Potrebbe essere mia madre
di
Inchiostro&Miele
genere
prime esperienze
Daniela è una donna bionda ed alta, dal corpo formoso; cammina sempre con le lenti da sole, forse per nascondere un piccolo difettuccio all'occhio destro.
La conobbi durante un pomeriggio in palestra, era passata per accompagnare il figlio, per raccomandarlo agli istruttori. Ci ritrovammo fuori, per caso, lungo il viale alberato che porta dalla palestra alla strada.
< Da quanto sei iscritto? > mi chiese a bruciapelo, come se non avvertisse quell'imbarazzo, dettato dal fatto che eravamo da soli, estranei, sotto un viale alberato che poteva essere lo scenario perfetto dei migliori film d'amore.
< Penso sarà un mese >
< Ti posso chiedere come ti stai trovando? Vorrei iscrivermi anche io, ma purtroppo non trovo mai il tempo di venire a fare la prova >; notai che non ci furono riferimenti al figlio, né ora né nel resto della conversazione. Questo mi fece pensare che volesse in qualche modo celarlo, come se nascondendomelo avessimo potuto avere un rapporto più paritario, quasi come se fossimo coetanei. Oppure, semplicemente se ne vergognava; era in quell'età nella quale dire di avere un figlio può far sentire vecchi.
Arrivati alla strada dove era ferma la sua auto, mi propose < Ti va se ti accompagno? >.
Fu a quel punto che capii veramente le sue intenzioni. Salii in macchina, con un po' di ansia (considerate che all'epoca ero ancora vergine).
Lei percorse vicoli e viali, svoltò ad incroci e girò intorno a rotonde, finché non ci trovammo sotto un palazzo in mattoni, davvero curato, con le tende degli appartamenti tutte uniformi.
< Vieni > mi disse, < devo prendere un attimo una cosa, poi ti accompagno >.
Lì ebbi per un momento paura, non mi sentivo all'altezza, forse; ma credo che fosse una paura normale, di quella che prende tutti la prima volta che fanno sesso.
Feci per ritirarmi, dicendo < va bene, posso aspettare giù, non vorrei disturbare >; dal momento che lei insistette, fui costretto a salire.
L'appartamento era arioso ed illuminato, l'esposizione della casa era davvero mozzafiato; erano le diciotto e sembrava fosse mattina presto.
Chiusami la porta alle spalle, in un lampo, Daniela mi si avvinghiò addosso. Il suo corpo caldo mi eccitava, ed il mio cazzo fu di marmo in un lampo. Mi stringeva forte, quasi senza lasciarmi respirare, ed io affondavo la testa nel suo collo, che profumava di madre.
Mi trascinò sul letto, dove si sfilò i vestiti e rimase nuda, seduta sul mio bacino; il cespuglietto di peli neri, i seni gonfi e leggermente pendenti, dall'areola piccola.
Avevo sempre pensato che il sesso fosse un gioco impari, che la donna fosse necessariamente sottomessa all'uomo. Daniela mi mostrò che mi sbagliavo.
Era un diavolo e mi saltò sul volto, dove mi ritrovai immerso tra i peli, gli odori, i liquidi del suo sesso. Leccavo con gli occhi aperti, e non vedevo che un battuffolo di peli. L'odore dolce, nauseante, ammetto che mi disgustò; così quando lei decise che poteva bastare, mi sentii "sollevato".
Mi stava sbottonando il pantalone, indemoniata, quando ebbi come uno scatto di orgoglio, di potenza, ed alzandomi la capovolsi sul letto. La toccavo. La schiacciavo. Sulle lenzuola. Sui cuscini. Salivava. Gemeva. Urlava gridava e fotteva!
E il mio cazzo dentro di lei, nella sua fica, in una fica che aveva già partorito un figlio, in un corpo che aveva più del doppio dei miei anni. Pensai a suo figlio. Pensai che mi stavo fottendo la madre di un mio coetaneo. Un ragazzo della mia età. Forse della mia scuola. Della mia palestra. E la fottevo. Si, la fottevo. Ah!
Quando venni la prima volta ero una spugna di sudore. Non pensavo che la mia prima volta potesse essere così intensa. Tutti i miei amici me l'avevano raccontata, e dai loro racconti sembrava quasi soltanto un rito, un'iniziazione. Il sesso vero, dicevano, era iniziato dalla seconda volta. Io invece avevo fatto del sesso vero, ed avevo questa maiala sul letto, ed ero sporco di umori di fica e di sperma e di peli, e tra poco sarei tornato dentro di lei. Poiché la vedevo riprendersi, lanciarmi occhiate furtive e girare la testa poi sul cuscito. Come se aspettasse di sentirsi il mio cazzo, dentro, da un momento all'altro. E non voleva perdersi il gusto della sorpresa.
