I Romano 11: la sorella della sposa
di
Joe Cabot
genere
etero
I Romano 11: la sorella della sposa
Livia Vannucchi era diversa dalla sorella maggiore. Anche se più giovane di Franca di poco più di un anno, lei era sempre stata tenuta al riparo e protetta dai mali della vita che conduceva la sua famiglia. Era cresciuta come una rosa candida, come se la sorella maggiore avesse succhiato via dalle sue vene tutto il veleno iniettato a loro madre da loro padre e da tutti gli altri uomini che se ne erano approfittati. Tanto Franca si era fatta cattiva, diffidente, cauta come una vipera, tanto lei era fiduciosa e amabile con tutti. Aveva fatto il liceo, Livia, ed in seguito aveva trovato un posto part-time in una panetteria che le permetteva di mantenersi gli studi alla facoltà di farmacologia.
Quando Franca le aveva detto del matrimonio si era sentita scoppiare di felicità e di Mario si innamorò all'istante, ma non come avrebbe potuto innamorarsi di un uomo, bensì proprio in quanto lo trovò, così gentile, bello, colto e di buona famiglia, assolutamente perfetto come sposo di sua sorella. Quando poi Franca le disse che faceva lo scrittore, le parve di toccare il cielo con un dito e abbracciò la sorella con una felicità nel petto che mai avrebbe pensato di poter provare. Sapeva che Franca ne aveva passate, di difficoltà con gli uomini, e vederla finalmente sistemata era per lei come togliersi una spina dal cuore.
Ma questa gioia non era ancora nulla rispetto a quello che provò quando andarono a scegliere il vestito da sposa e vide uscire Franca dal camerino con l'abito indosso: senza dire nulla, Livia si mise a piangere in silenzio, senza smetterla di sorridere come un'ebete.
– Dai, smettila, sciocchina. È solo un vestito – le disse Franca imbarazzata.
– Sei più bella della più bella principessa delle favole.
Livia pianse di commozione per tutta la durata della cerimonia anche più di loro madre e non ebbe occhi che per sua sorella, la più bella sposa che si potesse immaginare accanto al più bello sposo. Quando poi i due diedero inizio alle danze, nel salone del magnifico ristorante che aveva scelto il padre dello sposo, l'imponente signor Orcomanno che un po' la intimidiva, le parve davvero di vivere una fiaba.
Non c'è da stupirsi che, nonostante le centinaia di invitati, ci mise pochi minuti ad accorgersi che Franca era sparita. Vide che Mario si stava intrattenendo con alcuni ospiti e pensò che forse Franca si stava rifacendo il trucco e aveva bisogno di lei. Controllò nei bagni e non la trovò. Rimase un attimo nell'anticamera dei bagni, dubbiosa su dove potesse essere andata, finché notò la porta con la scritta “privato” e, cautamente, la spinse. Si trovò davanti un corridoio ed iniziò ad avanzare verso una porta socchiusa in fondo, camminando timorosa sulla soffice moquette che attutiva i suoi passi. Pensava di trovarvi i camerieri, e che loro sapessero dov'era andata la sposa. Invece, quando guardò attraverso lo spiraglio lasciato aperto dalla porta, vide proprio sua sorella. Ma non si stava rifacendo il trucco, e non pensava di poter essere vista.
Franca Vannucchi era inginocchiata a pochi metri dalla porta, con il bell'abito candido da sposa che le scendeva a campana attorno, come la corolla di un fiore. Aveva le spalle e il décolleté scoperto, e la veletta sollevata sulla bocca, gli occhi chiusi. Stava prendendo in bocca il pene di un uomo.
Livia si portò le mani alla bocca per non gridare mentre alzava gli occhi sul viso dell'uomo che, benché fosse di trequarti, riconobbe subito per Pietro Orcomanno, il padre dello sposo.
Inorridita riportò lo sguardo sulla sorella e vide che faceva scorrere le sue labbra sul pene dell'uomo fino a sfilarselo di bocca. Quel coso le pareva enorme e si chiese come facesse la sua amata sorella a tendere le labbra e le guance a quel modo quando lo inghiottiva quasi sino alla sua base.
