A che serve l’estate - La ragazza di Milano
di
Browserfast
genere
etero
La prima cosa che sento è la voce di Stefania che dice “la prossima volta parto con mia nonna, almeno mi fa più compagnia”, ma capisco solo qualche attimo dopo che ce l’ha con me. La seconda cosa che sento è la musica che esce dall’impianto dell’auto collegato all’iPhone. “I Coma Cose… che carini… li rimetti?”. “Ahò, è la terza volta che li sento…”. Ah, ok, fa nulla. “Dove siamo? Vuoi un po’ di cambio alla guida?”. “Me stai a pijà per culo Annalì? Tra venti minuti semo arivate…”. A sì, eh? “Ma che cazzo di ore sono?”. “Le dieci meno un quarto”. “Le dieci meno un quarto? Cazzo, ma sei andata piano!”. “Amica mia, vedi un po’ di andare a fare in culo, eh? Mi sono fermata a fare colazione e benzina, ok?”. “E io che facevo, scusa?”. “Dormivi, Annalì… Hai dormito sempre”. “Uh, scusa… però ho fame pure io, non è che al primo autogrill che trovi ti fermi?”. “No. Adesso aspetti che arriviamo in albergo”. “E non ti incazzare, daiii… ma ti pare che una si sveglia e la prima cosa che si ritrova davanti è un’amica incazzata?”.
Sì ok, ha ragione. Quando siamo partite, alle sei, mi sono infilata i Ray-Ban e le ho detto che chiudevo un attimo gli occhi perché tenerli aperti mi dava fastidio. E’ l’ultima cosa che mi ricordo di averle detto. Magari lei si aspettava che le raccontassi perché mi sono presentata all’una a casa sua, stravolta e sporca di sperma. Sì vabbé, glielo racconto ora. Mentre arriviamo in albergo, ci registriamo e prendiamo la chiave, ci cambiamo e “andiamo subito in spiaggia?”, “ok, ma prima devo davvero mangiare qualcosa…”. Mentre mangio le racconto tutto, del mio piano saltato con Jean e di quanto lui mi piaccia. Di Lele e di come mi sia lasciata fregare, in tutti i sensi, come una cretina. E infatti, con il garbo che la contraddistingue con me, Stefania mi dà della cretina. Poiché però mi conosce alla perfezione aggiunge anche un “che testa di cazzo” riferito a Lele, che è esattamente quello che avevo bisogno di sentirmi dire.
In spiaggia mi aiuta a fare il mio solito impacco di protezione diecimila poi si stende a pancia in sotto e dice che si fa un pisolino visto che “qualcuna”, e sottolinea qualcuna, ha pensato di dormire tutto il tempo durante il viaggio. Le rispondo “uh quanto la fai lunga” e mi infilo le cuffiette. Ma mentre dorme la osservo e penso che avrei bisogno di passare più tempo con lei, che avrei bisogno più spesso dei suoi sganassoni di razionalità. Peccato che Simone le stia sempre appiccicato come un polipo.
Quando un’oretta dopo mi accorgo che sta per svegliarsi corro al bar a prendere due cremini. Per qualche strano motivo, il cremino è il suo gelato preferito. Glielo porgo ridendo “tieni, ghiottona, ti possa finire tutto sulle cosce”. Si stiracchia indolenzita mandandomi un vaffanculo mentre mi stendo sul lettino accanto al suo. Le domando quanto sia incazzata per il fatto che Simone stia a farsi le finali del torneo di calcetto anziché stare qui con lei. Contrariamente a quanto mi sarei aspettata, non fa finta di nulla. Anzi si rabbuia, si fa seria. “Beh sì, sono contenta per lui ma un po’ mi sono incazzata – risponde – tra i miei esami, i suoi e sto cazzo di torneo di calcetto lo sai da quanto tempo è che non stiamo un po’ per conto nostro? Me la pregustavo proprio questa fuga…”. Poiché tra noi due le cose funzionano così capisco che è il momento di prenderla un po’ per il culo. “Ma dai, ci sono io a farti compagnia”, le dico con un tono da stronza. Lei però è proprio sfastidiata e mi risponde “lo sai che non è per te, Annalì, ma se al posto tuo c’era lui di certo non stavo in spiaggia a quest’ora”. Rido sarcastica e lei fa finta di incazzarsi ancora di più. Mi dice non ci può proprio credere che l’abbia mollata ieri notte per andare a togliermi tutte le voglie col primo psicologo che passava e che tutto sommato mi sta proprio bene che alla fine si sia rivelato uno stronzo. Le chiedo ironicamente se stia sostenendo che sono una troia e risponde che lo sono, lo sono sempre stata e sempre lo sarò. Ok, è il momento della gara di insulti. E’ uno dei nostri giochi preferiti.
“Eeee… scusate, avete da accendere?”, fa alle nostre spalle una voce da ragazza. Ho un sobbalzo, mi volto e vedo la proprietaria di quella voce. Oddio, “vedere” è una parola grossa, perché sono controsole, diciamo che vedo una figura chinata su di noi. Rispondo meccanicamente “certo, figurati” e le passo l’accendino. La ragazza ringrazia e se ne va. Chiedo a Stefania “cazzo, avrà sentito?”, lei mi rassicura “ma no, a momenti non ti sentivo nemmeno io” e spegne la cicca nella sabbia prima di andare a buttarla nel posacenere. Torna indietro giusto nel momento in cui arriva un WhatsApp di Serena. E’ una foto di Lapo e lei, a seno nudo, dentro una piscina. La didascalia dice “ciaooooo, dove sei?”. La chiamo, le dico che siamo arrivate e che stiamo già in spiaggia. Le chiedo dove sia lei piuttosto. So che Lapo nonostante il ponte non è potuto andare a Copenaghen dalla sua Kirsten, cioè Bambi, la sua ragazza, ma credevo restassero sia lui che Serena a Roma a studiare. Serena risponde che sono nella casa di Lapo in Toscana e che si sono portati i libri dietro. Le dico che certo, lo immagino, che ad Architettura tutte le ragazze preparano gli esami dentro una piscina, in topless. E le mi chiede perché mai dovrebbe essere “less” solo il “top”. Cazzeggiamo un altro po’, e poiché siamo in vivavoce coinvolgiamo anche Lapo e Stefy, che peraltro tra loro non si conoscono. Quando ci salutiamo Stefy mi chiede se le faccio rivedere la foto, allarga su Lapo ed esclama “madonna quanto è bello”. Rispondo che se fosse appena un po’ più alto sarebbe il ragazzo più bello che abbia mai visto. Forse esagero, ma in questo momento mi sembra che sia così. La aggiorno sulla situazione tra lui, Serena e Bambi. Le dico che con le vacanze estive vedrai che inculata che si becca Serena, e non di quelle che piacciono a lei. E che toccherà a me prendermene l’accollo. Proprio mentre Stefy mi domanda “ah già, tu che cazzo fai st’estate?”, alle nostre spalle ritorna la vocina di prima che fa “eee… scusate se rompo, mi prestereste un’altra volta l’accendino?”.
A me per la verità andrebbe proprio di dirle che sì, un po’ rompe, soprattutto se continua ad arrivarci alle spalle mentre facciamo certi discorsi. E’ per questo che, mentre le porgo l’accendino, le dico “si fumicchia, eh?”. La risposta è un sorriso disarmato e disarmante, “eh, non è che c’è da fare molto altro… non c’è mai stato da fare molto altro”. Inopinatamente, è Stefania che la aggancia, chiedendole se è di queste parti.
Esce fuori che si chiama Ludovica, ha 23 anni ed è di Milano. Cioè no, è di qui ma da anni vive a Milano con i suoi. Qui ci vive la nonna che però in questo momento è, per l’appunto, a Milano, perché ha il diabete e deve fare tutta una serie di controlli ché ultimamente non è stata tanto bene. Lei però aveva già preso le ferie ed è venuta lo stesso. Lavora, in una agenzia di comunicazione. Ma studia anche, marketing aziendale.
A me tutta sta raffica di informazioni un po’ mette l’ansia e un po’ me la fa sembrare una mezza sfigata. Cioè, non lo so, probabilmente è un pregiudizio per la storia dell’accendino, ma venirsene qui tutta sola a rompersi il cazzo sulla spiaggia… No, ok, esagero. Non esagero invece se vi dico che è piena di stranezze. E’ una ragazza carina, per dire, ma ciò che la rende carina in viso è una somma di difetti. Dagli occhi un po’ piccoli a un orecchio a sventola che lei, tenendo i suoi corti capelli biondi stretti in un codino, non fa nulla per nascondere. E ha anche qualcosa di strano nelle labbra. Ciononostante, io la definirei proprio carina. Anche con quel sorriso che si ritrova. Strano pure quello, perché quando ride sembra che debba illuminare una metropoli ma poi si ritira, come se si vergognasse. L’altra stranezza, ma qui c’è poco da fare, almeno nell’immediato, è il fisico. Che fino al bacino è normale, anzi meglio del normale, visto che sotto un seno accettabilissimo ha una vita snella e una bella pancia piatta. Poi, improvvisamente, un’anfora, un culone. In realtà, come dire, nemmeno tanto culone, si vede molto di peggio. Su di lei però lo è, e anche le cosce sono troppo grandi per lei. A occhio non c’è un filo di cellulite o altro, la tonicità sembra a posto. E’ la dimensione che non c’entra un cazzo con il suo corpo. Dalle ginocchia in giù, invece, la Venere di Milo, con delle caviglie che raramente si vedono in giro, perfette. E alla fine, dai, a parlarci un po’ non è stronza per niente, anzi. Magari un po’ timida. Solo quando, dopo che ci siamo un po’ raccontate, ci chiede “voi due siete molto amiche, vero?” ho il sospetto che possa avere orecchiato qualcosa dei nostri discorsi. Ma è un pensiero che allontano subito.
E’ comunque Stefania che se ne esce con “ma se sei da sola facci compagnia, no?” ed è sempre lei che si prende l’onere della conversazione. Il tira e molla dei “non vorrei disturbarvi” e dei “ma che te frega” dura un minuto. Poi la ragazza trascina il suo lettino verso i nostri. Io invece per un po’ ripiombo nel ricordo di quanto accaduto ieri sera con quello stronzo di Lele. Vado a fare un tuffo, da sola, e torno indietro. E intanto mi avvito sempre di più nei miei pensieri. Mi accendo una sigaretta mentre penso a Lele e a come mi ha trattata. E più ci rimugino sopra più mi incazzo. Mi metto a sedere quasi di scatto e faccio a Stefania: “E comunque non ci posso credere che uno ti incontra una sera, ti scopa e poi ti tratta da puttana in quel modo!”. Lo dico a voce forse un po’ troppo alta, quelli dell’ombrellone accanto potrebbero benissimo avere sentito. Per fortuna, però, l’ombrellone accanto è vuoto. Solo che alla mia sinistra c’è Ludovica e io me ne ero completamente dimenticata. “Ops, scusa”, le dico. Lei sorride, un po’ imbarazzata. Ma non è scema, mi dico, capirà. Stefania la guarda e cerca di non farmi passare proprio per pazza: “Ha avuto una serata un po’ movimentata…”.
