Questa sera mi chiamo Giulia - 7
di
Browserfast
genere
etero
AUGURI DI BUON ANNO
Tre-due-uno e bum! Mezzanotte. Tappi che saltano fuori sincrono, grida di “auguri!” o “buon anno!” lanciate qua e là, applausi, urla. Che poi, che cazzo ci sarà da applaudire o da urlare non si capisce bene, ma vabbè. Braccia protese, poche con le bottiglie in mano e molte con i flute. Le coppie sorteggiate per il gioco che fanno cin cin e si scambiano rapidi bacetti, prima che ciascuno dei due vada a cercare quello o quella che gli interessa baciare davvero.
Solo Lapo e Bambi non si distaccano, stanno lì a scambiarsi un bacio lunghissimo, da pre-sesso. Io invece non bacio nessuno perché il mio partner, Brenno, chissà dove cazzo si è inguattato.
Ma dura poco, perché mi vengono a cercare. Trilli e Serena per prime, Lapo e Bambi a ruota. La prima ad eclissarsi è Trilli, anche se riesco a bloccarla un attimo per farci due selfie, uno con me e un altro con me e Serena. “Dai che li mandiamo a Stefania”. Io e Serena ce ne facciamo un altro e lo inviamo a Giovanna. Faccio in tempo a whatsappare mia sorella Martina, mamma e papà, poi me ne arriva uno. Cazzo, Tommy. Non me l’aspettavo proprio. L’ho sentito per l’ultima volta quando? Prima di Natale, per ricordarmi l’anniversario… beh, ok, non c’è un altro modo di dirlo, l’anniversario della nostra prima scopata. Che poi per me era stata la prima in assoluto. Era tornato a Roma apposta per me.
Certo, come no. Appena passata la mezzanotte del 15 dicembre: “Pensavo che per te fosse una ricorrenza importante”, mi aveva detto con quel suo birignao del cazzo che non capisci mai se è serio o se ti prende per il culo. E mi era anche sembrato parecchio strano, ma poi la cosa mi era passata di mente.
Mi fa gli auguri, normali: “Buon anno piccola”. Gli rispondo “Anche a te Tommy, dove sei?”. “A casa con mia madre”. “Influenza?”, domando. E qui mi squilla il telefono. “Volevo solo farti gli auguri, Annalisa”. Ok, lui non lo può sapere che stasera mi chiamo Giulia, lo perdono. Ho più di un motivo per essere incazzata con lui, ma non questo. Non gli dico che poco fa stavo proprio pensando a lui perché ho conosciuto un pazzo che quando parla sembra proprio delle sue parti. Gli chiedo invece “ma stai male? che ci fai a casa?”. Mi risponde “insomma, un po’ così, volevo solo farti gli auguri… un bacio piccola, buon anno”. Iperspazio.
Non so perché, ma mi cala addosso una sensazione strana, pesante. Cos’è che pensavo poco fa? Che è passato un anno e che un anno fa c’era, lui, Tommy. E che lui a me ci teneva, almeno. E che poi ne ho conosciuti tanti altri ma in fondo, a me, chi mi cerca? A parte Fabrizio, che però sta in culo al mondo, adesso. Sento ritornarmi addosso quella vaga tristezza che, pensavo, fosse sparita dopo essere stata travolta da quel pazzo scatenato di Brenno e dopo avere vinto la caccia al tesoro.
Torno da Lapo e Bambi che si stanno facendo uno spinello con la stessa espressione negli occhi di prima, ovvero di due che stanno per scopare. Gli chiedo se mi fanno fare un tiro e Bambi me la porge con aria vezzosa, mi dà un bacetto sulla guancia e mi dice “bravo!”. Immagino si riferisca alla caccia al tesoro. Le sorrido e anziché un tiro ne faccio due, praticamente gliela finisco. Lapo ride e dice “ok, ne faccio un’altra”. Ma ho un po’ la sensazione che voglia anche dirmi “togliti dal cazzo”. No, ok, esagero. Forse vuole davvero restare solo con Bambi, ma non me la metterebbe mai giù così dura. “Ci vediamo dopo”, li saluto mentre inizio a sentire il piacevole effetto rilassante del Thc.
Mi volto per tornare da Serena e Trilli ma non le vedo più. Cioè no, per un attimo vedo Trilli, ma subito dopo la sua figura viene coperta, per non dire sovrastata, dal tipo con cui l’avevo vista fare lingua in bocca poco prima che iniziasse la caccia al tesoro. E’ proprio un cristone, cazzo.
– Se vuoi farti un tiro prova questa.
Mi volto ancora e vedo un ragazzo in compagnia di due ragazze. Una delle due non è nulla di che, l’altra invece è una brunetta molto carina, delicata, con una t-shirt di Stella McCartney e dei pantaloni svasati, immagino, della stessa marca. Lui nemmeno è nulla di che. Piccolino, scuro, con un po’ di peluria sul labbro, chiaramente non italiano. Di origine, intendo, perché parla con una calata romana che secondo me non si spiccicherà più di dosso per tutta la vita. Mi sta porgendo un cannone decisamente sproporzionato.
Ringrazio e ne tiro dentro un bel po’. Non faccio in tempo a cacciare fuori il fumo che la testa mi gira e sento le gambe indebolirsi. Ho la classica sensazione di brividi e pelle d’oca moltiplicata per mille.
– Madonna che bomba! – sospiro guardando il ragazzo – ma che cazzo ci hai messo?
