Questa sera mi chiamo Giulia - 3
di
Browserfast
genere
etero
LI - – Quando vi siete viste? – domando a Serena mentre chiudo la serratura di casa a doppia mandata.
– Ieri pomeriggio – risponde pigiando nello stesso momento il pulsante per chiamare l’ascensore.
– E quindi? – domando.
– E quindi… – risponde lei sibillina, ma con un sorrisetto abbastanza esplicito sulle labbra.
Per dirvi di Li devo fare un piccolo passo indietro, a tre giorni fa. Sì, lo so, scusate. Ero partita per raccontare un veglione di capodanno e adesso torno addirittura indietro al 28 dicembre. Ma secondo me ne vale la pena. Poi, se non vi interessa, lasciate perdere, eh? Passate al capitolo successivo e amici come prima.
Come vi ho detto, non vado con un uomo da un paio di settimane, da quando ho scopato con quel Brian. Ciò non significa che – a parte il sesso virtuale con Fabrizio – me ne sia stata buonina buonina.
A Serena l’avevo promesso, ben prima che la nostra gara terminasse. Le avevo promesso che un giorno ci saremmo infilate in una stanza d’albergo per starcene un po’ per conto nostro. A mollo tutte e due dentro una vasca da bagno. Ora sarebbe troppo lungo spiegarvi la storia della vasca da bagno, sta di fatto che lei mi aveva presa in parola e si era fatta un giro su internet cercando un albergo che avesse delle stanze con una bella vasca da bagno con idromassaggio. E aveva pure prenotato. Credo di avervelo già detto che quando si mette una cosa in testa non c’è modo di fermarla.
Alla reception dell’albergo c’era una ragazza. Anche molto gentile. Una cinesina. O giapponese, o coreana, o che cazzo ne so io. Sul badge che portava sulla giacca c’era scritto “Emanuela”, per la verità. Mah, sarà adottata, ho pensato. La sua faccia pallidissima era violentemente arrossita quando Serena le aveva detto che la stanza prenotata era per noi due. Anche perché glielo aveva detto con un tono che non avrebbe lasciato dubbi nemmeno a un bambino di quattro anni. Era diventata ancora più rossa quando ad occhi bassi ci aveva detto che, se avessimo lasciato la stanza entro mezzanotte, ci avrebbe potuto applicare la tariffa day break, ottanta euro. Più che accettabile, visto il tipo di albergo avevo preventivato almeno il doppio. Il colore del suo viso quando Serena le aveva detto “va benissimo, non ci dobbiamo mica dormire” lo potete trovare su Google se digitate “Pantone 18-1754 TPX Raspberry”.
Quando poi ci aveva dato la tesserina magnetica e Serena l’aveva ringraziata con un “se vuoi, puoi raggiungerci” avevo proprio evitato di guardarla, perché avrei potuto spaventarmi.
Mentre salivamo in camera avevo anche chiesto conto a Serena del suo comportamento, le avevo detto che era stata una stronza e che aveva messo in imbarazzo quella poveretta, che in fondo che cazzo di male le aveva fatto? Lei mi aveva sorriso dicendo “ma dai, l’avrà capito che scherzavo”. Mah, a me proprio non sembrava, le avevo risposto. E le avevo anche detto che non è che tutta la gente sia sempre disposta a scherzare su queste cose. Poi però avevo smesso di pensarci e avevo iniziato piuttosto a preoccuparmi, perché vedevo Serena molto su di giri, anche troppo. E, poiché quando voglio la stronza la so fare anche io, in quel momento avevo deciso che l’avrei torturata un pochino.
Dopo essere stata furiosamente baciata appena entrate in stanza, con i giacconi ancora indosso, mi ero staccata e le avevo detto con una certa perfidia “siamo qui per fare il bagno, ricordi?”. Serena aveva risposto con un sorrisino, accettando la sfida. Come per vedere chi delle due avrebbe ceduto prima.
Ci eravamo spogliate a vicenda, mentre la vasca si riempiva e la schiuma si gonfiava. A dire il vero, a un certo punto avevo pure pensato di lasciar perdere e di scoparmela subito, o di farmi scopare. Era così sexy nel suo intimo nero fatto di trasparenze. L’aveva messo per me, ne ero certa. Tuttavia avevo resistito, portando avanti il mio programma. “Entra”, le avevo detto quando tutte e due siamo rimaste nude. Non era stato facile nemmeno ignorare il suo bacio leggero sul collo, il contatto del suo corpo sulla mia schiena e sul mio sedere, le sue mani sulle mie tette. “Giù le mani, troia”, le avevo intimato quasi ridacchiando e combattendo contro i brividi. Mi sentivo già discretamente bagnata, ancora prima di entrare nell’acqua.
– Quale pegno avevamo stabilito per chi perdeva la gara? – le avevo domandato mentre cercavo di capire come far partire un moderato idromassaggio.
– Nessuno, perché? – mi aveva risposto scomparendo quasi completamente sotto la schiuma.
– Perché non mi pare giusto – le avevo detto – diciamo che il pegno è che oggi tu fai tutto quello che dico io.
Serena aveva accettato, mantenendo il suo sorriso di sfida. Io ero certa che non l’avrebbe conservato a lungo.
Ero entrata nella vasca mettendo le gambe tra le sue, per costringerla a tenere le cosce spalancate. E per impedirle, ovviamente, di strusciarsele. Le avevo imposto di mettere le mani dietro la nuca. “Finché stiamo qui dentro devi rimanere così”, le avevo detto.
E poi… beh, poi avevo iniziato a raccontarle di come avevo vinto la gara. Di come avevo conosciuto Brian e di come mi aveva scopata. Del gioco che la mia amica olandese mi aveva costretta a fare mentre ero a casa con i miei. Della serata con Giovanna e con i suoi tre amici, di cosa avessi provato a scoprire che nella borsa mi avevano infilato una busta con cinquecento euro. Di come ci si sente a essere pagate come una puttana. Di Sven e del suo cazzo mostruoso, delle urla che mi faceva cacciare fuori ad ogni affondo, del suo amico Rami. Tutto le avevo raccontato, nei minimi dettagli. Lo so che si eccita da morire con i miei racconti, lo so che non sa stare ferma. Più volte avevo dovuto ingiungerle di rimettere a posto le mani. Poi avevo preso il telefono e le avevo mostrato il video che lei stessa mi aveva mandato. Le avevo detto quanto fosse stata troia a farsi portare a casa da quella guardia giurata, a farsi scopare sul letto matrimoniale da un uomo sposato, mentre la moglie era al lavoro. Le avevo rinfacciato le oscenità strillate mentre quello la montava a pecora. L’avevo vista contorcersi e l’avevo sentita implorarmi. Io stessa ero eccitata da morire mentre le dicevo quelle cose, figuriamoci lei. Quando le avevo detto che più tardi l’avrei portata sul letto e le avrei leccato la fica mentre lei avrebbe dovuto vedere il video di Brian che mi scopava avevo pensato che i suoi mugolii, i suoi denti sulle labbra e i suoi occhi serrati annunciassero un orgasmo imminente, provocato solo da immagini e parole.
Alla fine avevo avuto pietà di lei. Beh, d’accordo, non solo pietà. Anche voglia. Uscite dalla vasca ci eravamo avvolte negli accappatoi dell’hotel. I suoi capelli neri risaltavano sul bianco della spugna e l’avevo trovata davvero bella. Ci eravamo abbracciate strette. Per asciugarci e per sentire i nostri corpi l’uno contro l’altro. Con gli accappatoi ancora indosso ci eravamo stese sul letto, avevo allargato le gambe dicendole di pagare l’ultima parte del suo pegno: “Ora leccami, troia, fammi godere”. Ero decisamente bella partita pure io, eh?
Solo che, come dire, a venire non ho fatto in tempo. Ero lì, con un suo ditino che mi frullava dentro e la sua bocca sul mio grilletto. Ero lì che le stringevo i capelli, come se volessi essere certa di tenerla in mezzo alle mie cosce spalancate e impedirle di smettere. Ero lì che mi lasciavo andare completamente quando ho sentito bussare. Due colpi alla porta della stanza: bam bam! E dopo qualche secondo altri due: bam bam!
