La mistress che piscia in bocca ai preti (cap 2)
di
PifferaioMagico
genere
dominazione
Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati, malefico Pifferaio? In verità quel giorno ho solo udito la tua voce. Sei entrato nell’ufficio del tuo amministratore delegato, mentre ero accovacciata sotto la sua scrivania a deliziarlo con un raffinato e pastoso pompino. Lui, perfido, ti ha detto: “Qui sotto, a prosciugare il mio cazzo, c’è una femmina che presto ti farò conoscere!”.
Detto, fatto. La sera dopo ti ha invitato a quel ristorante internazionale su ai Parioli dove io - nascosta dalla tovaglia - ho tenuto i vostri cazzi in mano per tutta la durata della cena. Salvo poi raccogliere la vostra calda sborra nel calice dello champagne per il brindisi finale.
Da quegli inizi, si capiva che eravamo affiatati, perlomeno a livello cerebrale. C’era sintonia nel discorrere di pratiche sessuali, tradizionali e perverse. Specialmente queste ultime, capivo, erano quelle che maggiormente ti facevano drizzare il poderoso membro che hai la fortuna di portare con te nei pantaloni.
L’amministratore delegato di cui sopra, eccitato dall’idea che potevi sbattermi sulla sua poltrona presidenziale, aveva sponsorizzato l’idea che tu avessi una Escort con la E maiuscola. Una donna elegante, con vestiti attraenti e costosi, i gioielli al posto giusto e i tacchi alti portati con disinvoltura. Era fiero di condividere con te, il suo manager preferito, cotanto erotismo condito di troiaggini e perversioni assortite.
Poi però abbiamo iniziato a frequentarci anche in sua assenza. Lui è un uomo anziano e cattolico di spirito: alle undici di sera preferisce mettersi al caldo nel suo letto familiare, per placare i sensi di colpa e dare riposo a quel corpo che inizia a farsi flaccido.
Tu, invece, a mezzanotte ti svegliavi e - quando i tuoi familiari erano fuori per il weekend - mi portavi a casa tua per farmi indossare le mutandine di tua moglie e impalarmi nel culo per ore, come un venditore di cammelli dopo settimane nel deserto. Sono stata bene con te, in quei primi mesi mi scopavi anche nel buio dei cinematografi, proprio dietro i vecchietti che rischiavano l’infarto nel sentire i nostri gemiti di piacere.
Poi il gioco si è fatto più duro. La posta si è alzata. E io ho deciso di accettare la sfida.
Un giorno mi hai detto che nel fare la Escort “consumavo troppo la mia figa” (così mi hai romanticamente detto…) e che secondo te avrei dovuto “switchare” (anche questo hai detto!) la mia professione verso un asset più redditizio. Maledetto bastardo. Non era infatti la mia deliziosa vagina a starti tanto a cuore, quanto invece l’idea di trasformarmi in una Mistress. Il tuo obiettivo era avere una Padrona sempre a disposizione, con tanto di vestiti in lattice e attrezzature da dominatrice perversa. Figlio di puttana.
Non so se per attrazione nei tuoi confronti, per spirito di condivisione erotica o per un istintivo richiamo verso nuovi orizzonti sessuali… Tant’è che un giorno ho deciso. Guardandomi allo specchio mi sono detta: “È finita l’era della sottomissione. Ora puoi iniziare a divertirti, a renderli schiavi. E a farti rispettare, vedendoli godere di questo”.
Da maledetto bastardo quale sei, mi hai convinta a fare pratica nel dungeon di una famosa mistress del quartiere Trieste. La quale, dovendo restare fuori Roma per circa un mese, era ben felice di prestarmi l’appartamento, interamente a mia disposizione e attrezzato di tutto punto. Dopodiché mi hai guidata nel selezionare e guardare decine di video porno, siti e portali di dominazione fetish, grazie ai quali la mia cultura di padrona si è via via strutturata. “Una Mistress non è una prostituta, non è una escort” mi dicevi sempre. “È piuttosto uno stile di vita che nasce dal profondo della psiche”.
Poi è arrivato il giorno. Il giorno in cui ho ricevuto il primo schiavo. Nessun annuncio, nessun messaggio via web. Don Samuele è arrivato con il passaparola che avevi innescato tra i tuoi amici preti, quelli che a giorni alterni si ingroppano fra di loro nelle saune private e poi si trastullano con le ventenni dell’Est.
“Chiamalo Don” mi dicevi. “Lui si eccita già così”. Ma quando ho visto questo ragazzone, mezzo francese e mezzo ligure, al massimo trentenne con un fisico sportivo e un profumo da acqua di colonia, per un attimo ho vacillato. “Come farò a frustarlo e a gridargli addosso parolacce?” pensavo tra me e me mentre si spogliava e appendeva il suo rosario sopra la giacchetta stazzonata.
Il difficile è arrivato quando - facendo quattro chiacchiere preliminari sulle sue perversioni preferite - mi ha gentilmente confessato (lui a me, incredibile) che desiderava ricevere in dono la mia urina.
— Vorrei tanto, padrona, che lei mi pisciasse in bocca.