– Tranquilla, passa subito – risponde lui.
La brunetta carina gli getta le braccia al collo e mi sorride. Mi dice “è vero”. E in effetti è così. Tremolio e pelle d’oca svaniscono quasi subito, resta solo una sensazione che… uaoooo… Dico al ragazzo “permetti?” e, visto che ce l’ho ancora io, do un’altra tirata al cannone. Stessa scena di prima, appena un po’ meno intensa per quanto riguarda gli effetti collaterali. Il benessere invece si moltiplica. E’ come se sentissi dentro qualcuno che vuole richiamare la mia attenzione e mi fa: “Buonasera, siamo le tue endorfine. Possiamo farci un giretto nei tuoi vasi sanguigni? Ok, grazie”.
– Minchia… – sospiro ancora chiudendo gli occhi.
– Se te ne va ancora cercami, sorride il ragazzo con un sorrisetto furbo. Io mi chiamo…
Pronuncia un nome incomprensibile.
– Ma tutti mi chiamano Gange – dice ancora, sorridendo della mia espressione interrogativa.
Lo ringrazio restituendogli la fionda. La brunetta che gli ha messo le braccia al collo si avvicina a lui quasi volesse strusciarsi. Anche l’altra ragazza gli si avvicina e mi guarda. Mi sembra la più stesa dei tre. “Cioè, è ‘na fattanza assurda”, mi biascica. Nel complesso, ho l’impressione tutte e due vogliano dirmi con una certa gentilezza di non farmi strane idee e di togliermi dalle palle.
Ok, me ne vado, anche se sta cosa di sfancularmi comincia a diventare un vizio. Prima Lapo, poi le amiche del bengalino.
Ringrazio ancora, saluto e mi allontano. Faccio due passi e mi sento proprio un’altra. Quella sensazione di latente ma opprimente tristezza è scomparsa. Mi sento allo stesso tempo rallentata e incredibilmente eccitata. Da tutti i punti di vista, non solo sessuale.
Ah, ecco, però sì. Anche dal punto di vista sessuale.
I miei pensieri cominciano a rimbalzare in modo sconnesso. Imprevedibili, incontrollabili. Ritorno con la mente a Tommy, penso al modo in cui mi cercava e mi desiderava. Penso a quelli che sono venuti dopo di lui, ai miei desideri e ai miei eccessi. E anche alle mie frustrazioni, perché no, ci sono state pure quelle. Torno ancora a Tommy, e stavolta il ricordo si fa più carnale. La sua voglia di me, la sua avidità di avermi. Lo chiamavo il mio animale preferito. Ne potrei scegliere tanti, ma chissà perché il ricordo più nitido mi riporta a quella volta a Bologna che non seppe resistere e una notte, mentre tornavamo a casa, mi spinse contro la nicchia di un muro, e mi si fece per strada dopo avermi strappato i collant. Il mio “non qui!”, il suo “sì, qui!”. Le mie suppliche di non farlo, diventate ben presto suppliche di non smettere. Tutte le voglie del mondo in quel vicolo buio e gelato.
Ci ripenso. Sento un brivido che mi percorre e, per un attimo, il contatto dei miei capezzoli con il tessuto della camicetta. Resto immobile per qualche secondo. A che età si comincia a soffrire di nostalgia? Chiudo gli occhi e inspiro forte. Mi gira un po’ la testa. Forse ho bevuto troppo, senza accorgermene. Molto più verosimilmente, è l’effetto dello spinello di Lapo e, soprattutto, del cannone di quel tizio.
Ho ancora gli occhi chiusi mentre sento irrompere, dentro di me, un nuovo pensiero. Desidererei ardentemente, in questo momento, qualcuno che mi cercasse, che mi volesse. Che mi facesse sentire, anche solo per un po’, preziosa per lui. Magari Davide, quello carino. Quello che già tre volte mi ha chiesto di ballare.
E proprio come nei film comici, uno che mi cerca in realtà c’è, me ne accorgo ora. Solo che, vaffanculo, è Brenno. La sua figura pingue avanza verso di me, con la Lacoste verde e i pantaloni scuri, con il sorrisetto stampato sul viso. Con la sua voce ironica del cazzo che fa “buon anno, bimba” e un bicchiere di… boh, direi negroni, in mano. Dove cazzo l’avrà rimediato un negroni?
Lo guardo e mi blocco, fissando il rosso dentro al bicchiere. E poi, improvvisamente, succede come al cinema. Cioè, proprio come al cinema no. Immagino che al cinema l’inquadratura zoomerebbe dentro il bicchiere e poi si allargherebbe offrendo una scena completamente diversa, per farvi capire ciò che la protagonista (o anche il protagonista, in effetti) sta immaginando in quel momento. Io almeno, se fossi la regista, la girerei così.
Qui no, invece. Nessuna zoomata o controzoomata. Alla scena che ho davanti se ne sostituisce, semplicemente, un’altra, come se improvvisamente fosse comparso di fronte a me un maxischermo dalla definizione perfetta, di quella che solo gli occhi ti possono dare. Non so se vi è mai capitato, a me qualche volta sì. Non spesso, eh? E no, cazzo, altrimenti soffrirei di allucinazioni. Diciamo tre o quattro volte. Ma mai come questa volta l’immagine è stata talmente nitida da escludere ogni altra cosa dal mio campo visivo.