Ci eravamo guardate. Chi cazzo poteva essere? Ero certa di non essere stata particolarmente rumorosa. Cioè, di gemiti e parole indecenti ne avevo tirati fuori parecchi, ma vi assicuro che so essere molto peggio. Serena si era alzata ricomponendosi l’accappatoio ed era andata alla porta. Io stessa mi ero coperta come meglio potevo. L’avevo sentita esclamare “cazzo!”. Non potevo vederla, ma sicuramente stava guardando dallo spioncino. Poi il rumore della porta che si apriva e una vocina che diceva “posso?” seguita da un risolino imbarazzato.
E’ così che si è presentata Li. Cioè, io ancora non lo sapevo che si chiamasse Li. Per me era ancora Emanuela, la cinesina della reception.
Si è avvicinata al letto con la borsa ancora a tracolla. Era vestita esattamente come l’avevo vista di sotto, giacca e pantaloni neri, camicetta bianca. Mi è arrivata una zaffata di pulito, sapone misto a deodorante. Deve essersi data una rinfrescata dopo avere staccato, ho pensato. Ha ripetuto “posso?”, sorridendomi. Beh, insomma, mi sono detta, hai già fatto tutto da sola. Mi sono limitata ad osservarla. Era davvero minima. Bassina, anche più sottile di me. I capelli lunghissimi, neri e lisci come se ci fosse passato sopra un ferro da stiro, la frangetta sulla fronte. Quando Serena è apparsa dietro di lei le ho lanciato un’occhiata come a dirle “forse questa non ha capito che scherzavi”. Si è stretta nelle spalle e mi ha fatto una smorfia il cui significato poteva essere “e io che ci posso fare?”.
– Io mi chiamo Li – ha detto la cinesina.
– Ma non ti chiamavi Emanuela? – le ho fatto.
– No, cioè sì – è stata la sua risposta – il mio nome è Emanuela, ma tutti mi chiamano Li. Emanuela è solo nei documenti.
Ho rinunciato ad indagare, distratta com’ero dal contrasto tra la sua figura e il suo modo di parlare. Non che fosse una novità per me, a scuola era pieno di ragazzi e ragazze chiaramente appartenenti ad altre etnie ma nati e cresciuti da noi, che parlavano italiano anche meglio di me. Il contrasto derivava dal fatto che Li aveva una calata pesantemente romana, sembrava un’attrice cinese doppiata dalla Sora Lella. Giù alla reception non ci avevo fatto caso. O magari quando è sul lavoro controlla di più la pronuncia.
– Disturbo? – ha domandato guardandomi. Dovevo avere la faccia un po’ contrariata.
Beh, insomma, ho pensato senza dirglielo, un po’ sì. Non è proprio una di quelle situazioni che mi piace rendere pubbliche. Non che me ne vergogni, eh? Però, ecco, non ci farei una storia su Instagram. Senza contare che, cioè, lei non poteva saperlo, d’accordo, però io stavo quasi per venire. Ma anche questa, mi sono detta, è una cosa che è meglio tenere per me.
– Non ti preoccupare – è intervenuta improvvisamente Serena – è che le stavo leccando la fica…
Ecco, appunto.
“Ops”, ha fatto Li portandosi la mano davanti alla bocca per nascondere un risolino imbarazzato. Ho avuto l’impressione netta che l’imbarazzo nascesse non tanto dal sapere che io e Serena stavamo lesbicando, quanto dall’avere frustrato il mio orgasmo.
– Mi dispiace, davvero… E’ che prima mi avevate invitata… – ha detto Li stendendosi sul letto accanto a me, senza neppure togliersi le scarpe – e poi tu sei così bella… Guarda che differenza!
Ciò detto, ha preso una ciocca dei suoi capelli e l’ha avvicinata ai miei, per far risaltare il contrasto tra il mio biondo e il suo nero. Ho avuto un’altra netta impressione, in quel momento. E cioè che fosse completamente schiodata di cervello. In effetti, a pensarci bene, se non fosse schiodata non sarebbe salita in camera da due ragazze che stavano scopando domandando “posso?”.
– Eeeehm… veramente ti ha invitata lei – le ho detto indicando Serena.
Non perché fossi infastidita, intendiamoci. Sì, d’accordo, un po’ lo ero. Ma in realtà in quel momento avevo solo paura che Serena si sentisse esclusa. La cinesina si è voltata a guardarla e ha fatto “sì, anche la tua amica è molto bella”, ma era evidente che ero io ad attrarla di più.
– Non volevo disturbarvi – ha detto ancora rivolta a Serena – ricominciate… posso giocare un po’ con voi?
Cioè, no, un attimo. Ti ha appena detto che mi stava leccando e tu le fai “ricominciate”? Non c’è mica l’interruttore. E poi, la privacy? E metti il caso che non abbiamo voglia di giocare in tre? A me non è che basta che una ragazza mi dica “scopiamo” e… cioè, io non… Tutte cose che non ho detto, d’accordo. Ma che in quel momento ho pensato. E sono certa che Serena sapesse quello che pensavo. Solo che, come dire, se ne è altamente fregata. Si è stesa sul letto, alle spalle della cinesina, e accarezzandole la schiena le ha chiesto: “cosa intendi esattamente con la parola giocare?”.
A quel punto è successa una cosa che mi ha fatto capire che la mia non era stata una semplice impressione. No, questa qui è schiodata davvero! Con uno scatto è salita sopra di me piagnucolando forte “non mi fate male per favore!”. Ammetto che mi sono irrigidita, ammetto che ho pensato “ma chi ti si incula?”. E ammetto pure che, un po’ per la sorpresa e un po’ per la sua sfacciataggine, dalla bocca mi è uscito un “ehi, stai calma!” un po’ piccato. E anche lo sguardo che ho lanciato a Serena lasciava poco spazio all’interpretazione, voleva proprio dire “questa è matta”. Serena invece ha ridacchiato, ha accarezzato di nuovo la ragazza e le ha detto “tranquilla, qui nessuno vuole farti del male”. Non lo sapevo, né a quel punto ci avevo fatto mente locale. Me lo ha confessato lei dopo. La situazione la divertiva e la coinvolgeva. Forse in quel preciso momento era ancora troppo presto per dire che la eccitava, ma di certo la sua disposizione d’animo era molto più inclusiva della mia.
E’ stato anche per quello, credo, che si è protesa verso di lei e l’ha baciata. All’inizio un bacio leggero, poi si sono avvinghiate. Le guardavo con una certa sorpresa ma, se proprio volete saperlo, la sorpresa maggiore derivava dal fatto che quella ragazza che si agitava sopra di me per fare lingua in bocca con Serena non pesava assolutamente un cazzo, era leggerissima. Che ci crediate o no, mentre vedevo Li roteare la lingua sul muso di Serena, non riuscivo a pensare che a questo. E al fatto che i suoi capelli mi facevano il solletico sulla faccia.
Quanto si sono staccate la cinesina mi ha guardata sorridendo e mi ha detto come prima cosa “sa di te…”. Subito dopo mi ha chiesto “sei gelosa?”. Le ho fatto cenno di no, era la verità. Più che altro, ero troppo sorpresa per ingelosirmi. Mi ha passato velocemente la lingua sulle labbra e ha detto “se la mia ragazza sapesse che sono qui con voi mi ammazzerebbe di botte”. Sinceramente non sapevo cosa rispondere e lei si è accorta del mio imbarazzo. Lo ha riferito a se stessa, come immagino faremmo tutti in una situazione di quel tipo. Mi ha chiesto “non ti piaccio?”. Non ho nemmeno fatto in tempo a rispondere che Serena le è andata dietro e le ha sfilato la giacca dicendole ancora una volta di non preoccuparsi. Perché si sentisse in obbligo di rispondere anche a nome mio non saprei, ma l’ha fatto.