Per fortuna la nostra nuova amica lascia cadere l’argomento, anche se è in evidente imbarazzo. Ne approfitto per domandarle cosa si combina da queste parti la sera. Risponde che non c’è un granché da fare. Ci si sposta con la macchina e si va a prendere qualcosa. Altrimenti, due o tre sere a settimana c’è una specie di party in spiaggia a tre-quattro stabilimenti di distanza, da Leo. Ma non saprebbe dire com’è, lei la sera esce di rado e al massimo va a farsi un gelato. Le diciamo che, come prima sera, per noi può andare benissimo il party in spiaggia e la invitiamo ad venire noi. Ludo non sembra molto convinta e quando ci salutiamo abbiamo entrambe l’impressione di non essere riuscite a scuoterla dalla sua apatia. “Un po’ depressa, sta ragazza”, commenta Stefy quando restiamo da sole.
Condividere il bagno con Stefania, in albergo, è una cosa da sconsigliare a chiunque, ma soprattutto a chi è facile all’incazzatura. Entra e esce come e quando vuole lei, gira nuda con un asciugamano in testa, fa le prove, chiede consigli, fa pipì senza imbarazzi, spalanca la finestra rischiando che qualcuno la veda (e veda me, in quel momento) come mamma l’ha fatta, si trucca, si ritocca il pube. Alla fine si infila una tutina striminzita a righine colorate e mi chiede come le sta. “Come al solito in queste occasioni – le rispondo – da troia”. Non è del tutto vero, a volte l’ho vista conciata peggio, la sera. Però sono un po’ indispettita dal fatto che io sono già pronta da mezz’ora. Risponde che non sono nelle condizioni di parlare e in effetti ha ragione. Indosso dei microshorts a vita bassa che sono uno scandalo per quanto sono inguinali e, sopra, una cosa che sarebbe praticamente un reggiseno se non fosse per una doppia striscia di tessuto nero che passa sotto. Ci fiondiamo dentro una pizzeria e Stefania fa gli occhi dolci al cameriere per avere un tavolo dentro, all’aria condizionata. All’aperto, obiettivamente, c’è un’afa insopportabile nonostante siano le nove di sera. Il tavolo, non si sa come, spunta in tre minuti. Mi sparo un paio di supplì e una margherita, ordino il bis che Stefy non ha ancora finito di mangiare la sua. Il solito cameriere, che tra l’altro è anche un bel tipo, mi guarda un po’ sorpreso e io gli dico di metterci sopra anche un’altra birra e se, prima che ce ne andiamo, è possibile avere un calzone da asporto. Stefania gli dice che è vero, sembra che esca da cinque anni di campo di concentramento ma che in realtà faccio sempre così.
Nonostante si tratti di meno di un chilometro, insiste per prendere la macchina. Arriviamo e parcheggiamo che in spiaggia c’è poca gente e la musica non è nemmeno partita. Prendo una Coca e mi siedo ad un tavolino per mangiare il mio calzone. Stefy si guarda intorno, mi osserva in silenzio e sembra quasi che mi commiseri. Solo che non faccio nemmeno in tempo ad addentarlo, il calzone, che una botta assordante mi stordisce. Urlo “ma che ca…?” e mi porto la mano all’orecchio. Mi sono seduta proprio sotto una cassa dell’amplificazione. Stefania è un metro più in là ma neanche lei sembra messa tanto bene. Ci allontaniamo di qualche passo guardando il baracchino rialzato dove c’è un tipo che armeggia, credo, con il mixer. I nostri “vaffanculo” e “ma sei scemo?” non penso che gli arrivino. Le nostre facce incazzate invece, quando i nostri sguardi si incrociano, le vede benissimo. Si sporge un po’ poi fa un cenno come a dire “che ci posso fare io se siete due cretine che si sono andate a sedere lì sotto?”. Difficile dargli torto ma anche difficile non rimanere incazzate. Lui però si scioglie in un sorriso e ci fa cenno di salire su. Ci presentiamo urlando per sovrastare la musica. Il nome d’arte non lo capisco bene, anche perché ho un orecchio che ancora mi fischia. Quello vero, Willy, invece lo capisco, così come capisco che deve essere romagnolo o giù di lì, da come parla. In realtà è di Pesaro e fa serate sulla riviera. Si scusa e ci dice che stava verificando, qualsiasi cosa siano, i parametri del setup. Dopo di che ci invita, senza mezzi termini, a muovere un po’ il culo. “Dai che la scaldiamo subito”. Poiché però lo dice con un tono per nulla volgare ma, oserei dire, anche professionale, io e Stefy ci mettiamo a ballare ai suoi lati mentre spara un paio di pezzi house davvero ossessivi. Ancheggio sorridente con la mia lattina di coca in mano e mi sento osservata. E a dirla tutta mi piace parecchio, anche se penso che la gran parte degli occhi maschili della spiaggia siano puntati su Stefania.
Passano pochi minuti e Willy fa al microfono “non abbiamo soltanto gnocca” e annuncia la vera attrazione della serata. Che non siamo io e Stefy naturalmente, ma un tipo che si fa chiamare Alioscia o qualcosa del genere. E che deve pure essere abbastanza noto da queste parti. Quando sale su, Willy ci cinge per i fianchi ed è come se dicesse scanzonatamente “su bimbe, è ora di scendere”. Gli faccio “ciao, grazie”, dimenticando l’attentato al mio timpano e prendendo Stefania per la mano. Mi tocca praticamente tirarla via. E già, perché sto Alioscia non è male. Ma proprio per niente. Ha una faccia che sembra Matthew McConaughey installata però sul fisico dell’ex fidanzato della Pellegrini. Salutiamo rapidamente anche lui e filiamo, anche se Stefania si volta a guardarlo un’ultima volta mentre scendiamo la scaletta. Le grido “oh, ma ti sei innamorata?” e lei risponde “madonna che figo della madonna”. Sembra in trance. Si riprende un minuto dopo e, come se si fossero messe d’accordo, mi dice “sai che mi sembra di avere visto Ludo?”. Un secondo dopo Ludovica spunta alle nostre spalle salutandoci e ridacchiando un “voi due siete proprio matte”. Per qualche motivo sono contenta di vederla. Il suo sorriso mi sembra ancora più simpatico e, tra l’altro, sta proprio carina. Si è truccata e sfoggia una canotta nera abbastanza corta e una gonna lunga, ampia, coloratissima che la rende luminosa e che, strategicamente, nasconde un po’ il suo effetto-anfora. Ai piedi, delle appropriate Converse bordeaux. Ci dice “venite che vi faccio conoscere Leo”. Non che me ne freghi un cazzo, ma la seguo. Stefy le chiede chi è Leo e Ludo le risponde che è il gestore di questo posto. Quando la vede, sto Leo le fa un bel po’ di feste. Sembra che si conoscano da una vita. Ci chiede se ci stiamo divertendo, alludendo con un sorriso alla performance con il dj, e ci manda al bar offrendoci “qualsiasi cosa vogliate”. Credo che, nei pochi secondi che siamo rimaste con lui, abbia battuto il record mondiale di occhiate-lanciate-a-Stefania e mentre ci allontaniamo scommetterei che ci sta guardando il culo. Ma chissenefrega, un Moscow mule gratis è pur sempre un Moscow mule gratis, e tutto sommato sto Leo non era nemmeno antipatico.
Come previsto, dobbiamo quasi trascinare Ludo a ballare. Anzi, devo. Perché Stefy viene quasi subito intercettata da due tizi con i quali vedo che si fa una risata (ma non so cosa le abbiano detto) e subito dopo inizia ad ancheggiargli davanti e a far ballare le tette. E’ sempre stata così. Non dico che debba farci qualcosa, ma se trova un tizio che le fa il complimento giusto e la fa ridere lei si tuffa subito. Come me, del resto. Nell’occasione, però, non me la sento di mollare Ludovica lì da sola. Le dico “vieni, andiamo” e praticamente la spingo verso il centro del ballo. Lei nicchia, e anche un bel po’. Si vede che non è il tipo, o forse non c’è più abituata. Mi dice “è una vita che non ballo” come se cercasse una scusa per smettere. Io le ricordo il vecchio detto “sì, ma visto che siamo in ballo…”. Ride, ma non mi sembra tanto convinta. Veniamo circondate da un gruppo di ragazzini spuntati da chissà dove. Sono quattro, anzi cinque, e effettivamente mi sembrano un po’ piccoli. Però ce n’è uno veramente ma veramente carino che mi attira subito. Non deve succedere qualcosa di speciale, eh? Ma mi piacerebbe ballarci e magari limonarci un po’. Una cosa tranquilla. Lui però, e purtroppo, non è che sia proprio il più sveglio del gruppo. Gli sorrido e gli lancio occhiate, ma non si avvicina più di tanto. Sono io che lo faccio, iniziando ad ondeggiare insieme a lui, ma nemmeno appoggia una mano sui miei fianchi nudi. Niente. Gli domando “come ti chiami?” e lui risponde “Alberto”. Stop. E’ davvero troppo timido, o imbranato. Gli sorrido ancora cercando di smuoverlo un po’, ma nulla, non c’è verso. Dico a me stessa che forse dovrei proporgli di andare a giocare al dottore da qualche parte e rido del mio stesso pensiero.