E l’immagine è quella di un divano di pelle bianca sopra il quale siede un uomo vestito in modo perfetto, con un completo blu di grande fattura, la camicia bianca button down e una cravatta ruggine a disegni orizzontali. La mano sinistra è posata sul largo e morbido bracciolo e regge un bicchiere di negroni. Scusate l’esasperazione dei dettagli ma, per dirne una, vorrei chiarire che a casa ho un divano uguale e che anche la forma quadrata del bicchiere è la stessa.
Un’altra cosa di cui vi chiedo scusa è la mia incapacità di rendere bene l’immagine, che si forma a poco a poco davanti agli occhi della mia mente. Ogni tanto si aggiunge un particolare, che io vedo per la prima volta ma che in realtà c’è sempre stato. E’ molto difficile descrivervelo, spero che possiate fare uno sforzo per capire.
Per esempio, tra le gambe aperte dell’uomo ora vedo una ragazza bionda inginocchiata sul pavimento. Chiaramente c’è sempre stata, ero io che non la vedevo. Indossa un abito nero molto corto che a causa della posizione le è risalito su e le ha scoperto il sedere. Sotto, non indossa nulla, la troia, e il vetro colorato che spunta al centro delle sue natiche dimostra che ha un plug infilato nel culo. Lo sta chiaramente sbocchinando, ma nonostante il suo impegno l’uomo non sembra coinvolto più di tanto. La sua attenzione è concentrata sul telefono che, lo vedo ora, controlla con la mano destra.
La troia sono io. Non solo mi riconosco dalla forma piccola e perfetta del culo e dal gesto ricorrente con cui sposto dietro l’orecchio la ciocca di capelli che, inevitabilmente, mi cade sul viso quando faccio un pompino. Lo sento proprio che sono io. L’uomo, invece, non è Brenno. Figuriamoci. L’uomo è Giancarlo. Se avete letto i miei racconti precedenti sapete chi è. E sapete anche che il pompino che gli sto facendo è in realtà solo una mia proiezione di desiderio. Gli ho sfiorato il cazzo solo una volta e da sopra i pantaloni, per di più. Il punto massimo dei nostri rapporti sessuali sono stati i baci e un paio di ditalini. Ha una quarantina di anni e ha sempre eluso le mie richieste, nemmeno tanto velate, di farmi sua. Lo sono già, dice. Ma non lo sono mai stata in quel senso. Lo sono eccome, invece, in senso cerebrale. Quasi nessun uomo è mai riuscito a soggiogarmi come lui. L’ultima volta che ci siamo visti mi ha indotta a stare seduta al tavolo di un ristorante con un ovetto vibrante nella fica, che lui controllava con una app sul telefono. Per capire cosa significa bisognerebbe passarci, io ci sono passata e vi assicuro che è stata una tortura. Bellissima, fantastica, ma una tortura. Che però non potevo fare a meno di subire, mi era impossibile sottrarmi.
Ci ho messo meno di dieci secondi per passare da Tommy a Giancarlo. Ma, al pensiero dell’ovetto vibrante, ecco che nell’immagine davanti a me si dispone un’altra figura. E’ quella di Debbie, la mia amica olandese. E’ lei la seconda e ultima persona che mi ha fatto usare quell’ovetto (che avevo chiuso a chiave in un cassetto e di cui mi ero dimenticata) nell’esperienza di sexting più emozionante che abbia mai provato. Lei ad Amsterdam, io a Roma.
Siede sul divano accanto a Giancarlo. E’ nuda. Ha le braccia dietro la schiena e le gambe ripiegate, scandalosamente aperte, i piedi appoggiati sulla seduta. Non vedo né corde né altri oggetti del genere, ma so che è costretta a stare così, come se fosse legata. Ha il respiro pesante e trema. Cioè, è scossa da piccoli ma incessanti brividi. Quello che le trema davvero è la mandibola. Vedo il suo piccolo seno fare su e giù insieme ai capezzoli scuri e appuntiti. Per come tiene la testa, il suo sguardo sarebbe orientato su un punto qualsiasi del soffitto, anche se dubito che lo vedrebbe. In realtà nulla di tutto questo è possibile, perché sugli occhi ha una mascherina blu di quelle che si usano per dormire in aereo. Sulla mascherina, ma soprattutto sul volto dove si è anche appiccicata una striscia dei suoi capelli biondi, c’è lo sperma con cui Giancarlo l’ha marchiata. Alcune gocce si sono spiaccicate su una spalla e tra le mammelle.
Giancarlo se l’è fatta, lo so. Non scopa me perché mi considera una ragazzina, ma lei è una giovane donna di 27 anni, bella, degna preda di un maschio alfa che la sappia trattare come merita, senza misericordia. E’ inutile che mi domandiate come lo so. Lo so e basta. Questo è il mio sogno ad occhi aperti, è la mia visione. Ci saranno bene delle cose che io so e che voi non sapete, no? Quindi non rompete il cazzo. So che se l’è scopata prima di infilare, stavolta a lei, l’ovetto vibrante nella fica. Ecco cosa sta facendo con il telefono che tiene nella mano destra, sta distillando il suo supplizio. E so anche che Debbie ha ormai superato il confine delle grida, dei gemiti e degli ululati. Ansima, respira a bocca aperta, forse nemmeno si accorge dello sperma che le cola tra le labbra. Anche se in realtà mi piacerebbe che, almeno un po’, si rendesse conto della sua condizione. Che pensasse “sono qui con il viso imbrattato, esposta e indifesa di fronte ai loro sguardi e al loro giudizio”. E mi piacerebbe che ne godesse, come ne godrei io se fossi al suo posto. Che si sentisse zoccola e usata come mi sentirei io.