La conobbi durante un pomeriggio in palestra, era passata per accompagnare il figlio, per raccomandarlo agli istruttori. Ci ritrovammo fuori, per caso, lungo il viale alberato che porta dalla palestra alla strada.
< Da quanto sei iscritto? > mi chiese a bruciapelo, come se non avvertisse quell'imbarazzo, dettato dal fatto che eravamo da soli, estranei, sotto un viale alberato che poteva essere lo scenario perfetto dei migliori film d'amore.
< Penso sarà un mese >
< Ti posso chiedere come ti stai trovando? Vorrei iscrivermi anche io, ma purtroppo non trovo mai il tempo di venire a fare la prova >; notai che non ci furono riferimenti al figlio, né ora né nel resto della conversazione. Questo mi fece pensare che volesse in qualche modo celarlo, come se nascondendomelo avessimo potuto avere un rapporto più paritario, quasi come se fossimo coetanei. Oppure, semplicemente se ne vergognava; era in quell'età nella quale dire di avere un figlio può far sentire vecchi.
Arrivati alla strada dove era ferma la sua auto, mi propose < Ti va se ti accompagno? >.
Fu a quel punto che capii veramente le sue intenzioni. Salii in macchina, con un po' di ansia (considerate che all'epoca ero ancora vergine).
Lei percorse vicoli e viali, svoltò ad incroci e girò intorno a rotonde, finché non ci trovammo sotto un palazzo in mattoni, davvero curato, con le tende degli appartamenti tutte uniformi.
< Vieni > mi disse, < devo prendere un attimo una cosa, poi ti accompagno >.
Lì ebbi per un momento paura, non mi sentivo all'altezza, forse; ma credo che fosse una paura normale, di quella che prende tutti la prima volta che fanno sesso.
Feci per ritirarmi, dicendo < va bene, posso aspettare giù, non vorrei disturbare >; dal momento che lei insistette, fui costretto a salire.
L'appartamento era arioso ed illuminato, l'esposizione della casa era davvero mozzafiato; erano le diciotto e sembrava fosse mattina presto.
Chiusami la porta alle spalle, in un lampo, Daniela mi si avvinghiò addosso. Il suo corpo caldo mi eccitava, ed il mio cazzo fu di marmo in un lampo. Mi stringeva forte, quasi senza lasciarmi respirare, ed io affondavo la testa nel suo collo, che profumava di madre.
Mi trascinò sul letto, dove si sfilò i vestiti e rimase nuda, seduta sul mio bacino; il cespuglietto di peli neri, i seni gonfi e leggermente pendenti, dall'areola piccola.
Avevo sempre pensato che il sesso fosse un gioco impari, che la donna fosse necessariamente sottomessa all'uomo. Daniela mi mostrò che mi sbagliavo.
Era un diavolo e mi saltò sul volto, dove mi ritrovai immerso tra i peli, gli odori, i liquidi del suo sesso. Leccavo con gli occhi aperti, e non vedevo che un battuffolo di peli. L'odore dolce, nauseante, ammetto che mi disgustò; così quando lei decise che poteva bastare, mi sentii "sollevato".
Mi stava sbottonando il pantalone, indemoniata, quando ebbi come uno scatto di orgoglio, di potenza, ed alzandomi la capovolsi sul letto. La toccavo. La schiacciavo. Sulle lenzuola. Sui cuscini. Salivava. Gemeva. Urlava gridava e fotteva!
E il mio cazzo dentro di lei, nella sua fica, in una fica che aveva già partorito un figlio, in un corpo che aveva più del doppio dei miei anni. Pensai a suo figlio. Pensai che mi stavo fottendo la madre di un mio coetaneo. Un ragazzo della mia età. Forse della mia scuola. Della mia palestra. E la fottevo. Si, la fottevo. Ah!
Quando venni la prima volta ero una spugna di sudore. Non pensavo che la mia prima volta potesse essere così intensa. Tutti i miei amici me l'avevano raccontata, e dai loro racconti sembrava quasi soltanto un rito, un'iniziazione. Il sesso vero, dicevano, era iniziato dalla seconda volta. Io invece avevo fatto del sesso vero, ed avevo questa maiala sul letto, ed ero sporco di umori di fica e di sperma e di peli, e tra poco sarei tornato dentro di lei. Poiché la vedevo riprendersi, lanciarmi occhiate furtive e girare la testa poi sul cuscito. Come se aspettasse di sentirsi il mio cazzo, dentro, da un momento all'altro. E non voleva perdersi il gusto della sorpresa.
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