I racconti della piantagione, 2: mio padre.
di
beast
genere
gay
Luisiana, 1865, avevo presto scoperto di non essere l’unico in famiglia ad apprezzare la pelle nera.
La mamma era morta da cinque anni ormai, e papà poteva finalmente sollazzarsi con i suoi negretti esenza paura di venir scoperto.
Era un uomo di mezza età, alto e muscoloso, il corpo coperto di una fitta peluria biondo-rossiccia, il bel volto squadrato era ornato da un paio di baffoni che si incurvavano verso l’alto, come usava la moda, dettata come sempre dall’Europa, in quel volgere del diciottesimo secolo.
Li faceva entrare di nascosto in casa, la servitù, tutta di colore ovviamente, sapeva benissimo cosa succedeva di giorno in studio o la notte in camera da letto, ma faceva finta di nulla anche se lo trovavano aberrante e contro natura, ma il padrone era pur sempre il padrone e nessuno osava protestare.
Inoltre anche nelle baracche degli schiavi, i maschi più anziani e più robusti ogni tanto si prendevano le loro libertà con i nuovi arrivati, per cui…
Avevo quattordici anni, la prima volta che avevo spiato di nascosto mio padre mentre giaceva con uno schiavo, ed ero rimasto scioccato, ma poi la consapevolezza di non essere il solo appassionato di quella carne color cioccolato, mi aveva reso molto più sereno e finalmente non temevo più di essere pazzo o malato e comunque sapevo di non essere più il solo.
Da allora avevo fatto in modo di tenere d'occhio il mio vecchio in modo da poterlo guardare, non visto, tutte le volte che fotteva con qualche negro, lo spiavo dalla porta socchiusa dello studio, dove ogni tanto ne faceva entrare uno nella pausa pomeridiana o da una fessura nella parete che divideva le nostre due camere da letto, lo spiavo e mi toccavo eccitato e un po’ invidioso.
Ripensando al passato, cominciai a capire quali fossero le sue reali e segrete motivazioni, quando a volte, al mercato degli schiavi, dopo lunghe e attente verifiche sceglieva un ragazzetto all’apparenza troppo giovane e magrolino piuttosto che un altro molto più robusto e più adatto al duro lavoro dei campi.
Lui infatti, al contrario del sottoscritto, che ero attratto dai negri più maturi e nerboruti, preferiva ragazzi decisamente più giovani e minuti. E devo ammettere che il contrasto del loro esile e liscio corpo nero contro il suo massiccio corpo bianco e peloso, in effetti era molto eccitante.
Quando un nuovo giovane acquisto arrivava alla nostra proprietà dal mercato degli schiavi, veniva portato in una baracca laterale e preparato con cura dalle schiave di famiglia per la prima notte con il padrone, lo facevano entrare in una enorme tinozza piena di acqua bollente e lo strigliavano per bene, gli rasavano la barba, nel caso ne avesse già un po’, poi lo massaggiavano con una crema a base di oli profumati e gli facevano indossare una specie di perizoma di lino bianco.
Quando mio padre, dopo aver fumato uno dei suoi Avana nello studio passava in camera da letto, lo trovava pronto e legato ad una delle robuste colonne di legno chiaro che sostenevano il baldacchino di quello che una volta era stato il suo talamo matrimoniale.
Mia padre si spogliava lentamente, aiutato da una giovane domestica che, dopo aver sistemato con cura gli abiti, usciva pudicamente dalla camera per ritirarsi nella stanza della servitù.
Allora mio padre si avvicinava al ragazzo e lo annusava e accarezzava lentamente, mentre il suo pene si drizzava pregustando la notte di sesso proibito.
Lo baciava sul collo, gli leccava le orecchie, le ascelle, passava le dita tra i minuscoli e fitti riccioli neri che cominciavano a ricoprire gli avambracci o il petto del giovane.
In genere anche il cazzo del negro cominciava involontariamente a rizzarsi, allora mio padre scendeva con le carezze verso il suo basso ventre, lo prendeva tra le dita, tastandone la prestanza, ne soppesava i coglioni, stringendoli con una mano, poi abbassava il capo verso quel ben di dio e cominciava a baciarlo, leccarlo, mordicchiarlo, ascoltando divertito i sospiri e i gemiti che uscivano dalle grandi labbra nere.
I baci si trasformavano presto in un pompino, la sua bocca andava su e giù percorrendo ripetutamente l’asta di carne nera in tutta la sua lunghezza, scendendo fino ai testicoli e mordicchiandoli e leccandoli mentre questi si rapprendevano per l’eccitazione crescente.