Un’altra cosa che io so e che voi non sapete, è che grazie all’ovetto Debbie ha avuto tre orgasmi in rapida successione. Prima, non saprei. Cioè non saprei dire se mentre Giancarlo se la scopava sia venuta, può essere. Ma sono certa che, di suo, quel coso che vibra e scatta come impazzito dentro di lei l’ha fatta partire tre volte. Adesso aspetta la quarta. Non so se la desideri, a dire il vero. Ma né io né lei possiamo farci un cazzo. Quando Giancarlo si scaricherà nella mia bocca dovrò riversare il suo seme sul ventre di lei. Dovrò leccarla, passarglielo sul grilletto, giustiziarla e porre fine alla sua agonia tremolante. Poi dovrò asciugarla e, sempre con la lingua, asciugare anche il laghetto del suo succo di femmina che si è formato sul cuscino del divano. Mi piace pensare che sbrodoli almeno quanto sbrodolo io, anche se in effetti questo non lo so. Comunque, le mie istruzioni sono queste e sono abbastanza precise. Sono la loro serva, a disposizione dei loro piaceri. Sono quella che, quando tutto sarà finito, accenderà loro le sigarette dopo essermi passati i filtri nella fica e dovrà restare a vederli fumare, magari a vederli ricominciare. Che sarà punita comunque. Da lei per averle fatto conoscere la tortura dell’ovetto. E da Giancarlo non so nemmeno io perché. Forse perché ho osato succhiargli l’uccello. Per il resto, è chiaro, non conto un cazzo.
Così come è arrivata, l’immagine all’improvviso scompare. Forse c’è sempre Brenno davanti a me con il bicchiere di Negroni in mano, ma non lo vedo. Non vedo nulla, vedo una luce indistinta. Mi rendo conto di essere come paralizzata e di respirare a fatica. Ho una scarica calda tra le gambe, la vagina che pulsa. Sento a malapena la voce di Brenno che domanda “che hai fatto?”. Dapprima ironica, poi leggermente preoccupata. “Giulia, ti senti bene?” Non gli rispondo, sto pensando che all’immagine di prima mancava qualcosa. Metto a fuoco e mi rendo conto che mancava Edoardo, il Capo. Quel plug che avevo nel sedere non appartiene né a Giancarlo né tantomeno a Debbie. Me l’aveva infilato Edoardo, a Nizza. Ma, Edoardo, nel maxischermo proiettato dalla mia mente, non c’era. Così come non c’era Sven. Eppure, se devo pensare a un uomo cui ho succhiato il cazzo mentre sorseggiava un cocktail su un divano, penso a lui. Forse Giancarlo li rappresenta entrambi? Mah, non lo so, non direi. Forse sarebbe meglio ammettere che il mio sogno ad occhi aperti non era così preciso. Che il cerchio non si è chiuso. Del resto i sogni non sono sempre coerenti e lineari. E nemmeno la vita di tutti i giorni. E nemmeno i desideri.
– Sto bene, ho avuto un attimo di giramento di testa, ma sto bene…
– Figa, volete sballarvi e non reggete neanche un goccio di Ferrari, che generazione del cazzo…
– No, dai Brenno, sto bene…
– Guarda che c’è il secondo round del gioco… Almeno ballare mi piace. Te la senti?
– Ma sì, cazzo, ti ho detto che sto bene! Vorrei… vorrei solo finire di mandare un po’ di auguri…
Cerco nella rubrica il numero di Debbie, faccio partire la videochiamata. Non ci spero molto, ma risponde. La vedo, ha una faccia da festa, sorridente. In sottofondo musica e risate, un casino. Mi fa “Sletje!”. Immagino con il tono che io e le mie amiche usiamo quando per salutarci ci scambiamo un scherzoso “ciao troia!”, ma per un momento mi viene un brivido a pensare che Brenno capisca l’olandese. Poi arriva qualcosa che non capisco ma che penso significhi buon anno. Alle mie spalle la voce di Brenno che domanda “oh, ma chi è sta figa?”. Mi giro e gli lancio un “ma ti fai li cazzi tua?” quando mi accorgo che è entrato nell’inquadratura. Debbie ride e mi chiede in inglese “è tuo padre?”, poi mi offre la panoramica della festa e del suo vestito nero ricoperto di strass. Le rispondo che è un pazzo mentre Brenno, che evidentemente l’inglese lo capisce, bofonchia “tuo padre un cazzo”. Le dico che devo raccontarle un po’ di cose e che le scriverò, lei mi raccomanda di divertirmi, “ma non con quello”. Ride e la comunicazione si interrompe prima che faccia in tempo a salutarla come si deve.
– Brenno, sei un testa di cazzo – dico amabilmente girandomi verso di lui.
– Quella sì che me lo fa un pompino, se glielo chiedo…
– Non penso proprio… sei pronto per la gara di ballo?
L’idea di Debbie che fa un pompino a Brenno mi fa quasi sganasciare dalle risate. Un momento dopo, però, a questa immagine si sostituisce quella di Debbie che, nuda e inginocchiata per terra, succhia i cazzi di Tommy e di Giancarlo mentre io sono immobilizzata su una sedia e obbligata a guardarli. Lei si volta verso di me e mi fa l’occhiolino.
Sono pazza, sono completamente pazza pure io, sto delirando.
Sono pazza e completamente fradicia tra le gambe.
