altra mano fa il numero del suo ufficio sul cellulare.
– Pronto, Chiara? Sì, sono Pietro. Ascolta: segnati questi n’uh! – si interrompe perché Nadina gli ha preso il cazzo in bocca. – Scusa, ho dato una ginocchiata alla scrivania. Segnati questi dati.
Fa rialzare la bella ex-comunista. Inizia a chiederle i dati personali e li trasmette alla segretaria. Intanto con una mano risale la coscia di Nadina, le cala le mutandine, la penetra con le dita. Lei risponde alle sue domande e gli sorride invitante mentre giura a se stessa che quella sarà la sua ultima stronza marchetta.
– Mandi tutto all’ufficio immigrazione. A Guido, sì. Gli dica che è urgente. – Riattacca.
– Beh, signorina….
– Io non so come ringraziare lei….
– Troveremo il modo, vedrà – dice indicandole come con gli occhi.
Nadina inizia a succhiarlo con riconoscenza. Poi lui la fa alzare di nuovo e sedere sulla scrivania, le solleva la gonna e con i piedi si libera dei pantaloni. Lei si stende, si sbottona la camicetta, lui le tasta i seni e intanto glielo punta.
– Tu non immagini nemmeno quanto mi ringrazierai in questi giorni, bella fichetta. Avrò tutto di te, tutto capisci, davanti e di dietro, e in bocca pure, perché no? – Nadina gli dice di sì a tutto, lui accelera e sta per venire, regge ancora un attimo e in quel momento la porta dello studio si spalanca ed entra la moglie facendogli andare di traverso l’eiaculazione.
– Cara, non è come credi… – tenta di dire mentre Nadina scende dalla scrivania e si riassetta la gonna. Ma la moglie non lo lascia parlare. Ci sono dei piccoli carabinieri in ceramica, delle caricature in pose buffe, su una mensola vicino alla porta, e questi sono i primi oggetti che finiscono schiantati nella parete alle spalle del sottosegretario, che cerca di schivarli nascondendosi dietro la scrivania. La signora urlando come una pazza si avvicina per avere più speranze di colpirlo e infatti un paio di tiri arrivano a bersaglio. Nadina intanto guadagna l’uscita, esce in strada con la camicetta aperta, mentre alcuni passanti si fermano davanti alla casa da cui proviene un gran baccano. Nadina recupera l'auto e un carabiniere in ceramica spacca il vetro della finestra dell’ufficio e rotola sul piccolo praticello davanti alla villetta liberty degli Illumini. Quando Nadina se ne va, attenta a non essere seguita, dai piani superiori ormai piovono scarpe e camice. Un beauty-case si sfascia sul marciapiede spargendo in giro pezzi di rasoio elettrico e dopobarba. A quell’ora la gente è davanti al Tg1 e sta mangiando con la finestra aperta. Si sentono le grida della Illumini e tutti si affacciano incuriositi.
Andare in questura a ritirare il permesso di soggiorno era stata la parte più pericolosa. L’avevo avvertita che c’era il rischio di trovarsi Cipriani poco propenso alle buone maniere. Ma contavamo sul fatto che Illumini non avesse detto nulla del permesso di soggiorno. E così infatti era andata, poiché aveva preferito dire che andava a puttane per nascondere che aveva traviato una poveretta venuta a fare la badante. Così ora Nadina aspettava solo che le portassi i soldi per andarsene con un permesso di soggiorno di 6 mesi e qualche euro da parte. 6 mesi per trovarsi un lavoro decente senza l’ossessione continua dei soldi e di essere fermata dalla polizia. Non un granchè, d'accordo. Ma funziona così.

Il giorno dopo Giulia mi dice che ha telefonato una donna. Ha detto di chiamarsi Olivia Santi ed ha lasciato l’indirizzo di una fabbrica dismessa riadattata per ospitare mostre o atelier da affittare ad artisti di vario genere. Oltre all’indirizzo, c’è il numero di atelier.
Ci arrivo verso le sei del pomeriggio. Salgo una scala esterna in ferro zincato, cammino lungo una passerella sospesa ed infine trovo la porta dell’atelier numero 8. Busso forte e dopo un po’ la porta si apre. Dentro c’è Sonia Orici.
– Non è stupito di vedermi, signor Barison?
– Ho smesso di stupirmi il 20 luglio del 2001.
La seguo all’interno. C’è un set fotografico in fondo. Una modella cinese, nuda, longilinea, con dei segni neri larghi quanto pennellate lungo il corpo, lo sguardo etereo, è in posa su un divanetto liberty. Ci sono luci e cavalletti con diverse macchine, con vari obiettivi e filtri. Alle pareti foto di Sonia Orici o di altre ragazze. Mi colpisce una serie di ritratti di Antonella Librandis, di qualche anno prima.