Quando era soddisfatto di quello che la sua bocca aveva provato, slegava le grosse corde che imprigionavano le braccia dello schiavo alla colonna e lo invitava a sdraiarsi tra le candide lenzuola.
Gli saliva languidamente a cavalcioni e dopo essersi lubrificato ben bene l’ano con un unguento speciale, prendeva il grosso attrezzo nero e se lo passava prima tra le natiche, in modo da ungerlo adeguatamente, poi lo introduceva lentamente dentro di se, tenendolo con una mano e sedendovici sopra.
Il ragazzo mugolava dalla sorpresa e dal piacere e mio padre con lui, mentre cominciava a muoversi lentamente in modo da farsi impalare sempre più a fondo.
Si faceva scopare il più a lungo possibile e, vista la giovane età e la vigoria dei suoi prescelti, anche due o tre volte per notte.
Poi toccava a loro essere scopati, non tutti erano contenti, ma erano talmente esausti dopo essere venuti due o tre volte che non avevano la forza di opporre troppa resistenza e soprattutto sapevano bene di dover accettare la cosa se volevano sopravvivere ancora un po’.
Mio padre li faceva mettere a quattro zampe e poi li montava come se fossero cagne, tenendoli con le grosse mani pelose per le spalle o per i bei glutei color cioccolato, con le grosse palle rosa che sbattevano contro i loro testicoli neri.
Gli sborrava urlando nelle viscere e poi si accasciava sudato e ansante sui giovani corpi neri come il carbone, resi lucidi dal sudore della notte incandescente.
La mattina dopo, la stessa domestica entrava timidamente nella stanza, per andare ad aprire le imposte e permettere all’aria fresca del mattino di sostituire quella viziata e densa di odori di sesso e umori maschili.
In genere, mio padre e il giovane schiavo giacevano abbracciati sotto le leggere lenzuola di lino grezzo, Il ragazzo veniva scacciato rudemente e poteva andare a riposarsi nella sua baracca, preparandosi per la notte successiva, mentre mio padre si faceva portare la sua colazione a letto e si predisponeva mentalmente per gli impegni della giornata.
Al tempo, in tutto questo non ero che un silenzioso e segreto testimone che si masturbava due o tre volte per notte, andando poi a ritirarmi esausto nel mio lettino, pensando che presto anche io avrei potuto godere del privilegio di essere il padroncino di una enorme piantagione di schiavi, piena di maschi neri come il carbone, e immaginavo con occhi sognanti quando finalmente avrei potuto anche io assaggiare la loro verga africana… (continua)
La mamma era morta da cinque anni ormai, e papà poteva finalmente sollazzarsi con i suoi negretti esenza paura di venir scoperto.
Era un uomo di mezza età, alto e muscoloso, il corpo coperto di una fitta peluria biondo-rossiccia, il bel volto squadrato era ornato da un paio di baffoni che si incurvavano verso l’alto, come usava la moda, dettata come sempre dall’Europa, in quel volgere del diciottesimo secolo.
Li faceva entrare di nascosto in casa, la servitù, tutta di colore ovviamente, sapeva benissimo cosa succedeva di giorno in studio o la notte in camera da letto, ma faceva finta di nulla anche se lo trovavano aberrante e contro natura, ma il padrone era pur sempre il padrone e nessuno osava protestare.
Inoltre anche nelle baracche degli schiavi, i maschi più anziani e più robusti ogni tanto si prendevano le loro libertà con i nuovi arrivati, per cui…
Avevo quattordici anni, la prima volta che avevo spiato di nascosto mio padre mentre giaceva con uno schiavo, ed ero rimasto scioccato, ma poi la consapevolezza di non essere il solo appassionato di quella carne color cioccolato, mi aveva reso molto più sereno e finalmente non temevo più di essere pazzo o malato e comunque sapevo di non essere più il solo.
Da allora avevo fatto in modo di tenere d'occhio il mio vecchio in modo da poterlo guardare, non visto, tutte le volte che fotteva con qualche negro, lo spiavo dalla porta socchiusa dello studio, dove ogni tanto ne faceva entrare uno nella pausa pomeridiana o da una fessura nella parete che divideva le nostre due camere da letto, lo spiavo e mi toccavo eccitato e un po’ invidioso.
Ripensando al passato, cominciai a capire quali fossero le sue reali e segrete motivazioni, quando a volte, al mercato degli schiavi, dopo lunghe e attente verifiche sceglieva un ragazzetto all’apparenza troppo giovane e magrolino piuttosto che un altro molto più robusto e più adatto al duro lavoro dei campi.
Lui infatti, al contrario del sottoscritto, che ero attratto dai negri più maturi e nerboruti, preferiva ragazzi decisamente più giovani e minuti. E devo ammettere che il contrasto del loro esile e liscio corpo nero contro il suo massiccio corpo bianco e peloso, in effetti era molto eccitante.