CONTINUA
Tre-due-uno e bum! Mezzanotte. Tappi che saltano fuori sincrono, grida di “auguri!” o “buon anno!” lanciate qua e là, applausi, urla. Che poi, che cazzo ci sarà da applaudire o da urlare non si capisce bene, ma vabbè. Braccia protese, poche con le bottiglie in mano e molte con i flute. Le coppie sorteggiate per il gioco che fanno cin cin e si scambiano rapidi bacetti, prima che ciascuno dei due vada a cercare quello o quella che gli interessa baciare davvero.
Solo Lapo e Bambi non si distaccano, stanno lì a scambiarsi un bacio lunghissimo, da pre-sesso. Io invece non bacio nessuno perché il mio partner, Brenno, chissà dove cazzo si è inguattato.
Ma dura poco, perché mi vengono a cercare. Trilli e Serena per prime, Lapo e Bambi a ruota. La prima ad eclissarsi è Trilli, anche se riesco a bloccarla un attimo per farci due selfie, uno con me e un altro con me e Serena. “Dai che li mandiamo a Stefania”. Io e Serena ce ne facciamo un altro e lo inviamo a Giovanna. Faccio in tempo a whatsappare mia sorella Martina, mamma e papà, poi me ne arriva uno. Cazzo, Tommy. Non me l’aspettavo proprio. L’ho sentito per l’ultima volta quando? Prima di Natale, per ricordarmi l’anniversario… beh, ok, non c’è un altro modo di dirlo, l’anniversario della nostra prima scopata. Che poi per me era stata la prima in assoluto. Era tornato a Roma apposta per me.
Certo, come no. Appena passata la mezzanotte del 15 dicembre: “Pensavo che per te fosse una ricorrenza importante”, mi aveva detto con quel suo birignao del cazzo che non capisci mai se è serio o se ti prende per il culo. E mi era anche sembrato parecchio strano, ma poi la cosa mi era passata di mente.
Mi fa gli auguri, normali: “Buon anno piccola”. Gli rispondo “Anche a te Tommy, dove sei?”. “A casa con mia madre”. “Influenza?”, domando. E qui mi squilla il telefono. “Volevo solo farti gli auguri, Annalisa”. Ok, lui non lo può sapere che stasera mi chiamo Giulia, lo perdono. Ho più di un motivo per essere incazzata con lui, ma non questo. Non gli dico che poco fa stavo proprio pensando a lui perché ho conosciuto un pazzo che quando parla sembra proprio delle sue parti. Gli chiedo invece “ma stai male? che ci fai a casa?”. Mi risponde “insomma, un po’ così, volevo solo farti gli auguri… un bacio piccola, buon anno”. Iperspazio.
Non so perché, ma mi cala addosso una sensazione strana, pesante. Cos’è che pensavo poco fa? Che è passato un anno e che un anno fa c’era, lui, Tommy. E che lui a me ci teneva, almeno. E che poi ne ho conosciuti tanti altri ma in fondo, a me, chi mi cerca? A parte Fabrizio, che però sta in culo al mondo, adesso. Sento ritornarmi addosso quella vaga tristezza che, pensavo, fosse sparita dopo essere stata travolta da quel pazzo scatenato di Brenno e dopo avere vinto la caccia al tesoro.
Torno da Lapo e Bambi che si stanno facendo uno spinello con la stessa espressione negli occhi di prima, ovvero di due che stanno per scopare. Gli chiedo se mi fanno fare un tiro e Bambi me la porge con aria vezzosa, mi dà un bacetto sulla guancia e mi dice “bravo!”. Immagino si riferisca alla caccia al tesoro. Le sorrido e anziché un tiro ne faccio due, praticamente gliela finisco. Lapo ride e dice “ok, ne faccio un’altra”. Ma ho un po’ la sensazione che voglia anche dirmi “togliti dal cazzo”. No, ok, esagero. Forse vuole davvero restare solo con Bambi, ma non me la metterebbe mai giù così dura. “Ci vediamo dopo”, li saluto mentre inizio a sentire il piacevole effetto rilassante del Thc.
Mi volto per tornare da Serena e Trilli ma non le vedo più. Cioè no, per un attimo vedo Trilli, ma subito dopo la sua figura viene coperta, per non dire sovrastata, dal tipo con cui l’avevo vista fare lingua in bocca poco prima che iniziasse la caccia al tesoro. E’ proprio un cristone, cazzo.
– Se vuoi farti un tiro prova questa.
Mi volto ancora e vedo un ragazzo in compagnia di due ragazze. Una delle due non è nulla di che, l’altra invece è una brunetta molto carina, delicata, con una t-shirt di Stella McCartney e dei pantaloni svasati, immagino, della stessa marca. Lui nemmeno è nulla di che. Piccolino, scuro, con un po’ di peluria sul labbro, chiaramente non italiano. Di origine, intendo, perché parla con una calata romana che secondo me non si spiccicherà più di dosso per tutta la vita. Mi sta porgendo un cannone decisamente sproporzionato.
Ringrazio e ne tiro dentro un bel po’. Non faccio in tempo a cacciare fuori il fumo che la testa mi gira e sento le gambe indebolirsi. Ho la classica sensazione di brividi e pelle d’oca moltiplicata per mille.
– Madonna che bomba! – sospiro guardando il ragazzo – ma che cazzo ci hai messo?
– Tranquilla, passa subito – risponde lui.