– Liu, rivestiti pure. Ci vediamo nel pomeriggio.
Vedo il corpo flessuoso della ragazza che si alza e scompare dietro un paravento dove inizia a vestirsi.
– E così, Mario, in realtà lei è un investigatore.
– Glielo ha detto lei? – dico indicando le foto della signora Librandis.
– Sì e no. Sì nel senso che mentre io chiedevo in giro se qualcuno conosceva un fotografo di vacche chiamato Mario, lei mi salta fuori che mi ha fatto spiare da un investigatore. No, nel senso che due più due l’ho fatto da sola e da sola ho scoperto che l’investigatore era tale Greg Barison, uno dei più scalcagnati della città. Ma a quanto pare l’unico che alla fine è stato sincero con Antonella.
– Non c’è niente da bere?
– Certo.
Mi guida verso un mobiletto bar ben rifornito. Mi siedo su una sdraio in vimini. Lei prepara due “sballer” (vino bianco e Campari). Poi viene a sedersi di fronte a me.
– Non la stupisce che Antonella ci abbia detto di lei, a me e Giorgio?
– Ci speravo – dico assaggiando l’aperitivo. Poi lei inizia a raccontare:
“Una sera mi invita a cena ed Elena, la figlia, non c’è. Io, Antonella e Giorgio ci ubriachiamo un po’ e, ad un certo punto, Antonella dice alla cameriera che può andare. Ci sediamo in salotto, e lei vuole che io e Giorgio ci mettiamo sul divanetto, lui a destra e io a sinistra, poi abbassa le luci e mette su della musica. “Pensiero stupendo”, pensi un po'. Inizia a ballare, viene vicino, alza una gamba sul divano e posa il piede vicino al mio fianco, come se volesse salirmi a cavalcioni. Invece resta in piedi come sbattendomi la fica davanti, poi si china e mi bacia con un sacco di lingua. Si rialza e, muovendo il culo, si solleva la gonna sulla coscia, slaccia i bottoncini che le reggono la calza e se la sfila molto lentamente guardandomi divertita negli occhi. Io e Giorgio siamo impietriti. Non sappiamo davvero che fare. Lei finisce di togliersi la calza, me la passa dietro la testa e la usa per avvicinarmi di nuovo alle sue labbra. Quando la smette di baciarmi mi fa l’occhiolino e va a rifare lo stesso numero, con l’altra gamba, a Giorgio. Anche a lui lascia la calza attorno al collo dopo averlo baciato e poi si allontana, si porta le mani dietro la schiena e, sempre ballando lentamente, molto lentamente, muovendo appena i fianchi, e si abbassa la cerniera del vestitino, si sfila le maniche muovendo le spalle, e alla fine se lo fa scivolare ai piedi, rimanendo in mutandine e reggiseno. Quindi torna tra noi due, si siede in mezzo e offre la bocca a Giorgio, dando a me la schiena. Si stacca da lui senza però smettere di fissarlo.
– Sonia, per favore, sganciami il reggiseno – mi dice con voce bassa ed eccitata. Poi riprende a baciarlo mentre io faccio ciò che mi ha chiesto. Le slaccio il gancetto, le abbasso le spalline carezzandole le spalle, poi le passo le mani sotto le ascelle, le infilo sotto il reggiseno che si scosta. Mi riempio le mani dei suoi seni, e non sa quanto siano morbidi e grossi i suoi seni. E lei intanto bacia Giorgio e con una mano gli accarezza la patta, senza aprirgliela. Quando le prendo i capezzoli tra le dita ha un sussulto, si alza e si mette davanti a me.
– Le mutandine ora, Sonia. Per favore.
Io poso le mie mani sui suoi fianchi e inizio ad abbassargliele. Lei guarda me, poi guarda Giorgio e anche lui la guarda con desiderio. Quando le mutandine sono alla caviglia alza i piedi, prima uno poi l’altro per farsele sfilare del tutto. Quindi mi mette una mano sulla testa e mi tira a sé. Io non aspetto altro per sbattergli la lingua fra le gambe, e lei mi tiene per i capelli e si gode la propria e l’eccitazione che vede negli occhi di Giorgio. Poi mi spinge la testa in dietro e mi fa alzare. Mi si appiccica e mi bacia, le mie mani sulla sua schiena nuda, sul suo sedere pieno, le sue addosso a me, mi palpano con desiderio. Poi si stacca.
– Adesso tocca a te, Sonia.
