Questa sera mi chiamo Giulia - 8

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DANZA PER DUE

La gara di ballo, onestamente, non ha storia. La vincono due tizi che, vabbè, vincerebbero ben altre competizioni. Non tanto lui, che pure si muove bene, è armonico, coordinato in tutto. E’ la sua partner che è proprio un’iradiddio. Si vede che, non lo so, fa danza da una vita. E mica solo quella classica. La canzone su cui ballano è La mia banda suona il rock, e lei alterna passi e figure di salsa con quelle della afro-dance. A volte sembra quasi che ci prenda per il culo per come la fa facile.

Io, io che cazzo volete… mi muovo. Mi piace ballare e in genere lo faccio benino. Inaspettatamente, l’effetto dei cannoni nemmeno mi intorpidisce, anzi mi rende meno inibita. Però, cazzo dai, non c’è paragone.

La sorpresa invece è Brenno. Non solo balla benissimo il brano che tocca a noi – un’assurda canzone italiana degli anni Sessanta che, a cose fatte, vengo a sapere che è un twist – ma a un certo punto si toglie pure i mocassini come John Travolta in Pulp fiction e salta a piedi uniti sopra un tavolo. E senza fare casini!

Ne sono stupefatta, tanto che per qualche secondo perdo pure il ritmo. In compenso, lo sguardo che mi riserva non è di quelli che dicono “non te l’aspettavi, eh?”. Ma manco per niente, mi guarda placido con quel suo sorrisino, l’idea che non lo ritenessi capace di una performance simile non lo sfiora nemmeno.

Ma nonostante questo, i vincitori non siamo noi, ve l’ho detto. E l’intera gara finisce qui, tra l’altro, niente finale a sorpresa, siamo troppo pochi quelli rimasti.

La Lei della coppia prima arrivata, oltre che bravissima, deve anche essere una perfetta stronza, perché quando mi avvicino per congratularmi mi squadra da capo a piedi con un’aria da “e tu chi cazzo sei? come ti aspettavi di battermi?” che, visto l’ambiente, è proprio fuori luogo. E’ una ragazza dai capelli neri, lunghi, ricci, con un bel corpo a dire il vero, ma con un viso letteralmente dominato da un naso dritto e lungo una quaresima, tanto che è difficile dire se con un naso normale sarebbe bella o brutta.

Brenno se ne accorge e mi viene a consolare. All’inizio con un “dai” e un pugno finto sul mento, cui io reagisco con un’alzata di spalle. Poi entra più decisamente in modalità-Brenno.

– Quella con quel naso può giusto ballare, non può nemmeno fare i pompini, ce l’ha più lungo del mio cazzo…

Mi sforzo di non farlo, ma rido. Non vorrei, ma lo faccio.

– Ma adesso che cazzo c’entra? – gli chiedo fintamente arrabbiata, scandendo le parole.

– Figa che domande… un pompino c’entra sempre – ribatte.

Mi domanda se sono incazzata per avere perso e io gli chiarisco che non me ne frega un cazzo. Chiede se ci tenevo al premio e gli do la stessa risposta. Il premio consiste in due magnum di champagne, una per componente della coppia. Sarebbe stato bello berle, ma a conti fatti sticazzi. Dice che se una sera esco a bere con lui ce ne spariamo quattro di fila.

– Sarebbe affascinante passare una serata con te a bere champagne e a sentirti chiedere se mi puoi leccare la fica. Anzi, la fiigaaaa… – gli rispondo imitando la sua parlata.

Come feci una volta con Tommy, per rinfacciargli di essersi scopato una gatta morta che gli faceva il filo davanti a me.

Perché penso tanto a Tommy stasera? E’ da quando abbiamo smesso di vederci che non penso così tanto a lui. Beh, ovvio, perché mi ha telefonato poco fa per gli auguri. Quindi, la domanda giusta non è questa. La domanda giusta è: perché stasera se penso a Tommy mi eccito? Una volta mi mandò per sms il biglietto del treno per salire su da lui a Bologna e mi ritrovai con le mutandine bagnate in un attimo: perché ci sto pensando ora? E perché sono tornata a bagnarmi?