E ha anche riscosso un certo successo, eh? Visto che, una volta sfilatasi le maniche, la cinesina ha portato le mani sul mio petto, sulla scollatura dell’accappatoio. Allargandola, mettendo a nudo le mie tettine. Le ho lanciato un debole “ehi”, sovrastato dalla sua esclamazione “come sei bella!”. Non so come spiegarlo: non era certo la prima volta che qualcuno mi diceva una cosa del genere. Eppure mai mi era capitato di sentire in quelle tre parole un tale mix di incredulità, desiderio, ammirazione. E sensualità, una profondissima e adorante sensualità. Mi ha fatto un certo effetto, lo riconosco. Mentre lei mi ammirava, e io guardavo lei ammirarmi, Serena le ha tolto le scarpe e sbottonato il pantaloni, calandoglieli giù. Poi è stata la volta delle mutandine. Era un po’ buffa da vedere, Li, che mi osservava stando praticamente a novanta gradi sopra di me, vestita solo della camicia della divisa da lavoro e di un paio di normalissime calze a gambaletto. Meno buffa, ma assolutamente eccitante, l’espressione del suo viso, che si è trasfigurato quando Serena la ha accarezzata in mezzo alle gambe.
Come se avessero obbedito ad un ordine, le mani di Li si sono impossessate delle mie tette, mentre Serena saliva in ginocchio sul letto annunciando sorridente “adesso finiamo ciò che avevo iniziato… ma in due”. L’occhiata che ha rivolto a Li mi ha confermato che non avevo scampo: era una decisione che aveva preso lei. La mia volontà, le mie remore, i miei desideri non contavano nulla. Contava la voglia di farmi sua. E di fare in modo che Li fosse un suo strumento. Le loro bocche sulle mie mammelle hanno fatto il resto. Serena succhiava quasi come se dovessi allattarla, Li leccava e mordicchiava. Per un tempo indefinito, durante il quale le mie già lievi proteste sono scomparse del tutto, sostituite dal mio leggero ansimare. Quando mi hanno aperto del tutto l’accappatoio, il mio corpo si è offerto senza ritegno alle loro mani. A quella di Serena che mi graffiava delicatamente la pancia e il pube, a quella di Li che scivolava lieve sulla mia coscia. Potrei dire che l’ho fatto inconsapevolmente, ma non è vero. Quando ho spalancato le gambe in modo quasi indecente l’ho fatto proprio apposta. L’ho fatto per sentirmi slittare le dita della cinesina sulla mia apertura già viscida. E’ rimasta lì a lungo, mentre lei e Serena succhiavano, leccavano e mordicchiavano i miei capezzoli. Mi sentivo bagnata, dischiusa. All’improvviso mi ha penetrata con due dita, facendomi squittire e inarcare. Le ha tirate fuori e me le ha mostrate. Bagnate di un lucido denso. Mi è parso di vedere della ferocia nel suo sguardo, ma poi ho capito meglio: era trionfante.
– Mi prendi una cosa nella borsa? – ha detto a Serena.
Serena si è staccata dalla mia presa che le teneva la testa schiacciata sulla mia tetta ed è andata a frugare dentro la borsa di Li. Ci saranno state venti cose, dentro quella borsa, ma senza che le due si scambiassero una parola lei ha capito al volo di cosa si trattasse. Vista la situazione, non ci voleva poi molto.
Nella sua mano è comparso un oggetto a forma di carota. Anche il colore sembrava quello di una carota, un po’ più pallido. Non c’era bisogno di spiegazioni per capire a cosa servisse. Sì è sentito un clic e un ronzio, l’aveva inavvertitamente acceso.
– Ehi, ma questo affare vibra! – ha esclamato.
Quell’affare “che vibra” Li me l’ha passato su un capezzolo, mentre Serena riprendeva a succhiarmi l’altro. E già non riuscivo a stare ferma. L’ho sentito vibrarmi sempre più giù. Sullo stomaco, sulla pancia, sul ventre, mentre anche l’altro capezzolo finiva tra i denti della cinesina. Quando l’ho sentito vibrare sul grilletto sono letteralmente schizzata, come se tutti i muscoli del mio corpo si fossero messi d’accordo dicendo “vediamo fino a che altezza riusciamo a farla sobbalzare sul letto”. Non so nemmeno io che razza di ululato ho tirato fuori. Poi è stata una tortura, con quella pressione vibrante proprio lì, né troppo forte né troppo leggera. Credo che per loro due sia stato abbastanza complicato tenermi ferma, mi veniva da strapparmi i capelli per quanto era insostenibile quella sensazione. Che non era solo piacere. Non saprei esattamente dire cosa fosse, ma non c’era solo piacere. Dopo un tempo interminabile quella vibrazione l’ho sentita dentro, l’ho sentita cercare qualcosa, mentre la lingua di Li cercava il mio grilletto. E quella ricerca, quel ronzio dentro di me, era molto più intollerabile della penetrazione stessa. Finché la ricerca è terminata, e la vibrazione ha trovato il suo punto. Non saprei dire quale fosse, ma era IL punto. La vibrazione, la pressione, il punto.
E in quel momento, beh, il quel momento ciao, sono Annalisa, vi ricordate di me? Spero proprio di sì, perché io non mi ricordo più un cazzo se non un paio di sensazioni. Avete presente quando si rompe la corda di uno strumento musicale? Tensione, tensione, tensione e poi sdeng, una frustata calda ti attraversa il corpo e la tensione non c’è più. C’è qualcosa che si spezza, si disarticola. Me ne sono andata con l’eco di uno strillo lontano e con la sensazione di essermela fatta addosso. Con la reazione istintiva di tornare nel grembo materno e raccogliermi su me stessa come un feto, scattando e rimbalzando su qualcosa di morbido che altro non era che il materasso del letto, mentre le mani cercavano di proteggermi il ventre da non so bene cosa e una voce familiare e ovattata esclamava “cazzo!”.
E’ stata una cosa lunghissima. Non so bene quanto ci ho messo a ritornare pienamente al mondo, ma quando l’ho fatto ho trovato Serena accanto a me che mi baciava e mi accarezzava con una mano, mentre l’altra era impegnata a portarsi la testa di Li tra le cosce, pronunciando un osceno (più per il tono che per le parole) “adesso fai venire anche me, troia”. E per la prima volta ho visto Li completamente nuda, eccezion fatta per quelle cazzo di calze, che ripeteva “sì, sì” come se eseguire l’ordine di Serena fosse in quel momento la cosa più importante del mondo. Tremavo, non ero in grado di fare nulla. Ho cercato istintivamente con la mano il seno e con le labbra la bocca di Serena, ma anche lei stava già cominciando ad essere più di là che di qua. Non è stato di certo uno dei baci più riusciti che ci siamo date. Credo che mi abbia mugolato il suo orgasmo in bocca e ne ho avuto un altro anche io. Infinitamente meno forte del precedente, ma che per un po’ mi ha fatto entrare in modalità lasciatemi-stare-anche-se-crolla-il-mondo. Gemiti, urla insulti: tutto mi entrava da un orecchio e mi usciva dall’altro. Persino il “ti prego-ti prego-ti prego” di Li, anche se a pensarci bene non avevo mai sentito prima di allora nessuno supplicare in quel modo. Però, ve lo ripeto, tutto ero in grado di fare tranne che di pensarci bene.
Quando sono tornata ad interessarmi del mondo circostante ho visto Serena seduta sul bordo del letto, la schiena nuda rivolta verso di me. Ho avuto l’istinto di allungare la mano ed accarezzargliela, ma qualcosa mi ha spinta a stendermi a pancia in giù e a guardare cosa accadeva sotto di lei. Inginocchiata sul pavimento, ma sarebbe meglio dire prostrata, c’era la cinesina. A far cosa, non avrei saputo dire.
– Che cazzo sta facendo? – ho domandato.
– Mi sta leccando i piedi… – ha mormorato Serena.
– Uh? E perché?
– Cazzo ne so, l’ha chiesto lei, momenti si mette a piangere…
– Ma non ti fa il solletico?
– mmm… no, non tanto.
– Ti piace?
– mmm… bah… piacevole…
Ero abbastanza stranita. Cioè, so che esistono i feticisti, ma non mi era mai capitato di vederne uno. Anzi, una. Dopo essersi passata il piedino di Serena lungo tutto il viso Li mi ha guardata e mi ha detto che voleva farlo anche a me. Ho iniziato a ridere alla sola proposta, mi sono ritratta e ho iniziato a fare segno di no con la mano. “Potrei anche morire di solletico, lo soffro tantissimo”, le ho detto. Lei ha insistito e, come aveva fatto con Serena, quasi piagnucolato, ma sono stata irremovibile. Eh cazzo, va bene tutto ma il solletico ai piedi no.