– Brava la mia puttana – mormorava l'uomo appoggiato ad un mobiletto, con la testa abbandonata all'indietro – sei proprio una brava nuora.
Il signor Orcomanno d'un tratto le mise una mano sulla testa, incurante della splendida acconciatura che la parrucchiera era stata ore a realizzare, e prese a fare dentro e fuori dalla bocca di Franca sempre più forte. L'uomo ora guardava la bocca di sua sorella, che teneva gli occhi chiusi e pareva soffrire, mentre lui in viso aveva un'espressione raccapricciante.
– Ora devi bere tutto, puttana, non vorrai sporcarti il vestito?
D'un tratto Franca spalancò gli occhi e soffocò un singulto. Livia capì che quell'uomo le stava dando da bere il suo sperma e, schifata, indietreggiò in preda ad un crisi di disgusto che per poco non la fece scoprire. Vergognandosi di quel che aveva visto e di se stessa si chiuse alle spalle la porta che dava sull'anticamera dei bagni e si gettò su un lavandino per lavarsi il viso. Si guardò allo specchio, disperata per come si era ridotta il trucco, e di nuovo sentì che stava per mettersi a piangere ma che non doveva assolutamente farsi trovare lì da sua sorella e da quell'uomo. Si lanciò verso il corridoio che dava sul salone. Appena fu dentro però le parve di non potersi più reggere in piedi. La gioia smisurata che l'aveva sostenuta nelle ultime settimane le era morta dentro. Si sentì toccare dolcemente una spalla e si trovò davanti il cugino dello sposo, Vito Romano, che le era stato presentato poco prima. L'uomo la guardava e le chiedeva se andasse tutto bene. Vito allora vide che stava per scoppiare in lacrime e che non erano di gioia. La condusse in disparte, dietro alcuni tendoni decorativi, e da lì vide uscire dal corridoio prima Franca Vannucchi, con lo sguardo più cattivo del solito, e poi, dopo neanche un minuto, Pietro Orcomanno, detto lo Squalo, con un ghigno soddisfatto. Vito alzò un sopracciglio mentre tra le sue braccia Livia Vannucchi non accennava a calmarsi.
Livia Vannucchi era diversa dalla sorella maggiore. Anche se più giovane di Franca di poco più di un anno, lei era sempre stata tenuta al riparo e protetta dai mali della vita che conduceva la sua famiglia. Era cresciuta come una rosa candida, come se la sorella maggiore avesse succhiato via dalle sue vene tutto il veleno iniettato a loro madre da loro padre e da tutti gli altri uomini che se ne erano approfittati. Tanto Franca si era fatta cattiva, diffidente, cauta come una vipera, tanto lei era fiduciosa e amabile con tutti. Aveva fatto il liceo, Livia, ed in seguito aveva trovato un posto part-time in una panetteria che le permetteva di mantenersi gli studi alla facoltà di farmacologia.
Quando Franca le aveva detto del matrimonio si era sentita scoppiare di felicità e di Mario si innamorò all'istante, ma non come avrebbe potuto innamorarsi di un uomo, bensì proprio in quanto lo trovò, così gentile, bello, colto e di buona famiglia, assolutamente perfetto come sposo di sua sorella. Quando poi Franca le disse che faceva lo scrittore, le parve di toccare il cielo con un dito e abbracciò la sorella con una felicità nel petto che mai avrebbe pensato di poter provare. Sapeva che Franca ne aveva passate, di difficoltà con gli uomini, e vederla finalmente sistemata era per lei come togliersi una spina dal cuore.
Ma questa gioia non era ancora nulla rispetto a quello che provò quando andarono a scegliere il vestito da sposa e vide uscire Franca dal camerino con l'abito indosso: senza dire nulla, Livia si mise a piangere in silenzio, senza smetterla di sorridere come un'ebete.
– Dai, smettila, sciocchina. È solo un vestito – le disse Franca imbarazzata.
– Sei più bella della più bella principessa delle favole.
Livia pianse di commozione per tutta la durata della cerimonia anche più di loro madre e non ebbe occhi che per sua sorella, la più bella sposa che si potesse immaginare accanto al più bello sposo. Quando poi i due diedero inizio alle danze, nel salone del magnifico ristorante che aveva scelto il padre dello sposo, l'imponente signor Orcomanno che un po' la intimidiva, le parve davvero di vivere una fiaba.