Guardo Ludovica e la vedo un po’ in difficoltà. “Sono ragazzini…”, si lamenta al mio orecchio. “E allora? Che te frega, Ludo! Balla, lasciati un po’ andare, divertiti!”. Proprio un attimo dopo mi arriva alle spalle uno dei “ragazzini” e capisco che è molto ma molto meno insicuro del suo amico. Mi piazza le mani sulle costole e mi chiede come mi chiamo, di dove sono, cosa faccio. Quando gli dico che faccio l’università e sono di Roma sembra che gli abbia detto che arrivi dalla via lattea. “Davvero sei Roma? Ma Roma-Roma?”. Naturalmente, da questo momento in poi, per lui non mi chiamo più Annalisa, ma “romana”. Il suo nome invece è Diego. Non è male, ma non è certo bello come il suo amico. Lo perdo di vista per un po’, è evidente che mi ha “passata” ad altri due amici, che però non sono né come lui né tantomeno come il primo, Alberto. Anche loro sembrano stralunati al cospetto di una che viene da Roma. “Che cazzo ci sarà di strano?”, domando. Lo faccio ridendo, ma devo sembrare un po’ aggressiva perché, dopo una iniziale confidenza, i due si fanno molto più circospetti. Ci ballo un po’, poi ballo con Ludovica e poi da sola, in mezzo a una marea di sconosciuti che non mi si filano. Ragion per cui, quando Diego ritorna con il suo sorrisetto del cazzo, sono quasi contenta di rivederlo. Si conferma molto ma molto più audace dei suoi amici. Tanto per cominciare, mi si piazza ancora una volta alle spalle e non solo mi rimette le mani sulle costole, ma devo addirittura fermarlo mentre cerca di risalire sulle tette. “Ehi, sei matto?”, “bello questo top”, replica sorridendo, abbassandomi le mani sui fianchi e sorridendo, per nulla smontato. Poi una mano me la piazza direttamente sulla pancia, altezza ombelico, e mi stringe a sé. Giusto per farmi sentire qualcosa. Volto la testa verso di lui e sorridendo gli domando “voialtri siete di qui?”.
Sono di qui. Sono tutti compagni di liceo, ultimo anno. Anzi, Diego dice che proprio oggi ha dato l’orale. Chiedo come è andata e risponde che gli hanno pure fatto i complimenti. “E’ finita allora!”, commento. “Siiiiì, e stasera voglio proprio fare il matto”, annuncia. La sua idea di “fare il matto”, lo capisco un attimo dopo, sarebbe quella di passarmi la mano sul culo. Reagisco con un’occhiataccia ma con qualche secondo di ritardo, perché mi sono distratta a guardare Ludovica che ha il suo daffare, molto relativo, con Alberto, quello carino-carino, e due amici suoi. “Sei bella, romana – mi sorride lui – ha proprio degli occhi bellissimi”. “Gli occhi, eh? – rispondo con sarcasmo – e il resto?”. “Il resto mi fa impazzire, romana…”, mi dice all’orecchio. Ma è solo una scusa per darmi un bacio sul collo mentre danziamo.
Mi volto all’improvviso e lo guardo dritto negli occhi. Devo proprio avvicinarmi molto per strusciare le mie tette “sbadatamente” sul suo petto. Mi è venuta voglia di giocare e lui, con tutta la sua ingenua spavalderia, mi sembra proprio il tipo adatto. “Lo vedo, che sei impazzito – gli rido addosso – baci le ragazze dopo nemmeno un minuto che le hai conosciute?”. Mi ride di rimando e mi chiede se mi è dispiaciuto. E intanto ne approfitta per toccarmi ancora il sedere. Con tutte e due le mani, stavolta, e per attirarmi a sé. Gli mollo uno schiaffetto e un “ehi!” abbastanza seccato. Che mi tocchi il culo passi, che mi faccia sentire il pacco sulla pancia ci può pure stare. Quello che mi dà fastidio è la sua precipitazione, che sconfina un po’ nella goffaggine. Essere intraprendenti è una cosa, essere maleducati un’altra, ragazzino. E poi questo è il mio gioco, e lo porto avanti come dico io e fin dove dico io. Non sei mica quello stronzo che mi ha scopata ieri sera, no? A tutto c’è un limite. E stasera mi va di essere io quella che, conduce il gioco, decide, ti tiene a bada. E che cazzo, un ragazzino lo saprò tenere a bada, no?
Una cosa però mi piace, di lui. Ovvero la sua mano che mi ritorna sul pancino dopo che gli ho ridato le spalle. E’ bella e leggera. Anche se scende troppo. Anche se mi apre il bottone degli shorts. “Piantala!”, lo rimprovero mentre appiattisco il ventre per lasciare che scivoli più giù. Non troppo, diciamo fino all’elastico delle mutandine. Lui vorrebbe portarla oltre ma la blocco con la mia. “Ma sei scemo?”, protesto nemmeno tanto indignata voltando la testa verso di lui. Non mi risponde, anzi ne approfitta per darmi un bacio. Non è un granché, si limita a poggiare le sue labbra sulle mie. Ma è comunque un bacio. Gli dico che è un bell’impertinente, ma subito dopo gli sorrido e senza parlare, solo socchiudendo le labbra, gli chiedo un altro bacio. Se dobbiamo limonare, mi dico, facciamogli capire che l’iniziativa la prendo io. Tuttavia, come mossa non è un granché. Perdo per un attimo il controllo e Diego ne approfitta per affondare la mano nelle mie mutandine. Non è che faccia molta strada, eh? Giusto una falange. Quanto basta per fargli sussurrare “quanto sei liscia…”. A me comunque un brivido arriva lo stesso. E insieme al brivido una piccola contrazione. “Ehiii… ma ti pare il posto?”, gli dico togliendogli di forza la mano. “E il posto adatto dov’è?”, risponde. “Te l’ho già detto, sei troppo impertinente…”, ribatto. Ritorna con le sue labbra sulle mie. E stavolta cominciamo proprio a baciarci e a strusciarci, ondeggiando in mezzo alla folla. Per la verità, la musica non la sento proprio. E non è che sia nemmeno particolarmente eccitata. Più che altro mi diverto. Lui sì, invece, lui eccitato lo è. Ci sono certe cose che un ragazzo non può nascondere. “Ho una proposta – mi dice all’orecchio dopo avermelo leccato – ci andiamo a fare una canna?”. “Una canna, eh?”, rispondo dopo avergli leccato a mia volta l’orecchio. “Dai romana, fammi festeggiare…”. Ci eclissiamo, mi volto per salutare Ludovica ma lei non mi vede. Io invece vedo Stefania da lontano che balla e ride con uno di quei due che l’avevano agganciata. Mentre andiamo a cercare un posto per noi Diego mi ripiazza ancora la mano sul culo. Stavolta ce la lascio, anche se rispondo “ma no, dai” alla sua richiesta troppo, troppo precipitosa: “Fammi scopare, romana”. Ma dai, ma che modo è ”fammi scopare”?, Ma dove l’hai sentito?
Oscilla tra mosse azzeccate e gaffe orripilanti. La sua mano sul sedere, per esempio, è davvero una sorpresa positiva. La canna, al contrario, è una delusione. E’ roba da canapa shop. Però poiché di fumare almeno una sigaretta una certa voglia ce l’avevo gli dico “ne hai un’altra? Questa me la vorrei fare io”. Non ne so se ha un’altra, ma sticazzi. So che farebbe tutto per me, ora.
Al riparo delle cabine ricominciamo a limonare, stavolta in modo decisamente più pesante. Mentre aspiro mi bacia il collo e mi tocca le tette con entrambe le mani, ma da sopra la bralette. Gli ansimo in maniera un po’ eccessiva, ma lo faccio per dargli l’illusione che mi stia facendo partire davvero. Invece no, non sono partita. Mi piace, certo, sto bene. Ma posso controllare la situazione. Persino quando per la sua mano la strada nelle mie mutandine non incontra più nessun ostacolo. E’ un po’ pesante, sarà inesperto o troppo eccitato, non so, ma non mi dispiace. Mi ci struscio anche, su quella mano, e gemo come una gatta. Ritorna all’attacco e ripete “dai, romana, fammi scopare”. Gli miagolo una serie di “nooo” e “non mi vaaaa” e intanto lo bacio con le braccia al collo, mi struscio e lascio che lui continui a strusciare. Lui mi sembra un po’ travolto dai baci che gli do e dal modo in cui gli ondeggio sulla mano, probabilmente anche dal modo in cui gliela sto bagnando. Ogni tanto mi ripete all’orecchio “fammi scopare”, “voglio scoparti” ma credo che sia anche affascinato dal modo in cui gemo al suo orecchio e gli sussurro “noo, dai continua”, oppure “fammi venire, sto venendo”. Non ho la minima idea se abbia mai visto venire una ragazza ma non è che me ne freghi molto, in definitiva. Anche perché la sua mano un po’ rude alla fine ha fatto breccia e me la sto proprio godendo, ho deciso di arrivare fino in fondo. Cioè, deciso non è la parola giusta, diciamo che ci voglio arrivare e basta. Lui però almeno su una cosa dimostra di avere le idee chiare, ossia su come si infilino un paio di dita dentro una vagina. Lo fa quasi nell’istante esatto in cui sto per abbandonarmi all’orgasmo e, ammetto, per qualche secondo non capisco più un cazzo e mi abbandono completamente. Sono del tutto, è il caso di dirlo, nelle sue mani. Non è una botta devastante ma certo è molto più intensa di quelle che, di norma, mi procuro da sola. Ritorno alla ragione mentre lui continua con la sua cantilena: “Dai romana, fatti scopare, senti che fregna che hai…”. Naturalmente non voglio dargliela vinta, anche se riconosco che per qualche secondo un pensierino ce lo faccio. Poi però gli getto le braccia al collo ancora una volta, lo bacio, mi mordo un labbro e gli domando con la voce più da gatta morta che mi ritrovo: “Perché, che fregna ho?”. Mentre lo faccio gli sfioro il pacco, è un sasso. Il ragazzino continua nelle sue richieste, ma ormai sono tornata in controllo della situazione. “Sei tutta bagnata, ti va anche a te…”. Gli rispondo con una risata che lo lascia interdetto. Ma del resto io voglio che rimanga interdetto, che non capisca nulla, che non abbia il controllo di niente. “Stasera sono un po’ birichina…”, sussurro. “Tu devi essere parecchio birichina”, replica. Penso che me lo dica più che altro per rispondere qualcosa, ma colgo la palla al balzo. Gli ributto le braccia al collo e gli do un bacio a bocca spalancata di quelli che normalmente do quando sto per concedermi per intero. Di quelli che si danno prima di dire, implicitamente o esplicitamente, “fammi quello che vuoi”. Appoggio la fronte sulla sua e sussurro ancora: “Volevi dire troia, vero?”. Lui risponde confuso “no, no davvero…”. Interrompo il suo rosario di scuse con una risatina e un “siiì, dai, volevi dire troia”, sussurrato stavolta con molta ironia, come se lo avessi preso con le mani nella marmellata. “No, ti giuro…”, insiste. Ma dai miei occhi a tre centimetri dai suoi non può non capire che conosco perfettamente la verità, mentre io so di avere dipinto in faccia il sorriso del trionfo. Gli prendo la mano e me la porto alla bocca, gli succhio le dita come se simulassi un pompino. Ha ragione, sono ricoperte del mio succo, ma non avevo dubbi. Sono dolcissima, come ieri sera. Mi mordo ancora il labbro, gli stringo il pacco e gli faccio “adesso la troia di Roma ti succhia il cazzo…”, e dentro di me penso che voglio farglielo in modalità de luxe, questo pompino, così che pensi “ma quanto sono troie le romane?”. Ha un sussulto tale che per un attimo temo che se ne stia per venire nei bermuda. Mollo immediatamente il pacco per dargli un po’ di respiro.