E’ stato a quel punto che Li si è alzata e che ho potuto vederla bene nuda per la prima volta. Era come la avevo immaginata con i vestiti indosso. Piccolissima, davvero piccolissima e anche più magra di me, il che è tutto dire. Con un tatuaggio floreale che le partiva da sotto la clavicola sinistra e finiva all’anca, ricoprendo quasi interamente un seno. Che poi, seno… era praticamente piatta, anche se i capezzoli erano grandi, bruni, eretti. Mi sono distesa e l’ho invitata a fare altrettanto dicendo “vieni, riposiamoci un pochino”. Lo ha fatto, nervosamente. Era agitata e non capivo perché. Ho iniziato ad accarezzarle la pancia dicendole di stare tranquilla. Poi si è distesa anche Serena, prendendola in mezzo e chiedendole cosa le stesse succedendo. Senza ottenere risposta, però.
Come se si fosse improvvisamente accorta della mia presenza, Serena si è protesa verso di me, mi ha preso la faccia tra le mani e mi ha baciata: “Ehi, sister, ma quanto hai squirtato?”. Le ho rivolto un interrogativo “uh?” e a quel punto si è intromessa Li, ridacchiando nervosa: “Sì, hai squirtato e anche tanto, sento il bagnato sotto le gambe”. Serena mi ha chiesto se mi fosse mai capitato prima e io le ho risposto sì, una volta. E forse un’altra volta ancora, le ho detto, ma non ne ero così sicura: “Stavo scopando con uno, non ero tanto in me”, le ho detto. Per la verità, si trattava di Davìd, il mio padrone di casa a Londra, che mi aveva inculata poco prima che partissi. A Serena l’avrei anche specificato, perché in quel momento non mi ricordavo se gliel’avessi raccontato o meno, ma davanti a Li non mi andava di farlo. Per un minimo di pudore, immagino.
– Ma voi non siete lesbiche? – ha chiesto Li, sempre agitata.
– mmm… no… – ha risposto Serena – forse bisex, boh… cioè io l’ho fatto solo con lei… con una ragazza intendo.
– A me veramente piace lei – ho detto a mia volta indicando Serena, visto che la cinesina aveva rivolto lo sguardo dalla mia parte – problemi?
Li ci ha raccontato che non è mai stata con un uomo, che gli uomini le fanno paura, le fanno schifo. O meglio, le fa schifo l’idea di andare con un uomo. E’ uscito fuori che ha 27 anni (ne dimostra molti di meno) e che da cinque lavora in quell’albergo. Che più o meno da quando è stata assunta è andata a vivere con la sua ragazza, una che fa la tassista. Una che, lo ha ripetuto, “se sapesse che sono qui mi ammazzerebbe di botte”. Anche se in realtà di botte la ammazza quasi sempre, senza bisogno di una scusa. “Guarda”, mi ha detto indicando un livido su una coscia cui non avevo proprio fatto caso.
– Scusa, Li. Io queste cose non le ho mai capite, che cazzo ci stai a fare con una che ti mena sempre? – ho domandato.
– Perché mi piace – ha risposto.
– Ti piace lei o il fatto che ti mena, scusa?
– Tutte e due le cose… – ha detto, gelandomi.
– No, un attimo – l’ha interrotta Serena – poco fa ti sei messa a piangere per la paura che ti facessimo del male, ora dici che ti piace?
– Li, tu… – le ho detto per poi interrompermi, ma dandomi due colpetti in fronte con le dita come a dire “sei completamente matta, lo sai, no?”.
– Mi piace e mi fa paura… – ha piagnucolato facendosi improvvisamente remissiva – non… non volete provare?
– A fare cosa? – le ho chiesto.
– A farmi sesso violento, a scoparmi, a umiliarmi… mi lascio fare tutto quello che volete. Cercate solo di non lasciarmi i segni…
Ora, io capisco che un sacco di gente, maschi e femmine, si sarebbe eccitata di fronte a un’offerta del genere. Lo capisco perfettamente. E del resto anche a me non piace certo il sesso smancerioso. Adoro essere sbattuta brutalmente ed essere usata come una puttana. Mi piacciono gli sculaccioni forti e quella volta che Lapo mi ha rifilato una cinghiata sul sedere la fica mi si è squagliata dall’eccitazione. Ma da qui a essere presa a sberle, o anche peggio, c’è una bella differenza.
Le ho detto che non mi piace così, che non me la sentivo, che non sarei stata in grado. Nonostante i suoi “ti supplico” l’ho lasciata a Serena che, ammetto, con una mia certa sorpresa, l’ha trattata in modo davvero rude, come solo una volta ha fatto con me. Ma non era certamente quello che voleva Li. Lei magari voleva essere legata, presa a schiaffi, voleva gli insulti e gli sputi in faccia, essere trascinata per i capelli sul pavimento. Non lo ha detto, ma credo che se Serena le avesse messo la testa nel water sarebbe stata contenta. Sto improvvisando, è chiaro. In fondo che cazzo ne so io? Avete presente quelle cose che si vedono nei video porno, no?
Nulla di tutto questo, ovviamente, è accaduto.
Credo però che sia stato a causa di quel poco di ferocia dimostrata che Li abbia cercato Serena e non me, un paio di giorni dopo. Lo chiedo alla mia amica mentre aspettiamo l’ascensore sul pianerottolo di casa mia. Giù in strada ci attendono per andare al veglione. Lei mi dice che forse è così, anche se è convinta che a Li io piaccia molto. Molto più di lei. Le rispondo che se le preferenze della cinesina sono quelle, è molto difficile che io possa soddisfarle.
– Io con lei ho fatto l’uomo – mi dice mentre premo il bottone del piano terra.
– Cioè? – domando.
– Dovresti vedere l’armamentario che ha a casa… sembra il catalogo di un sexy shop. Quegli affari di silicone, quelli che si attaccano a una cintura, manette, palline per tapparti la bocca, palline da infilarti dentro, plug, frustini… davvero, il catalogo di un sexy shop… bende, corde…
– Manganelli? Lanciafiamme? No? – rido – E che vuol dire che hai fatto l’uomo? L’hai picchiata?
– No, sai che io non… Fare l’uomo vuol dire che mi sono messa una di quelle cinture, ad esempio – risponde Serena.
– E scusa, la ragazza che l’ammazza di botte, in tutto questo, dov’era?
– Ah boh, forse era di turno, che cazzo ne so?
– E che gusto ci hai provato? A fare l’uomo, dico… – le domando.
– Beh… è la sensazione… Non lo so, il dominio. Li è una che si lascia fare tutto, mica scherzava quando lo diceva. E poi…
– Poi?
– Poi… fare l’uomo con un ovetto vibrante nella fica mica è malaccio ahahahahah.
– Ma tu perché ci sei andata? – domando ancora. E nonostante quello che possiate pensare non lo domando per gelosia, voglio proprio capire cosa le è passato per la testa.
– Non lo so. Per provare, credo. Ti ricordi quella notte con Lapo che ho detto che volevo essere la vostra schiava? Volevo vedere come ci si sente a stare dall’altra parte.
Molto più delle sue avances di qualche minuto fa, molto più del suo dito che frugava dentro di me, sono queste sue ultime parole che mi eccitano. Sono improvvisamente assalita dalla voglia. Sento le contrazioni e sento che mi sto bagnando. Per fortuna sono coperta dal giaccone, altrimenti credo che si noterebbe qualcosa, in mezzo ai miei leggings. Ho improvvisamente il desiderio di darmi senza ritegno. A un uomo. E’ la prima volta da due settimane a questa parte che ho così voglia di darmi a un uomo. Magari la cosa durerà un minuto, magari meno. Ma se dovessi dirvelo con il cuore in mano, in questo preciso istante, l’unica cosa che vorrei è essere scopata come se non ci fosse un domani.
– A proposito di Lapo – dico più che altro per nascondere il mio turbamento – andiamo dai, che ci sta aspettando.
Serena si blocca, mi costringe a fermarmi prima di aprire il portone per uscire in strada. Mi guarda in silenzio e nei suoi occhi vedo un’ombra di tristezza.