Si siede al fianco di Giorgio e, mentre io mi allontano pensando a come spogliarmi, vedo che lei si china, gli apre lo zip e si prende in bocca il suo uccello. Giorgio le passa una mano sulla schiena, arriva fino al suo culo. Con l’altra si slaccia la cravatta, si mette comodo. Io mi accorgo che tutti quegli anni di vicinanza senza mai toccarci hanno accumulato un sacco di desiderio tra noi due. Inizio a spogliarmi per lui, mi faccio guardare e desiderare, e quando mi calo la gonna mi dispiace solo di non portare le calze. Poi mi sfilo il top e quindi il reggiseno. Mi avvicino e gli offro i capezzoli da succhiare, le sua mani mi calano le mutandine. Poi ci baciamo come pazzi e la smetto solo per spogliarlo, gli tolgo la camicia, poi gli sfilo i pantaloni. Con l’aiuto di Antonella, che non la smette con il suo lento pompino, gli calo le mutande. Quando Giorgio è nudo, mi porto alle spalle di Antonella che, in ginocchio sul divano, china su di lui, tiene il culo in alto. E lì m infilo allungando la lingua fino alla sua fica. È bagnatissima, come me del resto, e non ho certo bisogno di toccarmi per saperlo. Mi basta muovere appena le cosce per sentire le labbra scivolare tra loro.
È lei che decide di cambiare posizione quando sente Giorgio che non ce la fa più. Si solleva e si volta verso di me, mi bacia e mi sbatte sul divano, con le cosce aperte e la fica all’aria. Vi si getta sopra come un’indemoniata, in ginocchio sul tappeto. Si solleva con le labbra che brillano di ciprigno solo per dire a Giorgio di mettergli dentro il cazzo. Lui le passa dietro e glielo ficca in fondo con un colpo solo. Inizia a pomparla, e lei riprende a slinguarmi, poi si alza, mi afferra un seno e lo stringe, mentre infila le dita dell’altra mano nella fica, e con il pollice mi massacra la clitoride.
– Voglio dartelo, Sonia – mi dice con la voce roca. – Lo vuoi?, ti vuoi fare il cazzo del mio uomo, Sonia?
– Sì, Antonella, voglio tutto quello che vuoi tu – le dico.
Allora lei mi bacia in bocca, ed è un bacio d’amore (anche se lei, Barison, è troppo cinico per capire cosa sia), e nel farlo si sfila fuori da Giorgio. Allora si volta verso di lui e lo bacia e io mi accorgo solo allora quanto lei ami il suo uomo. E subito lui è dentro di me, e inizia a scoparmi furioso. Lei è al nostro fianco, ci accarezza entrambi e pare godere anche più di noi. Io scivolo sullo schienale, vi poso solo la testa. Giorgio mi tiene per i fianchi e Antonella mi succhia i seni, mi bacia, poi va da lui e gli lecca il collo, gli succhia le labbra.
– Vengo… vengo – sussurro ansimando.
– Giorgio, riempila, ti prego, riempile la fica! – grida Antonella. E lui accelera le spinte, lei abbassa il capo. Giorgio mi tira la prima sborrata in fica, poi esce e mi inonda il pube finché le labbra di Antonella si chiudono attorno al suo glande per succhiarne tutto il seme rimasto. Ben presto lui crolla a sedere sul tavolino, e lei allora mi si ributta sulla fica e inizia a succhiare e leccare il suo sperma misto al mio ciprigno che escono mescolati dal mio sesso.
– I vostri odori… – dice e sbarra gli occhi tanto da farmi paura. E invece è solo venuta: è venuta leccandomi la fica e basta.
Non hai idea di quanto abbiamo scopato, ancora lì in salotto, io e lei, e poi in camera quando si è ripreso Giorgio, e allora sono stata io a succhiarle dalla fica dopo che lui si era svuotato dentro di lei. Praticamente in questi ultimi giorni non abbiamo fatto altro che scopare.”

Rimaniamo un attimo in silenzio, sorseggiando i nostri intrugli.
– Beh, tutto è bene… – dico dopo un po’.
Lei sbuffa divertita.
– Lei non può capire, eh signor Barison l’investigatore? Per lei sono solo numeri da vhs porno. Comunque non l’ho chiamata qui per questo. Voglio vedere se è davvero un fotografo o se è capace di usare la macchina fotografica solo per immortalare il sedere di qualcuno tra le cosce della moglie di un suo cliente.
– È un soggetto interessante, non creda.
– Non ne dubito.
Si alza in piedi. Ha una veste indiana che la scende al ginocchio, verde, larga sul suo corpo magro da ballerina classica, con il colletto a “T” ricamato e chiuso da un laccio che lei scioglie. La veste cade a terra e sotto è nuda, come sua abitudine. Lei mi guarda divertita e mi prende il bicchiere vuoto di mano. Lo posa sul tavolino.
– Mi segua, Barison. Si spaccia per un fotografo, vediamo se ci sa fare davvero.