La brunetta carina gli getta le braccia al collo e mi sorride. Mi dice “è vero”. E in effetti è così. Tremolio e pelle d’oca svaniscono quasi subito, resta solo una sensazione che… uaoooo… Dico al ragazzo “permetti?” e, visto che ce l’ho ancora io, do un’altra tirata al cannone. Stessa scena di prima, appena un po’ meno intensa per quanto riguarda gli effetti collaterali. Il benessere invece si moltiplica. E’ come se sentissi dentro qualcuno che vuole richiamare la mia attenzione e mi fa: “Buonasera, siamo le tue endorfine. Possiamo farci un giretto nei tuoi vasi sanguigni? Ok, grazie”.
– Minchia… – sospiro ancora chiudendo gli occhi.
– Se te ne va ancora cercami, sorride il ragazzo con un sorrisetto furbo. Io mi chiamo…
Pronuncia un nome incomprensibile.
– Ma tutti mi chiamano Gange – dice ancora, sorridendo della mia espressione interrogativa.
Lo ringrazio restituendogli la fionda. La brunetta che gli ha messo le braccia al collo si avvicina a lui quasi volesse strusciarsi. Anche l’altra ragazza gli si avvicina e mi guarda. Mi sembra la più stesa dei tre. “Cioè, è ‘na fattanza assurda”, mi biascica. Nel complesso, ho l’impressione tutte e due vogliano dirmi con una certa gentilezza di non farmi strane idee e di togliermi dalle palle.
Ok, me ne vado, anche se sta cosa di sfancularmi comincia a diventare un vizio. Prima Lapo, poi le amiche del bengalino.
Ringrazio ancora, saluto e mi allontano. Faccio due passi e mi sento proprio un’altra. Quella sensazione di latente ma opprimente tristezza è scomparsa. Mi sento allo stesso tempo rallentata e incredibilmente eccitata. Da tutti i punti di vista, non solo sessuale.
Ah, ecco, però sì. Anche dal punto di vista sessuale.
I miei pensieri cominciano a rimbalzare in modo sconnesso. Imprevedibili, incontrollabili. Ritorno con la mente a Tommy, penso al modo in cui mi cercava e mi desiderava. Penso a quelli che sono venuti dopo di lui, ai miei desideri e ai miei eccessi. E anche alle mie frustrazioni, perché no, ci sono state pure quelle. Torno ancora a Tommy, e stavolta il ricordo si fa più carnale. La sua voglia di me, la sua avidità di avermi. Lo chiamavo il mio animale preferito. Ne potrei scegliere tanti, ma chissà perché il ricordo più nitido mi riporta a quella volta a Bologna che non seppe resistere e una notte, mentre tornavamo a casa, mi spinse contro la nicchia di un muro, e mi si fece per strada dopo avermi strappato i collant. Il mio “non qui!”, il suo “sì, qui!”. Le mie suppliche di non farlo, diventate ben presto suppliche di non smettere. Tutte le voglie del mondo in quel vicolo buio e gelato.
Ci ripenso. Sento un brivido che mi percorre e, per un attimo, il contatto dei miei capezzoli con il tessuto della camicetta. Resto immobile per qualche secondo. A che età si comincia a soffrire di nostalgia? Chiudo gli occhi e inspiro forte. Mi gira un po’ la testa. Forse ho bevuto troppo, senza accorgermene. Molto più verosimilmente, è l’effetto dello spinello di Lapo e, soprattutto, del cannone di quel tizio.
Ho ancora gli occhi chiusi mentre sento irrompere, dentro di me, un nuovo pensiero. Desidererei ardentemente, in questo momento, qualcuno che mi cercasse, che mi volesse. Che mi facesse sentire, anche solo per un po’, preziosa per lui. Magari Davide, quello carino. Quello che già tre volte mi ha chiesto di ballare.
E proprio come nei film comici, uno che mi cerca in realtà c’è, me ne accorgo ora. Solo che, vaffanculo, è Brenno. La sua figura pingue avanza verso di me, con la Lacoste verde e i pantaloni scuri, con il sorrisetto stampato sul viso. Con la sua voce ironica del cazzo che fa “buon anno, bimba” e un bicchiere di… boh, direi negroni, in mano. Dove cazzo l’avrà rimediato un negroni?
Lo guardo e mi blocco, fissando il rosso dentro al bicchiere. E poi, improvvisamente, succede come al cinema. Cioè, proprio come al cinema no. Immagino che al cinema l’inquadratura zoomerebbe dentro il bicchiere e poi si allargherebbe offrendo una scena completamente diversa, per farvi capire ciò che la protagonista (o anche il protagonista, in effetti) sta immaginando in quel momento. Io almeno, se fossi la regista, la girerei così.
Qui no, invece. Nessuna zoomata o controzoomata. Alla scena che ho davanti se ne sostituisce, semplicemente, un’altra, come se improvvisamente fosse comparso di fronte a me un maxischermo dalla definizione perfetta, di quella che solo gli occhi ti possono dare. Non so se vi è mai capitato, a me qualche volta sì. Non spesso, eh? E no, cazzo, altrimenti soffrirei di allucinazioni. Diciamo tre o quattro volte. Ma mai come questa volta l’immagine è stata talmente nitida da escludere ogni altra cosa dal mio campo visivo.
E l’immagine è quella di un divano di pelle bianca sopra il quale siede un uomo vestito in modo perfetto, con un completo blu di grande fattura, la camicia bianca button down e una cravatta ruggine a disegni orizzontali. La mano sinistra è posata sul largo e morbido bracciolo e regge un bicchiere di negroni. Scusate l’esasperazione dei dettagli ma, per dirne una, vorrei chiarire che a casa ho un divano uguale e che anche la forma quadrata del bicchiere è la stessa.