– Ci sta aspettando, ok… ma tanto lo sai che questa notte non saremo noi il centro delle sue attenzioni, no?
CONTINUA
– Ieri pomeriggio – risponde pigiando nello stesso momento il pulsante per chiamare l’ascensore.
– E quindi? – domando.
– E quindi… – risponde lei sibillina, ma con un sorrisetto abbastanza esplicito sulle labbra.
Per dirvi di Li devo fare un piccolo passo indietro, a tre giorni fa. Sì, lo so, scusate. Ero partita per raccontare un veglione di capodanno e adesso torno addirittura indietro al 28 dicembre. Ma secondo me ne vale la pena. Poi, se non vi interessa, lasciate perdere, eh? Passate al capitolo successivo e amici come prima.
Come vi ho detto, non vado con un uomo da un paio di settimane, da quando ho scopato con quel Brian. Ciò non significa che – a parte il sesso virtuale con Fabrizio – me ne sia stata buonina buonina.
A Serena l’avevo promesso, ben prima che la nostra gara terminasse. Le avevo promesso che un giorno ci saremmo infilate in una stanza d’albergo per starcene un po’ per conto nostro. A mollo tutte e due dentro una vasca da bagno. Ora sarebbe troppo lungo spiegarvi la storia della vasca da bagno, sta di fatto che lei mi aveva presa in parola e si era fatta un giro su internet cercando un albergo che avesse delle stanze con una bella vasca da bagno con idromassaggio. E aveva pure prenotato. Credo di avervelo già detto che quando si mette una cosa in testa non c’è modo di fermarla.
Alla reception dell’albergo c’era una ragazza. Anche molto gentile. Una cinesina. O giapponese, o coreana, o che cazzo ne so io. Sul badge che portava sulla giacca c’era scritto “Emanuela”, per la verità. Mah, sarà adottata, ho pensato. La sua faccia pallidissima era violentemente arrossita quando Serena le aveva detto che la stanza prenotata era per noi due. Anche perché glielo aveva detto con un tono che non avrebbe lasciato dubbi nemmeno a un bambino di quattro anni. Era diventata ancora più rossa quando ad occhi bassi ci aveva detto che, se avessimo lasciato la stanza entro mezzanotte, ci avrebbe potuto applicare la tariffa day break, ottanta euro. Più che accettabile, visto il tipo di albergo avevo preventivato almeno il doppio. Il colore del suo viso quando Serena le aveva detto “va benissimo, non ci dobbiamo mica dormire” lo potete trovare su Google se digitate “Pantone 18-1754 TPX Raspberry”.
Quando poi ci aveva dato la tesserina magnetica e Serena l’aveva ringraziata con un “se vuoi, puoi raggiungerci” avevo proprio evitato di guardarla, perché avrei potuto spaventarmi.
Mentre salivamo in camera avevo anche chiesto conto a Serena del suo comportamento, le avevo detto che era stata una stronza e che aveva messo in imbarazzo quella poveretta, che in fondo che cazzo di male le aveva fatto? Lei mi aveva sorriso dicendo “ma dai, l’avrà capito che scherzavo”. Mah, a me proprio non sembrava, le avevo risposto. E le avevo anche detto che non è che tutta la gente sia sempre disposta a scherzare su queste cose. Poi però avevo smesso di pensarci e avevo iniziato piuttosto a preoccuparmi, perché vedevo Serena molto su di giri, anche troppo. E, poiché quando voglio la stronza la so fare anche io, in quel momento avevo deciso che l’avrei torturata un pochino.
Dopo essere stata furiosamente baciata appena entrate in stanza, con i giacconi ancora indosso, mi ero staccata e le avevo detto con una certa perfidia “siamo qui per fare il bagno, ricordi?”. Serena aveva risposto con un sorrisino, accettando la sfida. Come per vedere chi delle due avrebbe ceduto prima.
Ci eravamo spogliate a vicenda, mentre la vasca si riempiva e la schiuma si gonfiava. A dire il vero, a un certo punto avevo pure pensato di lasciar perdere e di scoparmela subito, o di farmi scopare. Era così sexy nel suo intimo nero fatto di trasparenze. L’aveva messo per me, ne ero certa. Tuttavia avevo resistito, portando avanti il mio programma. “Entra”, le avevo detto quando tutte e due siamo rimaste nude. Non era stato facile nemmeno ignorare il suo bacio leggero sul collo, il contatto del suo corpo sulla mia schiena e sul mio sedere, le sue mani sulle mie tette. “Giù le mani, troia”, le avevo intimato quasi ridacchiando e combattendo contro i brividi. Mi sentivo già discretamente bagnata, ancora prima di entrare nell’acqua.
– Quale pegno avevamo stabilito per chi perdeva la gara? – le avevo domandato mentre cercavo di capire come far partire un moderato idromassaggio.
– Nessuno, perché? – mi aveva risposto scomparendo quasi completamente sotto la schiuma.
– Perché non mi pare giusto – le avevo detto – diciamo che il pegno è che oggi tu fai tutto quello che dico io.
Serena aveva accettato, mantenendo il suo sorriso di sfida. Io ero certa che non l’avrebbe conservato a lungo.
Ero entrata nella vasca mettendo le gambe tra le sue, per costringerla a tenere le cosce spalancate. E per impedirle, ovviamente, di strusciarsele. Le avevo imposto di mettere le mani dietro la nuca. “Finché stiamo qui dentro devi rimanere così”, le avevo detto.
E poi… beh, poi avevo iniziato a raccontarle di come avevo vinto la gara. Di come avevo conosciuto Brian e di come mi aveva scopata. Del gioco che la mia amica olandese mi aveva costretta a fare mentre ero a casa con i miei. Della serata con Giovanna e con i suoi tre amici, di cosa avessi provato a scoprire che nella borsa mi avevano infilato una busta con cinquecento euro. Di come ci si sente a essere pagate come una puttana. Di Sven e del suo cazzo mostruoso, delle urla che mi faceva cacciare fuori ad ogni affondo, del suo amico Rami. Tutto le avevo raccontato, nei minimi dettagli. Lo so che si eccita da morire con i miei racconti, lo so che non sa stare ferma. Più volte avevo dovuto ingiungerle di rimettere a posto le mani. Poi avevo preso il telefono e le avevo mostrato il video che lei stessa mi aveva mandato. Le avevo detto quanto fosse stata troia a farsi portare a casa da quella guardia giurata, a farsi scopare sul letto matrimoniale da un uomo sposato, mentre la moglie era al lavoro. Le avevo rinfacciato le oscenità strillate mentre quello la montava a pecora. L’avevo vista contorcersi e l’avevo sentita implorarmi. Io stessa ero eccitata da morire mentre le dicevo quelle cose, figuriamoci lei. Quando le avevo detto che più tardi l’avrei portata sul letto e le avrei leccato la fica mentre lei avrebbe dovuto vedere il video di Brian che mi scopava avevo pensato che i suoi mugolii, i suoi denti sulle labbra e i suoi occhi serrati annunciassero un orgasmo imminente, provocato solo da immagini e parole.
Alla fine avevo avuto pietà di lei. Beh, d’accordo, non solo pietà. Anche voglia. Uscite dalla vasca ci eravamo avvolte negli accappatoi dell’hotel. I suoi capelli neri risaltavano sul bianco della spugna e l’avevo trovata davvero bella. Ci eravamo abbracciate strette. Per asciugarci e per sentire i nostri corpi l’uno contro l’altro. Con gli accappatoi ancora indosso ci eravamo stese sul letto, avevo allargato le gambe dicendole di pagare l’ultima parte del suo pegno: “Ora leccami, troia, fammi godere”. Ero decisamente bella partita pure io, eh?
Solo che, come dire, a venire non ho fatto in tempo. Ero lì, con un suo ditino che mi frullava dentro e la sua bocca sul mio grilletto. Ero lì che le stringevo i capelli, come se volessi essere certa di tenerla in mezzo alle mie cosce spalancate e impedirle di smettere. Ero lì che mi lasciavo andare completamente quando ho sentito bussare. Due colpi alla porta della stanza: bam bam! E dopo qualche secondo altri due: bam bam!