Diciamo la verità, un pompino se lo merita. Non solo perché a questo punto un po’ va anche a me. E neanche perché mi ha regalato un orgasmo. Ma perché è come se mi avesse riportata indietro nel tempo, quando a scuola ci andavo io. Immediatamente dopo mi viene quasi da ridere a pensare che compio venti anni tra poco più di un mese e già penso ai tempi della scuola un po’ come ai “bei tempi andati”. Per non parlare della storia del premio per la maturità. Quando fui io a fare l’orale (sì, orale, l’esame intendo, non fate ironie), quel giorno mi sfogai con due pompini. Uno a Tommy e un altro a un compagno di classe che venne da me e mi disse che doveva sdebitarsi per il compito di greco che gli avevo passato. E per sdebitarsi intendeva dire che doveva mettermi il cazzo in bocca. La sua sfacciataggine mi fece morire dalle risate ma alla fine il soffocone se lo beccò davvero. Avevo già deciso di mettere fine alla mia carriera di Vergine Pompinara per la quale buona parte del liceo mi apprezzava, ma feci un’eccezione per Martinelli. Al quale peraltro avevo già succhiato l’uccello un’altra volta.
E quindi ok, ragazzo, prenditi il tuo premio. Solo che mentre gli sto abbassando la zip dei bermuda questo comincia a fare “aspetta, romana, un momento”. Lo guardo sorridente e interrogativa mentre lui cerca qualcosa nei tasconi. Gli domando “che c’è?”, pensando che non abbia ancora rinunciato all’idea di infilarsi un preservativo e scoparmi. E invece no, mi dice “aspetta, aspetta… il telefono”. Anche se lo so già gli chiedo “che cazzo ci devi fare?”. Risponde “il video del tuo pompino”. “No, dai”, gli sussurro facendo scorrere il palmo della mano lungo tutto il gonfiore delle sue mutande. Sentire il suo arnese mi chiama, ma allo stesso tempo dentro di me è già scattato l’allarme. “Sì, dai, così lo faccio vedere agli amici”, insiste trafelato. Mi blocco, l’idea di prenderglielo in bocca poteva anche non essere male, ma non fino a questo punto. “Ma non se ne parla proprio”, lo fulmino. “Perché?”. “Perché è no, punto”. Insiste, insisto anche io nel mio no. Dice “le ragazze di scuola mia lo fanno” e gli rispondo che non me ne frega un cazzo. Mi fa, e il tono è quasi quello di una supplica, “ma non ci crederà nessuno che mi sono fatto fare un pompino da una di Roma!”. Io potrei pure incazzarmi, perché anche se non usa la parola “troia” è chiaro che la sottintende e, purtroppo per lui, il momento in cui mi piace sentirmi dare della troia è già bello che passato. Tuttavia la mia curiosità è un’altra. “Fammi capire una cosa, bello – gli domando – ma per te è più importante il video o il pompino?”. Supplica ancora “voglio tutte e due le cose, capisci?”. Mi rialzo, quasi non ci posso credere. Non è la prima volta che mi capita, ok, ma fino ad oggi tutti i ragazzi che volevano immortalarmi mentre glielo succhiavo il telefono l’hanno sempre rimesso a posto, dopo le mie rimostranze. Magari ci mettevano un po’ ad arrendersi, ma alla fine lasciavano perdere. Questo no. Deve essere proprio cretino e, tra l’altro, non sa nemmeno cosa si perde. “Per capire, ho capito – rispondo – ho capito che sei proprio un imbecille…”. Giro i tacchi e me ne vado, mentre lui resta per un attimo interdetto e poi comincia a gridarmi dietro che sono una troia (la sua ritrosia a dirmelo è caduta, adesso). Se gli venisse la parola, credo che mi direbbe che sono un’ingrata. Gli mando un “ma vedi d’annaffanculo” senza nemmeno girarmi e torno verso il centro della festa. Non sono nemmeno incazzata. I just can’t believe it, tutto qua.
Resto un po’ in disparte dalla massa danzante. Non vedo più Ludovica. In compenso vedo Stefy che sta venendo verso di me camminando quasi sulla battigia con il ragazzo con cui l’avevo vista prima. Non mi sembra che ci sia una grande confidenza. Non camminano né abbracciati né mano nella mano. Anche se Stefania a un certo punto scoppia in una risata e si appoggia a lui, che le cinge le spalle. Ma è un attimo. Sono lontani e non posso sentire cosa dicono, ma hanno l’aria di divertirsi un sacco insieme. Poi il telefono di Stefania deve squillare e penso che sia Simone, il suo fidanzato. Almeno a giudicare da come le cambia l’espressione. Saluta il suo accompagnatore con un bacio soffiato sulle dita e inizia a parlare e camminare da sola. Recupera Ludovica e stavolta è lei a cingerla per i fianchi. Camminano verso di me, mi vedono. Stefy chiude la conversazione mandando un bacio al telefono.
“Ste pippe sono arrivate in semifinale, nun ce se crede…”, mi fa ridendo quando è a portata di voce. Le rispondo che evidentemente non sono tanto pippe e domando se si sia divertita. Ma glielo domando in modo malizioso. “No no-no-no, ahahah che vai a pensare? Giusto una camminata sulla spiaggia, simpaticissimo però”. Le mando un’occhiata ancora più maliziosa mentre Ludo mi chiede che fine abbia fatto quello con cui ballavo prima, ossia Diego. “Penso che stia ancora su Google maps a cercare la strada per andare affanculo”, rispondo. Stefania ride, Ludovica crede di capire. “Io con quelli alla fine mi sono rotta…”, dice. “Ma dai, Ludo, te l’ho detto prima, sciogliti un po’, divertiti, lasciati un po’ andare… Stefy, diglielo pure tu…”. Prima che Stefania possa dire qualcosa, Ludovica ci chiede se per caso ci va un mojito, offre lei. Why not, rispondiamo all’unisono. Ludo ci invia uno dei suoi sorrisi più belli e, “torno subito”, scompare. Stefania mi domanda cosa avessi voluto dire con quella storia di Google maps e io le racconto tutto. Manca solo che, dal ridere, cominci a rotolarsi sulla sabbia. Quando ritorna in sé mi dice “beh, almeno ti sei beccata un ditalino”. E ricomincia a ridere dicendo ogni tanto “che coglione” e “tutti a te capitano”. Non posso darle torto, obiettivamente.
Aspettiamo Ludo, la aspettiamo tanto. Ci rompiamo i coglioni e dopo un po’ andiamo a cercarla al bar. Nessuna traccia. Né io né Stefy sappiamo darci una spiegazione, naturalmente. Ci domandiamo anche se non dobbiamo preoccuparci, ma alla fine decidiamo di no. Avrà incontrato qualcun altro che conosce, ipotizza Stefania. Che è la cosa più plausibile ma, sinceramente, non mi convince tantissimo. Veniamo rimorchiate da due ragazzi che ci offrono da bere. Non proprio due divinità greche ma simpatici e, almeno loro, molto educati. Non so a Stefania, ma dopo l’esperienza con il ragazzino a me di trovare due tipi a modo, che ci offrono da bere e che ci riportano a ballare non dispiace affatto. Magari loro si aspetterebbero qualcosa di più, eh? Ma sia io che lei gli facciamo capire che non è aria. Ne prendono atto sportivamente e passano il resto della serata con noi. Ballando e bevendo.
Ci salutiamo che sono le quattro e che siamo abbastanza ubriache. “Te lo dicevo che era meglio venire a piedi”, dico a Stefania mentre ci addentriamo nel parcheggio. “Non rompere il cazzo, chi ci arrivava a piedi in albergo?”, risponde con la sua tipica grazia che riserva solo a me. D’improvviso, la nostra conversazione viene interrotta da due o tre miagolii. Ma di quelli striduli. “Ma che ca…?”, fa Stefania cercando di capire da dove provengano. “Un gatto?”, dico io. Si volta e mi guarda con commiserazione: “Annalì, ma che cazzo dici…”, esclama tenendo le mani giunte. Poi mi spinge dietro una recinzione di canne.
La scena, anche se è molto buio, è chiarissima. E il commento di Stefy, per chi la conosce, nemmeno tanto sorprendente: “Cazzo, povera macchina!”. Lei è così, vede due che scopano su un cofano e pensa ai danni alla carrozzeria. Ogni tanto, nonostante non siano proprio vicinissimi, arriva qualche gemito e qualche “sì” ovattato, segno che il ragazzo ci sta proprio dando dentro (secondo ogni significato possibile) e la ragazza che gli tiene le gambe allacciate sulla schiena si diverte proprio. Poi accade che lui la ribalta a novanta sul cofano e le tira giù la gonna e gliela fa scavalcare prima di ricominciare a fotterla. Da una lama di luce che illumina per terra adesso vedo bene almeno i colori della gonna gettata di lato sull’asfalto. “Cazzo, Ste, ma quella è Ludovica!”. “Ma che cazzo dici?”, domanda. “Guarda la gonna, è la sua! E quelle scarpe potrebbero essere Converse, le sue… E… beh anche la silouhette…”. Stefania osserva per qualche secondo, in silenzio, la ragazza che si contorce e cerca con le mani un appiglio che non c’è, prima di arrendersi all’ingovernabile afflosciandosi e allungando le braccia in avanti fino al cristallo del parabrezza.
– Sei l’Angelo sterminatore, cazzo! – sussurra.
– Uh? Cioè? – le domando, ma un attimo dopo capisco cosa ha voluto dire – Ehi, ma io che cazzo c’entro? Le ho solo detto di divertirsi, di lasciarsi un po’ andare…
– Eh… – fa lei indicando la scena – ‘namo, và, che me sembra d’esse ‘na guardona…
Lancio un’ultima occhiata. Ludovica ha smesso di contorcersi sul cofano perché lui deve averla presa per il codino facendola inarcare. E anche le botte devono essere più violente, perché adesso i gemiti si sentono più distinti. Ci avviamo verso la macchina, se non proprio scosse certamente un po’ sorprese. “Ma quello che la scopava – mi chiede – non ti sembrava Willy, il dj?”.
