I Romano 1: la moglie del calciatore
di
Joe Cabot
genere
pulp
I Romano 1: la moglie del calciatore
Vito Romano guardava fuori dalle vetrate antiproiettile del suo ufficio. La festa per i 15 anni di Maria, la figlia minore, scorreva là fuori leggera e fastidiosa come la musica di quel cantantucolo neomelodico che la ragazza aveva preteso per il suo compleanno.
Ciro chiuse la porta del suo ufficio alle proprie spalle lasciando entrare la mogliettina di Lilian Portaud, Chloe. La ragazza era giovane e Portaud l'aveva pescata nelle selezioni di miss Francia, quando ancora lui giocava nel Paris Saint Germain, e se l'era portata dietro. Carina era carina. Mulatta, lunghi capelli neri, alta. Un gran bel pezzo di fica, pensò Vito Romano. Ma aveva un difetto per essere anche una “brava” fica. Un difetto che del resto le donne di casa Romano conoscevano bene. Si impicciavano. Questa si era messa in testa di fare da manager al marito e suo cugino Rino, il presidente della Squadra, gli aveva rotto non poco il cazzo con tutte le puttanate che quella fica gli aveva fatto inserire nel contratto al momento dell'ingaggio. “E ora che cazzo vuole, sta' troietta francese”, si chiedeva Vito Romano, mentre lei si sedeva davanti alla sua scrivania e lui tornava alle vetrate a guardare fuori.
“Signor Romano,” attaccò la donna con il suo marcato accento. “Io credo nell'Italia, l'Italia ha fatto la nostra fortuna, e le sono grata di avermi ricevuta. Spero che non le ruberò molto tempo”.
E invece, da come iniziò a raccontare i particolari del diverbio tra suo marito Portaud ed il presidente Gentilini (diverbio che era costato il posto in squadra al fantasista), Vito Romano capì che la cosa sarebbe andata per le lunghe.
“Signora Chloe, io non mi occupo della Squadra”, tagliò corto senza girarsi.
Lei si abbassò un po', sedendosi in punta della poltrona e posando le mani alla scrivania.
“La prego, don Vito, io lo so che se lei volesse...”
Vito Romano grugnì. Nessuno lo chiamava così. Lui al limite, per tutti era lo Zio.
“Non mi chiami così. Mio nonno era don Vito. Io sono solo il signor Romano. Mi occupo di edilizia. Cosa crede?”
“Mi scusi... ma io... siamo disperati. Con Lilian fuori squadra, lo stipendio decurtato. Perfino uno sponsor ha rescisso il contratto. Rischiamo di perdere la casa.”
Lo Zio era sempre più eccitato. Non seguiva una parola ma quell'accento lo stava mandando fuori di testa.
Con indifferenza passeggiò fino alla scrivania. Lei vide che si avvicinava e si sedette all'indietro, accavallando le gambe. Quando si mise davanti a lei, sedendosi sul bordo della scrivania, lei vide chiaramente il bozzo causato dall'erezione. Chloe Portaud alzò gli occhi fino a quelli dell'uomo che le stava davanti. Lei vide il suo ghigno, lui vide i suoi occhi da preda. “Sei proprio una troietta”, pensò Vito Romano. “Chissà quante volte ci sei già passata, tra un concorso di bellezza e un party alla moda a Parigi. E ora sei qui, quindi fa' ciò che devi fare.” Lei lo fece.
Allungò le sue dita affusolate (“mani di fata” pensò Vito Romano), e gli aprì la patta. Lo Zio era sempre stato soddisfatto del suo cazzo e gli piaceva particolarmente vederlo sparire tra le labbra di qualche troietta. “E questa”, pensò lui, “era una bella troietta con delle belle labbra”. La sua lingua rosea uscì da quelle labbra e diede alcuni colpi al glande, ma subito lo prese in bocca, iniziando un lavoro ben fatto, ma appena un po' frettoloso.
“Che troietta”, pensò Vito Romano, “te la vuoi cavare con poco. Mi vuoi far sborrare in fretta”. Però intanto se lo gustava, intenzionato a fargliela vedere. Si gustava quella bocca calda, e quel bel pezzo di fica inginocchiato davanti a lui. Le mise le mani tra i capelli ricci e neri, fino al tepore della sua nuca, del suo collo sottile che faceva avanti e indietro per assecondare il pompino.