Non c'è da stupirsi che, nonostante le centinaia di invitati, ci mise pochi minuti ad accorgersi che Franca era sparita. Vide che Mario si stava intrattenendo con alcuni ospiti e pensò che forse Franca si stava rifacendo il trucco e aveva bisogno di lei. Controllò nei bagni e non la trovò. Rimase un attimo nell'anticamera dei bagni, dubbiosa su dove potesse essere andata, finché notò la porta con la scritta “privato” e, cautamente, la spinse. Si trovò davanti un corridoio ed iniziò ad avanzare verso una porta socchiusa in fondo, camminando timorosa sulla soffice moquette che attutiva i suoi passi. Pensava di trovarvi i camerieri, e che loro sapessero dov'era andata la sposa. Invece, quando guardò attraverso lo spiraglio lasciato aperto dalla porta, vide proprio sua sorella. Ma non si stava rifacendo il trucco, e non pensava di poter essere vista.
Franca Vannucchi era inginocchiata a pochi metri dalla porta, con il bell'abito candido da sposa che le scendeva a campana attorno, come la corolla di un fiore. Aveva le spalle e il décolleté scoperto, e la veletta sollevata sulla bocca, gli occhi chiusi. Stava prendendo in bocca il pene di un uomo.
Livia si portò le mani alla bocca per non gridare mentre alzava gli occhi sul viso dell'uomo che, benché fosse di trequarti, riconobbe subito per Pietro Orcomanno, il padre dello sposo.
Inorridita riportò lo sguardo sulla sorella e vide che faceva scorrere le sue labbra sul pene dell'uomo fino a sfilarselo di bocca. Quel coso le pareva enorme e si chiese come facesse la sua amata sorella a tendere le labbra e le guance a quel modo quando lo inghiottiva quasi sino alla sua base.
– Brava la mia puttana – mormorava l'uomo appoggiato ad un mobiletto, con la testa abbandonata all'indietro – sei proprio una brava nuora.
Il signor Orcomanno d'un tratto le mise una mano sulla testa, incurante della splendida acconciatura che la parrucchiera era stata ore a realizzare, e prese a fare dentro e fuori dalla bocca di Franca sempre più forte. L'uomo ora guardava la bocca di sua sorella, che teneva gli occhi chiusi e pareva soffrire, mentre lui in viso aveva un'espressione raccapricciante.
– Ora devi bere tutto, puttana, non vorrai sporcarti il vestito?
D'un tratto Franca spalancò gli occhi e soffocò un singulto. Livia capì che quell'uomo le stava dando da bere il suo sperma e, schifata, indietreggiò in preda ad un crisi di disgusto che per poco non la fece scoprire. Vergognandosi di quel che aveva visto e di se stessa si chiuse alle spalle la porta che dava sull'anticamera dei bagni e si gettò su un lavandino per lavarsi il viso. Si guardò allo specchio, disperata per come si era ridotta il trucco, e di nuovo sentì che stava per mettersi a piangere ma che non doveva assolutamente farsi trovare lì da sua sorella e da quell'uomo. Si lanciò verso il corridoio che dava sul salone. Appena fu dentro però le parve di non potersi più reggere in piedi. La gioia smisurata che l'aveva sostenuta nelle ultime settimane le era morta dentro. Si sentì toccare dolcemente una spalla e si trovò davanti il cugino dello sposo, Vito Romano, che le era stato presentato poco prima. L'uomo la guardava e le chiedeva se andasse tutto bene. Vito allora vide che stava per scoppiare in lacrime e che non erano di gioia. La condusse in disparte, dietro alcuni tendoni decorativi, e da lì vide uscire dal corridoio prima Franca Vannucchi, con lo sguardo più cattivo del solito, e poi, dopo neanche un minuto, Pietro Orcomanno, detto lo Squalo, con un ghigno soddisfatto. Vito alzò un sopracciglio mentre tra le sue braccia Livia Vannucchi non accennava a calmarsi.
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