– Boh, non l’ho visto bene… Ti sei ripulita dalla sabbia?
– mmm… sì – risponde guardandosi i piedi.
– Anche da quella sulle ginocchia? – domando mentre apriamo gli sportelli – prima che ci perdessimo Ludovica ce l’avevi…
Da sopra il tetto della sua Ford, Stefy mi regala uno dei suoi sorrisi più ironici.
– Era molto simpatico e mi piaceva, ma non così tanto da scoparci.
CONTINUA
Sì ok, ha ragione. Quando siamo partite, alle sei, mi sono infilata i Ray-Ban e le ho detto che chiudevo un attimo gli occhi perché tenerli aperti mi dava fastidio. E’ l’ultima cosa che mi ricordo di averle detto. Magari lei si aspettava che le raccontassi perché mi sono presentata all’una a casa sua, stravolta e sporca di sperma. Sì vabbé, glielo racconto ora. Mentre arriviamo in albergo, ci registriamo e prendiamo la chiave, ci cambiamo e “andiamo subito in spiaggia?”, “ok, ma prima devo davvero mangiare qualcosa…”. Mentre mangio le racconto tutto, del mio piano saltato con Jean e di quanto lui mi piaccia. Di Lele e di come mi sia lasciata fregare, in tutti i sensi, come una cretina. E infatti, con il garbo che la contraddistingue con me, Stefania mi dà della cretina. Poiché però mi conosce alla perfezione aggiunge anche un “che testa di cazzo” riferito a Lele, che è esattamente quello che avevo bisogno di sentirmi dire.
In spiaggia mi aiuta a fare il mio solito impacco di protezione diecimila poi si stende a pancia in sotto e dice che si fa un pisolino visto che “qualcuna”, e sottolinea qualcuna, ha pensato di dormire tutto il tempo durante il viaggio. Le rispondo “uh quanto la fai lunga” e mi infilo le cuffiette. Ma mentre dorme la osservo e penso che avrei bisogno di passare più tempo con lei, che avrei bisogno più spesso dei suoi sganassoni di razionalità. Peccato che Simone le stia sempre appiccicato come un polipo.
Quando un’oretta dopo mi accorgo che sta per svegliarsi corro al bar a prendere due cremini. Per qualche strano motivo, il cremino è il suo gelato preferito. Glielo porgo ridendo “tieni, ghiottona, ti possa finire tutto sulle cosce”. Si stiracchia indolenzita mandandomi un vaffanculo mentre mi stendo sul lettino accanto al suo. Le domando quanto sia incazzata per il fatto che Simone stia a farsi le finali del torneo di calcetto anziché stare qui con lei. Contrariamente a quanto mi sarei aspettata, non fa finta di nulla. Anzi si rabbuia, si fa seria. “Beh sì, sono contenta per lui ma un po’ mi sono incazzata – risponde – tra i miei esami, i suoi e sto cazzo di torneo di calcetto lo sai da quanto tempo è che non stiamo un po’ per conto nostro? Me la pregustavo proprio questa fuga…”. Poiché tra noi due le cose funzionano così capisco che è il momento di prenderla un po’ per il culo. “Ma dai, ci sono io a farti compagnia”, le dico con un tono da stronza. Lei però è proprio sfastidiata e mi risponde “lo sai che non è per te, Annalì, ma se al posto tuo c’era lui di certo non stavo in spiaggia a quest’ora”. Rido sarcastica e lei fa finta di incazzarsi ancora di più. Mi dice non ci può proprio credere che l’abbia mollata ieri notte per andare a togliermi tutte le voglie col primo psicologo che passava e che tutto sommato mi sta proprio bene che alla fine si sia rivelato uno stronzo. Le chiedo ironicamente se stia sostenendo che sono una troia e risponde che lo sono, lo sono sempre stata e sempre lo sarò. Ok, è il momento della gara di insulti. E’ uno dei nostri giochi preferiti.
“Eeee… scusate, avete da accendere?”, fa alle nostre spalle una voce da ragazza. Ho un sobbalzo, mi volto e vedo la proprietaria di quella voce. Oddio, “vedere” è una parola grossa, perché sono controsole, diciamo che vedo una figura chinata su di noi. Rispondo meccanicamente “certo, figurati” e le passo l’accendino. La ragazza ringrazia e se ne va. Chiedo a Stefania “cazzo, avrà sentito?”, lei mi rassicura “ma no, a momenti non ti sentivo nemmeno io” e spegne la cicca nella sabbia prima di andare a buttarla nel posacenere. Torna indietro giusto nel momento in cui arriva un WhatsApp di Serena. E’ una foto di Lapo e lei, a seno nudo, dentro una piscina. La didascalia dice “ciaooooo, dove sei?”. La chiamo, le dico che siamo arrivate e che stiamo già in spiaggia. Le chiedo dove sia lei piuttosto. So che Lapo nonostante il ponte non è potuto andare a Copenaghen dalla sua Kirsten, cioè Bambi, la sua ragazza, ma credevo restassero sia lui che Serena a Roma a studiare. Serena risponde che sono nella casa di Lapo in Toscana e che si sono portati i libri dietro. Le dico che certo, lo immagino, che ad Architettura tutte le ragazze preparano gli esami dentro una piscina, in topless. E le mi chiede perché mai dovrebbe essere “less” solo il “top”. Cazzeggiamo un altro po’, e poiché siamo in vivavoce coinvolgiamo anche Lapo e Stefy, che peraltro tra loro non si conoscono. Quando ci salutiamo Stefy mi chiede se le faccio rivedere la foto, allarga su Lapo ed esclama “madonna quanto è bello”. Rispondo che se fosse appena un po’ più alto sarebbe il ragazzo più bello che abbia mai visto. Forse esagero, ma in questo momento mi sembra che sia così. La aggiorno sulla situazione tra lui, Serena e Bambi. Le dico che con le vacanze estive vedrai che inculata che si becca Serena, e non di quelle che piacciono a lei. E che toccherà a me prendermene l’accollo. Proprio mentre Stefy mi domanda “ah già, tu che cazzo fai st’estate?”, alle nostre spalle ritorna la vocina di prima che fa “eee… scusate se rompo, mi prestereste un’altra volta l’accendino?”.
A me per la verità andrebbe proprio di dirle che sì, un po’ rompe, soprattutto se continua ad arrivarci alle spalle mentre facciamo certi discorsi. E’ per questo che, mentre le porgo l’accendino, le dico “si fumicchia, eh?”. La risposta è un sorriso disarmato e disarmante, “eh, non è che c’è da fare molto altro… non c’è mai stato da fare molto altro”. Inopinatamente, è Stefania che la aggancia, chiedendole se è di queste parti.
Esce fuori che si chiama Ludovica, ha 23 anni ed è di Milano. Cioè no, è di qui ma da anni vive a Milano con i suoi. Qui ci vive la nonna che però in questo momento è, per l’appunto, a Milano, perché ha il diabete e deve fare tutta una serie di controlli ché ultimamente non è stata tanto bene. Lei però aveva già preso le ferie ed è venuta lo stesso. Lavora, in una agenzia di comunicazione. Ma studia anche, marketing aziendale.
A me tutta sta raffica di informazioni un po’ mette l’ansia e un po’ me la fa sembrare una mezza sfigata. Cioè, non lo so, probabilmente è un pregiudizio per la storia dell’accendino, ma venirsene qui tutta sola a rompersi il cazzo sulla spiaggia… No, ok, esagero. Non esagero invece se vi dico che è piena di stranezze. E’ una ragazza carina, per dire, ma ciò che la rende carina in viso è una somma di difetti. Dagli occhi un po’ piccoli a un orecchio a sventola che lei, tenendo i suoi corti capelli biondi stretti in un codino, non fa nulla per nascondere. E ha anche qualcosa di strano nelle labbra. Ciononostante, io la definirei proprio carina. Anche con quel sorriso che si ritrova. Strano pure quello, perché quando ride sembra che debba illuminare una metropoli ma poi si ritira, come se si vergognasse. L’altra stranezza, ma qui c’è poco da fare, almeno nell’immediato, è il fisico. Che fino al bacino è normale, anzi meglio del normale, visto che sotto un seno accettabilissimo ha una vita snella e una bella pancia piatta. Poi, improvvisamente, un’anfora, un culone. In realtà, come dire, nemmeno tanto culone, si vede molto di peggio. Su di lei però lo è, e anche le cosce sono troppo grandi per lei. A occhio non c’è un filo di cellulite o altro, la tonicità sembra a posto. E’ la dimensione che non c’entra un cazzo con il suo corpo. Dalle ginocchia in giù, invece, la Venere di Milo, con delle caviglie che raramente si vedono in giro, perfette. E alla fine, dai, a parlarci un po’ non è stronza per niente, anzi. Magari un po’ timida. Solo quando, dopo che ci siamo un po’ raccontate, ci chiede “voi due siete molto amiche, vero?” ho il sospetto che possa avere orecchiato qualcosa dei nostri discorsi. Ma è un pensiero che allontano subito.
E’ comunque Stefania che se ne esce con “ma se sei da sola facci compagnia, no?” ed è sempre lei che si prende l’onere della conversazione. Il tira e molla dei “non vorrei disturbarvi” e dei “ma che te frega” dura un minuto. Poi la ragazza trascina il suo lettino verso i nostri. Io invece per un po’ ripiombo nel ricordo di quanto accaduto ieri sera con quello stronzo di Lele. Vado a fare un tuffo, da sola, e torno indietro. E intanto mi avvito sempre di più nei miei pensieri. Mi accendo una sigaretta mentre penso a Lele e a come mi ha trattata. E più ci rimugino sopra più mi incazzo. Mi metto a sedere quasi di scatto e faccio a Stefania: “E comunque non ci posso credere che uno ti incontra una sera, ti scopa e poi ti tratta da puttana in quel modo!”. Lo dico a voce forse un po’ troppo alta, quelli dell’ombrellone accanto potrebbero benissimo avere sentito. Per fortuna, però, l’ombrellone accanto è vuoto. Solo che alla mia sinistra c’è Ludovica e io me ne ero completamente dimenticata. “Ops, scusa”, le dico. Lei sorride, un po’ imbarazzata. Ma non è scema, mi dico, capirà. Stefania la guarda e cerca di non farmi passare proprio per pazza: “Ha avuto una serata un po’ movimentata…”.