“Ah, troietta...” prese a mormorare.
Quasi ci riuscì, la povera Chloe, finalista di miss France solo due anni prima. Ma lui si ritrasse in tempo. L'afferrò con una mano per il collo facendola alzare. “Che ti credevi, puttana, di risolvere tutto con un pompino?” le disse.
Con una mano la teneva per il collo. Una mano grande che quasi le circondava il collo sottile per intero. L'altra mano dello Zio già si era fatta largo tra le sue cosce, fino a trovare la sua fichetta. Lo divertiva lo sguardo impaurito della ragazza. Da vicino si rese conto che i suoi occhi erano verdi. “Ora vedi”, pensò.
Sempre tenendola per il collo, la fece piegare sulla scrivania. Con l'altra mano le sollevò la gonna fin sopra il sedere. “Puttana francese”, pensò lo Zio strappandole il perizoma azzurrino. Si sputò su indice e medio e glieli mise in culo senza tanti complimenti.
“NO!” gridò lei.
“Zitta puttana” le disse continuando ad allargarle l'ano con le dita. “Che tanto il tuo bel negrone chissà quante volte te lo sfonda questo bel culetto.”
Lo Zio le puntò il cazzo in culo e lo spinse dentro. Quando fu tutto dentro lui lasciò andare il respiro con un rantolo e lei gemette di brutto. Lui prese a incularla per bene.
“Dimmelo, puttana, che il tuo bel centravanti ti fa gol in culo”, prese a insultarla.
Lei gemeva e gemeva e finì anche per gemere dei “sì” sempre più forti. Perchè era vero che a Lilian piaceva un sacco il culo, e lei da tempo aveva dovuto farsene una ragione.
Alla fine lui le venne in culo, e lo fece a lungo. Poi si ritrasse e si lasciò cadere su un'altra poltroncina, da cui poteva vedere il culo aperto della francesina ancora piegata sulla scrivania, tutta scossa da ansimi. Il culo pieno del suo sperma che tracimava fino alle cosce. Vito Romano pensò che non l'avrebbe lasciata andare con così poco. Ma era il compleanno di suo figlia, e avrebbe fatto la telefonata a Rino. E poi forse se la sarebbe scopata di nuovo.
Vito Romano guardava fuori dalle vetrate antiproiettile del suo ufficio. La festa per i 15 anni di Maria, la figlia minore, scorreva là fuori leggera e fastidiosa come la musica di quel cantantucolo neomelodico che la ragazza aveva preteso per il suo compleanno.
Ciro chiuse la porta del suo ufficio alle proprie spalle lasciando entrare la mogliettina di Lilian Portaud, Chloe. La ragazza era giovane e Portaud l'aveva pescata nelle selezioni di miss Francia, quando ancora lui giocava nel Paris Saint Germain, e se l'era portata dietro. Carina era carina. Mulatta, lunghi capelli neri, alta. Un gran bel pezzo di fica, pensò Vito Romano. Ma aveva un difetto per essere anche una “brava” fica. Un difetto che del resto le donne di casa Romano conoscevano bene. Si impicciavano. Questa si era messa in testa di fare da manager al marito e suo cugino Rino, il presidente della Squadra, gli aveva rotto non poco il cazzo con tutte le puttanate che quella fica gli aveva fatto inserire nel contratto al momento dell'ingaggio. “E ora che cazzo vuole, sta' troietta francese”, si chiedeva Vito Romano, mentre lei si sedeva davanti alla sua scrivania e lui tornava alle vetrate a guardare fuori.
“Signor Romano,” attaccò la donna con il suo marcato accento. “Io credo nell'Italia, l'Italia ha fatto la nostra fortuna, e le sono grata di avermi ricevuta. Spero che non le ruberò molto tempo”.
E invece, da come iniziò a raccontare i particolari del diverbio tra suo marito Portaud ed il presidente Gentilini (diverbio che era costato il posto in squadra al fantasista), Vito Romano capì che la cosa sarebbe andata per le lunghe.
“Signora Chloe, io non mi occupo della Squadra”, tagliò corto senza girarsi.
Lei si abbassò un po', sedendosi in punta della poltrona e posando le mani alla scrivania.
“La prego, don Vito, io lo so che se lei volesse...”
Vito Romano grugnì. Nessuno lo chiamava così. Lui al limite, per tutti era lo Zio.