Brenno non si accorge di nulla, per fortuna. Ride della mia battuta e insiste chiedendomi il numero di telefono. “Magari una volta ti porto a teatro, così ti fai una cultura…”, mi dice. Glielo do. Chi lo sa perché glielo do così facilmente, forse perché, boh, non mi va di discutere, o di dargli un numero fasullo. Forse perché nonostante tutto mi fido. Che ne so…

E poi, in questo momento, non è alle possibili conseguenze che potrebbero derivarne che penso. In questo momento penso che è arrivata l’ora di andare a cercare Davide e mantenere la mia promessa.

“Dove vai?”, chiede Brenno. Gli spiego che vado a cercare uno cui ho detto che avrei ballato con lui. “Il riccetto?”, chiede. “Proprio lui”. Assume un’aria fintamente severa, la parodia di uno che ti sta lanciando un monito. “Oh, bimba, quello ti si vuole…”. Come aveva fatto prima, fa il gesto inequivocabile del pugno. Solo che questa volta, invece di accompagnarlo con un fischio, conclude esplicitamente la frase: “… trombare”. “E che ci sarebbe di male?”, gli sorrido salutandolo con la mano. Non lo vedo, ma lo sento ridere alle mie spalle.

Cerco Davide e lo trovo, non prima di essermi assicurata un bicchiere scarso di birra. La bottiglia era quasi finita. Ho la gola un po’ secca. Nel salone ora fa parecchio caldo. All’inizio non lo individuo, perché cercavo uno con un maglione addosso e invece lui è rimasto in camicia. Bella camicia, tra l’altro, di un azzurro intenso e attillata, sotto la quale si vede molto bene la promessa di un fisico più asciutto che ipertonico.

E’ carino, non come Lapo, per dire, ma è carino. Ha le ciglia incredibilmente lunghe e credo che questo sia per buona parte il segreto del suo bel faccino. I capelli corti e un po’ ricci gli donano proprio, e anche le spalle e l’altezza ne fanno davvero un ragazzo per il quale vale la pena di perdere un po’ di tempo. Nulla di stratosferico, eh? Sopra la media, diciamo.

– Tengo sempre fede ai miei impegni – gli dico sorridendo dopo avere buttato giù l’ultimo sorso di birra.

Lui si illumina e mi fa “andiamo?”. Gli rispondo che sono qui per questo. Non lo so, se non mi fossi eccitata con tutti quei pensieri forse non sarei venuto a cercarlo. O forse sì, ma con altre intenzioni. Adesso invece voglio proprio mostrargli che sono disponibile, che mi piace. Non che voglia saltargli addosso, no. In definitiva, non posso dire di non essermi divertita, sinora: ho fatto un pompino al suo amico, ho fatto un pompino al dj… direi che per troieggiare ho troieggiato. Però, insomma, se gioca bene le sue carte… chi lo sa? La notte è ancora lunga.

L’inizio, a dire il vero, è un po’ frenato. Io ballo e gli sorrido in modo ostentato, guardandolo. Non dico che faccio l’oca, eh? Quasi… Lui mi fa un sacco di domande, chiede molto di me e parla pochissimo di sé. E con un certo sollievo mi rendo conto che il suo amico Roberto non gli ha detto nulla del pompino al piano di sotto. Per qualche ragione che non so spiegarmi, con lui mi dispiacerebbe fare la figura della puttanella. Ma allo stesso tempo, ecco, da uno che un’oretta fa mi ha confessato di essere pazzo di me mi sarei aspettata un po’ più di iniziativa.

L’iniziativa invece la prende qualcuno alle mie spalle. Ci risiamo, si ripete la stessa scena di prima, quando ballavo con Serena. Non so bene chi sia, perché siamo tutti un po’ accalcati, ma la mano che sento strusciarmi tra coscia e sedere non è certo finita lì per sbaglio. E’ un contatto insistito ed esplicito, che comunica desideri osceni e che, al tempo stesso, mi fa trasalire ed accendere. Per un momento desidererei che fosse davvero la mano di Davide, avrei voglia che lo screanzato fosse lui. Per bloccargli la mano e tenerla lì, continuando a sorridergli come a dirgli “hai fatto trenta…”. E invece no. Non so che dire, probabilmente lui nemmeno ci pensa a una cosa del genere.