Per fortuna la nostra nuova amica lascia cadere l’argomento, anche se è in evidente imbarazzo. Ne approfitto per domandarle cosa si combina da queste parti la sera. Risponde che non c’è un granché da fare. Ci si sposta con la macchina e si va a prendere qualcosa. Altrimenti, due o tre sere a settimana c’è una specie di party in spiaggia a tre-quattro stabilimenti di distanza, da Leo. Ma non saprebbe dire com’è, lei la sera esce di rado e al massimo va a farsi un gelato. Le diciamo che, come prima sera, per noi può andare benissimo il party in spiaggia e la invitiamo ad venire noi. Ludo non sembra molto convinta e quando ci salutiamo abbiamo entrambe l’impressione di non essere riuscite a scuoterla dalla sua apatia. “Un po’ depressa, sta ragazza”, commenta Stefy quando restiamo da sole.
Condividere il bagno con Stefania, in albergo, è una cosa da sconsigliare a chiunque, ma soprattutto a chi è facile all’incazzatura. Entra e esce come e quando vuole lei, gira nuda con un asciugamano in testa, fa le prove, chiede consigli, fa pipì senza imbarazzi, spalanca la finestra rischiando che qualcuno la veda (e veda me, in quel momento) come mamma l’ha fatta, si trucca, si ritocca il pube. Alla fine si infila una tutina striminzita a righine colorate e mi chiede come le sta. “Come al solito in queste occasioni – le rispondo – da troia”. Non è del tutto vero, a volte l’ho vista conciata peggio, la sera. Però sono un po’ indispettita dal fatto che io sono già pronta da mezz’ora. Risponde che non sono nelle condizioni di parlare e in effetti ha ragione. Indosso dei microshorts a vita bassa che sono uno scandalo per quanto sono inguinali e, sopra, una cosa che sarebbe praticamente un reggiseno se non fosse per una doppia striscia di tessuto nero che passa sotto. Ci fiondiamo dentro una pizzeria e Stefania fa gli occhi dolci al cameriere per avere un tavolo dentro, all’aria condizionata. All’aperto, obiettivamente, c’è un’afa insopportabile nonostante siano le nove di sera. Il tavolo, non si sa come, spunta in tre minuti. Mi sparo un paio di supplì e una margherita, ordino il bis che Stefy non ha ancora finito di mangiare la sua. Il solito cameriere, che tra l’altro è anche un bel tipo, mi guarda un po’ sorpreso e io gli dico di metterci sopra anche un’altra birra e se, prima che ce ne andiamo, è possibile avere un calzone da asporto. Stefania gli dice che è vero, sembra che esca da cinque anni di campo di concentramento ma che in realtà faccio sempre così.
Nonostante si tratti di meno di un chilometro, insiste per prendere la macchina. Arriviamo e parcheggiamo che in spiaggia c’è poca gente e la musica non è nemmeno partita. Prendo una Coca e mi siedo ad un tavolino per mangiare il mio calzone. Stefy si guarda intorno, mi osserva in silenzio e sembra quasi che mi commiseri. Solo che non faccio nemmeno in tempo ad addentarlo, il calzone, che una botta assordante mi stordisce. Urlo “ma che ca…?” e mi porto la mano all’orecchio. Mi sono seduta proprio sotto una cassa dell’amplificazione. Stefania è un metro più in là ma neanche lei sembra messa tanto bene. Ci allontaniamo di qualche passo guardando il baracchino rialzato dove c’è un tipo che armeggia, credo, con il mixer. I nostri “vaffanculo” e “ma sei scemo?” non penso che gli arrivino. Le nostre facce incazzate invece, quando i nostri sguardi si incrociano, le vede benissimo. Si sporge un po’ poi fa un cenno come a dire “che ci posso fare io se siete due cretine che si sono andate a sedere lì sotto?”. Difficile dargli torto ma anche difficile non rimanere incazzate. Lui però si scioglie in un sorriso e ci fa cenno di salire su. Ci presentiamo urlando per sovrastare la musica. Il nome d’arte non lo capisco bene, anche perché ho un orecchio che ancora mi fischia. Quello vero, Willy, invece lo capisco, così come capisco che deve essere romagnolo o giù di lì, da come parla. In realtà è di Pesaro e fa serate sulla riviera. Si scusa e ci dice che stava verificando, qualsiasi cosa siano, i parametri del setup. Dopo di che ci invita, senza mezzi termini, a muovere un po’ il culo. “Dai che la scaldiamo subito”. Poiché però lo dice con un tono per nulla volgare ma, oserei dire, anche professionale, io e Stefy ci mettiamo a ballare ai suoi lati mentre spara un paio di pezzi house davvero ossessivi. Ancheggio sorridente con la mia lattina di coca in mano e mi sento osservata. E a dirla tutta mi piace parecchio, anche se penso che la gran parte degli occhi maschili della spiaggia siano puntati su Stefania.
Passano pochi minuti e Willy fa al microfono “non abbiamo soltanto gnocca” e annuncia la vera attrazione della serata. Che non siamo io e Stefy naturalmente, ma un tipo che si fa chiamare Alioscia o qualcosa del genere. E che deve pure essere abbastanza noto da queste parti. Quando sale su, Willy ci cinge per i fianchi ed è come se dicesse scanzonatamente “su bimbe, è ora di scendere”. Gli faccio “ciao, grazie”, dimenticando l’attentato al mio timpano e prendendo Stefania per la mano. Mi tocca praticamente tirarla via. E già, perché sto Alioscia non è male. Ma proprio per niente. Ha una faccia che sembra Matthew McConaughey installata però sul fisico dell’ex fidanzato della Pellegrini. Salutiamo rapidamente anche lui e filiamo, anche se Stefania si volta a guardarlo un’ultima volta mentre scendiamo la scaletta. Le grido “oh, ma ti sei innamorata?” e lei risponde “madonna che figo della madonna”. Sembra in trance. Si riprende un minuto dopo e, come se si fossero messe d’accordo, mi dice “sai che mi sembra di avere visto Ludo?”. Un secondo dopo Ludovica spunta alle nostre spalle salutandoci e ridacchiando un “voi due siete proprio matte”. Per qualche motivo sono contenta di vederla. Il suo sorriso mi sembra ancora più simpatico e, tra l’altro, sta proprio carina. Si è truccata e sfoggia una canotta nera abbastanza corta e una gonna lunga, ampia, coloratissima che la rende luminosa e che, strategicamente, nasconde un po’ il suo effetto-anfora. Ai piedi, delle appropriate Converse bordeaux. Ci dice “venite che vi faccio conoscere Leo”. Non che me ne freghi un cazzo, ma la seguo. Stefy le chiede chi è Leo e Ludo le risponde che è il gestore di questo posto. Quando la vede, sto Leo le fa un bel po’ di feste. Sembra che si conoscano da una vita. Ci chiede se ci stiamo divertendo, alludendo con un sorriso alla performance con il dj, e ci manda al bar offrendoci “qualsiasi cosa vogliate”. Credo che, nei pochi secondi che siamo rimaste con lui, abbia battuto il record mondiale di occhiate-lanciate-a-Stefania e mentre ci allontaniamo scommetterei che ci sta guardando il culo. Ma chissenefrega, un Moscow mule gratis è pur sempre un Moscow mule gratis, e tutto sommato sto Leo non era nemmeno antipatico.
Come previsto, dobbiamo quasi trascinare Ludo a ballare. Anzi, devo. Perché Stefy viene quasi subito intercettata da due tizi con i quali vedo che si fa una risata (ma non so cosa le abbiano detto) e subito dopo inizia ad ancheggiargli davanti e a far ballare le tette. E’ sempre stata così. Non dico che debba farci qualcosa, ma se trova un tizio che le fa il complimento giusto e la fa ridere lei si tuffa subito. Come me, del resto. Nell’occasione, però, non me la sento di mollare Ludovica lì da sola. Le dico “vieni, andiamo” e praticamente la spingo verso il centro del ballo. Lei nicchia, e anche un bel po’. Si vede che non è il tipo, o forse non c’è più abituata. Mi dice “è una vita che non ballo” come se cercasse una scusa per smettere. Io le ricordo il vecchio detto “sì, ma visto che siamo in ballo…”. Ride, ma non mi sembra tanto convinta. Veniamo circondate da un gruppo di ragazzini spuntati da chissà dove. Sono quattro, anzi cinque, e effettivamente mi sembrano un po’ piccoli. Però ce n’è uno veramente ma veramente carino che mi attira subito. Non deve succedere qualcosa di speciale, eh? Ma mi piacerebbe ballarci e magari limonarci un po’. Una cosa tranquilla. Lui però, e purtroppo, non è che sia proprio il più sveglio del gruppo. Gli sorrido e gli lancio occhiate, ma non si avvicina più di tanto. Sono io che lo faccio, iniziando ad ondeggiare insieme a lui, ma nemmeno appoggia una mano sui miei fianchi nudi. Niente. Gli domando “come ti chiami?” e lui risponde “Alberto”. Stop. E’ davvero troppo timido, o imbranato. Gli sorrido ancora cercando di smuoverlo un po’, ma nulla, non c’è verso. Dico a me stessa che forse dovrei proporgli di andare a giocare al dottore da qualche parte e rido del mio stesso pensiero.
Guardo Ludovica e la vedo un po’ in difficoltà. “Sono ragazzini…”, si lamenta al mio orecchio. “E allora? Che te frega, Ludo! Balla, lasciati un po’ andare, divertiti!”. Proprio un attimo dopo mi arriva alle spalle uno dei “ragazzini” e capisco che è molto ma molto meno insicuro del suo amico. Mi piazza le mani sulle costole e mi chiede come mi chiamo, di dove sono, cosa faccio. Quando gli dico che faccio l’università e sono di Roma sembra che gli abbia detto che arrivi dalla via lattea. “Davvero sei Roma? Ma Roma-Roma?”. Naturalmente, da questo momento in poi, per lui non mi chiamo più Annalisa, ma “romana”. Il suo nome invece è Diego. Non è male, ma non è certo bello come il suo amico. Lo perdo di vista per un po’, è evidente che mi ha “passata” ad altri due amici, che però non sono né come lui né tantomeno come il primo, Alberto. Anche loro sembrano stralunati al cospetto di una che viene da Roma. “Che cazzo ci sarà di strano?”, domando. Lo faccio ridendo, ma devo sembrare un po’ aggressiva perché, dopo una iniziale confidenza, i due si fanno molto più circospetti. Ci ballo un po’, poi ballo con Ludovica e poi da sola, in mezzo a una marea di sconosciuti che non mi si filano. Ragion per cui, quando Diego ritorna con il suo sorrisetto del cazzo, sono quasi contenta di rivederlo. Si conferma molto ma molto più audace dei suoi amici. Tanto per cominciare, mi si piazza ancora una volta alle spalle e non solo mi rimette le mani sulle costole, ma devo addirittura fermarlo mentre cerca di risalire sulle tette. “Ehi, sei matto?”, “bello questo top”, replica sorridendo, abbassandomi le mani sui fianchi e sorridendo, per nulla smontato. Poi una mano me la piazza direttamente sulla pancia, altezza ombelico, e mi stringe a sé. Giusto per farmi sentire qualcosa. Volto la testa verso di lui e sorridendo gli domando “voialtri siete di qui?”.