Un’altra cosa di cui vi chiedo scusa è la mia incapacità di rendere bene l’immagine, che si forma a poco a poco davanti agli occhi della mia mente. Ogni tanto si aggiunge un particolare, che io vedo per la prima volta ma che in realtà c’è sempre stato. E’ molto difficile descrivervelo, spero che possiate fare uno sforzo per capire.
Per esempio, tra le gambe aperte dell’uomo ora vedo una ragazza bionda inginocchiata sul pavimento. Chiaramente c’è sempre stata, ero io che non la vedevo. Indossa un abito nero molto corto che a causa della posizione le è risalito su e le ha scoperto il sedere. Sotto, non indossa nulla, la troia, e il vetro colorato che spunta al centro delle sue natiche dimostra che ha un plug infilato nel culo. Lo sta chiaramente sbocchinando, ma nonostante il suo impegno l’uomo non sembra coinvolto più di tanto. La sua attenzione è concentrata sul telefono che, lo vedo ora, controlla con la mano destra.
La troia sono io. Non solo mi riconosco dalla forma piccola e perfetta del culo e dal gesto ricorrente con cui sposto dietro l’orecchio la ciocca di capelli che, inevitabilmente, mi cade sul viso quando faccio un pompino. Lo sento proprio che sono io. L’uomo, invece, non è Brenno. Figuriamoci. L’uomo è Giancarlo. Se avete letto i miei racconti precedenti sapete chi è. E sapete anche che il pompino che gli sto facendo è in realtà solo una mia proiezione di desiderio. Gli ho sfiorato il cazzo solo una volta e da sopra i pantaloni, per di più. Il punto massimo dei nostri rapporti sessuali sono stati i baci e un paio di ditalini. Ha una quarantina di anni e ha sempre eluso le mie richieste, nemmeno tanto velate, di farmi sua. Lo sono già, dice. Ma non lo sono mai stata in quel senso. Lo sono eccome, invece, in senso cerebrale. Quasi nessun uomo è mai riuscito a soggiogarmi come lui. L’ultima volta che ci siamo visti mi ha indotta a stare seduta al tavolo di un ristorante con un ovetto vibrante nella fica, che lui controllava con una app sul telefono. Per capire cosa significa bisognerebbe passarci, io ci sono passata e vi assicuro che è stata una tortura. Bellissima, fantastica, ma una tortura. Che però non potevo fare a meno di subire, mi era impossibile sottrarmi.
Ci ho messo meno di dieci secondi per passare da Tommy a Giancarlo. Ma, al pensiero dell’ovetto vibrante, ecco che nell’immagine davanti a me si dispone un’altra figura. E’ quella di Debbie, la mia amica olandese. E’ lei la seconda e ultima persona che mi ha fatto usare quell’ovetto (che avevo chiuso a chiave in un cassetto e di cui mi ero dimenticata) nell’esperienza di sexting più emozionante che abbia mai provato. Lei ad Amsterdam, io a Roma.
Siede sul divano accanto a Giancarlo. E’ nuda. Ha le braccia dietro la schiena e le gambe ripiegate, scandalosamente aperte, i piedi appoggiati sulla seduta. Non vedo né corde né altri oggetti del genere, ma so che è costretta a stare così, come se fosse legata. Ha il respiro pesante e trema. Cioè, è scossa da piccoli ma incessanti brividi. Quello che le trema davvero è la mandibola. Vedo il suo piccolo seno fare su e giù insieme ai capezzoli scuri e appuntiti. Per come tiene la testa, il suo sguardo sarebbe orientato su un punto qualsiasi del soffitto, anche se dubito che lo vedrebbe. In realtà nulla di tutto questo è possibile, perché sugli occhi ha una mascherina blu di quelle che si usano per dormire in aereo. Sulla mascherina, ma soprattutto sul volto dove si è anche appiccicata una striscia dei suoi capelli biondi, c’è lo sperma con cui Giancarlo l’ha marchiata. Alcune gocce si sono spiaccicate su una spalla e tra le mammelle.
Giancarlo se l’è fatta, lo so. Non scopa me perché mi considera una ragazzina, ma lei è una giovane donna di 27 anni, bella, degna preda di un maschio alfa che la sappia trattare come merita, senza misericordia. E’ inutile che mi domandiate come lo so. Lo so e basta. Questo è il mio sogno ad occhi aperti, è la mia visione. Ci saranno bene delle cose che io so e che voi non sapete, no? Quindi non rompete il cazzo. So che se l’è scopata prima di infilare, stavolta a lei, l’ovetto vibrante nella fica. Ecco cosa sta facendo con il telefono che tiene nella mano destra, sta distillando il suo supplizio. E so anche che Debbie ha ormai superato il confine delle grida, dei gemiti e degli ululati. Ansima, respira a bocca aperta, forse nemmeno si accorge dello sperma che le cola tra le labbra. Anche se in realtà mi piacerebbe che, almeno un po’, si rendesse conto della sua condizione. Che pensasse “sono qui con il viso imbrattato, esposta e indifesa di fronte ai loro sguardi e al loro giudizio”. E mi piacerebbe che ne godesse, come ne godrei io se fossi al suo posto. Che si sentisse zoccola e usata come mi sentirei io.