Magari sarebbe successo ugualmente, ma la verità è che mentre balliamo, pochi secondi dopo che quella ano si è allontanata, mi arriva addosso un elefante che mi spinge contro Davide. Non è che ci voglia molto, visto che siamo a non più di venti centimetri l’uno dall’altra, ma per non sbattergli proprio addosso sono costretta a parare il colpo con le mani, che finiscono sul suo petto. Ci indugio per qualche secondo, sorridendogli ancora, forse in modo più esplicito. Poi mi stacco e gli domando scusa. Lui mi fa cenno di non preoccuparmi. Sarà una mia impressione, ma sembra che il contatto non l’abbia scosso per nulla. A me invece è piaciuto.

Poiché nel taschino della camicia ho sentito qualcosa che sembra un pacchetto di sigarette, gli urlo all’orecchio se me ne offre una. Primo, perché saranno venti minuti buoni che balliamo e la cosa comincia a farsi ingestibile in mezzo a tutta questa gente. Secondo, perché voglio offrirgli l’occasione di stare un po’ da una parte con me, io e lui. Terzo, perché mi va una sigaretta.

Facciamo un po’ di slalom tra i corpi danzanti finché non troviamo uno spazio accettabilmente libero vicino a una parete. Tira fuori una Camel e me la porge, poi accartoccia il pacchetto. “Nooo, se è l’ultima nooo”, gli sorrido con una certa ipocrisia, già pronta però a ringraziarlo per il sacrificio.

Mi dice “non ti preoccupare, ne ho un altro in macchina”. E dopo qualche secondo in cui, ci giurerei, pensiamo entrambi la stessa cosa da due punti di vista diversi, mi fa: “Non è che ti andrebbe di accompagnarmi a prenderlo?”.

Come si fa a dire di no a uno che ti ha offerto la sua ultima sigaretta? Come si fa a dire di no a uno con cui ti va di restare da sola per un po’? E, soprattutto, come si fa a dire di no a uno che non sai se te l’ha proposto per restare da solo con te o se vuole davvero andare a prendere le sigarette?

L’unico, piccolo, particolare è che, una volta fuori, in camicia come siamo si gela. Sento i capezzoli indurirsi ma per motivi che non sono esattamente quelli che avrei sperato. Le fregole, lo ammetto, mi passano immediatamente e gemo “cazzo che freddo, è lontana?”. Sì, porca vacca, è lontana. Non è nel parcheggio dell’agriturismo ma in uno spiazzo sulla provinciale. Centocinquanta metri. Gli ultimi cinquanta di corsa, con lui che mi trascina prendendomi per la mano. E questa è l’unica cosa positiva. Per il resto, quando entro nella macchina, sono intirizzita e più che sicura che mi prenderà una polmonite.

– Cazzo di Budda, accendi il riscaldamento! – gli tremolo stringendomi le spalle con le braccia.

Davide mi risponde che comunque ci vorrà un po’ di tempo, accende il motore e si offre di abbracciarmi per tenermi al caldo. Accetto. Non perché mi vada di farmi abbracciare da lui (cosa sulla quale cinque minuti fa avrei messo la firma) ma proprio perché sono scossa dai brividi.

Però, passato un minutino, mi rendo conto che non è si stia poi così male nelle sue braccia. Mi passa le mani sulle spalle e sulla schiena. In modo pesante, per riscaldarmi. Ma io sono certa che lo faccia anche per sincerarsi che, sotto la camicia e il gilet che indosso, il rilievo del gancetto del reggiseno non c’è, non c’è proprio il reggiseno. La consapevolezza di questa esplorazione della mia schiena mi fa eccitare di nuovo, mi fa bagnare di nuovo. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno mi sarei bagnata per una mano sulla schiena?

– Senti, devo chiederti una cosa – sussurra.

– Chiedimela – rispondo con il tono della gatta.

– Ma come mai sei qui da sola?

Capisco dove vuole andare a parare. Ma poiché, per l’appunto, in questo momento mi sento gatta (e anche un po’ stronzetta) decido che tanto vale giocare con il topo.

– Ma mica sono venuta da sola – gli miagolo – sto con delle mie amiche e il ragazzo di una mia amica…

– Non hai il fidanzato? – sussurra ancora, stavolta di getto.