Sono di qui. Sono tutti compagni di liceo, ultimo anno. Anzi, Diego dice che proprio oggi ha dato l’orale. Chiedo come è andata e risponde che gli hanno pure fatto i complimenti. “E’ finita allora!”, commento. “Siiiiì, e stasera voglio proprio fare il matto”, annuncia. La sua idea di “fare il matto”, lo capisco un attimo dopo, sarebbe quella di passarmi la mano sul culo. Reagisco con un’occhiataccia ma con qualche secondo di ritardo, perché mi sono distratta a guardare Ludovica che ha il suo daffare, molto relativo, con Alberto, quello carino-carino, e due amici suoi. “Sei bella, romana – mi sorride lui – ha proprio degli occhi bellissimi”. “Gli occhi, eh? – rispondo con sarcasmo – e il resto?”. “Il resto mi fa impazzire, romana…”, mi dice all’orecchio. Ma è solo una scusa per darmi un bacio sul collo mentre danziamo.
Mi volto all’improvviso e lo guardo dritto negli occhi. Devo proprio avvicinarmi molto per strusciare le mie tette “sbadatamente” sul suo petto. Mi è venuta voglia di giocare e lui, con tutta la sua ingenua spavalderia, mi sembra proprio il tipo adatto. “Lo vedo, che sei impazzito – gli rido addosso – baci le ragazze dopo nemmeno un minuto che le hai conosciute?”. Mi ride di rimando e mi chiede se mi è dispiaciuto. E intanto ne approfitta per toccarmi ancora il sedere. Con tutte e due le mani, stavolta, e per attirarmi a sé. Gli mollo uno schiaffetto e un “ehi!” abbastanza seccato. Che mi tocchi il culo passi, che mi faccia sentire il pacco sulla pancia ci può pure stare. Quello che mi dà fastidio è la sua precipitazione, che sconfina un po’ nella goffaggine. Essere intraprendenti è una cosa, essere maleducati un’altra, ragazzino. E poi questo è il mio gioco, e lo porto avanti come dico io e fin dove dico io. Non sei mica quello stronzo che mi ha scopata ieri sera, no? A tutto c’è un limite. E stasera mi va di essere io quella che, conduce il gioco, decide, ti tiene a bada. E che cazzo, un ragazzino lo saprò tenere a bada, no?
Una cosa però mi piace, di lui. Ovvero la sua mano che mi ritorna sul pancino dopo che gli ho ridato le spalle. E’ bella e leggera. Anche se scende troppo. Anche se mi apre il bottone degli shorts. “Piantala!”, lo rimprovero mentre appiattisco il ventre per lasciare che scivoli più giù. Non troppo, diciamo fino all’elastico delle mutandine. Lui vorrebbe portarla oltre ma la blocco con la mia. “Ma sei scemo?”, protesto nemmeno tanto indignata voltando la testa verso di lui. Non mi risponde, anzi ne approfitta per darmi un bacio. Non è un granché, si limita a poggiare le sue labbra sulle mie. Ma è comunque un bacio. Gli dico che è un bell’impertinente, ma subito dopo gli sorrido e senza parlare, solo socchiudendo le labbra, gli chiedo un altro bacio. Se dobbiamo limonare, mi dico, facciamogli capire che l’iniziativa la prendo io. Tuttavia, come mossa non è un granché. Perdo per un attimo il controllo e Diego ne approfitta per affondare la mano nelle mie mutandine. Non è che faccia molta strada, eh? Giusto una falange. Quanto basta per fargli sussurrare “quanto sei liscia…”. A me comunque un brivido arriva lo stesso. E insieme al brivido una piccola contrazione. “Ehiii… ma ti pare il posto?”, gli dico togliendogli di forza la mano. “E il posto adatto dov’è?”, risponde. “Te l’ho già detto, sei troppo impertinente…”, ribatto. Ritorna con le sue labbra sulle mie. E stavolta cominciamo proprio a baciarci e a strusciarci, ondeggiando in mezzo alla folla. Per la verità, la musica non la sento proprio. E non è che sia nemmeno particolarmente eccitata. Più che altro mi diverto. Lui sì, invece, lui eccitato lo è. Ci sono certe cose che un ragazzo non può nascondere. “Ho una proposta – mi dice all’orecchio dopo avermelo leccato – ci andiamo a fare una canna?”. “Una canna, eh?”, rispondo dopo avergli leccato a mia volta l’orecchio. “Dai romana, fammi festeggiare…”. Ci eclissiamo, mi volto per salutare Ludovica ma lei non mi vede. Io invece vedo Stefania da lontano che balla e ride con uno di quei due che l’avevano agganciata. Mentre andiamo a cercare un posto per noi Diego mi ripiazza ancora la mano sul culo. Stavolta ce la lascio, anche se rispondo “ma no, dai” alla sua richiesta troppo, troppo precipitosa: “Fammi scopare, romana”. Ma dai, ma che modo è ”fammi scopare”?, Ma dove l’hai sentito?
Oscilla tra mosse azzeccate e gaffe orripilanti. La sua mano sul sedere, per esempio, è davvero una sorpresa positiva. La canna, al contrario, è una delusione. E’ roba da canapa shop. Però poiché di fumare almeno una sigaretta una certa voglia ce l’avevo gli dico “ne hai un’altra? Questa me la vorrei fare io”. Non ne so se ha un’altra, ma sticazzi. So che farebbe tutto per me, ora.
Al riparo delle cabine ricominciamo a limonare, stavolta in modo decisamente più pesante. Mentre aspiro mi bacia il collo e mi tocca le tette con entrambe le mani, ma da sopra la bralette. Gli ansimo in maniera un po’ eccessiva, ma lo faccio per dargli l’illusione che mi stia facendo partire davvero. Invece no, non sono partita. Mi piace, certo, sto bene. Ma posso controllare la situazione. Persino quando per la sua mano la strada nelle mie mutandine non incontra più nessun ostacolo. E’ un po’ pesante, sarà inesperto o troppo eccitato, non so, ma non mi dispiace. Mi ci struscio anche, su quella mano, e gemo come una gatta. Ritorna all’attacco e ripete “dai, romana, fammi scopare”. Gli miagolo una serie di “nooo” e “non mi vaaaa” e intanto lo bacio con le braccia al collo, mi struscio e lascio che lui continui a strusciare. Lui mi sembra un po’ travolto dai baci che gli do e dal modo in cui gli ondeggio sulla mano, probabilmente anche dal modo in cui gliela sto bagnando. Ogni tanto mi ripete all’orecchio “fammi scopare”, “voglio scoparti” ma credo che sia anche affascinato dal modo in cui gemo al suo orecchio e gli sussurro “noo, dai continua”, oppure “fammi venire, sto venendo”. Non ho la minima idea se abbia mai visto venire una ragazza ma non è che me ne freghi molto, in definitiva. Anche perché la sua mano un po’ rude alla fine ha fatto breccia e me la sto proprio godendo, ho deciso di arrivare fino in fondo. Cioè, deciso non è la parola giusta, diciamo che ci voglio arrivare e basta. Lui però almeno su una cosa dimostra di avere le idee chiare, ossia su come si infilino un paio di dita dentro una vagina. Lo fa quasi nell’istante esatto in cui sto per abbandonarmi all’orgasmo e, ammetto, per qualche secondo non capisco più un cazzo e mi abbandono completamente. Sono del tutto, è il caso di dirlo, nelle sue mani. Non è una botta devastante ma certo è molto più intensa di quelle che, di norma, mi procuro da sola. Ritorno alla ragione mentre lui continua con la sua cantilena: “Dai romana, fatti scopare, senti che fregna che hai…”. Naturalmente non voglio dargliela vinta, anche se riconosco che per qualche secondo un pensierino ce lo faccio. Poi però gli getto le braccia al collo ancora una volta, lo bacio, mi mordo un labbro e gli domando con la voce più da gatta morta che mi ritrovo: “Perché, che fregna ho?”. Mentre lo faccio gli sfioro il pacco, è un sasso. Il ragazzino continua nelle sue richieste, ma ormai sono tornata in controllo della situazione. “Sei tutta bagnata, ti va anche a te…”. Gli rispondo con una risata che lo lascia interdetto. Ma del resto io voglio che rimanga interdetto, che non capisca nulla, che non abbia il controllo di niente. “Stasera sono un po’ birichina…”, sussurro. “Tu devi essere parecchio birichina”, replica. Penso che me lo dica più che altro per rispondere qualcosa, ma colgo la palla al balzo. Gli ributto le braccia al collo e gli do un bacio a bocca spalancata di quelli che normalmente do quando sto per concedermi per intero. Di quelli che si danno prima di dire, implicitamente o esplicitamente, “fammi quello che vuoi”. Appoggio la fronte sulla sua e sussurro ancora: “Volevi dire troia, vero?”. Lui risponde confuso “no, no davvero…”. Interrompo il suo rosario di scuse con una risatina e un “siiì, dai, volevi dire troia”, sussurrato stavolta con molta ironia, come se lo avessi preso con le mani nella marmellata. “No, ti giuro…”, insiste. Ma dai miei occhi a tre centimetri dai suoi non può non capire che conosco perfettamente la verità, mentre io so di avere dipinto in faccia il sorriso del trionfo. Gli prendo la mano e me la porto alla bocca, gli succhio le dita come se simulassi un pompino. Ha ragione, sono ricoperte del mio succo, ma non avevo dubbi. Sono dolcissima, come ieri sera. Mi mordo ancora il labbro, gli stringo il pacco e gli faccio “adesso la troia di Roma ti succhia il cazzo…”, e dentro di me penso che voglio farglielo in modalità de luxe, questo pompino, così che pensi “ma quanto sono troie le romane?”. Ha un sussulto tale che per un attimo temo che se ne stia per venire nei bermuda. Mollo immediatamente il pacco per dargli un po’ di respiro.