Un’altra cosa che io so e che voi non sapete, è che grazie all’ovetto Debbie ha avuto tre orgasmi in rapida successione. Prima, non saprei. Cioè non saprei dire se mentre Giancarlo se la scopava sia venuta, può essere. Ma sono certa che, di suo, quel coso che vibra e scatta come impazzito dentro di lei l’ha fatta partire tre volte. Adesso aspetta la quarta. Non so se la desideri, a dire il vero. Ma né io né lei possiamo farci un cazzo. Quando Giancarlo si scaricherà nella mia bocca dovrò riversare il suo seme sul ventre di lei. Dovrò leccarla, passarglielo sul grilletto, giustiziarla e porre fine alla sua agonia tremolante. Poi dovrò asciugarla e, sempre con la lingua, asciugare anche il laghetto del suo succo di femmina che si è formato sul cuscino del divano. Mi piace pensare che sbrodoli almeno quanto sbrodolo io, anche se in effetti questo non lo so. Comunque, le mie istruzioni sono queste e sono abbastanza precise. Sono la loro serva, a disposizione dei loro piaceri. Sono quella che, quando tutto sarà finito, accenderà loro le sigarette dopo essermi passati i filtri nella fica e dovrà restare a vederli fumare, magari a vederli ricominciare. Che sarà punita comunque. Da lei per averle fatto conoscere la tortura dell’ovetto. E da Giancarlo non so nemmeno io perché. Forse perché ho osato succhiargli l’uccello. Per il resto, è chiaro, non conto un cazzo.
Così come è arrivata, l’immagine all’improvviso scompare. Forse c’è sempre Brenno davanti a me con il bicchiere di Negroni in mano, ma non lo vedo. Non vedo nulla, vedo una luce indistinta. Mi rendo conto di essere come paralizzata e di respirare a fatica. Ho una scarica calda tra le gambe, la vagina che pulsa. Sento a malapena la voce di Brenno che domanda “che hai fatto?”. Dapprima ironica, poi leggermente preoccupata. “Giulia, ti senti bene?” Non gli rispondo, sto pensando che all’immagine di prima mancava qualcosa. Metto a fuoco e mi rendo conto che mancava Edoardo, il Capo. Quel plug che avevo nel sedere non appartiene né a Giancarlo né tantomeno a Debbie. Me l’aveva infilato Edoardo, a Nizza. Ma, Edoardo, nel maxischermo proiettato dalla mia mente, non c’era. Così come non c’era Sven. Eppure, se devo pensare a un uomo cui ho succhiato il cazzo mentre sorseggiava un cocktail su un divano, penso a lui. Forse Giancarlo li rappresenta entrambi? Mah, non lo so, non direi. Forse sarebbe meglio ammettere che il mio sogno ad occhi aperti non era così preciso. Che il cerchio non si è chiuso. Del resto i sogni non sono sempre coerenti e lineari. E nemmeno la vita di tutti i giorni. E nemmeno i desideri.
– Sto bene, ho avuto un attimo di giramento di testa, ma sto bene…
– Figa, volete sballarvi e non reggete neanche un goccio di Ferrari, che generazione del cazzo…
– No, dai Brenno, sto bene…
– Guarda che c’è il secondo round del gioco… Almeno ballare mi piace. Te la senti?
– Ma sì, cazzo, ti ho detto che sto bene! Vorrei… vorrei solo finire di mandare un po’ di auguri…
Cerco nella rubrica il numero di Debbie, faccio partire la videochiamata. Non ci spero molto, ma risponde. La vedo, ha una faccia da festa, sorridente. In sottofondo musica e risate, un casino. Mi fa “Sletje!”. Immagino con il tono che io e le mie amiche usiamo quando per salutarci ci scambiamo un scherzoso “ciao troia!”, ma per un momento mi viene un brivido a pensare che Brenno capisca l’olandese. Poi arriva qualcosa che non capisco ma che penso significhi buon anno. Alle mie spalle la voce di Brenno che domanda “oh, ma chi è sta figa?”. Mi giro e gli lancio un “ma ti fai li cazzi tua?” quando mi accorgo che è entrato nell’inquadratura. Debbie ride e mi chiede in inglese “è tuo padre?”, poi mi offre la panoramica della festa e del suo vestito nero ricoperto di strass. Le rispondo che è un pazzo mentre Brenno, che evidentemente l’inglese lo capisce, bofonchia “tuo padre un cazzo”. Le dico che devo raccontarle un po’ di cose e che le scriverò, lei mi raccomanda di divertirmi, “ma non con quello”. Ride e la comunicazione si interrompe prima che faccia in tempo a salutarla come si deve.
– Brenno, sei un testa di cazzo – dico amabilmente girandomi verso di lui.
– Quella sì che me lo fa un pompino, se glielo chiedo…
– Non penso proprio… sei pronto per la gara di ballo?
L’idea di Debbie che fa un pompino a Brenno mi fa quasi sganasciare dalle risate. Un momento dopo, però, a questa immagine si sostituisce quella di Debbie che, nuda e inginocchiata per terra, succhia i cazzi di Tommy e di Giancarlo mentre io sono immobilizzata su una sedia e obbligata a guardarli. Lei si volta verso di me e mi fa l’occhiolino.
Sono pazza, sono completamente pazza pure io, sto delirando.
Sono pazza e completamente fradicia tra le gambe.
CONTINUA
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Diversamente vergine - 2racconto sucessivo
Diversamente vergine - 3
Commenti dei lettori al racconto erotico