– Aaaaaah… – gli sorrido ironica, pigiando un po’ di più sul pedale della modalità-stronzetta.

Lui ricambia il sorriso, un po’ tra il timido e lo speranzoso. Gli faccio “no, sono sfitta”, con il tono a metà tra l’ironico e il se-ne-vuoi-approfittare…

– Ti andrebbe di uscire domani sera? Cioè no, stasera, visto che la mezzanotte è passata…

Anche questa dichiarazione la fa di getto, come se si stesse giocando tutto.

– Ahahahah… dipende dalle condizioni in cui torno a casa…

– Pensi di fare cose da matti? – chiede mettendoci lui, stavolta, un po’ di ironia.

– Chi lo sa? – rispondo staccandomi un po’ per guardarlo meglio – a proposito, come è questa storia che sei completamente pazzo di me?

Per tutta risposta le sue labbra emettono un “mi piaci” e poi si incollano alle mie. Mi prende la testa tra le mani come se non volesse farsela scappare e subito dopo la sua lingua invade la mia bocca. Mi dico “evvai, ce l’hai fatta” ma sulle prime faccio quella che partecipa poco. Poi mi abbandono, rispondo al bacio con una certa foga e mi stringo a lui. Una sua mano mi scivola sul collo, ci indugia un po’, poi scende sulla scollatura della camicia e ne percorre tutta la V, un po’ con un polpastrello, un po’ con un’unghia. Gli faccio capire che non c’è problema, che mi piace e che, per la verità, potrebbe anche osare di più. Ho una voglia matta che ci infili la mano dentro, in quella scollatura, e che mi prenda una tetta. Ma non avviene.

“Ci verresti con me?”, sussurra quando ci stacchiamo. Gli domando “dove?” mentre mi copre il viso di bacetti e quel maledetto dito continua a scorrere sul nudo della mia scollatura senza decidersi a fare irruzione sotto la camicia. E’ così che seduci le ragazze, Davide? Le fai friggere?

– Mi piacerebbe… se vuoi, eh?… mi piacerebbe un posto in maremma… sai, le terme, girare un po’ la zona… due-tre giorni… – dice scoprendo tutte le sue carte.

Eh, cazzo come corri, penso. Siamo passati dal prendere le sigarette in macchina all’invito a cena alla proposta di due-tre giorni da soli come due fidanzatini. Una cosa del genere non l’avevo proprio messa nel conto, ma sbagliavo, dovevo capire il senso delle sue parole: “Sono completamente pazzo di te”. Non era una avance per la sera, era proprio una dichiarazione in piena regola. Ma in effetti, comprendetemi, non sono poi tanto abituata alle dichiarazioni.

– Ah! Saturnia! – gli rispondo per prendere tempo, offrendomi però meglio alle sue labbra che mi percorrono il collo.

– Conosci?

– Beh, i miei l’estate prendono una casa all’Argentario… non è lontano.

– Che ne dici? – mi incalza.

– Dovrei controllare la mia agenda ahahahah… ma andare lì con questo freddo? E se poi piove? Che facciamo?

– Beh, se fa brutto tempo ci rifugiamo nella spa, oppure – aggiunge con tono malizioso – potremmo stare in camera…

– Ahahahah, a fare? – gli domando con aria vezzosa.

– Uh, sai… – risponde facendo volutamente il vago – sai quelle cose che fanno i fidanzati…

– Tipo?

– Beh… le coccole, quelle cose lì…

Lascia lì la frase e riprende a baciarmi. Non ne sono certa ma ho l’impressione che, in quanto a sfrontatezza, abbia raggiunto il suo massimo. In un altro momento, non lo so, probabilmente tra me e me ne sorriderei. Ma adesso no, davvero. Questa sua timidezza mi piace. E comincia addirittura a piacermi il fatto che non si decida a intrufolarsi con quel dito sotto la camicia per raggiungere il mio capezzolo, intirizzito sì ma non più per il freddo.

– Ah sì, eh? – gli domando ironica.

Non mi va di dirgli sì, ci devo pensare. Mi va invece di promettergli che ci penserò seriamente, ma tanto tanto seriamente. E la mia promessa si materializza in un bacio che adesso guido io, il più appassionato di tutti quelli che ci siamo dati sinora. Perché per quanto riguarda i due-tre giorni a Saturnia, vabbè, ci penseremo. Ma la voglia di lui ce l’ho adesso.