Ci eravamo guardate. Chi cazzo poteva essere? Ero certa di non essere stata particolarmente rumorosa. Cioè, di gemiti e parole indecenti ne avevo tirati fuori parecchi, ma vi assicuro che so essere molto peggio. Serena si era alzata ricomponendosi l’accappatoio ed era andata alla porta. Io stessa mi ero coperta come meglio potevo. L’avevo sentita esclamare “cazzo!”. Non potevo vederla, ma sicuramente stava guardando dallo spioncino. Poi il rumore della porta che si apriva e una vocina che diceva “posso?” seguita da un risolino imbarazzato.
E’ così che si è presentata Li. Cioè, io ancora non lo sapevo che si chiamasse Li. Per me era ancora Emanuela, la cinesina della reception.
Si è avvicinata al letto con la borsa ancora a tracolla. Era vestita esattamente come l’avevo vista di sotto, giacca e pantaloni neri, camicetta bianca. Mi è arrivata una zaffata di pulito, sapone misto a deodorante. Deve essersi data una rinfrescata dopo avere staccato, ho pensato. Ha ripetuto “posso?”, sorridendomi. Beh, insomma, mi sono detta, hai già fatto tutto da sola. Mi sono limitata ad osservarla. Era davvero minima. Bassina, anche più sottile di me. I capelli lunghissimi, neri e lisci come se ci fosse passato sopra un ferro da stiro, la frangetta sulla fronte. Quando Serena è apparsa dietro di lei le ho lanciato un’occhiata come a dirle “forse questa non ha capito che scherzavi”. Si è stretta nelle spalle e mi ha fatto una smorfia il cui significato poteva essere “e io che ci posso fare?”.
– Io mi chiamo Li – ha detto la cinesina.
– Ma non ti chiamavi Emanuela? – le ho fatto.
– No, cioè sì – è stata la sua risposta – il mio nome è Emanuela, ma tutti mi chiamano Li. Emanuela è solo nei documenti.
Ho rinunciato ad indagare, distratta com’ero dal contrasto tra la sua figura e il suo modo di parlare. Non che fosse una novità per me, a scuola era pieno di ragazzi e ragazze chiaramente appartenenti ad altre etnie ma nati e cresciuti da noi, che parlavano italiano anche meglio di me. Il contrasto derivava dal fatto che Li aveva una calata pesantemente romana, sembrava un’attrice cinese doppiata dalla Sora Lella. Giù alla reception non ci avevo fatto caso. O magari quando è sul lavoro controlla di più la pronuncia.
– Disturbo? – ha domandato guardandomi. Dovevo avere la faccia un po’ contrariata.
Beh, insomma, ho pensato senza dirglielo, un po’ sì. Non è proprio una di quelle situazioni che mi piace rendere pubbliche. Non che me ne vergogni, eh? Però, ecco, non ci farei una storia su Instagram. Senza contare che, cioè, lei non poteva saperlo, d’accordo, però io stavo quasi per venire. Ma anche questa, mi sono detta, è una cosa che è meglio tenere per me.
– Non ti preoccupare – è intervenuta improvvisamente Serena – è che le stavo leccando la fica…
Ecco, appunto.
“Ops”, ha fatto Li portandosi la mano davanti alla bocca per nascondere un risolino imbarazzato. Ho avuto l’impressione netta che l’imbarazzo nascesse non tanto dal sapere che io e Serena stavamo lesbicando, quanto dall’avere frustrato il mio orgasmo.
– Mi dispiace, davvero… E’ che prima mi avevate invitata… – ha detto Li stendendosi sul letto accanto a me, senza neppure togliersi le scarpe – e poi tu sei così bella… Guarda che differenza!
Ciò detto, ha preso una ciocca dei suoi capelli e l’ha avvicinata ai miei, per far risaltare il contrasto tra il mio biondo e il suo nero. Ho avuto un’altra netta impressione, in quel momento. E cioè che fosse completamente schiodata di cervello. In effetti, a pensarci bene, se non fosse schiodata non sarebbe salita in camera da due ragazze che stavano scopando domandando “posso?”.
– Eeeehm… veramente ti ha invitata lei – le ho detto indicando Serena.
Non perché fossi infastidita, intendiamoci. Sì, d’accordo, un po’ lo ero. Ma in realtà in quel momento avevo solo paura che Serena si sentisse esclusa. La cinesina si è voltata a guardarla e ha fatto “sì, anche la tua amica è molto bella”, ma era evidente che ero io ad attrarla di più.
– Non volevo disturbarvi – ha detto ancora rivolta a Serena – ricominciate… posso giocare un po’ con voi?
Cioè, no, un attimo. Ti ha appena detto che mi stava leccando e tu le fai “ricominciate”? Non c’è mica l’interruttore. E poi, la privacy? E metti il caso che non abbiamo voglia di giocare in tre? A me non è che basta che una ragazza mi dica “scopiamo” e… cioè, io non… Tutte cose che non ho detto, d’accordo. Ma che in quel momento ho pensato. E sono certa che Serena sapesse quello che pensavo. Solo che, come dire, se ne è altamente fregata. Si è stesa sul letto, alle spalle della cinesina, e accarezzandole la schiena le ha chiesto: “cosa intendi esattamente con la parola giocare?”.
A quel punto è successa una cosa che mi ha fatto capire che la mia non era stata una semplice impressione. No, questa qui è schiodata davvero! Con uno scatto è salita sopra di me piagnucolando forte “non mi fate male per favore!”. Ammetto che mi sono irrigidita, ammetto che ho pensato “ma chi ti si incula?”. E ammetto pure che, un po’ per la sorpresa e un po’ per la sua sfacciataggine, dalla bocca mi è uscito un “ehi, stai calma!” un po’ piccato. E anche lo sguardo che ho lanciato a Serena lasciava poco spazio all’interpretazione, voleva proprio dire “questa è matta”. Serena invece ha ridacchiato, ha accarezzato di nuovo la ragazza e le ha detto “tranquilla, qui nessuno vuole farti del male”. Non lo sapevo, né a quel punto ci avevo fatto mente locale. Me lo ha confessato lei dopo. La situazione la divertiva e la coinvolgeva. Forse in quel preciso momento era ancora troppo presto per dire che la eccitava, ma di certo la sua disposizione d’animo era molto più inclusiva della mia.
E’ stato anche per quello, credo, che si è protesa verso di lei e l’ha baciata. All’inizio un bacio leggero, poi si sono avvinghiate. Le guardavo con una certa sorpresa ma, se proprio volete saperlo, la sorpresa maggiore derivava dal fatto che quella ragazza che si agitava sopra di me per fare lingua in bocca con Serena non pesava assolutamente un cazzo, era leggerissima. Che ci crediate o no, mentre vedevo Li roteare la lingua sul muso di Serena, non riuscivo a pensare che a questo. E al fatto che i suoi capelli mi facevano il solletico sulla faccia.
Quanto si sono staccate la cinesina mi ha guardata sorridendo e mi ha detto come prima cosa “sa di te…”. Subito dopo mi ha chiesto “sei gelosa?”. Le ho fatto cenno di no, era la verità. Più che altro, ero troppo sorpresa per ingelosirmi. Mi ha passato velocemente la lingua sulle labbra e ha detto “se la mia ragazza sapesse che sono qui con voi mi ammazzerebbe di botte”. Sinceramente non sapevo cosa rispondere e lei si è accorta del mio imbarazzo. Lo ha riferito a se stessa, come immagino faremmo tutti in una situazione di quel tipo. Mi ha chiesto “non ti piaccio?”. Non ho nemmeno fatto in tempo a rispondere che Serena le è andata dietro e le ha sfilato la giacca dicendole ancora una volta di non preoccuparsi. Perché si sentisse in obbligo di rispondere anche a nome mio non saprei, ma l’ha fatto.