Cammina a piedi nudi verso il set, con il sedere piccolo e sodo che asseconda il movimento delle gambe diritte e magre.
– Dove mi metto? Vediamo un po’ – dice portandosi un indice alle labbra. – Ah, ecco, qui andrà bene.
C’è una vecchia poltrona, classica, con ricami a fiori dorati su sfondo scuro e una spalliera consumata. Lei vi si siede come su un trono. Poi incrocia le gambe, la caviglia sopra il ginocchio. Prendo una macchina a caso. Controllo che pellicola c’è. Bianco e nero, ottimo. Inizio a fotografare il contrasto del suo corpo di donna con la posizione che gli ha dato. La riprendo dal basso, centro la caviglia, le mani dalle dita lunghe e sottile, il costato e i seni piccoli dai capezzoli grossi. Il mento quadrato e i suoi occhi incapaci di nascondere fino in fondo la sua debolezza.
– Stenditi lì – le ordino. Tolgo la giacca per lavorare meglio.
Lei va a distendersi sul tappeto di lana sparso di cuscini, tenta una posa, io la blocco e la faccio stendere con la schiena sul tappeto, la nuca appoggiata, le braccia lungo i fianchi, le gambe appena aperte. Inizio a fotografarla dai piedi, con il diaframma regolato perché il resto del suo corpo appaia come un panorama lontano e sfumato. Poi la linea della sue gambe, con i suoi muscoli sottili, i suoi tendini scoperti, le ossa delle ginocchia, le cosce snelle. Le faccio alzare una gamba piegando il ginocchio. Fotografo la gamba piegata, con il polpaccio premuto contro la coscia e la caviglia sottile. Poi le faccio allargare le gambe appena un po’ e cerco di catturare l’armonia della caduta della coscia. Poi il suo sesso, l’arco del sedere sotto di esso, il punto di domanda che gira attorno al pube, passa tra le labbra e salta fino all’ano. Cambio rullini in piedi, pensando lo scatto successivo. Fotografo le ossa della sua anca, l’orchidea rossa tatuata sull’inguine, l’ombelico tirato ai lati dalle addominali da palestra. Scendo a cercare la curvatura della schiena, dei fianchi, della vita, e scatto al gioco d’ombra del suo costato, e scatto più volte per catturare il movimento del suo petto che sento fremere ad ogni clic, e l’abbassarsi e alzarsi del suo petto ad ogni respiro. Mi stendo a terra per prenderla di profilo, dal neo che ha sotto l’ascella fino al gomito del braccio che le ho fatto alzare e abbandonare al di là delle spalle, la linea della sua fronte, il taglio delle ciglia, il pendio del naso e la graffa delle sue labbra. Il mento e il collo.
La manipolo come fosse un pupazzo inanimato, proibendole di aiutarmi, imponendole la totale passività. La volto di fianco e le fotografo la linea del collo, dalla spalla lungo i tendini che arrivano al mento, il suo mento particolare, e le scosto i capelli dalla sua piccola orecchia, di cui credo si vergogni. Dalle sue spalle e lungo la schiena cerco i segni del passare delle stagioni, delle dita degli amanti che l’hanno carezza, graffiata, succhiata e penetrata. La metto di tre quarti, con la tempia posata sulla mano. L’altro braccio lo ripiego, lo infilo sotto il suo capo, con il dorso contro la sua guancia. Le dico di chiudere gli occhi. Ritraggo la sua scapola e il neo sotto l’ascella, il braccio ripiegato e il suo viso, gli occhi chiusi e le labbra un po’ aperte. Vado avanti per ore e mi sono tolto la camicia perché fa caldo sotto ai riflettori. Fotografo le spalle e la schiena, poi il sedere, la nuca, e ancora le spalle. E poi il sesso, da dietro, aperto.
Cambio un ultimo rullino, alzo la macchina verso di lei. Poi cambio idea e la poso. Mi stendo accanto a lei. Sonia è di schiena, ha le mani sotto le spalle, la testa rivolta dall’altro lato. Respira e basta, completamente svuotata, l’espressione serena ma neutra, non ha ancora aperto gli occhi. La bacio. Lei risponde al bacio e apre gli occhi, mi abbraccia. Mi slaccio i pantaloni con movimenti goffi, poi entro dentro di lei e la prendo lì sul tappeto. Lei è come frastornata, guarda il soffitto e si limita a tenermi una mano sulla spalla. Vengo dentro di lei dopo poche e profondissime spinte e subito mi stacco. Mi rivesto in silenzio senza più guardarla. Quando esco dall’atelier, Sonia Orici è ancora lì, distesa sul tappeto, con il mio seme che le scorre tra le cosce. Tutti i rullini sono nella tasca delle mia giacca.

FINE
scritto il
2010-08-02
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