– Uh, però – gli sospiro – io una cosa da fidanzati vorrei farla ora…

Non l’avrei mai detto, ma sono io a sbottonargli la camicia e a infilargli la mano dentro, ad accarezzare il suo bel petto e a sentirlo sussultare quando gli sfioro i capezzoli. Sono io a scendere con la testa e a baciarli mentre mi accarezza i capelli. Sono io che gli sfilo la camicia dai pantaloni e gli passo la mano sugli addominali asciutti. E infine, beh questo sì, su questo ci avrei anche scommesso, sono io che lo slaccio completamente mentre sono chinata a leccare la peluria sotto il suo ombelico.

E’ che glielo vedevo prima, quando eravamo dentro. E, che ne so, magari sarà merito dei pantaloni, ma insomma, mi era sembrato di vedere qualcosa di piacevolmente ingombrante. Che qui al buio mi è difficile valutare, persino dopo avergli abbassato la zip.

– Ma sono rosse? Anche tu? – chiedo osservando alle mutande che coprono l’oggetto del mio desiderio. Anche se non vedo bene, non è il colore che mi interessa. Mi interessa fare la spiritosa, l’incerta, se non proprio la semi-timida. O meglio, non è che mi interessa, mi sento proprio di farla.

– Beh, è tradizione – risponde – anche le tue?

– No… una mia amica…

– E che ne sai delle mutande della tua amica?

La parola “amica” la pronuncia un po’ di scatto, povera stella. Anche perché mi sono abbassata a strusciare la guancia su quella cosa calda che, in questo momento, rende i suoi boxer molto più voluminosi di quanto dovrebbero essere in condizioni normali.

– Ci siamo vestite insieme… – sussurro continuando a strusciarmi.

Per qualche secondo si sente solo il suo respiro che si fa più grosso, qualche “Giulia…” biascicato e il rumore della sua mano che accarezza il raso del mio gilet sulla schiena. Mi dico che è ora di andare a vedere. Anzi, a dirla tutta, ho una voglia pazzesca di vederlo, farmi stendere dal suo odore, dal sapore della sua carne che cresce nella mia bocca e mi desidera. Ma soprattutto, e non saprei spiegare perché mi prende in modo così intenso e totalizzante, ho voglia di sentire il suo piacere che cresce, trema, ansima. Quel piacere di maschio che oltrepassa la soglia delle convenzioni e dei codici di comportamento e diventa istinto animale. Diventa mano pesante che ti blocca giù la testa portandoti all’apnea, movimento inconsapevole del ventre che ti ruba lacrime e conati. Quel piacere di maschio che diventa rantolo, grugnito, contrazione muscolare. Il duro-morbido che si ingrossa e scatta, e che alla fine ti tracima in bocca come impazzito. Ho voglia di bere e di ripulire, di rendere omaggio. Di essere unica per lui, di essere tutto.

Glielo bacio attraverso il cotone e metto le mani sull’elastico. Non è un’operazione semplicissima perché, sapete com’è… Cioè, se non lo sapete ve lo spiego io, è che…. beh complimenti Davidino, ma complimenti davvero!

Vista la posizione, deve accontentarsi di un pompino super. Per la versione de luxe avrei bisogno di stare un po’ più comoda. Ma non mi sembra proprio che gli dispiaccia, anzi. E delizia molto anche me, ci godo proprio a farglielo mentre gli accarezzo con mano leggera le palle. Lo adoro quel contatto delle mie dita con i suoi testicoli, così come adoro la sua carne che mi riempie la bocca e sulla quale faccio scivolare la lingua. Se mi toccassi – o se mi toccasse lui, cosa che vorrei proprio in questo momento – potrei avere un orgasmo moooooolto rapidamente.

