Un incontro dell'altro giorno

di
genere
gay

- Come si chiama quel ragazzo?
È da questa domanda, e dalla risposta che mi diede la mia amica Martina, che inizia la mia relazione con Luca. L'avevo visto delle volte al bar, come altri ragazzi entrava a prendere un caffè, una birra, poi usciva subito per andare al lavoro. Si tratteneva soltanto la sera. Mi colpì subito, anche se di lui non sapevo niente; né sapevo se fosse omosessuale. È raro che un ragazzo come Luca sia omosessuale... era colpa dei suoi movimenti, troppo mascolini, e delle sue braccia, tra le quali riuscivo ad immaginare il corpo nudo di una ragazza.
- Ma chi, quello? È Luca, era il fidanzato di Federico.
Ma quel Federico che conoscevo anche io? Quella checca nei confronti di cui persino la mia scarsa virilità sembra accresciuta? Sì, proprio quel Federico!
- Se vuoi, te lo presento, è un bel manzo!
Sono sicuro che, se fosse stato etero, sarebbe piaciuto anche a Martina. Tra noi due c'era un po' un gioco: siccome i ragazzi generalmente sono o omosessuali o eterosessuali, succedeva che uno dei due - o io o Martina - doveva restare a bocca asciutta, e quindi l'altro raccontava, per filo e per segno, tutto il rapporto sessuale. Così era come se avessimo scopato entrambi con tutti i ragazzi, indipendentemente dalla loro sessualità. È anche per questo che Martina, quando vede un bel ragazzo gay, cerca sempre di farmelo conoscere, di farmici andare a letto. Ci riuscì pure questa volta.
Luca arriva a casa mia intorno alle nove di sera: dopo cena. M'ero preparato al meglio al rapporto; senza un pelo indossavo una mutandina sottile, di pizzo, che speravo l'avrebbe eccitato. Entra. Come avevo immaginato, subito mi trascina sul letto e mi sbatte le mani sulle natiche. Con ancora i jeans, mi colpisce e sento il suo cazzo crescere, ne scopro le dimensioni ed il cuore mi batte forte. Sono a pecora mentre lui mi sfila la maglietta, il pantalone, mentre mi sfila le mutande e mi getta la lingua nel culo. Le sue mani si alternano tra l'afferrare i miei fianchi ed il posarmisi sulla schiena, incurvata come una lentina, creando una cavità delicata tra spalle e culo. Io non mi giro. Io guardo fisso davanti a me e d'un tratto sento il rumore d'una cinta che si slaccia; d'una cerniera che si apre; d'un pantalone che scende sulle gambe. Tra il mio culo ed il suo cazzo c'è ancora la sua mutanda. Poi la getta via. Il suo uccello è tra le mie natiche, punta verso l'alto, e sento il calore, il pelo delle sue palle sulla pelle. Non è ancora entrato e già gemo, sono gemiti di sottomissione, gemiti che nascono dal desiderio, profondo del mio cuore, di attirare la sua attenzione, di spingerlo a schioccarmi un bacio sul collo, sulle labbra, così da aggiungere alla dolcezza della sottomissione anche il piacere della tenerezza, dell'affetto. Lui non capisce, o forse non vuole capire. Si infila il preservativo ed irrompe dentro di me: il rumore delle nostre carni e dei miei gemiti è forte. Mi fotte bene. Mi fotte forte. Il suo cazzo è una stanga di ferro che uscirà da dentro di me soltanto quando sarà lui - Luca - a deciderlo. Io non conto più niente. La mia volontà ha avuto un peso fino a che ho deciso di dargli il mio corpo, ora è suo, per questa sera, questa notte, quest'amplesso. Ma, essere degrato ad oggetto, squallido oggetto del piacere, mi infonde un senso di benessere, di completezza. Ho la pelle d'oca ed il mio cuore ricomincia a battere forte.
Quando ha fatto dietro, mi fa girare, me lo infila in gola e viene - così presto, improvvisamente, che non ho neache il tempo di decidere che fare. Ingoio direttamente.
Sono in ginocchio, ai suoi piedi. Lui mi sovrasta e lo guardo: il suo cazzo ancora duro, arrossato, avvolto in una invitante peluria scura; il suo addome magro ed il suo petto possente, ricoperto di peli; il suo volto da aguzzino con gli occhi dolci.
Racconterò tutto a Martina.
scritto il
2018-12-18
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