— Vedrò di accontentarti, stupido schiavetto. Ma devi chiamarmi Madame L. Non sbagliarti, o altrimenti la mia frusta sarà costretta a penetrare fino agli strati più profondi delle tue inutili e lattiginose carni.
[CONTINUA]
Detto, fatto. La sera dopo ti ha invitato a quel ristorante internazionale su ai Parioli dove io - nascosta dalla tovaglia - ho tenuto i vostri cazzi in mano per tutta la durata della cena. Salvo poi raccogliere la vostra calda sborra nel calice dello champagne per il brindisi finale.
Da quegli inizi, si capiva che eravamo affiatati, perlomeno a livello cerebrale. C’era sintonia nel discorrere di pratiche sessuali, tradizionali e perverse. Specialmente queste ultime, capivo, erano quelle che maggiormente ti facevano drizzare il poderoso membro che hai la fortuna di portare con te nei pantaloni.
L’amministratore delegato di cui sopra, eccitato dall’idea che potevi sbattermi sulla sua poltrona presidenziale, aveva sponsorizzato l’idea che tu avessi una Escort con la E maiuscola. Una donna elegante, con vestiti attraenti e costosi, i gioielli al posto giusto e i tacchi alti portati con disinvoltura. Era fiero di condividere con te, il suo manager preferito, cotanto erotismo condito di troiaggini e perversioni assortite.
Poi però abbiamo iniziato a frequentarci anche in sua assenza. Lui è un uomo anziano e cattolico di spirito: alle undici di sera preferisce mettersi al caldo nel suo letto familiare, per placare i sensi di colpa e dare riposo a quel corpo che inizia a farsi flaccido.
Tu, invece, a mezzanotte ti svegliavi e - quando i tuoi familiari erano fuori per il weekend - mi portavi a casa tua per farmi indossare le mutandine di tua moglie e impalarmi nel culo per ore, come un venditore di cammelli dopo settimane nel deserto. Sono stata bene con te, in quei primi mesi mi scopavi anche nel buio dei cinematografi, proprio dietro i vecchietti che rischiavano l’infarto nel sentire i nostri gemiti di piacere.
Poi il gioco si è fatto più duro. La posta si è alzata. E io ho deciso di accettare la sfida.
Un giorno mi hai detto che nel fare la Escort “consumavo troppo la mia figa” (così mi hai romanticamente detto…) e che secondo te avrei dovuto “switchare” (anche questo hai detto!) la mia professione verso un asset più redditizio. Maledetto bastardo. Non era infatti la mia deliziosa vagina a starti tanto a cuore, quanto invece l’idea di trasformarmi in una Mistress. Il tuo obiettivo era avere una Padrona sempre a disposizione, con tanto di vestiti in lattice e attrezzature da dominatrice perversa. Figlio di puttana.
Non so se per attrazione nei tuoi confronti, per spirito di condivisione erotica o per un istintivo richiamo verso nuovi orizzonti sessuali… Tant’è che un giorno ho deciso. Guardandomi allo specchio mi sono detta: “È finita l’era della sottomissione. Ora puoi iniziare a divertirti, a renderli schiavi. E a farti rispettare, vedendoli godere di questo”.
Da maledetto bastardo quale sei, mi hai convinta a fare pratica nel dungeon di una famosa mistress del quartiere Trieste. La quale, dovendo restare fuori Roma per circa un mese, era ben felice di prestarmi l’appartamento, interamente a mia disposizione e attrezzato di tutto punto. Dopodiché mi hai guidata nel selezionare e guardare decine di video porno, siti e portali di dominazione fetish, grazie ai quali la mia cultura di padrona si è via via strutturata. “Una Mistress non è una prostituta, non è una escort” mi dicevi sempre. “È piuttosto uno stile di vita che nasce dal profondo della psiche”.
Poi è arrivato il giorno. Il giorno in cui ho ricevuto il primo schiavo. Nessun annuncio, nessun messaggio via web. Don Samuele è arrivato con il passaparola che avevi innescato tra i tuoi amici preti, quelli che a giorni alterni si ingroppano fra di loro nelle saune private e poi si trastullano con le ventenni dell’Est.
“Chiamalo Don” mi dicevi. “Lui si eccita già così”. Ma quando ho visto questo ragazzone, mezzo francese e mezzo ligure, al massimo trentenne con un fisico sportivo e un profumo da acqua di colonia, per un attimo ho vacillato. “Come farò a frustarlo e a gridargli addosso parolacce?” pensavo tra me e me mentre si spogliava e appendeva il suo rosario sopra la giacchetta stazzonata.
Il difficile è arrivato quando - facendo quattro chiacchiere preliminari sulle sue perversioni preferite - mi ha gentilmente confessato (lui a me, incredibile) che desiderava ricevere in dono la mia urina.
— Vorrei tanto, padrona, che lei mi pisciasse in bocca.
— Vedrò di accontentarti, stupido schiavetto. Ma devi chiamarmi Madame L. Non sbagliarti, o altrimenti la mia frusta sarà costretta a penetrare fino agli strati più profondi delle tue inutili e lattiginose carni.
[CONTINUA]
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