Quando un nuovo giovane acquisto arrivava alla nostra proprietà dal mercato degli schiavi, veniva portato in una baracca laterale e preparato con cura dalle schiave di famiglia per la prima notte con il padrone, lo facevano entrare in una enorme tinozza piena di acqua bollente e lo strigliavano per bene, gli rasavano la barba, nel caso ne avesse già un po’, poi lo massaggiavano con una crema a base di oli profumati e gli facevano indossare una specie di perizoma di lino bianco.
Quando mio padre, dopo aver fumato uno dei suoi Avana nello studio passava in camera da letto, lo trovava pronto e legato ad una delle robuste colonne di legno chiaro che sostenevano il baldacchino di quello che una volta era stato il suo talamo matrimoniale.
Mia padre si spogliava lentamente, aiutato da una giovane domestica che, dopo aver sistemato con cura gli abiti, usciva pudicamente dalla camera per ritirarsi nella stanza della servitù.
Allora mio padre si avvicinava al ragazzo e lo annusava e accarezzava lentamente, mentre il suo pene si drizzava pregustando la notte di sesso proibito.
Lo baciava sul collo, gli leccava le orecchie, le ascelle, passava le dita tra i minuscoli e fitti riccioli neri che cominciavano a ricoprire gli avambracci o il petto del giovane.
In genere anche il cazzo del negro cominciava involontariamente a rizzarsi, allora mio padre scendeva con le carezze verso il suo basso ventre, lo prendeva tra le dita, tastandone la prestanza, ne soppesava i coglioni, stringendoli con una mano, poi abbassava il capo verso quel ben di dio e cominciava a baciarlo, leccarlo, mordicchiarlo, ascoltando divertito i sospiri e i gemiti che uscivano dalle grandi labbra nere.
I baci si trasformavano presto in un pompino, la sua bocca andava su e giù percorrendo ripetutamente l’asta di carne nera in tutta la sua lunghezza, scendendo fino ai testicoli e mordicchiandoli e leccandoli mentre questi si rapprendevano per l’eccitazione crescente.
Quando era soddisfatto di quello che la sua bocca aveva provato, slegava le grosse corde che imprigionavano le braccia dello schiavo alla colonna e lo invitava a sdraiarsi tra le candide lenzuola.
Gli saliva languidamente a cavalcioni e dopo essersi lubrificato ben bene l’ano con un unguento speciale, prendeva il grosso attrezzo nero e se lo passava prima tra le natiche, in modo da ungerlo adeguatamente, poi lo introduceva lentamente dentro di se, tenendolo con una mano e sedendovici sopra.
Il ragazzo mugolava dalla sorpresa e dal piacere e mio padre con lui, mentre cominciava a muoversi lentamente in modo da farsi impalare sempre più a fondo.
Si faceva scopare il più a lungo possibile e, vista la giovane età e la vigoria dei suoi prescelti, anche due o tre volte per notte.
Poi toccava a loro essere scopati, non tutti erano contenti, ma erano talmente esausti dopo essere venuti due o tre volte che non avevano la forza di opporre troppa resistenza e soprattutto sapevano bene di dover accettare la cosa se volevano sopravvivere ancora un po’.
Mio padre li faceva mettere a quattro zampe e poi li montava come se fossero cagne, tenendoli con le grosse mani pelose per le spalle o per i bei glutei color cioccolato, con le grosse palle rosa che sbattevano contro i loro testicoli neri.
Gli sborrava urlando nelle viscere e poi si accasciava sudato e ansante sui giovani corpi neri come il carbone, resi lucidi dal sudore della notte incandescente.
La mattina dopo, la stessa domestica entrava timidamente nella stanza, per andare ad aprire le imposte e permettere all’aria fresca del mattino di sostituire quella viziata e densa di odori di sesso e umori maschili.
In genere, mio padre e il giovane schiavo giacevano abbracciati sotto le leggere lenzuola di lino grezzo, Il ragazzo veniva scacciato rudemente e poteva andare a riposarsi nella sua baracca, preparandosi per la notte successiva, mentre mio padre si faceva portare la sua colazione a letto e si predisponeva mentalmente per gli impegni della giornata.
Al tempo, in tutto questo non ero che un silenzioso e segreto testimone che si masturbava due o tre volte per notte, andando poi a ritirarmi esausto nel mio lettino, pensando che presto anche io avrei potuto godere del privilegio di essere il padroncino di una enorme piantagione di schiavi, piena di maschi neri come il carbone, e immaginavo con occhi sognanti quando finalmente avrei potuto anche io assaggiare la loro verga africana… (continua)
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