Diciamo la verità, un pompino se lo merita. Non solo perché a questo punto un po’ va anche a me. E neanche perché mi ha regalato un orgasmo. Ma perché è come se mi avesse riportata indietro nel tempo, quando a scuola ci andavo io. Immediatamente dopo mi viene quasi da ridere a pensare che compio venti anni tra poco più di un mese e già penso ai tempi della scuola un po’ come ai “bei tempi andati”. Per non parlare della storia del premio per la maturità. Quando fui io a fare l’orale (sì, orale, l’esame intendo, non fate ironie), quel giorno mi sfogai con due pompini. Uno a Tommy e un altro a un compagno di classe che venne da me e mi disse che doveva sdebitarsi per il compito di greco che gli avevo passato. E per sdebitarsi intendeva dire che doveva mettermi il cazzo in bocca. La sua sfacciataggine mi fece morire dalle risate ma alla fine il soffocone se lo beccò davvero. Avevo già deciso di mettere fine alla mia carriera di Vergine Pompinara per la quale buona parte del liceo mi apprezzava, ma feci un’eccezione per Martinelli. Al quale peraltro avevo già succhiato l’uccello un’altra volta.
E quindi ok, ragazzo, prenditi il tuo premio. Solo che mentre gli sto abbassando la zip dei bermuda questo comincia a fare “aspetta, romana, un momento”. Lo guardo sorridente e interrogativa mentre lui cerca qualcosa nei tasconi. Gli domando “che c’è?”, pensando che non abbia ancora rinunciato all’idea di infilarsi un preservativo e scoparmi. E invece no, mi dice “aspetta, aspetta… il telefono”. Anche se lo so già gli chiedo “che cazzo ci devi fare?”. Risponde “il video del tuo pompino”. “No, dai”, gli sussurro facendo scorrere il palmo della mano lungo tutto il gonfiore delle sue mutande. Sentire il suo arnese mi chiama, ma allo stesso tempo dentro di me è già scattato l’allarme. “Sì, dai, così lo faccio vedere agli amici”, insiste trafelato. Mi blocco, l’idea di prenderglielo in bocca poteva anche non essere male, ma non fino a questo punto. “Ma non se ne parla proprio”, lo fulmino. “Perché?”. “Perché è no, punto”. Insiste, insisto anche io nel mio no. Dice “le ragazze di scuola mia lo fanno” e gli rispondo che non me ne frega un cazzo. Mi fa, e il tono è quasi quello di una supplica, “ma non ci crederà nessuno che mi sono fatto fare un pompino da una di Roma!”. Io potrei pure incazzarmi, perché anche se non usa la parola “troia” è chiaro che la sottintende e, purtroppo per lui, il momento in cui mi piace sentirmi dare della troia è già bello che passato. Tuttavia la mia curiosità è un’altra. “Fammi capire una cosa, bello – gli domando – ma per te è più importante il video o il pompino?”. Supplica ancora “voglio tutte e due le cose, capisci?”. Mi rialzo, quasi non ci posso credere. Non è la prima volta che mi capita, ok, ma fino ad oggi tutti i ragazzi che volevano immortalarmi mentre glielo succhiavo il telefono l’hanno sempre rimesso a posto, dopo le mie rimostranze. Magari ci mettevano un po’ ad arrendersi, ma alla fine lasciavano perdere. Questo no. Deve essere proprio cretino e, tra l’altro, non sa nemmeno cosa si perde. “Per capire, ho capito – rispondo – ho capito che sei proprio un imbecille…”. Giro i tacchi e me ne vado, mentre lui resta per un attimo interdetto e poi comincia a gridarmi dietro che sono una troia (la sua ritrosia a dirmelo è caduta, adesso). Se gli venisse la parola, credo che mi direbbe che sono un’ingrata. Gli mando un “ma vedi d’annaffanculo” senza nemmeno girarmi e torno verso il centro della festa. Non sono nemmeno incazzata. I just can’t believe it, tutto qua.
Resto un po’ in disparte dalla massa danzante. Non vedo più Ludovica. In compenso vedo Stefy che sta venendo verso di me camminando quasi sulla battigia con il ragazzo con cui l’avevo vista prima. Non mi sembra che ci sia una grande confidenza. Non camminano né abbracciati né mano nella mano. Anche se Stefania a un certo punto scoppia in una risata e si appoggia a lui, che le cinge le spalle. Ma è un attimo. Sono lontani e non posso sentire cosa dicono, ma hanno l’aria di divertirsi un sacco insieme. Poi il telefono di Stefania deve squillare e penso che sia Simone, il suo fidanzato. Almeno a giudicare da come le cambia l’espressione. Saluta il suo accompagnatore con un bacio soffiato sulle dita e inizia a parlare e camminare da sola. Recupera Ludovica e stavolta è lei a cingerla per i fianchi. Camminano verso di me, mi vedono. Stefy chiude la conversazione mandando un bacio al telefono.
“Ste pippe sono arrivate in semifinale, nun ce se crede…”, mi fa ridendo quando è a portata di voce. Le rispondo che evidentemente non sono tanto pippe e domando se si sia divertita. Ma glielo domando in modo malizioso. “No no-no-no, ahahah che vai a pensare? Giusto una camminata sulla spiaggia, simpaticissimo però”. Le mando un’occhiata ancora più maliziosa mentre Ludo mi chiede che fine abbia fatto quello con cui ballavo prima, ossia Diego. “Penso che stia ancora su Google maps a cercare la strada per andare affanculo”, rispondo. Stefania ride, Ludovica crede di capire. “Io con quelli alla fine mi sono rotta…”, dice. “Ma dai, Ludo, te l’ho detto prima, sciogliti un po’, divertiti, lasciati un po’ andare… Stefy, diglielo pure tu…”. Prima che Stefania possa dire qualcosa, Ludovica ci chiede se per caso ci va un mojito, offre lei. Why not, rispondiamo all’unisono. Ludo ci invia uno dei suoi sorrisi più belli e, “torno subito”, scompare. Stefania mi domanda cosa avessi voluto dire con quella storia di Google maps e io le racconto tutto. Manca solo che, dal ridere, cominci a rotolarsi sulla sabbia. Quando ritorna in sé mi dice “beh, almeno ti sei beccata un ditalino”. E ricomincia a ridere dicendo ogni tanto “che coglione” e “tutti a te capitano”. Non posso darle torto, obiettivamente.
Aspettiamo Ludo, la aspettiamo tanto. Ci rompiamo i coglioni e dopo un po’ andiamo a cercarla al bar. Nessuna traccia. Né io né Stefy sappiamo darci una spiegazione, naturalmente. Ci domandiamo anche se non dobbiamo preoccuparci, ma alla fine decidiamo di no. Avrà incontrato qualcun altro che conosce, ipotizza Stefania. Che è la cosa più plausibile ma, sinceramente, non mi convince tantissimo. Veniamo rimorchiate da due ragazzi che ci offrono da bere. Non proprio due divinità greche ma simpatici e, almeno loro, molto educati. Non so a Stefania, ma dopo l’esperienza con il ragazzino a me di trovare due tipi a modo, che ci offrono da bere e che ci riportano a ballare non dispiace affatto. Magari loro si aspetterebbero qualcosa di più, eh? Ma sia io che lei gli facciamo capire che non è aria. Ne prendono atto sportivamente e passano il resto della serata con noi. Ballando e bevendo.
Ci salutiamo che sono le quattro e che siamo abbastanza ubriache. “Te lo dicevo che era meglio venire a piedi”, dico a Stefania mentre ci addentriamo nel parcheggio. “Non rompere il cazzo, chi ci arrivava a piedi in albergo?”, risponde con la sua tipica grazia che riserva solo a me. D’improvviso, la nostra conversazione viene interrotta da due o tre miagolii. Ma di quelli striduli. “Ma che ca…?”, fa Stefania cercando di capire da dove provengano. “Un gatto?”, dico io. Si volta e mi guarda con commiserazione: “Annalì, ma che cazzo dici…”, esclama tenendo le mani giunte. Poi mi spinge dietro una recinzione di canne.
La scena, anche se è molto buio, è chiarissima. E il commento di Stefy, per chi la conosce, nemmeno tanto sorprendente: “Cazzo, povera macchina!”. Lei è così, vede due che scopano su un cofano e pensa ai danni alla carrozzeria. Ogni tanto, nonostante non siano proprio vicinissimi, arriva qualche gemito e qualche “sì” ovattato, segno che il ragazzo ci sta proprio dando dentro (secondo ogni significato possibile) e la ragazza che gli tiene le gambe allacciate sulla schiena si diverte proprio. Poi accade che lui la ribalta a novanta sul cofano e le tira giù la gonna e gliela fa scavalcare prima di ricominciare a fotterla. Da una lama di luce che illumina per terra adesso vedo bene almeno i colori della gonna gettata di lato sull’asfalto. “Cazzo, Ste, ma quella è Ludovica!”. “Ma che cazzo dici?”, domanda. “Guarda la gonna, è la sua! E quelle scarpe potrebbero essere Converse, le sue… E… beh anche la silouhette…”. Stefania osserva per qualche secondo, in silenzio, la ragazza che si contorce e cerca con le mani un appiglio che non c’è, prima di arrendersi all’ingovernabile afflosciandosi e allungando le braccia in avanti fino al cristallo del parabrezza.
– Sei l’Angelo sterminatore, cazzo! – sussurra.
– Uh? Cioè? – le domando, ma un attimo dopo capisco cosa ha voluto dire – Ehi, ma io che cazzo c’entro? Le ho solo detto di divertirsi, di lasciarsi un po’ andare…
– Eh… – fa lei indicando la scena – ‘namo, và, che me sembra d’esse ‘na guardona…
Lancio un’ultima occhiata. Ludovica ha smesso di contorcersi sul cofano perché lui deve averla presa per il codino facendola inarcare. E anche le botte devono essere più violente, perché adesso i gemiti si sentono più distinti. Ci avviamo verso la macchina, se non proprio scosse certamente un po’ sorprese. “Ma quello che la scopava – mi chiede – non ti sembrava Willy, il dj?”.
– Boh, non l’ho visto bene… Ti sei ripulita dalla sabbia?
– mmm… sì – risponde guardandosi i piedi.
– Anche da quella sulle ginocchia? – domando mentre apriamo gli sportelli – prima che ci perdessimo Ludovica ce l’avevi…
Da sopra il tetto della sua Ford, Stefy mi regala uno dei suoi sorrisi più ironici.
– Era molto simpatico e mi piaceva, ma non così tanto da scoparci.
CONTINUA
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