E ha anche riscosso un certo successo, eh? Visto che, una volta sfilatasi le maniche, la cinesina ha portato le mani sul mio petto, sulla scollatura dell’accappatoio. Allargandola, mettendo a nudo le mie tettine. Le ho lanciato un debole “ehi”, sovrastato dalla sua esclamazione “come sei bella!”. Non so come spiegarlo: non era certo la prima volta che qualcuno mi diceva una cosa del genere. Eppure mai mi era capitato di sentire in quelle tre parole un tale mix di incredulità, desiderio, ammirazione. E sensualità, una profondissima e adorante sensualità. Mi ha fatto un certo effetto, lo riconosco. Mentre lei mi ammirava, e io guardavo lei ammirarmi, Serena le ha tolto le scarpe e sbottonato il pantaloni, calandoglieli giù. Poi è stata la volta delle mutandine. Era un po’ buffa da vedere, Li, che mi osservava stando praticamente a novanta gradi sopra di me, vestita solo della camicia della divisa da lavoro e di un paio di normalissime calze a gambaletto. Meno buffa, ma assolutamente eccitante, l’espressione del suo viso, che si è trasfigurato quando Serena la ha accarezzata in mezzo alle gambe.
Come se avessero obbedito ad un ordine, le mani di Li si sono impossessate delle mie tette, mentre Serena saliva in ginocchio sul letto annunciando sorridente “adesso finiamo ciò che avevo iniziato… ma in due”. L’occhiata che ha rivolto a Li mi ha confermato che non avevo scampo: era una decisione che aveva preso lei. La mia volontà, le mie remore, i miei desideri non contavano nulla. Contava la voglia di farmi sua. E di fare in modo che Li fosse un suo strumento. Le loro bocche sulle mie mammelle hanno fatto il resto. Serena succhiava quasi come se dovessi allattarla, Li leccava e mordicchiava. Per un tempo indefinito, durante il quale le mie già lievi proteste sono scomparse del tutto, sostituite dal mio leggero ansimare. Quando mi hanno aperto del tutto l’accappatoio, il mio corpo si è offerto senza ritegno alle loro mani. A quella di Serena che mi graffiava delicatamente la pancia e il pube, a quella di Li che scivolava lieve sulla mia coscia. Potrei dire che l’ho fatto inconsapevolmente, ma non è vero. Quando ho spalancato le gambe in modo quasi indecente l’ho fatto proprio apposta. L’ho fatto per sentirmi slittare le dita della cinesina sulla mia apertura già viscida. E’ rimasta lì a lungo, mentre lei e Serena succhiavano, leccavano e mordicchiavano i miei capezzoli. Mi sentivo bagnata, dischiusa. All’improvviso mi ha penetrata con due dita, facendomi squittire e inarcare. Le ha tirate fuori e me le ha mostrate. Bagnate di un lucido denso. Mi è parso di vedere della ferocia nel suo sguardo, ma poi ho capito meglio: era trionfante.
– Mi prendi una cosa nella borsa? – ha detto a Serena.
Serena si è staccata dalla mia presa che le teneva la testa schiacciata sulla mia tetta ed è andata a frugare dentro la borsa di Li. Ci saranno state venti cose, dentro quella borsa, ma senza che le due si scambiassero una parola lei ha capito al volo di cosa si trattasse. Vista la situazione, non ci voleva poi molto.
Nella sua mano è comparso un oggetto a forma di carota. Anche il colore sembrava quello di una carota, un po’ più pallido. Non c’era bisogno di spiegazioni per capire a cosa servisse. Sì è sentito un clic e un ronzio, l’aveva inavvertitamente acceso.
– Ehi, ma questo affare vibra! – ha esclamato.
Quell’affare “che vibra” Li me l’ha passato su un capezzolo, mentre Serena riprendeva a succhiarmi l’altro. E già non riuscivo a stare ferma. L’ho sentito vibrarmi sempre più giù. Sullo stomaco, sulla pancia, sul ventre, mentre anche l’altro capezzolo finiva tra i denti della cinesina. Quando l’ho sentito vibrare sul grilletto sono letteralmente schizzata, come se tutti i muscoli del mio corpo si fossero messi d’accordo dicendo “vediamo fino a che altezza riusciamo a farla sobbalzare sul letto”. Non so nemmeno io che razza di ululato ho tirato fuori. Poi è stata una tortura, con quella pressione vibrante proprio lì, né troppo forte né troppo leggera. Credo che per loro due sia stato abbastanza complicato tenermi ferma, mi veniva da strapparmi i capelli per quanto era insostenibile quella sensazione. Che non era solo piacere. Non saprei esattamente dire cosa fosse, ma non c’era solo piacere. Dopo un tempo interminabile quella vibrazione l’ho sentita dentro, l’ho sentita cercare qualcosa, mentre la lingua di Li cercava il mio grilletto. E quella ricerca, quel ronzio dentro di me, era molto più intollerabile della penetrazione stessa. Finché la ricerca è terminata, e la vibrazione ha trovato il suo punto. Non saprei dire quale fosse, ma era IL punto. La vibrazione, la pressione, il punto.
E in quel momento, beh, il quel momento ciao, sono Annalisa, vi ricordate di me? Spero proprio di sì, perché io non mi ricordo più un cazzo se non un paio di sensazioni. Avete presente quando si rompe la corda di uno strumento musicale? Tensione, tensione, tensione e poi sdeng, una frustata calda ti attraversa il corpo e la tensione non c’è più. C’è qualcosa che si spezza, si disarticola. Me ne sono andata con l’eco di uno strillo lontano e con la sensazione di essermela fatta addosso. Con la reazione istintiva di tornare nel grembo materno e raccogliermi su me stessa come un feto, scattando e rimbalzando su qualcosa di morbido che altro non era che il materasso del letto, mentre le mani cercavano di proteggermi il ventre da non so bene cosa e una voce familiare e ovattata esclamava “cazzo!”.
E’ stata una cosa lunghissima. Non so bene quanto ci ho messo a ritornare pienamente al mondo, ma quando l’ho fatto ho trovato Serena accanto a me che mi baciava e mi accarezzava con una mano, mentre l’altra era impegnata a portarsi la testa di Li tra le cosce, pronunciando un osceno (più per il tono che per le parole) “adesso fai venire anche me, troia”. E per la prima volta ho visto Li completamente nuda, eccezion fatta per quelle cazzo di calze, che ripeteva “sì, sì” come se eseguire l’ordine di Serena fosse in quel momento la cosa più importante del mondo. Tremavo, non ero in grado di fare nulla. Ho cercato istintivamente con la mano il seno e con le labbra la bocca di Serena, ma anche lei stava già cominciando ad essere più di là che di qua. Non è stato di certo uno dei baci più riusciti che ci siamo date. Credo che mi abbia mugolato il suo orgasmo in bocca e ne ho avuto un altro anche io. Infinitamente meno forte del precedente, ma che per un po’ mi ha fatto entrare in modalità lasciatemi-stare-anche-se-crolla-il-mondo. Gemiti, urla insulti: tutto mi entrava da un orecchio e mi usciva dall’altro. Persino il “ti prego-ti prego-ti prego” di Li, anche se a pensarci bene non avevo mai sentito prima di allora nessuno supplicare in quel modo. Però, ve lo ripeto, tutto ero in grado di fare tranne che di pensarci bene.
Quando sono tornata ad interessarmi del mondo circostante ho visto Serena seduta sul bordo del letto, la schiena nuda rivolta verso di me. Ho avuto l’istinto di allungare la mano ed accarezzargliela, ma qualcosa mi ha spinta a stendermi a pancia in giù e a guardare cosa accadeva sotto di lei. Inginocchiata sul pavimento, ma sarebbe meglio dire prostrata, c’era la cinesina. A far cosa, non avrei saputo dire.
– Che cazzo sta facendo? – ho domandato.
– Mi sta leccando i piedi… – ha mormorato Serena.
– Uh? E perché?
– Cazzo ne so, l’ha chiesto lei, momenti si mette a piangere…
– Ma non ti fa il solletico?
– mmm… no, non tanto.
– Ti piace?
– mmm… bah… piacevole…
Ero abbastanza stranita. Cioè, so che esistono i feticisti, ma non mi era mai capitato di vederne uno. Anzi, una. Dopo essersi passata il piedino di Serena lungo tutto il viso Li mi ha guardata e mi ha detto che voleva farlo anche a me. Ho iniziato a ridere alla sola proposta, mi sono ritratta e ho iniziato a fare segno di no con la mano. “Potrei anche morire di solletico, lo soffro tantissimo”, le ho detto. Lei ha insistito e, come aveva fatto con Serena, quasi piagnucolato, ma sono stata irremovibile. Eh cazzo, va bene tutto ma il solletico ai piedi no.