Purtroppo, però, non mi tocca. Mi accarezza e ansima. Gli do un po’ di tregua tirandomelo fuori e strusciandomelo sulle guance. Ma poiché quando lo riprendo lui comincia ad ansimare sempre più forte, e addirittura a rantolare quando arrivo a infilarmelo tutto in gola, la consapevolezza del suo piacere crescente mi eccita di più ogni secondo che passa. Sarò presuntuosa, ma sono certa che nessuna gliel’ha mai succhiato così. E quello è il suo modo di dimostrare apprezzamento. Certo, un apprezzamento verbale ci starebbe bene, me lo meriterei, ma anche così va bene. Le prime parole che escono dalle sue labbra sono invece un sospiro: “Giulia… Giulia… così mi fai venire…”.

Tenero. Mi avverte. Conosco il genere. Cioè, non so se lui è proprio così, ma quelli che al primo pompino ti sussurrano “così sto per venire” e già al terzo ti ringhiano addosso “ti sborro in bocca, puttana” li conosco. Quando ero al liceo ne ho incontrati, diciamo incontrati, due o tre. E tuttavia, pur preferendo di norma il genere “ti sborro in bocca, puttana”, questo suo pudore non mi infastidisce per nulla. Forse ne ho bisogno. Davide è carino, ve l’ho detto. Magari in un altro contesto le cose che avrei apprezzato di più sarebbero state il suo aspetto fisico e il suo cazzo, mentre sarei rimasta delusa dalla sua timidezza e dalla sua, beh sì, dolcezza. Le cose sdolcinate non mi appartengono, ve l’ho detto tante volte. Soprattutto nel sesso. Ma non si può essere sempre in un modo, almeno non io.

Al suo “così mi fai venire” reagisco accelerando il ritmo. Se non me lo impone lui fa lo stesso. Voglio dimostrargli che può, che deve, che lo voglio, che quello è il mio premio. E quando finalmente il premio arriva, lo fa annunciandosi con l’ingrossarsi del cazzo, con la sua vibrazione, con i muscoli che si tendono e con gli addominali che diventano di pietra sotto la mia mano. Mentre la sua mano, finalmente, fa quello che deve fare, tenendomi la testa schiacciata contro il suo ventre. E’ fantastico quanto mi faccia capire che, in questo momento, non voglia niente altro al mondo che godermi in bocca. E’ fantastico perché ce l’ho portato io e perché lui è prigioniero del piacere che gli sto dando.

La sua crema è calda e densa. Ed è, soprattutto, tanta. I suoi spasmi non finiscono mai. Faccio fatica persino io a ingoiarli, e devo reprimere un conato e un colpo di tosse per non sporcare. Ci vuole abilità, sapete? E inoltre, non è che mi dispiaccia, sia chiaro, ma in questi momenti in cui non riesce a smettere di eruttare penso a quanto sarebbe bello se, per esempio, quella serie infinita di schizzi me la riversasse in faccia. Cosa per mille ragioni impossibile, ovviamente, però è un’idea che mi porta ancora una volta sulle soglie dell’orgasmo, anche il mio ventre sembra impazzito. E’ anche per riprendermi un po’, oltre che per il gusto che provo, se indugio tanto a ripulirglielo.

Prendo in mano il suo cazzo, come se dopo averlo coccolato con la bocca avessi paura di lasciarlo solo, e alzo gli occhi incrociando il suo sguardo mentre mi accarezza quella testa che gli ho appena dato. Gli rivolgo un tipico sguardo e-adesso-cosa-penserai-di-me che ho raramente lanciato in vita mia. Anche perché cosa pensasse di me la stragrande maggioranza dei maschi che ho spompinato l’ho sempre saputo benissimo e non me ne è mai fregato nulla, anzi. Ma è uno sguardo che in questo momento ci sta bene. Per come mi vede lui, ma anche per come mi sento io.

– Dobbiamo proprio cenare insieme stasera – sospira continuando ad accarezzarmi la testa.

Gli sorrido, non so cosa rispondere. E’ evidente che la sua idea di me non corrisponde per nulla alla realtà. Ma la cosa non mi dispiace. Assolutamente. Solo che mi sento in imbarazzo. Strano, no? Una brava ragazza dovrebbe sentirsi in imbarazzo per avere appena fatto un pompino a uno conosciuto da poco e che, tutto sommato, si era dichiarato e le aveva semplicemente chiesto di uscire.

Io invece mi sento in imbarazzo per la ragione opposta.

– Penso proprio che tu debba offrirmi un’altra sigaretta prima di rientrare.

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scritto il
2019-09-14
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