“Non mi chiami così. Mio nonno era don Vito. Io sono solo il signor Romano. Mi occupo di edilizia. Cosa crede?”
“Mi scusi... ma io... siamo disperati. Con Lilian fuori squadra, lo stipendio decurtato. Perfino uno sponsor ha rescisso il contratto. Rischiamo di perdere la casa.”
Lo Zio era sempre più eccitato. Non seguiva una parola ma quell'accento lo stava mandando fuori di testa.
Con indifferenza passeggiò fino alla scrivania. Lei vide che si avvicinava e si sedette all'indietro, accavallando le gambe. Quando si mise davanti a lei, sedendosi sul bordo della scrivania, lei vide chiaramente il bozzo causato dall'erezione. Chloe Portaud alzò gli occhi fino a quelli dell'uomo che le stava davanti. Lei vide il suo ghigno, lui vide i suoi occhi da preda. “Sei proprio una troietta”, pensò Vito Romano. “Chissà quante volte ci sei già passata, tra un concorso di bellezza e un party alla moda a Parigi. E ora sei qui, quindi fa' ciò che devi fare.” Lei lo fece.
Allungò le sue dita affusolate (“mani di fata” pensò Vito Romano), e gli aprì la patta. Lo Zio era sempre stato soddisfatto del suo cazzo e gli piaceva particolarmente vederlo sparire tra le labbra di qualche troietta. “E questa”, pensò lui, “era una bella troietta con delle belle labbra”. La sua lingua rosea uscì da quelle labbra e diede alcuni colpi al glande, ma subito lo prese in bocca, iniziando un lavoro ben fatto, ma appena un po' frettoloso.
“Che troietta”, pensò Vito Romano, “te la vuoi cavare con poco. Mi vuoi far sborrare in fretta”. Però intanto se lo gustava, intenzionato a fargliela vedere. Si gustava quella bocca calda, e quel bel pezzo di fica inginocchiato davanti a lui. Le mise le mani tra i capelli ricci e neri, fino al tepore della sua nuca, del suo collo sottile che faceva avanti e indietro per assecondare il pompino.
“Ah, troietta...” prese a mormorare.
Quasi ci riuscì, la povera Chloe, finalista di miss France solo due anni prima. Ma lui si ritrasse in tempo. L'afferrò con una mano per il collo facendola alzare. “Che ti credevi, puttana, di risolvere tutto con un pompino?” le disse.
Con una mano la teneva per il collo. Una mano grande che quasi le circondava il collo sottile per intero. L'altra mano dello Zio già si era fatta largo tra le sue cosce, fino a trovare la sua fichetta. Lo divertiva lo sguardo impaurito della ragazza. Da vicino si rese conto che i suoi occhi erano verdi. “Ora vedi”, pensò.
Sempre tenendola per il collo, la fece piegare sulla scrivania. Con l'altra mano le sollevò la gonna fin sopra il sedere. “Puttana francese”, pensò lo Zio strappandole il perizoma azzurrino. Si sputò su indice e medio e glieli mise in culo senza tanti complimenti.
“NO!” gridò lei.
“Zitta puttana” le disse continuando ad allargarle l'ano con le dita. “Che tanto il tuo bel negrone chissà quante volte te lo sfonda questo bel culetto.”
Lo Zio le puntò il cazzo in culo e lo spinse dentro. Quando fu tutto dentro lui lasciò andare il respiro con un rantolo e lei gemette di brutto. Lui prese a incularla per bene.
“Dimmelo, puttana, che il tuo bel centravanti ti fa gol in culo”, prese a insultarla.
Lei gemeva e gemeva e finì anche per gemere dei “sì” sempre più forti. Perchè era vero che a Lilian piaceva un sacco il culo, e lei da tempo aveva dovuto farsene una ragione.
Alla fine lui le venne in culo, e lo fece a lungo. Poi si ritrasse e si lasciò cadere su un'altra poltroncina, da cui poteva vedere il culo aperto della francesina ancora piegata sulla scrivania, tutta scossa da ansimi. Il culo pieno del suo sperma che tracimava fino alle cosce. Vito Romano pensò che non l'avrebbe lasciata andare con così poco. Ma era il compleanno di suo figlia, e avrebbe fatto la telefonata a Rino. E poi forse se la sarebbe scopata di nuovo.
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