E’ stato a quel punto che Li si è alzata e che ho potuto vederla bene nuda per la prima volta. Era come la avevo immaginata con i vestiti indosso. Piccolissima, davvero piccolissima e anche più magra di me, il che è tutto dire. Con un tatuaggio floreale che le partiva da sotto la clavicola sinistra e finiva all’anca, ricoprendo quasi interamente un seno. Che poi, seno… era praticamente piatta, anche se i capezzoli erano grandi, bruni, eretti. Mi sono distesa e l’ho invitata a fare altrettanto dicendo “vieni, riposiamoci un pochino”. Lo ha fatto, nervosamente. Era agitata e non capivo perché. Ho iniziato ad accarezzarle la pancia dicendole di stare tranquilla. Poi si è distesa anche Serena, prendendola in mezzo e chiedendole cosa le stesse succedendo. Senza ottenere risposta, però.
Come se si fosse improvvisamente accorta della mia presenza, Serena si è protesa verso di me, mi ha preso la faccia tra le mani e mi ha baciata: “Ehi, sister, ma quanto hai squirtato?”. Le ho rivolto un interrogativo “uh?” e a quel punto si è intromessa Li, ridacchiando nervosa: “Sì, hai squirtato e anche tanto, sento il bagnato sotto le gambe”. Serena mi ha chiesto se mi fosse mai capitato prima e io le ho risposto sì, una volta. E forse un’altra volta ancora, le ho detto, ma non ne ero così sicura: “Stavo scopando con uno, non ero tanto in me”, le ho detto. Per la verità, si trattava di Davìd, il mio padrone di casa a Londra, che mi aveva inculata poco prima che partissi. A Serena l’avrei anche specificato, perché in quel momento non mi ricordavo se gliel’avessi raccontato o meno, ma davanti a Li non mi andava di farlo. Per un minimo di pudore, immagino.
– Ma voi non siete lesbiche? – ha chiesto Li, sempre agitata.
– mmm… no… – ha risposto Serena – forse bisex, boh… cioè io l’ho fatto solo con lei… con una ragazza intendo.
– A me veramente piace lei – ho detto a mia volta indicando Serena, visto che la cinesina aveva rivolto lo sguardo dalla mia parte – problemi?
Li ci ha raccontato che non è mai stata con un uomo, che gli uomini le fanno paura, le fanno schifo. O meglio, le fa schifo l’idea di andare con un uomo. E’ uscito fuori che ha 27 anni (ne dimostra molti di meno) e che da cinque lavora in quell’albergo. Che più o meno da quando è stata assunta è andata a vivere con la sua ragazza, una che fa la tassista. Una che, lo ha ripetuto, “se sapesse che sono qui mi ammazzerebbe di botte”. Anche se in realtà di botte la ammazza quasi sempre, senza bisogno di una scusa. “Guarda”, mi ha detto indicando un livido su una coscia cui non avevo proprio fatto caso.
– Scusa, Li. Io queste cose non le ho mai capite, che cazzo ci stai a fare con una che ti mena sempre? – ho domandato.
– Perché mi piace – ha risposto.
– Ti piace lei o il fatto che ti mena, scusa?
– Tutte e due le cose… – ha detto, gelandomi.
– No, un attimo – l’ha interrotta Serena – poco fa ti sei messa a piangere per la paura che ti facessimo del male, ora dici che ti piace?
– Li, tu… – le ho detto per poi interrompermi, ma dandomi due colpetti in fronte con le dita come a dire “sei completamente matta, lo sai, no?”.
– Mi piace e mi fa paura… – ha piagnucolato facendosi improvvisamente remissiva – non… non volete provare?
– A fare cosa? – le ho chiesto.
– A farmi sesso violento, a scoparmi, a umiliarmi… mi lascio fare tutto quello che volete. Cercate solo di non lasciarmi i segni…
Ora, io capisco che un sacco di gente, maschi e femmine, si sarebbe eccitata di fronte a un’offerta del genere. Lo capisco perfettamente. E del resto anche a me non piace certo il sesso smancerioso. Adoro essere sbattuta brutalmente ed essere usata come una puttana. Mi piacciono gli sculaccioni forti e quella volta che Lapo mi ha rifilato una cinghiata sul sedere la fica mi si è squagliata dall’eccitazione. Ma da qui a essere presa a sberle, o anche peggio, c’è una bella differenza.
Le ho detto che non mi piace così, che non me la sentivo, che non sarei stata in grado. Nonostante i suoi “ti supplico” l’ho lasciata a Serena che, ammetto, con una mia certa sorpresa, l’ha trattata in modo davvero rude, come solo una volta ha fatto con me. Ma non era certamente quello che voleva Li. Lei magari voleva essere legata, presa a schiaffi, voleva gli insulti e gli sputi in faccia, essere trascinata per i capelli sul pavimento. Non lo ha detto, ma credo che se Serena le avesse messo la testa nel water sarebbe stata contenta. Sto improvvisando, è chiaro. In fondo che cazzo ne so io? Avete presente quelle cose che si vedono nei video porno, no?
Nulla di tutto questo, ovviamente, è accaduto.
Credo però che sia stato a causa di quel poco di ferocia dimostrata che Li abbia cercato Serena e non me, un paio di giorni dopo. Lo chiedo alla mia amica mentre aspettiamo l’ascensore sul pianerottolo di casa mia. Giù in strada ci attendono per andare al veglione. Lei mi dice che forse è così, anche se è convinta che a Li io piaccia molto. Molto più di lei. Le rispondo che se le preferenze della cinesina sono quelle, è molto difficile che io possa soddisfarle.
– Io con lei ho fatto l’uomo – mi dice mentre premo il bottone del piano terra.
– Cioè? – domando.
– Dovresti vedere l’armamentario che ha a casa… sembra il catalogo di un sexy shop. Quegli affari di silicone, quelli che si attaccano a una cintura, manette, palline per tapparti la bocca, palline da infilarti dentro, plug, frustini… davvero, il catalogo di un sexy shop… bende, corde…
– Manganelli? Lanciafiamme? No? – rido – E che vuol dire che hai fatto l’uomo? L’hai picchiata?
– No, sai che io non… Fare l’uomo vuol dire che mi sono messa una di quelle cinture, ad esempio – risponde Serena.
– E scusa, la ragazza che l’ammazza di botte, in tutto questo, dov’era?
– Ah boh, forse era di turno, che cazzo ne so?
– E che gusto ci hai provato? A fare l’uomo, dico… – le domando.
– Beh… è la sensazione… Non lo so, il dominio. Li è una che si lascia fare tutto, mica scherzava quando lo diceva. E poi…
– Poi?
– Poi… fare l’uomo con un ovetto vibrante nella fica mica è malaccio ahahahahah.
– Ma tu perché ci sei andata? – domando ancora. E nonostante quello che possiate pensare non lo domando per gelosia, voglio proprio capire cosa le è passato per la testa.
– Non lo so. Per provare, credo. Ti ricordi quella notte con Lapo che ho detto che volevo essere la vostra schiava? Volevo vedere come ci si sente a stare dall’altra parte.
Molto più delle sue avances di qualche minuto fa, molto più del suo dito che frugava dentro di me, sono queste sue ultime parole che mi eccitano. Sono improvvisamente assalita dalla voglia. Sento le contrazioni e sento che mi sto bagnando. Per fortuna sono coperta dal giaccone, altrimenti credo che si noterebbe qualcosa, in mezzo ai miei leggings. Ho improvvisamente il desiderio di darmi senza ritegno. A un uomo. E’ la prima volta da due settimane a questa parte che ho così voglia di darmi a un uomo. Magari la cosa durerà un minuto, magari meno. Ma se dovessi dirvelo con il cuore in mano, in questo preciso istante, l’unica cosa che vorrei è essere scopata come se non ci fosse un domani.
– A proposito di Lapo – dico più che altro per nascondere il mio turbamento – andiamo dai, che ci sta aspettando.
Serena si blocca, mi costringe a fermarmi prima di aprire il portone per uscire in strada. Mi guarda in silenzio e nei suoi occhi vedo un’ombra di tristezza.
– Ci sta aspettando, ok… ma tanto lo sai che questa notte non saremo noi il centro delle sue attenzioni, no?
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